TUTTA COLPA DI CHOPIN

Li abbiamo lasciati, Reali e il Nero, ben decisi o almeno uno di loro, a non farsi mai più coinvolgere in nessun modo dalla Cazzaniga Peroni, l’altro a rivederla. Lei…Vabbè dai, ve la faccio breve, Olga ha accettato un invito a cena del Nero, ma siccome noi sappiamo che poi la vita fa quello che vuole, forse è destino che questa cena non s’abbia da fare. Olga non mangia pesce – secondo voi in che ristorante ha prenotato il Nero? Bravi- Lui non mangia carne. Mentre valutano con una certa delusione del Nero, di optare per una neutra e neutrale pizza, Frau, all’anagrafe Irma nonché madre di Olga, chiama perché è caduta. Problema cena risolto.
Di come e perché il povero Reali si trovi coinvolto in un’indagine sul furto nella villa di un’amica delle Cazzaniga Peroni, in realtà di sua sorella, lo trovate nella sinossi in quarta di copertina e nelle recensioni.
Recensioni entusiaste, tutte. Siccome anche a me è piaciuto parecchio, questa, ammesso che si possa chiamare recensione, non si discosta.
Se Dolce da morire, il precedente romanzo dei Pastardi (crasi Pastori e Aicardi), è stato una piacevole sorpresa, Tutta colpa di Chopin è decisamente una bella conferma che i due sanno maneggiare la materia.
Trama gialla impeccabile inframezzata da ironia a volte ferocemente vicina al sarcasmo, sentimenti di ogni tipo, amore amicizia sorellanza fratellanza nipotanza, crisi familiari e non. Il ladro a cui i tre, sia mai la brianzola resti ai margini, danno la caccia, non fa eccezione nella pletora di personaggi balenghi che animano le pagine.
La strana coppia vince a mani basse la prova del nove proponendoci un romanzo con tutte le sue cosine a posto, tante risate, qualcuna (poche in realtà) è amara, ma d’altra parte, come dice Olga, trovandomi perfettamente d’accordo, “Io la vedo diversamente ed è il modo migliore che ho scovato per vivere. Ridere di tutto, anche del politically correct, perché l’ironia non ha regole. Rido, ma senza cattiveria, faccio battute e provo a sdrammatizzare. Sempre”.
Un libro per chi ama i gialli scritti bene, per chi ama i cosiddetti Cosy Crime (lo scrivo ma sappiate che mi si accapponano i capelli), per chi ama la musica, il perché lo scoprite da soli, titolo escluso, per chi ama ridere, pareccchio, e in generale, per chi ama leggere.
Fate voi, ma io un click sul link e poi su acquista, lo farei. E se vi capita, nonperdetevi una delle millemila presentazioni, che poi mi ringraziate.

COSE BELLE IN ARRIVO

L’8 marzo, in concomitanza alla festa della donna, uscirà per Rizzoli Lizard, SHE’S A WOMAN – “Storie di coraggio, orgoglio, amore e (dis)onore di 33 regine della musica” di Enzo Guaitamacchi, laureato in economia in realtà ha dedicato tutta la vita alla musica, a 360°, ha scritto libri ha prodotto e scritto dischi, oltre a fare il direttore artistico, insomma diciamo (per chi non lo conoscesse) è uno che i titoli per parlare e scrivere di musica li ha. 33 voci che hanno, ognuna a modo suo, cambiato la storia della musica. Alla prefazione di Gianna Nannini, seguono le vite, musicali e personali con aneddoti racconti e particolari, che forse non tutti conoscono. Le ha idealmente divise in 5 sezioni rappresentate da quello che è stato il fil rouge del loro lavoro. Ecco allora Il Coraggio e l’emancipazione, l’impegno politico, l’amore e il sesso, le violenze e i soprusi e l’orgoglio culturale. Alcuni dei nomi, tanto per capire di cosa parliamo: Joni Mitchell Patti Smith Noa Miriam Makeba, Etta James Nina Simone. Corredato da splendide foto e per ogni protagonista, da 2 QRcode che portano alle canzoni per avere un’esperienza completa. Un libro da non perdere per chi ama la musica, sia per la varietà dei personaggi che per l’accuratezza dei racconti (scremati da bufale e leggende metropolitane), ma anche da chi si limita ad ascoltarla, perchè la musica è vita e non la si conosce mai abbastanza. Qui per il preorder https://www.rizzolilibri.it/libri/shes-a-woman/. Per chi lo volesse, l’8 marzo alle 18, in Sala Lab alla Triennale, l’auore ne parlerà con Andrea Mirò e Brunella Moschetti, moderati da Federica Lodi (ingresso libero fino a esaurimento posti).

il 20 febbraio, per Einaudi Stile Libero, torna anche l’avvovato Guerrieri. Ne L’orizzonte della notte per la prima volta, dopo aver assistito alla liturgia dell’uscira di corte presidente avvocati pubblico, decide di attendendere la sentenza senza uscire. Nota tante piccole cose che durante il processo, non si vedono, sfuggono all’attenzione. Una scritta incisa sul legno di un banco, il colore sbiadito e incerto delle pareti, sono particolari che lasciano alla mente il tempo di spaziare e i pensieri come le ciliege o le perle di una collana si susseguono legandosi uno all’altro. La naturale introversione di Guerrieri, lo portano a un’ autoanalisi a rivedere mentalmente tutto, a fare i conti ancora una volta, con i pugni presi e quelli dati.

Due giorni dopo, il 22, in librera trovate il nuovo romanzo firmato da Pierluigi Porazzi e Claudio Chiaverotti, un noir con sorpresa, una sfida per i lettori confezionata con la solita maestria e se mi posso permetere, un pizzichino di bastardaggine. Protagonista de Il re delle fate d’autunno, in libreria per Mursia, è una profiler spedita per “punizione” da Torino alla questura di Udine, si trova ad indagare sull’omicidio di una ragazzina, lasciata nuda nella posizione dell’uomo vitruviano, sulla piazza di un minuscolo paese (immaginario), dove tutto sembra ruotare intorno al “mostro” la fabbrica che come accade nella realtà, garantisce la vita ma forse anche la morte.La “bastardaggine” non ve la svelo, ma per chi ama il thriller, fidatevi che vale la pena scoprirla.

QUALCOSA DI COMPLETAMENTE DIVERSO

lo so, il titolo è fuorviante ed è anche una semicit, (in che senso non conoscete i Monty Phyton?) ma in realtà parliamo dell’ultima fatica di Donato Carrisi. L’educazione delle farfalle.

Non è un giallo, non c’è la sfida a scoprire l’assassino anche se c’è il morto (purtroppo) ma è un romanzo che non ti molla, ti porta nella vita di Sabrina, spregiudicata professionista che incarna l’edonismo più puro, ti fa provare il brivido di essere al top e poi ti porta giù in abissi insondabili.
La vita per lei è il suo lavoro (moltiplicare denaro) tornare al suo appartamento e rilassarsi guardando il mondo dall’alto. Aperitivi cene palestra massaggi e viaggi. Un uomo stabilmente al suo fianco non è contemplato, figli men che meno.
Eppure, per le vie misteriose che prende la vita, succederà qualcosa che cambierà tutto.
A differenza del “solito” Carrisi, il romanzo non ha un finale aperto, la storia inizia e finsce, non ci sono elementi paranormali o scientificamente al limite.
È la storia di una donna che impara sulla sua pelle che non c’è modo di preordinarci la vita, che banalmente quando si dice che in una frazione di secondo può cambiare tutto, è inesorabilmente vero.
Quando capita, più spesso di quanto si pensi, puoi tentare in ogni modo di adattare gli eventi alla tua vita, ma inesorabilmente sarà la tua vita ad adattarsi a ciò che succede.
È il romanzo di un cambiameno profondo, della scoperta di se stessi attraverso prove dolorosissime e scoperte dolcissime, di come, in un modo o nell’altro, l’amore in ogni sua forma riesca a trovarci. Sempre. E di come sempre, Donato Carrisi sia in grado di sorprenderci.

SOLEDAD – Maurizio de Giovanni

Ho deciso di iniziare l’anno con una delle “recensioni” più difficili. Teoricamente è fra le più facili, basterebbe descrivere le emozioni che dà la lettura, ma proprio perché c’è talmente tanto in questo romanzo, la banalità è dietro il punto a capo.                            Lo scrivo sempre e lo ribadisco, la storia gialla è perfettamente costruita, la soluzione da manuale, purtroppo, pur mantenendo il senso critico della giallara, è la cosa che mi interessa meno e passa in secondo piano, c’è tutto un mondo intorno, perdonate l’involontaria citazione.              Tutto è nel titolo, tutto. La solitudine.                  Questo mi ha dato questo romanzo, quanto ognuno sia solo, per quanto amore amicizia possa provare, per quanta gente possa avere intorno.         Si è soli nella battaglia per non far mancare mai un sorriso che consoli, nell’affrontare situazioni potenzialmente distruttive per chi si ama e si vuole proteggere, siamo soli nel prendere le decisioni più importanti. Quelle che cambieranno la nostra vita ma anche quella di chi abbiamo intorno.     Eppure queste solitudini de Giovanni le intreccia così bene da farle diventare un unicum, corale all’inverosimile.                        Si intuisce ormai, siamo nel dicembre del ‘trentanove’39, che la guerra è pronta a esplodere e si comincia a sentire la paura del non sapere quanto potrà costare.                                    Ci sarà chi perderà la vita, chi i propri affetti, chi tutto quello che ha e nessuno sa come affrontare la paura che questa incertezza genera.          Ecco la grandezza di Maurizio, non si limita a descrivere, ci fa sentire come se la cosa ci riguardasse, adesso. E forse non è nemmeno così improbabile seppur con modi diversi; ci fa vivere quello che sentono i nostri amici – perché questo sono Ricciardi Bambinella Maione Modo Lucia – scava senza violenza negli animi, ci porta negli abissi e sulle vette- da cui non dimentichiamo, si può cadere, viviamo con loro i rarissimi attimi di gioia e le mille situazioni diverse che in un contesto così sono tragicamente inevitabili.              Oltre alla parte diciamo così poetica, c’è il talento narrativo, nel senso letterale del termine e quindi il racconto preciso, puntuale delle atmosfere – sia chiaro, comprese quelle intorno a vittima e assassino- che si sono vissute.      La pseudo tranquillità che ancora qualcuno ostenta, in forza di posizioni economiche solide o di presunte amicizie e con quanta facilità possano essere distrutte; la condizione dei femminielli, che a Napoli ricordiamolo, sono altro rispetto ai transessuali che conosciamo oggi, esseri speciali che racchiudevano in sè tutto l’umano, il maschile fisicamente e il femminile nell’animo, protetti dalla gente del quartiere, in qualche modo segregati in un ghetto, per la loro sicurezza.                                   La vita della povera gente che sente avvicinarsi la sciagura, impotente eppure decisa a non soccombere – come ci dimostreranno le quattro giornate -    La fatica di proteggere anche chi fa di tutto, consciamente o meno, per non esserlo, la delusione di chi scopre o presume, di avere fallito nel suo essere uomo e pone rimedio come può e sa.                      E infine la pietas, quel sentimento ormai così raro, de Giovanni ci ricorda crudelmente che non sempre quello che vediamo delle persone corrisponde a quello che sono davvero.                           C’è veramente tanto dentro queste pagine, ci sono tutte le forme d’amore e di egoismo, amplificate al massimo, quasi a prepararci, a proteggerci, da quella valanga di dolore che è dietro l’angolo.

COME SCOMBINARE LE CARTE

Cos’è che ci fa dire che un autore (scrittore pittore scultore poeta) è di successo? Domanda difficile eh, credo che sia ragionevole pensare che lo sia, o così si definisca, se è qualcuno il cui nome è riconosciuto, anche da chi non ne conosce il lavoro. E se posso aggiungere una riflessione, in Italia ma credo sia così un po’ ovunque, abbiamo autori che ancora non sono riconosciuti come meriterebbero. Non soggettivamente attenzione, perché un’opera può piacere o non piacere, ma esistono dei canoni oggettivi ben precisi. Alessandro Berselli è uno di quelli che secondo me, almeno ogni volta che esce un suo romanzo, dovrebbe essere chiamato a presentarlo nelle trasmissioni televisive. Bravo, non ci sono altre parole più adatte. Scrive da molti anni e per quanto abbia un discreto successo, dovrebbe averne di più. Con questo romanzo che si discosta nettamente dai precedenti, dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, di avere raggiunto la maturità. Non perché i romanzi precedenti non lo fossero, ma per contenuto e per la vastità della platea a cui se lo leggessero (e io gli auguro siano davvero tanti) piacerebbe. La trama de Gli eversivi la trovate ovunque, la specifica dei protagonisti forse un po’ meno, quindi abbiamo sullo sfondo, una coppia di genitori preoccupati e ricchi abbastanza, da rivolgersi a un’agenzia investigativa decisamente sui generis. La Marple, organizzata quasi militarmente, ognuna (perché solo di donne è composta) ha le sue mansioni e sgarrare può costare caro. Quattro donne con delle personalità forti, che tengono lontano dal lavoro la loro vita privata per contratto. O almeno dovrebbero. Una giovane donna, figlia dei due di cui sopra , ha preso una deriva pericolosa, si trova invischiata in qualcosa di grosso, sicuramente più grosso di lei. Ecco dove si fa sentire il talento di Bers e la precisione con cui si documenta. Nel trasformare una “deviazione” dal percorso consueto, in una spy story con tutti i crismi. Aggiungeteci che è ambientato a Bologna, che dell’eversione porta i segni indelebili ed è rimasta una città viva, ma viva davvero e gli altri personaggi, fra i quali non saprei definire i cosidetti minori. La trama è perfetta, non ho trovato un punto che sia uno da contestare o che non mi abbia soddisfatta, leggetelo e poi mi direte.

BREVE RECENSIONE TRISTE

È quasi più lungo il titolo che il romanzo

Ma questo ovviamente non mi ha impedito di divorarlo in un paio d’ore, vi chiederete perché ho scritto recensione triste, se vi aspettate una recensione negativa, mi spiace ma resterete delusi. Triste perché avevo voglia di un Manzini tout court, invece, niente indagine. Una ricerca che ci aspettavamo, ovviamente; non si passa sopra un fatto brutto (così brutto), come se fosse un po’ di polvere da togliere , soprattutto se sei un bandito tradito da un fratello e a dirla tutta, meno ancora se sei una guardia col cuore bandito, magari solo un pochino. Il titolo poi è estremamente esplicativo. Insomma, non mi aspettavo un carnevale di Rio ma neanche quello che ci ho trovato – che ribadisco il concetto, mica vi fosse sfuggito, è una storia di Manzini scritta da Manzini – Quindi? Eh, ho avuto la netta impressione che potrebbe essere, almeno nell’intenzione, la chiusura di un cerchio. Che potrebbe essere l’ultima “avventura” di Rocco Schiavone. Che ci starebbe anche voglio dire, se un autore non ha più voglia di indossare ancora lo stesso vestito, eh, può farlo (direi addirittura che deve) e la sensazione è stata proprio che si sia voluto concludere, chiudere le porte che erano rimaste aperte per poi proseguire su altre piste. Ecco perché triste, è anche vero che l’autore ha più e più volte dimostrato, di scrivere meravigliosamente anche quando parla d’altro, indipendentemente da quanto a un lettore possa piacere un personaggio; Avrò avuto la giusta sensazione? Non lo so, certamente il consiglio è di leggerlo, indipendentemente da quello che sarà e poi aspettare tutti insieme la prossima “fatica” del nostro eroe, in questo caso l’autore, che qualunque cosa deciderà di scrivere, a noi piacerà praticamente di sicuro.

PS Leggo in un thread sulla pagina FB di Sellerio,, che non sono l’unica ad aaver avuto la sensazione di chiusura, ma la CE smentisce assolutamente, quindi confidiamo nel fatto che loro ne sanno sicuramente più di noi.

DI SARDEGNA IN SARDEGNA

Oggi andiamo nella Cagliari del 1905, a breve torneremo in quella attuale

È nella Cagliari del 1905 infatti, che si svolge IL MISFATTO DELLA TONNARA di Francesco Frisco Abate. La protagonista è Clara Simon, prima giornalista investigativa in Italia, donna per di più italo cinese, alla sua terza apparizione. Più agguerrita che mai e paradossalmente resa più forte dall’immenso dolore di vedersi spegnere la speranza mai sopita di poter conoscere almeno il padre, (la madre è morta dandola alla luce) militare in missione all’estero di cui – all’inizio del romanzo – le viene comunicata la morte in battaglia. Resta che Clara è stata cresciuta dal nonno, un ricco imprenditore navale – status che per inciso le ha agevolato non poco la vita – che le ha dato oltre a tutto l’affetto che ha potuto, l’agio di non dover lavorare per crescere in un tempo in cui era sorte comune, una casa di prestigio, un nome che tutti in città rispettano, il diritto di studiare e scegliere cosa fare. È un personaggio di cui ci si innamora facile, giovane bella determinata e tosta, molto tosta. Il romanzo, in cui c’è ovviamente un colpevole da assicurare alla giustizia per aver ridotto in fin di vita una maestra, una suffragetta che sta in prima linea perché le donne abbiano finalmente il diritto di voto (che è poi di fondo il riconoscimento primario di un uguaglianza fra sessi), si srotola, come i precedenti del resto, sulla figura di questa giovane donna che non scende in piazza, ma combatte la sua personale battaglia per ottenere lo stesso risultato, conquistandosi giorno per giorno il rispetto e sempre maggiori riconoscimenti sulle pagine e soprattutto in redazione, fra le autorità, oltreché della gente. Per esplicita ammissione dell’autore, Clara è liberamente ispirata dalle donne della famiglia Abate, che poco si discostano dal personaggio. Femministe ante litteram, donne che quando i diritti non c’erano, se li sono presi. Insieme al collega e amico svizzero Fassbinder, al carabiniere Saporito, con cui sta inesorabilmente sviluppandosi una storia d’amore, Clara si muove in una città del tutto inaspettata al lettore che approcci il personaggio per la prima volta. Una città che stupisce, piena di commerci università teatri, attività di tutti i tipi, cosmopolita, dove si intrecciano provenienze da tutto il mondo, dove il fermento culturale è palpabile pur convivendo con un’altra città, quella dei lavoratori poveri perché sfruttati, ma che stanno cominciando a dar vita a movimenti sindacali che arriveranno lontano. Abate, oltre all’amore per la sua terra e per il suo lavoro – è giornalista dell’Unione Sarda e Clara scrive su L’Unione – mette, in questo romanzo in particolare, una serie di temi, più che mai attuali, su cui lasciare che l’inconscio rifletta mentre il conscio si gode una gran bella storia. Ma bella vera.

SORELLE

Ho iniziato ad amare le spy stories approssimativamente nella seconda metà degli anni ’70 Dossier Odessa, Il giorno dello Sciacallo e poi Ludlum Le Carrè Cruz Smith poi senza nulla togliere a nessuno ho abbandonato il genere, finché de Giovanni, senza dirmi nulla, mi manda un raccontino che ha per protagonista una donna molto particolare.Un’ex agente dei servizi.

Qui scusatemi ma è necessaria una digressione.

Se devo descrivermi a qualcuno, uso questa avvertenza: “puoi farmi qualsiasi cosa, in genere perdono e passo oltre, ma se mi ferisci volontariamente o mi fai un’ingiustizia, non sai come quando e da dove, ma la mia giustizia prima o poi ti trova”. 

Ecco, io in quella donna non particolarmente curata, senza trucco, coi capelli non tinti, abiti che passano inosservati e scarpe comode; che ha rinunciato a tutto per amore, tanto sicura di sé da non aver bisogno  di riconoscimenti, né nel privato né nella carriera, ho trovato qualcosa di me. Amarla è stato inevitabile.

In quel racconto che anticipava Sara al tramonto e sarebbe poi stato pubblicato in Sbirre, c’erano tutti i prodromia un personaggio strepitoso. Ha lavorato in un’unità particolarissima, che esiste anche se sembra inventata, Sara Morozzi è in grado di leggere il labiale ma soprattutto di interpretare ogni minimo gesto; la postura gli sguardi i movimenti delle mani delle spalle. Sara è stata un’arma innescata al servizio della legge e una volta lasciato il servizio, si è messa al servizio della giustizia.

Agli antipodi rispetto a Sara, ancora in servizio c’è Teresa Pandolfi. Tanto l’ex agente passa inosservata quanto invece la collega è attenta ad apparire sempre al top. Trucco e parrucco accurati, esercizio fisico e attenzione al cibo, propensa ad amori passeggeri, possibilmente con uomini più giovani che non richiedano altro impegno che quello fisico.

Diverse come il giorno e la notte, non use a sentirsi spesso, quando si incontrano davanti a un caffè, in genere è per programmare qualche azione “professionale”, perché anche se adesso Teresa ricopre un ruolo apicale, è sempre disponibile a mettersi a disposizione dell’amica. Fino a questo romanzo, era chiaro che fra le due donne, ci fosse un legame forte e certamente con tanto non detto, ma quanto sia profondo,soprattutto sul piano personale, de Giovanni ce lo svela completamente solo in Sorelle. Una mancata risposta a un messaggio, fa scattare (a buona ragione) l’allarme di Sara. Tanti anni densi di tutto, hanno fatto sì che a dispetto delle apparenze, se c’è qualcuno può sapere con certezza che Teresa è in pericolo, quella è Sara. Se qualcuno può intuire quale sia “l’assicurazione” che la poliziotta ha predisposto per i casi di emergenza, è ancora lei.

Sempre più addentro nella spy story, che per quanto romanzata, dovrebbe far venire i brividi, oltre la storia, deGio si è concentrato sulle due donne, ci racconta di come pur apparendo così diverse siano in realtà complementari. Stampella l’una dell’altra a turno, scegliendosi negli anni, perché questo succede con gli amici, ci si sceglie. Non è un caso che (vero o no che sia), quando si vuole esprimere la stima e l’affetto che si ha per qualcuno lo si definisce un fratello o una sorella. Una sorella la senti, che te lo dica o no tu sai come sta, da quello che fa o non fa, dice o non dice. E se non dice e “scompare”, indipendentemente da quello che possono pensare gli altri, tutti gli altri, tu sai se ha bisogno di aiuto.

È questa l’ottica in cui si sviluppa Sorelle, il legame di Sara e Teresa così profondo che solo la donna invisibile capisce dove andare a cercare l’Assicurazione, qualcosa che chiunque lavori in quel particolare ambiente, si premura di nascondere, da giocarsi quando sul piatto c’è la propria vita. E solo a Sara la Pandolfi può mostrarsi “nuda”, senza la corazza che le fanno il trucco i lunghi capelli biondi gli abiti sexy. Solo a Sara è permesso entrare nel cuore dell’algida Teresa, perché per muoversi sull’anima delle persone, bisogna saperle leggere, è necessario aver percorso un pezzo di strada a piedi nudi sui sassi della vita, essere inciampati nello stesso dolore che ti fa sorella o fratello al di là del sangue.

JULIET MARION HULME

L’IRONIA DELLA VITA

Juliet Marion Hulme e nasce a Londra nel 1938 ma a causa di una debole costituzione e della tubercolosi, passa la sua giovinezza in posti caldi, durante il conflitto è in Nuova Zelanda dove nel 1948 si trasferisce anche il padre che assume la direzione del Canterbury College di Christchurch.

Juliet non ha molti amici ma si lega particolarmente a Pauline Parker, le ragazze, ma forse sarebbe meglio dire le bambine, passano insieme un sacco di tempo, tanto che negli anni, anche a causa di una “diagnosi” psichiatrica, c’è il sospetto che le due siano almeno a livello sentimentale, innamorate (parliamo sempre comunque di preadolescenza). A sedici anni Juliet dimostra già un’indole piuttosto contorta, tanto che scoperta la madre a letto con un uomo che non è suo padre, tenta di ricattare lo sventurato signor Perry. Vi è suonato un campanellino? Bene.

Dopo la diagnosi di cui sopra, le famiglie decidono di separare le due ragazze, in realtà è Honora Parker che maggiormente si oppone alla frequentazione. Nel diario di Pauline (poi vi dico perché lo citiamo) descrive lei e l’amica come creature celestiali di incomparabile bellezza, superiori alla media, quasi appartenenti ad una razza privilegiata. Il professor Hulme, ormai al divorzio, sta per lasciare la Nuova Zelanda e decide di portare con sé Juliet che, nei piani del padre dovrà restare (sempre per la questione climatica) in Sudafrica affidata alle cure di un collega. Sempre dal diario di Pauline “Ogni giorno muore tanta gente, perché non la mamma?” Per farla breve, il 22 giugno del 1954 le due uccidono la madre di Pauline, il piano è di farlo passare per un incidente ma il medico che presta soccorso alla donna, secondo le ragazze caduta su una pietra, intuisce che la dinamica è un’altra, chiama la polizia e le ragazze finiscono sotto processo. È qui che il diario diventa importante in quanto portato come prova in tribunale dimostra chiaramente la premeditazione. Solo per la loro giovane età scampano alla pena di morte e finiscono in prigione per i 5 anni successivi, a 700 km di distanza l’una dall’altra. Pauline una volta libera scompare, Juliet invece raggiunge il padre in Inghilterra.

Nel 1978 esce con un discreto successo, a firma Anne Perry, quello che diventerà il primo di una lunga serie di storie, “Il boia di Carter Street” , un romanzo ambientato in epoca vittoriana  con protagonista l’ispettore Thomas Pitt. Nel 1994 il regista Peter Jackson gira un film “Creature del cielo” con Kate Winslet, ispirato alla storia di Juliet e Pauline che risveglia i ricordi di un giornalista. Questi, seguendo le tracce di Juliet Hulme si accorge che Juliet scompare quando sulla scena appare una scrittrice chiamata Anne Perry. Tutti i giornali escono con la notizia che in realtà una delle più grandi scrittrici di gialli è un’assassina. Anne Perry conferma al suo editore che è tutto vero, il suo è uno pseudonimo, quella ragazzina coinvolta in un’omicidio, Juliet Hulme era lei. Intervistata dallo scrittore scozzese Ian Rankin, la Perry conferma la sua vera identità al mondo, racconta la sua storia e di aver capito durante la detenzione, l’importanza di pagare il proprio debito con la giustizia cosa giusta e utile per la rinascita come persona. Il riscatto dice, arriva quando si capisce che ciò che si è fatto era male e non si desidera più essere quel tipo di persona. Ammette candidamente nell’intervista,di non aver mai pensato all’ironia del fatto che lei si guadagni da vivere come scrittrice di gialli, finché non glielo hanno fatto notare.

IL BOIA DI CARTER STREET

Londra primavera 1881. La vita del quartiere londinese dove vive la famiglia Ellison, è scossa da una serie di orrendi delitti di cui è vittima una delle loro domestiche.

Sebbene la morale e i costumi dell’epoca non prevedessero per le fanciulle la lettura dei giornali, Charlotte, che è poco incline al rispetto delle rigide regole, segue la vicenda proprio dai quotidiani. A occuparsi delle indagini è l’ispettore Thomas Pitt, abile conoscitore dell’animo umano, in qualche modo riesce a coinvolgere la giovane, mostrandole una realtà del tutto diversa da quella che lei immagina. Col proseguire delle indagini, che si avvicinano sempre più al mondo di Charlotte stessa, la ragazza, oltre a capire che la società non è quella che lei ha sempre creduto, che appena fuori dalla porta di casa esistono la miseria, bambini costretti a lavorare, donne che si prostituiscono per la sopravvivenza loro e dei propri figli, scopre anche di provare un nuovo sentimento, anch’esso del tutto contrario alle convezioni. Con pochi tratti, Anne Perry ci catapulta completamente in pieno periodo vittoriano, quando il perbenismo e le convenzioni sociali dominano la società, soprattutto fra i ceti medio-alti. Il comportamento in società è dettato da rigide regole, il perbenismo domina la morale comune e chi non segue queste regole è destinato a dare scandalo, soprattutto se donna. La Perry è abilissima oltre che a tratteggiare il periodo storico, anche a imbastire una trama che tiene il lettore in sospeso fino alle ultime pagine; scoprire chi è il serial killer e il movente dei delitti – quanto di più anticonvenzionale e scandaloso per l’epoca – non è affatto facile. La narrazione si snoda con eleganza e precisione fra scene di vita sociale e familiare, mentre le indagini si svolgono nel tipico stile del giallo classico. Con questo romanzo (1979) inizia la vasta produzione della Perry che oltre alla serie all’ispettore Pitt, trentadue romanzi, fra altre serie i singoli e racconti, consta di oltre un centinaio di opere.

Ho cominciato a leggere Anne Perry dal primo romanzo, l’ho amata moltissimo e a qualche giorno dalla sua scomparsa, mi è sembrato giusto ricordare la storia di questa grande autrice, che ha dato alle stampe romanzi ormai entrati di diritto nella giallistica classica. Molti appassionati conoscevano già questa storia, ma credo possa essere interessante anche per chi non è addentro. Se non la conoscete, vi consiglio fortemente di aggiungerla senza meno alla vostra libreria.  

Articolo e recensione sono a cura di Martina Sartor

CONSIGLI SPARSI PER ORE BELLE

Tre autori completamente diversi, due Case Editrici e qualche ora (giorno) di buone letture. Janice Hallett, la fascetta la descrive come la nuova Agatha Christie e in versione moderna in effetti ci può stare, è una giornalista e sceneggiatrice inglese, L’assassino è tra le righe è il suo romanzo d’esordio. Spiazzante all’inizio, ci si mette (io ci ho messo) un attimo a entrare nel mood, ma una volta iniziato, non ci si stacca fino alla fine, non tanto per la suspance quanto per la modalità. Come Fami e Charlotte, due studentesse di legge, il lettore affronta la sfida lanciata dal patrocinante per la Corona Roderick Tanner, mediante l’invio della documentazione relativa a un caso, chiedendo di leggerla e riferire le loro impressioni. Quello che non dice loro (né a noi) è quale sia il reato o cosa si debba cercare. Si tratta solo di mail e messaggi i cui mittenti e destinatari appartengono a una piccola comunità, Lockwood, in cui tutti si conoscono e a vario titolo collaborano con la compagnia teatrale locale facendo riferimento alla famiglia più influente (ricca), che si trova improvvisamente ad affrontare la necessità di reperire moltissimo denaro per una cura oncologica disponibile solo negli Stati Uniti. Con Romolo Bugaro, autore Padovano, entriamo nella vita de I ragazzi di sessant’anni, che poi sarebbe uno, un assicuratore forse o un funzionario di banca, con le loro abitudini e piccoli riti che li accompagnano nella presa di coscienza dell’età, i sessant’anni appunto, che ovviamente non si sentono minimamente, il loro sguardo distaccato sulle vite degli altri, di varie età, sul loro matrimonio, le vicende della moglie dei figli. Particolarissimo, tenero e spietato, in una Padova raccontata e scandita dai locali dove fare l’aperitivo, che è quasi rigorosamente uno spritz, fino a che…Ma qui ovviamete mi devo tacere perché qui non si fanno spoiler. Dopo i due Einaudi il consiglio passa a Edizioni Le Assassine, che come sempre riserva qualche piacevole sorpresa. Luisa Valenzuela partendo da un episodio di cronaca, la morte del Procuratore Nisman nel 2015, accusatore della presidentessa Kirchner, inizialmente attribuita a suicidio, ne Il procuratore muore fa incontrare il commissario della polizia federale, Santiago Masachesi – forzatamente pensionato per ragioni politiche – con la sua prima fidanzatina. Si incrociano la dolcezza dei ricordi di due ragazzini, con quello che poi la vita gli ha dato. Qualche rimpianto perché non tutti i sogni si riescono a realizzare, potrebbe forse essere risarcito dalla forza che timidamente, traggono l’una dall’altro, cambiati cresciuti ma delicatamente decisi a realizzare quello che è ancora possibile. Un romanzo, anzi più d’uno, all’interno del romanzo stesso. Si sfiora quello che viene definito Realismo magico, e d’altra parte l’autrice è argentina, ed è il Sud America la patria del genere letterario con Gabriel García Márquez. Un’autrice che sebbene meno nota, che non fa rimpiangere i grandi nomi.