PER UN’ORA D’AMORE

Da oggi in libreria, io vi consiglio caldamente di fiondarvi in libreria.
Cos’è? Il nuovo romanzo di Piergiorgio Pulixi.
Se con Stella di mare ci ha dato l’ennesimo colpo al cuore, con Per un’ora d’amore ariva il colpo di grazia.
Individuare chi sia il vero protagonista del romanzo è impossibile, ad ognuno di loro, perssonaggio fisso o no, è riservata un’attenzione speciale.

Mani stanche di lavoro, mani che una figia pulisce amorevolmente, prima di riceverne una carezza.
Mani che il lavoro ha consumato per dare un futuro.
Mani che quel futuro lo devono prendere e portare avanti, anche se ormai sono vecchie e stanche ma che non mollano, perché sono le mani di un padre, di un nonno.
Sono mani che sentono quel futuro scivolare via sul sangue innocente che è stato versato.
Prima di mollare la presa però, le mani di quel vecchio, vogliono la verità, quella che si è smesso di cercare perché quello che è successo ieri, oggi è già passato remoto e non ci sono più colpevoli da cercare.
Quello che succede oggi e probabilmente si ripeterà domani ha preso il sopravvento.

Per fortuna (anche nostra di lettori), c’è qualcuno che il tempo e la voglia di cercare una risposta lo trova.
Pavan porta il caso all’attenzione di Strega che nonostante tutto ci si applicherà con il solito cuore. Pulixi come un prestigiatore, tira fuori dal cilindro aspetti dei suoi uomini e donne che forse potevamo immaginare ma erano sottotraccia, li spoglia di ogni difesa e ce li propone in un gioco di specchi che cambia la prospettiva da cui li guardiamo.

Affronta come sempre temi profondi, il femminicidio e le vittime collaterali, perché i nomi delle vittime ce li ricordiamo per un po’, ma i nomi dei loro figli e parenti spesso nemmeno li sappiamo, ma ci sono e devono avere giustizia come i morti. Le debolezze, quelle che nessuno deve vedere, quelle che ci massacrano senza che nessuno se ne accorga, quando chiudiamo gli occhi e il sonno non riesce ad arrivare, quelle che ci impediscono di essere in pace con noi stessi. Le ossessioni che nascondiamo accuratamente e sono comemagma pronto a bruciare e distruggere quello che trovano sul loro cammino.

Un romanzo in cui molti veli vengono squarciati, imperdibile.

COME SCOMBINARE LE CARTE

Cos’è che ci fa dire che un autore (scrittore pittore scultore poeta) è di successo? Domanda difficile eh, credo che sia ragionevole pensare che lo sia, o così si definisca, se è qualcuno il cui nome è riconosciuto, anche da chi non ne conosce il lavoro. E se posso aggiungere una riflessione, in Italia ma credo sia così un po’ ovunque, abbiamo autori che ancora non sono riconosciuti come meriterebbero. Non soggettivamente attenzione, perché un’opera può piacere o non piacere, ma esistono dei canoni oggettivi ben precisi. Alessandro Berselli è uno di quelli che secondo me, almeno ogni volta che esce un suo romanzo, dovrebbe essere chiamato a presentarlo nelle trasmissioni televisive. Bravo, non ci sono altre parole più adatte. Scrive da molti anni e per quanto abbia un discreto successo, dovrebbe averne di più. Con questo romanzo che si discosta nettamente dai precedenti, dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, di avere raggiunto la maturità. Non perché i romanzi precedenti non lo fossero, ma per contenuto e per la vastità della platea a cui se lo leggessero (e io gli auguro siano davvero tanti) piacerebbe. La trama de Gli eversivi la trovate ovunque, la specifica dei protagonisti forse un po’ meno, quindi abbiamo sullo sfondo, una coppia di genitori preoccupati e ricchi abbastanza, da rivolgersi a un’agenzia investigativa decisamente sui generis. La Marple, organizzata quasi militarmente, ognuna (perché solo di donne è composta) ha le sue mansioni e sgarrare può costare caro. Quattro donne con delle personalità forti, che tengono lontano dal lavoro la loro vita privata per contratto. O almeno dovrebbero. Una giovane donna, figlia dei due di cui sopra , ha preso una deriva pericolosa, si trova invischiata in qualcosa di grosso, sicuramente più grosso di lei. Ecco dove si fa sentire il talento di Bers e la precisione con cui si documenta. Nel trasformare una “deviazione” dal percorso consueto, in una spy story con tutti i crismi. Aggiungeteci che è ambientato a Bologna, che dell’eversione porta i segni indelebili ed è rimasta una città viva, ma viva davvero e gli altri personaggi, fra i quali non saprei definire i cosidetti minori. La trama è perfetta, non ho trovato un punto che sia uno da contestare o che non mi abbia soddisfatta, leggetelo e poi mi direte.

A DUE A DUE (FINCHÈ DIVENTAN DISPARI)

Fino a qualche tempo fa, come un po’ tutti quelli che tengono un blog, tendevo a recensire – consigliare, i libri appena usciti. Poi son capitata su dei gruppi nei social e ho scoperto che tanta, tantissima gente, vive i libri in maniera normale e non compulsiva, cioè li legge anche dopo ANNI. Sono rimasta un po’ così, però effettivamente, lo faccio anch’io (con l’esclusione dei miei autori del cuore e lo sono sia Cristina Cassar Scalia che Piergiorgio Pulixi, che ho letto appena usciti), quindi insomma, si parla di libri, poco per chi li ha letti, anche se un confronto fra lettori è sempre una buona cosa, di più per chi li leggerà, magari invogliato da qualcosa che scrivo. La banda dei carusi è la xesima (perdo i conti) storia di Vanina Guarrasi, è uscito a giugno, dopo che l’autrice ha voluto regalarci un viaggetto nel passato, quello in cui il vicequestore è arrivata da Palermo a Catania e si “presenta” alla squadra risolvendo il caso de Il re del gelato. Però torniamo ai carusi, sono i ragazzi(ni) uno di questi, per cui l’unica carriera possibile sembrava essere nella cupola delinquenziale, era riuscito a cambiare un destino che sembrava scritto e riscattarsi, con l’aiuto di don Rosario Limoli, che a San Cristoforo, quartiere difficile di Catania, è un punto di riferimento proprio per chi vuole togliersi dalla strada, per quei carusi che decidono di cambiare vita. Thomas era uno dei suoi ragazzi e viene trovato ucciso nell’unica spiaggia sabbiosa della città. L’imperativo, quello che va oltre il dovere, diventa prendere chi l’ha ucciso. È il desiderio di tutti i coinvolti, perché sanno che Vanina lo conosceva quel ragazzo, era un successo anche suo che non fosse più un delinquente nonostante la famiglia, che a dispetto del suo intorno vedesse un futuro pulito. Che La Cassar Scalia sappia scrivere è ormai assodato, calibra perfettamente le storie personali dei protagonisti e la trama gialla, ha una prosa immediata che inframmezza con espressioni frasi e parole in catanese, si è inventata le catanesate di Vanina, scorribande cultural popolari che la allontanano dal suo essere profondamente palermitana. Quello che mi preme dire è che, ovviamente a parere mio, questo è il migliore di tutta la serie, sia per la trama gialla, sia per le sottotrame. Forse per l’empatia che si sente più che negli altri, per il coinvolgimento più della squadra del medico legale del PM, dei coinvolti a vario titolo, reso perfettamente omogeneo, forse perchè i protagonisti sono poco più che bambini. Insomma, se è vero che le serie sarebbe meglio iniziarle dall’inizio, è altrettanto vero che leggendo questo e recuperando in seguito i precedenti, l’innamoramento per il vicequestore, è immediato e garantito.

Stella di mare, quella che garantiva ai marinai di mantenere la rotta, quella che è diventata una canzone meravigliosa di Lucio Dalla è anche Stella, una giovane donna di una bellezza straordinaria, un viso e un corpo che se fosse nata in una grande città, sarebbe stata reclutata da giornali e casa di moda che se la sarebbero contesa a suon di centinaia di migliaia di euro. Purtroppo Stella è nata a Cagliari e nello specifico a Sant’Elia, che corrisponde a un Quarto Oggiaro a uno Scampia (specifichiamo anche, nell’immaginario collettivo o nella narrazione giornalistica, chè nella realtà sono piene di persone per bene). Sua madre è tutto tranne una madre, suo padre è stato allontanato e ha un fratellino disabile. La sua roccia è la nonna, che io reputo un personaggio fondamentale nel computo totale del romanzo. Stella lo sa di essere bellissima, è anche una tosta, una a cui non si mettono i piedi in testa, ma non saprà mai se i suoi sogni sarebbero diventati realtà, perché qualcuno la uccide, brutalmente, con la ferocia dell’amore che diventa odio. Che le storie di Piergiorgio siano toste, ma toste vere, lo sa bene chi ne abbia letta anche solo una, ma anche lui , sempre per quano mi riguarda, qui si è superato. Se ne L’isola delle anime ci ha profondamente toccati con la descrizione di quella Sardegna dell’interno, di quelle antiche tradizioni che ancora oggi son vive, qui ci porta nella Cagliari moderna, in mezzo alla desolazione che viene da povertà droga e delinquenza che ne consegue. E qui torna in primo piano la nonna, Tzia Rosaria, che incarna la tradizione, i detti popolari, la saggezza antica che tace, che si affida ai proverbi, che subordina tutto al suo sentire volto a quella che per lei è giustizia. Pulixi lascia a briglia quasi sciolta tutti i personaggi, Croce Rais la Pontecorvo ma soprattutto Strega, si concentrano sul caso certo, e ribadisco che quanto riesce ad essere noir lui, pochi, ma cominciano a squarciarsi quei veli che in qualche modo li proteggono. Comincia a intravederei quadro che si materializzerà la visione completa e questo fa sì che leggerlo diventi quasi una dipendenza. E però, diciamolo, queste sono dipendenze belle, ma belle assai.

SORELLE

Ho iniziato ad amare le spy stories approssimativamente nella seconda metà degli anni ’70 Dossier Odessa, Il giorno dello Sciacallo e poi Ludlum Le Carrè Cruz Smith poi senza nulla togliere a nessuno ho abbandonato il genere, finché de Giovanni, senza dirmi nulla, mi manda un raccontino che ha per protagonista una donna molto particolare.Un’ex agente dei servizi.

Qui scusatemi ma è necessaria una digressione.

Se devo descrivermi a qualcuno, uso questa avvertenza: “puoi farmi qualsiasi cosa, in genere perdono e passo oltre, ma se mi ferisci volontariamente o mi fai un’ingiustizia, non sai come quando e da dove, ma la mia giustizia prima o poi ti trova”. 

Ecco, io in quella donna non particolarmente curata, senza trucco, coi capelli non tinti, abiti che passano inosservati e scarpe comode; che ha rinunciato a tutto per amore, tanto sicura di sé da non aver bisogno  di riconoscimenti, né nel privato né nella carriera, ho trovato qualcosa di me. Amarla è stato inevitabile.

In quel racconto che anticipava Sara al tramonto e sarebbe poi stato pubblicato in Sbirre, c’erano tutti i prodromia un personaggio strepitoso. Ha lavorato in un’unità particolarissima, che esiste anche se sembra inventata, Sara Morozzi è in grado di leggere il labiale ma soprattutto di interpretare ogni minimo gesto; la postura gli sguardi i movimenti delle mani delle spalle. Sara è stata un’arma innescata al servizio della legge e una volta lasciato il servizio, si è messa al servizio della giustizia.

Agli antipodi rispetto a Sara, ancora in servizio c’è Teresa Pandolfi. Tanto l’ex agente passa inosservata quanto invece la collega è attenta ad apparire sempre al top. Trucco e parrucco accurati, esercizio fisico e attenzione al cibo, propensa ad amori passeggeri, possibilmente con uomini più giovani che non richiedano altro impegno che quello fisico.

Diverse come il giorno e la notte, non use a sentirsi spesso, quando si incontrano davanti a un caffè, in genere è per programmare qualche azione “professionale”, perché anche se adesso Teresa ricopre un ruolo apicale, è sempre disponibile a mettersi a disposizione dell’amica. Fino a questo romanzo, era chiaro che fra le due donne, ci fosse un legame forte e certamente con tanto non detto, ma quanto sia profondo,soprattutto sul piano personale, de Giovanni ce lo svela completamente solo in Sorelle. Una mancata risposta a un messaggio, fa scattare (a buona ragione) l’allarme di Sara. Tanti anni densi di tutto, hanno fatto sì che a dispetto delle apparenze, se c’è qualcuno può sapere con certezza che Teresa è in pericolo, quella è Sara. Se qualcuno può intuire quale sia “l’assicurazione” che la poliziotta ha predisposto per i casi di emergenza, è ancora lei.

Sempre più addentro nella spy story, che per quanto romanzata, dovrebbe far venire i brividi, oltre la storia, deGio si è concentrato sulle due donne, ci racconta di come pur apparendo così diverse siano in realtà complementari. Stampella l’una dell’altra a turno, scegliendosi negli anni, perché questo succede con gli amici, ci si sceglie. Non è un caso che (vero o no che sia), quando si vuole esprimere la stima e l’affetto che si ha per qualcuno lo si definisce un fratello o una sorella. Una sorella la senti, che te lo dica o no tu sai come sta, da quello che fa o non fa, dice o non dice. E se non dice e “scompare”, indipendentemente da quello che possono pensare gli altri, tutti gli altri, tu sai se ha bisogno di aiuto.

È questa l’ottica in cui si sviluppa Sorelle, il legame di Sara e Teresa così profondo che solo la donna invisibile capisce dove andare a cercare l’Assicurazione, qualcosa che chiunque lavori in quel particolare ambiente, si premura di nascondere, da giocarsi quando sul piatto c’è la propria vita. E solo a Sara la Pandolfi può mostrarsi “nuda”, senza la corazza che le fanno il trucco i lunghi capelli biondi gli abiti sexy. Solo a Sara è permesso entrare nel cuore dell’algida Teresa, perché per muoversi sull’anima delle persone, bisogna saperle leggere, è necessario aver percorso un pezzo di strada a piedi nudi sui sassi della vita, essere inciampati nello stesso dolore che ti fa sorella o fratello al di là del sangue.