ANCHE SENZA MONTEROSSI…

Uno strano romanzo, che non fa altro, oltre a “divertire” chi lo legge, che rafforzare la consapevolezza che il buon Robecchi, oltre ad essere un autore estremamente ironico, colto e talentuoso, scrive dei gran bei romanzi, ache quando esce dalla comfort zone di Monterossi e amici.

La vicenda dei giorni nostri è una scusa, stavolta non per parlare di qualche male della società, di qualche profonda magagna collettiva come si confà ai noir, bensì per rendere omaggio a un grande giallista del recente passato. Augusto De Angeli. Nato alla fine dell’800 e morto “misteriosamente” durante il fascismo.

Se nel 2018 un altro illustre scrittore (termine più che mai riduttivo), tale Luca Crovi – sì cari sono ironica , dico sempre che da grande voglio fare Luca Crovi – ha scritto un giallo riportando in vita il commissario De Vincenzi, Robecchi si concentra su De Angeli – il suo creatore – sulla sua controversa fine, morì infatti a seguito di un pestaggio poco dopo essere uscito di prigione, dove era stato incarcerato con l’accusa di antifascismo.

Due piccioni con una fava sostanzialmente, anzi tre. Un ottimo romanzo con implicazioni storiche, un doveroso (sempre e da parte di chiunque) a un autore troppo poco ricordato e al suo personaggio. Il tutto condito con un giallo che coinvolge il protagonista, famoso e quasi anziano regista ormai assunto al ruolo di Maestro, nelle indagini per l’omicidio dell’ex proprietaria della dependance in cui vive.

Quello che mi fa amare Robecchi, come altri autori ma lui lo fa con un suo stile che mi piace moltissimo, è come riesca a rappresentare i ceti sociali più poveri, con rispetto e senza pietismo, non è facile per niente e come irrida il fascismo e il crapone, ridicolizzandoli, senza astio manifesto, ma preciso come un bisturi.

Fatti due conti, non perdetevelo, vuoi perché è un bel giallo, vuoi perché riporta in luce un autore troppo spesso sottovalutato, facendo lezioni di Storia che non sembrano lezioni, vuoi perché scrive di sociologia senza farlo sembrare. In alternativa, potete anche leggerlo solo perché un bel romanzo andrebbe sempre letto.

ROCCO S. VICEQUESTORE – AOSTA

È cambiato Rocco, ma tanto. Lo avevamo già intuito, a memoria direi con 7/7/2007, che stava succedendo qualcosa dentro di lui, poi le vicissitudini che hanno stravolto i suoi punti fermi, le storie d’amore che non vuole far decollare, D’Intino che quasi lo ammazza. Però, io avevo una certezza, che la scorza fosse abbastanza spessa da continuare a “proteggerlo”.

Smentita clamorosamente da questo romanzo tanto atteso. Il migliore, il più bello, l’ho sentito dire da molti e non escludo di averlo pensato anch’io appena finito, ma lo abbiamo detto anche di parecchi dei precedenti.

Forse è il più triste, quello sì. Il lavoro resta un’ancora di salvezza, tant’è che si gira mezza Italia senza battere ciglio e a spese sue, per arrivare a una risposta su quell’uomo che hanno investito mentre andava in bicicletta. A buona ragione? Teoricamente sì, il caso lo risolve, ma quasi emblematicamente, resta qualcosa di sospeso.

Quasi una metafora della sua vita.

Sospeso è rimasto il suo rapporto con Marina, che ormai vede sempre più raramente e non considera più qualcosa al di fuori di sé, così come quello che è successo con Sebastiano, nessuna vendetta nessun perdono, ma sappiamo che la cancellazione totale è difficilmente realizzabile. Caterina si è sposata, capitolo chiuso certo, ma trasformare qualcosa nella tua vita ha cambiato tante facce, richiede tempi lunghissimi. Anche la storia con Sandra è sospesa, certo ufficialmente è finita ma lo conosciamo il nostro vicequestore no?

Senza dubbio alcuno, l’impianto giallo è perfetto, un caso generato da un cold case che non si sapeva nemmeno essere stato un case, ma credo che a far la punta al pennino sul giallo, siano rimasti in tre, anche se forse a Manzini frega poco che lo si apprezzi per il giallo i protagonisti o per l’insieme.

Altrettanto senza dubbi, tutti siamo affezionati alla storia, le storie e quelle non ce le fa mancare.

Non so quanto poi un autore ci pensi o gli venga spontaneo in base al suo background, ma certamente, sia il ritorno degli sposini dalla Rodhesia (mi spiace ma così l’ho conosciuta e così per me rimane), sia il matrimonio imminente di Fumagalli e la Gambino, sono amplificatori della solitudine di Rocco, come lo è la virata del maniaco degli evidenziatori, che scopriamo è anche poeta. Tutto sembra sottolineare l’idiosincrasia di Schiavone per la vita dopo Marina. Ma nonostante tutto, con Lupa sempre al suo fianco – che per inciso secondo me ha un ruolo importante nello “spogliamento” di Rocco – quello che arriva è un uomo triste, a volte francamente disperato, che però si lascia vivere con la speranza inespressa di essere ancora capace. Capace di essere un uomo oltre che un vicequestore, capace di ricominciare a vivere, di non lasciare che tutto accada.

Un uomo capace di vedere, quanto sia amato – questa è una speranza mia – da tutti quelli che nonostante lui, gli sono amici.

TORNANO ALL’INTRASATTO

Oggi due libri che si allontanano un po’ dal “solito” dei loro autori. Partiamo con Gaetano Savatteri, il giornalista che una decina d’anni fa ha dato vita a Lamanna e Piccionello, chi sono lo sapete, un ex portavoce ministeriale nonché romanziere uno e il portabandiera delle infradito nel mondo l’altro. Negli omicidi di solito ci inciampano, e mai come stavolta il termine è azzeccato. Saverio e il suo contraltare accompagnano infatti, per un malinteso senso del dovere che nasconde tutt’altro, Lamanna senior e l’amico Mimì in un “pellegrinaggio” tutto interno alla Sicilia. Sebbene non manchino per niente, nello stile di Savatteri, le battute sagaci le situazioni paradossali e surreali, il viaggio è una metafora, concretissima, di una crescita umana. Si sviscera senza darlo a vedere il rapporto genitore figlio, ma anche la mafia, la sua longa manu e la libertà. Tanta roba davvero. Savatteri ci racconta la vita e il mondo, a 360° senza uscire dalla Sicilia.

In un’altra isola invece, Piergiorgio Pulixi sperimenta qualcosa di nuovo. Niente Mazzeo, niente Strega, ma un Nome e il suo gosthwriter. Tralasciando l’unica cosa che non mi è piaciuta (l’uso abbondante del romanesco a inizio romanzo), va detto che come sempre, ha costruito un romanzo perfetto. Un cold case, che come sempre fanno i maledetti, allunga la sua ombra sul presente. I temi sono tanti, dalle magagne dell’editoria a quelle della chiesa e delle FFOO. Oh, come la tosse, il talento non si può nascondere né tacitare, Pulixi ne ha da vendere e lo usa magistralmente. Ogni suo romanzo è un cazzotto dritto nello stomaco, di cui non ti accorgi subito, perché sei distratto dalla bellezza della Sardegna (paesaggi ambienti e caratteri), ma poi lo senti eccome e sono quei cazzotti che ti fanno bene, perché se è vero che si legge per rilassarsi viaggiare cambiare mondo, è anche vero, almeno per quanto mi riguarda, che qualcosa mi deve rimanere, altrimenti mi faccio una canna o una robusta bevuta il cui effetto comincia e finisce lì. Quello che cerco in un romanzo, e lo confermo in toto, Pulixi ce lo mette. Senza se e senza ma. Ah, anche se lo spazio in casa è poco, anche se i libri costano, non mancate di avere in casa almeno un cartaceo su cui farvi fare una dedica da Piergiorgio, rileggerle scalda il cuore come un caminetto acceso nei giorni intorno a Natale.

LA FINESTRELLA DI VIA PIELLA e UN FUORI MENÙ

Bologna non è solo una vecchia signora dai fianchi larghi di Gucciniana memoria, è anche una città dove si vive, ognuno nel suo come suol dirsi. Ma a differenza di una Milano o di Roma, le cose si sanno, magari di sguincio ma si sanno. Filippo Venturi, oste e scrittore, la sua città la ama tanto e ce la racconta attraverso le disavventure del “povero” Zucchini – nomen omen – orgoglioso oste a sua volta, che si trova coinvolto, sempre suo malgrado, in fatti di sangue. Non vi racconto niente perché Venturi ha già ampiamente dimostrato di saper scrivere un giallo, ma mi piace sottolineare che ha trovato il modo di ricordare, integrandolo perfettamente, un fatto di cronaca di molti anni fa, di cui ho memoria ma non perché venga mai ricordato, che ha lasciato una ferita profonda alla città. Non so, trovo che l’aver voluto riportare alla memoria quel fatto brutto, il ricordare le vittime, sia un di più che dimostra la sensibilità dell’autore. Il tutto, attenzione, senza far mancare nemmeno un pizzico dell’ironia che gli è propria con la conseguente leggerezza e divertimento che caratterizzano tutti i suoi romanzi. Non mi spingo a dire che una volta letto un romanzo poi non puoi più fare a meno del personaggio, o che aspetti con ansia il prossimo, non riesco a far la leccaculo e Venturi mi perdonerà, però quando viene annunciata l’uscita di un nuovo libro, mi fa piacere e nel giro di poco lo leggo, fra l’altro a oggi, restando sempre soddisfatta e mai delusa. Su Repubblica, il nostro oste, quello che scrive, non Zucchini, (anche se…) tiene una rubrica in cui recensice i clienti e a me sta cosa, diverte un sacco. Non so se ho reso quel che volevo dire, ma se l’ho messo nei consigli di lettura, evidentemente prima o poi, ammesso che non lo abbiate già fatto, dovrete risolvervi a leggerlo.

E ADESSO QUALCOSA DI COMPLETAMENTE DIVERSO

Ci sono molti, moltissimi modi di rilassarsi, di ricercare il benessere e l’equilibrio, ognuno cerca il suo, io quando c’è di mezzo la musica, ogni genere di musica, tendo a pensare che funzioni, ecco perché fra i tanti consigli prettamente letterari, ci trovate questo, che non è un romanzo ma neanche un manuale. Lo chiamerei un accompagnamento nella ricerca, un insieme di suggerimenti per trovare quell’equilibrio sano di cui dicevo in apertura. Elena bresciani, cantante lirica e vocal coach, ci accompagna alla scoperta del canto curativo. Un insieme complesso di discipline della voce della musica e della filosofia che tente a procurare un benessere interiore totale. All’interno del libro, un QR Code, pemetterà l’ascolto delle improvvisazioni che hanno poi dato vita all’album Vibralchimie Vol.1, con 12 campane tibetane e di cristallo accompagnate dalla chitarra di Renato Caruso, che adatta lo strumento al suono delle campane. Provarci, immergendosi in qualcosa di nuovo, mi sembra un buon consiglio, anche se come ho titolato, è un po’ fuori menù.

ALTRI DUE TITOLI DA NON PERDERE

Mettiamo in chiaro una cosa che mi sembra non essere chiara per niente. Dal primo romanzo che ha pubblicato, ad ogni intervista ad ogni presentazione in ogni occasione insomma, ha detto e ribadito in tutti i modi, che anche se firmati Marco Malvaldi, senza la partecipazione di Samantha Bruzzone, ossia la sua consorte, non avrebbe scritto nulla. Questa precisazione perché su 10 commento/recensioni che leggo, 8 trovano che la scrittura, da quando appare anche Samantha sulle copertine è cambiata. Datevi una regolata e magari prima di scrivere cavolate, informatevi meglio. Detto questo, il romanzo che consiglio oggi, ha già qualche mese sulle spalle, ma come dico sempre, non è detto che tutti siano flippati e leggano i romanzi appena usciti – oddio, Sellerio un po’ questo effetto lo fa – ma insomma. Veniamo a noi dunque, il personaggio di Serena, chimica per formazione, sommelier per passione, moglie e madre per scelta. Sullo status di disoccupata, se volontario obbligato o altro, ci sta ancora lavorando. Ci lavora così tanto, che le offrono un lavoro proprio come sommelier; occhio, siamo in Toscana, e quando si dice vino, oltre che del piacere, si parla di aziende, di lavoro, di denaro. L’industria del vino non è poca cosa. Per una serie di ragioni che chiunque abbia letto più di tre gialli in vita sua conosce perfettamente, Serena è diventata amica di Corinna, una sovrintendente di polizia sfigatissima con gli uomini, ma estremamente efficiente, oltre ad essere anche molto carina, la cui peculiarità è di essere altissima, e finisce sempre con l’inciampare in qualche cadavere (ovviamente ucciso), e partecipare attivamente alle indagini, cosa che accade anche ne La regina dei sentieri. Personalmente adoro i Bruzzaldi – crasi approvata dagli stessi – mi piace lo stile che hanno deciso di utilizzare, come per esempio citare in apertura di capitolo, le norme di polizia giudiziaria per cui Corinna fa o non fa qualcosa, così come le spiegazioni tecniche (non dimentichiamo che i due sono davvero dei chimici), oh, io son convinta che ogni occasione sia buona per imparare. Poi ci mettono se stessi e un bel po’ dei loro amici, dicono. Son toscani, la battuta la presa in giro la canzonatura, ce l’hanno nel dna, e a me piace assalissimo. Last but not least, sanno esattamente come si costruisce una trama gialla. Per altro, visto che sono ancora pochi, consiglio di partire dal precedente Chi si ferma è perduto. Ah se nel leggerlo aveste una sensazione di deja vù…No niente, vi lancio la sfida e aspetto di sapere se individuate il perché.

Se invece aveste voglia di risvegliare la coscienza sociale e politica che quasi certamente alberga da qualche parte dentro di voi, vi consiglio di leggere Il figlio peggiore – Fandango libri. È un viaggio all’indietro negli anni ’70 del secolo scorso, che detto così fa un po’ impressione, ma in fin dei conti, stiamo parlando dell’altro ieri, della nostra adolescenza e poco oltre (parlo di chi oggi ha fra i 55 e i 65). Che fossimo in quinta elementare alle medie o ai primi anni di superiori, quello che è successo in quel decennio ce lo abbiamo tatuato sulla pelle, perché un cugino un amico un vicino di casa un conoscente, che ha pagato il biglietto all’eroina, ce lo abbiamo credo più o meno tutti. Senza contare il rapimento con conseguente omicidio di Aldo Moro, che credo, è quello che più ci è rimasto  addosso. Pochi sono in proporzione, quelli che sono andati oltre, fra questi  Peter D’Angelo e Fabio Valle che hanno cercato di capire da dove fosse arrivata, praticamente all’improvviso, l’eroina che ha decimato letteralmente una generazione, ma soprattutto perché, quali legami ci siano stati fra le due cose, dall’eversione all’obnubilamento totale, perché un legame palesemente c’è, anche se è più “comodo” non andare a cercarlo, non vederlo, ignorarlo. Oggi si guarda all’America e a quelli che vengono chiamati zombie, i drogati di Fentanyl, eppure le similitudini sono tante. L’eroina prima e il fentanyl adesso, probabilmente hanno la stessa funzione. Quella di “distrarre” le menti di chi potrebbe cambiare lo status delle cose. Le “cose” sono la politica a tutti i livelli, tutto quello che viene deciso sopra le nostre teste, a scapito delle nostre vite. Un “romanzo” che va letto, perchè è scritto bene, perché è una fiction ma si basa su solidi documenti reali, perché risvegliare quel poco di coscienza che è rimasta è ancora viva sotto la brace, in molti spero, ritengo sia indispensabile.   

RIPARTONO I CONSIGLI

Lo so, sono orrendamente ferma da un sacco di tempo con i consigli le recensioni le ricettine e quant’altro, il fatto è che l’articolo sulla ricca Milano, ha fatto sì che chi di dovere si mettesse in moto e a onor del vero, ci sono tante persone da ringraziare. A giorni credo sarà finita la bonifica e lo farò pubblicamente. Nel frattempo vi lascio giù qualche consiglino di lettura. Ne ho in canna circa un quintale in canna, quindi nei prossimi giorni, tenterò di rimettermi in pari.

Partiamo da una riedizione, che poi non so nemmeno se sia corretto come termine, però, se prima di giovedì andate in edicola, insieme a Sorrisi e canzoni TV del 19 settembre, trovate L’ultima mano di burraco di Serena Venditto. Confesso che quando è uscito nel 2019, mi era sfuggito. A prescindere dal fatto che i 5 di via Atri, li adoro, sono una giocatrice incallita del suddetto gioco, ragion per cui mi sono fiondata nel romanzo. Non conoscete i 5? Ok, riassunto breve. In via Atri a Napoli – che è in centro – vivono 4 adulti, non studenti squattrinati che dividono l’appartamento, bensì: Malù, un’archeologa che per inciso è la proprietaria di casa, la sua amica traduttrice anglo italiana Ariel e il di lei fidanzato (ma con stanze separate) Samuel detto Magnum sardo nigeriano – per inciso gran figo -e Kobe un pianista giapponese, il quinto elemento è il gatto nero di Malù Mycroft e il nome dovrebbe già dirvi tutto. Per una serie di ragioni che scoprirete leggendo, sono spesso tutti coinvolti in indagini di polizia. Tutti nel senso che indaga anche il gatto? Se mai ne avete avuto uno, sapete che la risposta è: Eccome! Serena Venditto ha imparato a meraviglia (e di suo ha un bel talento), le regole della scuola napoletana del giallo – sento qualcuno dire ma che è? De Giovanni De Silva Perna , giusto qualche giorno fa de Crescenzo e chiedo scusa a chi sto involontariamente escludendo  –  mescolare il crime il noir, la vita insomma e la leggerezza calviniana con cui solo i napoletani sanno vivere, anche la morte, strappando a tempi determinati e perfetti, anche delle grosse risate. A dirla tutta, è anche molto più efficace di tanti concionamenti e prediche contro il razzismo, che male non fa.

Il secondo romanzo che vi segnalo, è già fuori a qualche mese ed è il secondo romanzo di Janice Hallett, l’autrice inglese che ha inventato un modo decisamente nuovo – se l’hanno fatto prima è stato a mia insaputa – di scrivere gialli. I libri si compongono non di dialoghi e descrizioni ma di mail messaggi WA sms (pochi), articoli di giornali e rapporti di polizia. L’esordio è stato con L’assassino è tra le righe che oltre ad avermi spiazzata per la forma, mi è anche piaciuto molto, questo forse un filino meno – ma se lo consiglio evidentemente il filino è proprio sottile – probabilmente perché la storia è un bel po’ più complessa – però, superato l’impatto iniziale (ho passato ore a chiedermi e cercare sul web)mi sono resa conto che non c’erano riferimenti a fatti realmente accaduti e a quel punto c’ero dentro con tutte le scarpe, ragione per cui Il misterioso caso degli angeli di Alperton, entra di diritto nella pagina dei consigli. Non vi riassumo la trama, ma tanto non lo faccio mai, un po’ per non guastarvi il piacere della lettura, un po’ perché scoprire quale sia il filo da seguire, secondo me è proprio parte del divertimento.

I PROBLEMI DELLA RICCA MILANO

È un articolo lungo, vi chiedo scusa ma le “denunce” vanno fatte per bene, vi chiedo fra l’altro il favore di condividerlo sulle vostre pagine social.

Chi vive a Milano nord nord ovest, aspetta da anni la promessa riqualificazione, è periferia sì, ma se sono riusciti (non certo questa amministrazione), a rendere vivibile e piacevole, gran parte della “famigerata” Quarto Oggiaro, non si capisce dove stia il problema nel tratto che va da Piazzale Accursio a Quarto appunto e verso il cimitero maggiore. Stanno pubblicizzando già da un po’ il Certosa District, alla fine di via Varesina, in effetti, come potete vedere dalle foto aprendo il link, un paio di edifici nuovi, con all’interno uffici sedi di aziende e quattro o cinque locali ci sono, ma hanno evidentemente qualche problema. All’interno del complesso, ci vanno solo quelli che ci lavorano. Alle 20/21 circa, il cancello si chiude, diciamo che insomma, non è di gran richiamo.

Attraversato l’incrocio con via Pailizzi, c’è la fermata dei due solo mezzi che portano all’ospedale Sacco (un polo piuttosto importante) L’8 settembre, partiranno i  lavori di ripristino dei binari e si spera che per qualche anno saremo a posto. Fermo restando che in viale Espinasse non passerà alcun mezzo. Da un paio d’anni hanno rifatto le pensiline, con le discese per le carrozzine, peccato i buchi rimasti sulla strada. Agevolo

Superata l’entrata di un condominio (cui parliamo più avanti), dove una volta c’era la sede della Sandvik, c’è un cantiere, con enormi cartelloni che riportano le foto del già costruito di cui dicevo più sopra, e un parco, che al momento è una foresta abbandonata, ma dalle foto diventerà splendido. Al momento cantiere e verde sono così

Cantiere misterioso e Area verde impenetrabile

Proseguendo oltre il cantiere, hanno costruito un secondo piccolo polo, in cui oltre alla sede prima di Whirpool ora Beko, c’è un bar (famosissimo mi dicono) in cui un caffè e una brioches (ottime ma senza esagerare), ti costano dai 4 € in su, senza servizio al tavolo, con una zuccheriera aperta, che credo sia anche fuori norma, appoggiata sul bancone, in tazzine senza cucchiaino – devi chiederlo- e un ristorante arabo, che al momento è aperto dalle 12 alle 14 o 15. Ah, c’è anche una minuscola panetteria, credo di una catena, che apre alle 11. Il pane è buonissimo, ma lo compri due volte e poi basta visto che ci lasci un rene.

Detto questo, in attesa di capire cosa nascerà dal cantiere (in piedi da 4 anni) vi racconto la situazione attuale, i marciapiedi di via Varesina, ossia davanti ai due “poli”, sono bellamente tappezzati di immondizia varia ed eventuale, ma soprattutto di cacche e pipì, per la maggior parte umane e non canine come si potrebbe pensare.

Ma il bello viene adesso, via Palizzi, procede verso Quarto Oggiaro, con il famoso ponte Palizzi, tranne che per qualche centinaio di metri, che procedono paralleli ma sottostanti fino a terminare a ridosso dei binari delle Ferrovie Nord.

Piccola legenda esplicativa: la stradina chiara che parte di fronte al distributore, è la parte incriminata di via Palizzi. Le frecce indicano la porzione di strada dove sono posizionati i binari del tram. A un livello più basso (un paio di metri) inizia la zona verde. I tre quadratini sono gli ex orti comunali (al momento occupati da rom) mentre in quello rosso, è ospitata una colonia felina, che con la collaborazione del comune e dei volontari, stiamo catturando e sterilizzando. In verde, la giungla.

Ora, questo pezzettino di via, dopo i primi 150 metri, su cui affacciano un condominio e un giardino privato, è diventata terra di nessuno. Molti anni fa il comune ha installato un cancello, purtroppo ormai da anni è rotto e sempre aperto. Superando il primo pezzo di sentiero, lungo il quale si affacciano quelli che una volta erano gli orti comunali, da anni ormai dismessi abbandonati – adesso occupati da rom e cinesi-, la vegetazione, mai curata dal Comune, è diventata una giungla. Ovviamente senz’acqua, senza servizi igienici senza luce (se non per qualche breve periodo in cui si attaccano alla rete elettrica, allacci abusivissimi che il gestore ovviamente stacca a intervalli regolari). Riuscite a immaginare come sia ridotto quello spazio che dovrebbe essere verde pubblico? Agevolo con qualche foto.

AMSA il municipio 8 e la polizia, stanno facendo il possibile, ma dopo mezz’ora dallo sgombro e la pulizia, rientrano e il giorno dopo è peggio. Da brava razzista, così vengo spesso qualificata, ogni santo giorno parlo con loro, senza mai trascendere, senza offendere. A forza di dai, la maggior parte di loro hanno deciso di andarsene, spero in un posto dove abbiano perlomeno acqua e luce, i pochi rimasti, alla mattina ritirano i materassi e passano la scopa togliendo quel che riescono, credo un caso più unico che raro. Ora, viste le foto, non è difficile immaginare il rischio igienico sanitario che è in essere, oltre a non poter usufruire della passeggiata nel verde. Mi auguro che l’assessore del municipio 8 con cui sono in contatto dott. Fabio Galesi e AMSA, provvedano a mantenere l’impegno preso, ossia ripulire e ripristinare la chiusura del cancello, in tempi brevi se non brevissimi. Mi premeva comunque che chiunque parla di accoglienza, di convivenza di integrazione, capisca che non è questo il modo. Rinnovo la richiesta di condivisione. Nell’interesse di tutte le parti coinvolte. Grazie

COSE BELLE E UN BAGNO DI UMILTÀ

Oh e dire che pensavo di essere aggiornatissima, abbastanza aggiornata insomma e invece… A Cesenatico noir c’era uno scrittore di cui non avevo mai sentito parlare (e questo è il bagno di umiltà, sta a vedere che non sono onniscente. Ohibò). Marco De Franchi, ma mai eh, non l’ho mai visto taggato o visto il suo nome nei vari festival gialli e noir, nei ringraziamenti, nelle bacheche degli scrittori, niente, buio di qua e di là dalla siepe. Vabbè, il personaggio mi piace e il libro non sembra affatto male, quindi una volta a casa vado on line e prendo l’ebook – che qui ormai lo spazio è davvero finito – e giacché il romanzo che è stato presentato era il secondo, decido che tanto vale partire dal primo. Finisco quello che stavo leggendo (la recensione la troverete su Mangialibri, Eraldo Baldini, mica pizza e fichi) e inizio a leggere La condanna dei viventi, siamo sulle 600 pagine ma in due giorni secchi lo finisco. SBAM. Ma quanto tempo era che non leggevo un giallo giallo. Proprio un classicone, con le indagini fatte come dio comanda, nel senso tecnico cioè, proprio come le fanno polizia e carabinieri, ripartendo da capo indizio dopo indizio se del caso, ribaltando tutto l’acquisito, sbattendo il muso su false piste e intuizioni sbagliate e le frustrazioni di chi deve sottostare alle decisioni di alcuni che non hanno mai visto altro che una scrivania e pensano solo a carriera e burocrazia, spesso intralciando chi si sporcale mani.

Prima di sedermi e parlarvene ci ho pensato un po’, mi sono fatte le domande che sempre bisognerebbe porsi quando si tiene un blog che parla di libri (in prevalenza) e/o si fanno recensioni. Perché mi ha così entusiasmata? Cos’ha di diverso dai romanzi di autori ben più famosi, non me ne vorrà spero l’autore, ben più celebrati. Stai rivedendo le tue convinzioni? Perché chiedendoti da quanto non leggevi un romanzo così, ti contraddici.

No, ognuno dei famosi a cui pensavo, non serve che vi faccia i nomi vero? Ha delle caratteristiche ben precise, che siano la scrittura le ambientazioni le caratteristiche dei personaggi, le trame o l’insieme di queste cose. Sono quasi tutti autori di romanzi seriali, i cui protagonisti hanno un posto ben saldo nel cuore dei lettori e nel gotha della scrittura, leggere ognuno dei loro nuovi romanzi, significa ritrovare una nicchia in cui stiamo comodissimi, come su un materasso in memory foam. Leggere/scoprire un autore nuovo è un’esperienza diversa, come provare un abito nuovo, che nello specifico (il romanzo), ho scoperto essere tagliato come se fosse su misura.

De Franchi anche se nella scrittura bazzica da un bel po’, è tecnicamente un esordiente, quindi trovare un romanzo ineccepibile in ogni suo aspetto, per ogni appassionato di thriller, è una goduria non da poco.

L’idea di partenza non è nuova, mi vengono in mente almeno tre romanzi e altrettanti film che più o meno partono dalla stessa base, degli omicidi che mettono in scena opere d’arte famose, quello che invece è nuovo è l’approccio investigativo, intanto perché da professionista, la descrizione delle procedure di prima mano ha un qualcosa di diverso (senza nulla togliere a chi si serve di esperti consulenti, ma è un fatto acclarato). Poi il racconto vero e proprio, la frustrazione nello scoprire di aver seguito una pista sbagliata, di essersi lasciati depistare, la tenacia nel ripartire da zero e l’incuria quando non peggio delle cosiddette mele marce.

L’altra cosa “nuova” che ho trovato particolarmente confortante, è come sia riuscito a calibrare la parte investigativa e il tema che evidentemente De Franchi voleva trattare – come conferma lui stesso – ossia la malattia mentale che certamente non è materia facile, soprattutto per la precisione nell’inserire sindromi decisamente non comuni. Non aspettatevi niente di leggero, i capitoli si susseguono incalzando la lettura e le scene splatter (lo so, sembra l’ennesima contraddizione ma non lo è) sono scritte con delicatezza, forse inevitabile per chi i morti amazzati, li ha visti davvero. (De Franchi è stato un poliziotto e come commissario capo è stato in forza allo SCO). Boh, probabilmente molti hanno già avuto modo di leggerlo, se così non è stato, non precludetevi l’occasione di scoprire un talento davvero notevole, come al solito, accetto scommesse sul fatto che poi mi ringrazierete. 

QUALCHE TITOLO DA METTERE IN VALIGIA

Ahimè soffro il caldo in un modo esagerato, quindi mettermi al PC (che scalda) è una fatica che non sempre riesco ad affrontare. Ma sta arrivando un temporale, quindi magari riesco a darvi qualche consiglio. Non sono recensioni propriamente dette, ma romanzi che ho apprezzato e mi sento di indicarvi, sia che siate già sotto l’ombrellone, sia che vi stiate preparando per la partenza e decisi a godervi anche dei momenti di relax. Se vi piacciono i gialli appena appena retrò, tipo anni ’90 del secolo scorso, in un piccolo paese della Gran Bretagna, con protagonista un pastore anglicano che inciampa in dei cadaveri e suo malgrado diventa detective, dovete assolutamente mettere in valigia o nel reader, i due libri del Rev. Richard Coles. Sono due e per quanto scritti bene, nel secondo ci sono tanti riferimenti al primo e ai delitti avvenuti, senza però, com’è ovvio che sia, riuscire a riassumere l’accaduto. Oi, ovvio che tale riassunto è indispensabile solo se parliamo di romanzi seriali in cui sia necessario o quasi, sapere qualcosa dei protagonisti, però insomma, sono solo due, tanto vale partire dal primo. Il protagonista come dicevo è un pastore, intelligente colto e assolutamente coerente col ruolo che ricopre. Un uomo paziente che cerca di aiutare i suoi parrocchiani, che si rapporta alla pari con i nobili signori del Paese e fa del suo meglio per mediare fra un mondo passato e quello moderno che (ammesso che ne abbiate memoria) stava avanzando alla fine del millennio. Vive con la madre che come da tradizione è un filino stranella, in una canonica senza pretese, con la compagnia di due irresistibili salsicce canine, Cosmo e Hilda. La trama gialla, in entrambi, non presenta falle, è assolutamente buona, i personaggi ben delineati e l’atmosfera resa alla perfezione. Una St. Mary Mead qualche anno dopo insomma. Secondo me lo apprezzeranno sia i giallari “puri” sia quelli che amano le atmosfere british, poco o niente splatter, qualche riflessione qualche questione “spinosa” e un po’ di ironia che non guasta mai.

Siccome a noi (me), piace rispettare le tradizioni, facciamo che non c’è due senza tre e aggiungiamo questa raccolta di racconti. Un super giallone che permette di interrompere la lettura per un bagno o una passegggiata e poi riprenderla senza perdere il filo. Il genere mi pare evidente, Cosy Crime. Personalmente questa ulteriore definizione mi infastidisce non poco, un giallo è un giallo, che poi l’autore, secondo il proprio stile, ci metta più o meno ironia, lo serva con contorno di risate, è un plus che può piacere o meno, ma se l’indagine o il crimine ci sono, per me è un giallo e basta. Transeat, la struttura è particolarmente carina, a parte la prefazione e l’introduzione curate da Perna e Basso (quasi due racconti a sè stanti), l’autore/i intervista chi ha scritto il racconto seguente. Idea decisamente carina che permette di approfondire e arricchisce la lettura. I nomi, sia pur non tutti, li leggete in copertina, non sto ad analizzare ogni racconto, ma sono tutti molto buoni a livello trama e con vari gradi di divertissement. A questo punto che dirvi? Buona lettura e fatemi sapere se vi sono piaciuti i suggerimenti.

LA NEVE IN FONDO AL MARE

Se, o meglio quando, leggerete questo romanzo, sappiate che se anche siete preparati sarà una coltellata, dritta precisa al cuore, ma lo stiletto è talmente affilato e appuntito che non lo sentirete subito e quando ve ne accorgerete ringrazierete il Bussola. Poco importa se siete genitori o no, siete comunque figli e questo racconto scava senza pietà ma con pìetas nei rapporti genitori figli, madri e padri, ma soprattutto nel come si affrontano quei momenti in cui non hai più armi, in cui sei solo davanti alla persona che hai generato, la tua carne lo riconosce, il sangue sa chi è il cuore lo ama oltre ogni possibile immaginazione, ma la mente non lo capisce e forse – il dubbio atroce -non lo ha mai capito.

Nel reparto di psichiatria, sorvegliati a vista, sembra che i ragazzini siano una specie aliena, hanno smesso di rispondere ai canoni normali di comportamento e ognuno a modo suo ha continuato a urlare un grido d’aiuto senza riuscire a dire quale sia il pericolo che vede, il male che lo assedia.

Non so quanto possa essere costato a un uomo che si è dichiarato (più o meno), nato per essere padre, che ha tre figlie deliziosamente balenghe che per contro hanno una maturità e un’intelligenza non comune (chi segue lui o la sua compagna Paola Barbato sui social sa cosa intendo), mettere su carta una storia così piena di dolore.

Credo una cifra.

Il dolore è quello dei figli e dei genitori, l’impotenza che non si può accettare, la testardaggine nel cercare la chiave per entrare nella testa e nel cuore di quei ragazzini/bambini, a dispetto di tutto e di tutti.

Un percorso molto più che accidentato, costellato di ferite inferte e ricevute, una discesa nell’abisso, possibile solo restando attaccati al filo sottilissimo della speranza, un filo che permette di tenere la testa fuori dall’acqua, che ti fa sentire tutta la responsabilità che ti sei preso mettendo al mondo un essere umano.

Nonostante ogni parola sia intrisa di dolore, Bussola è riuscito ad ammantarla di amore e di speranza, la speranza di riuscire a ri-mettere al mondo quei figli che sembrano perduti. E quel sentimento, quell’ammissione di umanità e di riconoscimento delle proprie mancanze, è più forte dello strazio, più forte della paura più forte di tutto.

È una storia d’amore a tutto tondo, non lasciatevi spaventare, leggetelo se siete genitori, se pensate che potreste diventarlo, se avete amici che hanno figli, se siete zie o zii, leggetelo se siete cresciuti senza un problema e se invece da adolescenti avete avuto qualche disagio.

Leggetelo comunque, perché è uno di quei romanzi che ti danno molto più di quelle ore che ti hanno tolto, ti resta dentro qualcosa che sarà per sempre.