Non esiste posto più comodo della propria immaginazione
Sei anni dicesi sei che non scriveva, quando mi è arrivato il volume (in anteprima e per questo sia sempre reso grazie a Einaudi), l’ho divorato nonostante sia un bel malloppo. Ero preoccupata di essermi dimenticata qualche personaggio, qualcuno di quei tratti surreali della squadra e invece. Invece no, alla prima pagina sono tornata felicemente a Parigi, pronta a spalare nuvole a nutrire tutti a rannicchiarmi ovunque per un pisolino. Poche pagine e mi sono trovata in un paesino del nord a caccia di un assassino davvero particolare. Il paesino è Louviec, dove vive un (forse) discendente di Chateaubriand e per non farsi mancare nulla, c’è anche un fantasma. Si discosta un pochino dal solito, anche Fred Vargas ha ceduto al fascino del cibo, giustificata dal fatto che il commissario e in seguito i suoi uomini, alloggiano in una locanda, la migliore dei dintorni, che gestita da Johan, cuoco sopraffino e memoria storica del Paese, diventa il centro nevralgico dell’operazione. Una parte della squadra di Adamsberg, lo raggiunge a Louviec e voilà, nulla è cambiato. Il mantra dello spalatore che è poi la sua risposta standard a quasi tutte le domande, è sempre lo stesso, “non lo so”, ci trascina nelle sue elucubrazioni, strampalate ma precise come le pallottole di un cecchino e ci si trova a camminare su strade di acciottolato, a bere sidro ed elaborare le teorie più strambe, per arrivare, senza essersene resi conto, al centro del bersaglio. Non è un romanzo per tutti, la Vargas non è un’autrice per tutti, ma chi riesce a entrare nel mood, non smette di rimpiangerla ad ogni romanzo finito. Bisogna lasciarsi trasportare, arrampicarsi su un Dolmen lasciando vagare i pensieri, seguire Adamsberg e i suoi, non è una semplice lettura, è un fantastico viaggio da rimpiangere in attesa del prossimo. Ah, alle ultime pagine, più di qualche cuore si scioglierà con un sorriso.
Non si è mai grandi abbastanza per non aver paura della Borda
Roberto Serra è un uomo strano, oddio, strano per questi nostri tempi; è analogico Serra, è legato al suo personale mondo e modo. Il computer è una bestia strana, utile quel tanto ma neanche troppo, la musica è rigorosamente quella dei cantautori e si ascolta su vinile, il cellulare serve per telefonare. Insomma a Case Rosse (che poi sarebbe Zocca dove oltre a Vasco è nato anche Pasini) ha trovato la sua dimensione, quella che a Roma non riusciva più a sostenere. In quel piccolo borgo, che se solo l’autore fosse più prolifico farebbe concorrenza a Cabot Cove per numero di omicidi in proporzione agli abitanti, ha quasi ritrovato pace, il quasi ha tante ragioni, sembra finalmente che la Danza non lo tormenti più, ma la paura che torni in qualunque momento non lo lascia mai, quasi perché smettere di bere è mantenersi sobri, se non sei in un telefilm americano non è così semplice, perché il coraggio di affrontare il suo fantasma più grosso, chi ha ucciso i suoi genitori e perché, sembra abbandonarlo ogni volta che sta per fare l’ultimo passo possibile, quasi perché la sua ex moglie sta per risposarsi e la sua Silvia, la ragione per cui è ancora vivo, abita con l’uomo che sposerà la mamma e lui non riesce a vederla abbastanza a viverla abbastanza darle abbastanza. Last but not least, da qualche mese condivide il suo minuscolo commissariato con Rubina Tonelli, mandata in esilio a tempo determinato, (come i carcerati cancella ogni ggiorno dal calendario in attesa di tornare nella sua Rimini). Praticamente gli hanno imposto di lavorare con la sua, almeno agli occhi l’uno dell’altra, antitesi vivente. È proprio la povera Rubina che prende la telefonata che dà l’avvio a un caso che sembra essere impossibile da risolvere. Potrei fare la sborona o la colta e dirvi che Pasini ha assorbito dai grandi, Poe Lovecraft King, e non racconterei neanche mezza bugia, certo che li ha introiettati, ma quella che ci restituisce è la Storia, quella che chi è nato in montagna conosce fin da bambino. Fiabe per i grandi, perché l’uomo nero, il babau, è dentro ognuno di noi e incarna, fin dai tempi delle favole (quelle originali dei fratelli Grimm), quelli che sono i pericoli della vita, perché un uomo nero o la Borda (poi vi dico chi è), la potremmo incontrare ogni giorno, senza riconoscerli mai se non quando è troppo tardi. La Borda è un “mostro” che prende i bambini e li ammazza, è l’uomo nero della bassa Lombardia e dell’Emilia, quello dei boschi di prima montagna in cui ci siano torrenti fiumiciattoli laghetti e stagni. E poi c’è l’attenzione che Pasini dedica al Diverso, è un’attenzione sottotraccia, delicata eppure fortissima, i suoi diversi non lo sembrano affatto, eppure affrontano mostri inimmaginabili, sono gli uomini e le donne spezzati, feriti e lacerati da cicatrici invisibili e mai chiuse. Lo fa Serra, lo fa Rubina, lo fanno, lo facciamo, tutti chi più chi meno, qualcuno nascondendo le battaglie sotto i pantaloni, chi rifugiandosi nella solitudine. Non ci sono mai né vincitori né vinti. E ancora c’è la magia dell’Appennino, fatta di colori di profumi di paesaggi e tradizioni secolari se non millenarie, di radici lunghe che non si spezzano mai. A questo aggiungete un numero imprecisato di coprotagonisti che sono i colleghi di Serra e Tonelli, i paesani, che comprendono anche chi sta nelle frazioni, i vivi i morti e chi conserva i segreti, oltre a un’indagine che fila perfettamente, svelando ben altro oltre al colpevole del duplice omicidio denunciato da un fantasma.
Se amate i gialli gentili ma non cosy, gli investigatori che hanno fatto pace con la vita e magari anche a lirica, direi che Spinori è il vostro uomo
Un PM sempre un po’ annoiato che difficilmente perde la calma, che cerca di capire perché si innamora ogni due per tre, fingendo anche con se stesso di cercare un amore stabile con cui rimpiazzare l’ex moglie, orfano di padre, con un maggiordomo Camillo, che nonostante l’età di Manrico, continua salvo rari momenti di intimità familiare, a chiamarlo contino, ama visceralmente la madre, con cui vive, deliziosa vecchia signora ludopatica che ha dilapidato allegramente il patrimonio della famiglia, mantenendo uno spirito eccezionale e che lo stupisce anche per il rapporto privilegiato che ha con il nipote adolescente.
La sua passione, l’amore per sempre, è quello per la lirica che conosce come forse solo un direttore d’orchestra, e se da un lato per risolvere omicidi e malefatte varie, è indispensabile il contributo di tutta la sua eterogenea (e fantastica) squadra, Cianchetti in testa – l’esatto opposto di un nobile, borgatara doc – che con Spinori forma un perfetto TAO, dall’altro, il conte è convinto che la lirica contempli nelle opere, tutti i misfatti commettibili e di conseguenza, trovata l’opera in cui cercare le risposte, trova anche la quadra dei casi.
Mi piace perché non è perfetto, ha come tanti, un famigerato “passato”, ma lo ha metabolizzato e ci convive tranquillamente. Consapevole di come funziona la vita, onora la decaduta nobiltà con quella d’animo, è una persona buona onesta ma non fessa, collabora e non prevarica, non ha paura di ammettere gli errori né di porvi rimedio. E dopo tutta sta spatafiata? Cosa avrà fatto il calabrone del titolo, ma soprattutto chimai vorrebbe farsi baciare? Lo scoprirete se non conoscendo ancora il personaggio, vi ho incuriositi a sufficienza. Ah, è il quarto libro, il consiglio è di tenerlo in libreria finché non avete letto i primi tre.
Ma io ti voglio dire che non è mai finita, che tutto quel che accade fa parte della vita (cit.)
Che il Giambellino fosse un quartiere con una personalità ben definita e tutta sua, lo aveva già intuito Gaber negli anni ’60, tanto che ci ha “ambientato” la storia del Cerutti Gino e quella della sua mamma, adesso che siamo in un altro secolo e in un altro millennio, ci pensa Rosa Teruzzi a ricordarcelo e raccontarci cos’è oggi, attraverso le storie delle Cairati – tre donne il cui cognome ricordiamolo, è mutuato in omaggio alla sincera amicizia con la grande Sveva Casati Modignani –
Tre donne dicevo, tre generazioni discendenti, che a prima vista non potrebbero essere più diverse tra loro e che invece ci mostrano, romanzo dopo romanzo, che inesorabilmente qualcosa delle madri, prima o poi lo ritroviamo nelle figlie e viceversa. A volte più di qualcosa per dirla tutta.
Sapete che delle trame scrivo poco o niente perché tanto si trovano dovunque, vi racconto piuttosto quello che i personaggi, nelle storie che vivono e nel come le vivono, lasciano a me. Ho adorato Iole da subito, una settantenne che pur non rinunciando a essere la balenga che ben conosciamo, in questo romanzo molto più che in altri, fa trasparire il profondo amore che nutre per Libera. Già solo imponendole il nome, ha augurato alla figlia la cosa più importante del mondo. Lo dimostra a modo suo, senza mai smentire la sua natura di donna profondamente lontana dalle convenzioni, ma specialmente negli ultimi romanzi, lo palesa attraverso i consigli, spesso sibillini, che hanno l’unico scopo di accompagnare Libera a trovare quello che cerca, a capire quello che può farla felice.
Vittoria, la nipote, poliziotta come il padre defunto, da quando ha trovato l’amore, pur restando formalmente rigida e inquadrata, ci sorprende ancora con la sua capacità di passioni insospettabili che la rendono capace di avere quasi una “doppia vita” e poi c’è Libera appunto.
Forse perché sono una decisionista, una che si butta – caratterialmente sono più vicina a Iole – faccio fatica a capire, o forse la capisco fin troppo bene, l’indecisione su cosa fare della sua vita sentimentale, il suo concedersi momenti di gioia e poi perdersi in rimpianti e rimorsi. Compensa “l’incapacità” di buttarsi egoisticamente e definitivamente, magari infischiandosene un po’ dei sentimenti degli altri, lasciandosi trascinare nelle indagini, nonostante le promesse fatte a Gabriele (il collega del marito defunto con cui ha una relazione), se ritiene che la “causa” sia giusta, e fin dalla prima volta, lo sono eccome per i temi che affrontano. Perché Teruzzi, con ogni avventura che fa vivere alle miss Marple del Giambellino, affronta un tema sociale importante.
Discorso a parte meriterebbero i coprotagonisti, Gabriele appunto, Furio la Smilza e Cagnaccio, che a loro volta stanno evolvendo mostrandoci sempre più di sé.
Questa però non è una pagina di psicologia, quindi tornando a bomba sulla Ballata dei padri infedeli, su una scala da uno a cinque, prenderebbe un 4, non perché manchi qualcosa ma perché ho avuto la sensazione di un romanzo di “transito” e quindi “incompiuto per quanto riguarda i personaggi.
Il plot giallo invece, conferma il talento indiscutibile di Rosa Teruzzi. In conclusione, ve lo consiglio senza tema di ritorsioni.
…In fondo tutte le donne fuggono sempre da qualcosa…
Che Alicia Gimenez Bartlett sia una maestra indiscussa è cosa che non si può mettere in dubbio, così come è acclarato che Pedra Delicado sia un personaggio amatissimo, una donna che racchiude in sé un universo fatto da ogni tipologia di donna. Mancava dagli scaffali delle librerie – con un’indagine – ormai da qualche anno ed è tornata se non col botto, quasi.
Le trame dei suoi romanzi sono gialli che definirei abbastanza “classici”, in cui l’ispettrice supportata da Firmin Garzòn, indaga alternando il buon vecchio metodo consuma scarpe, a frequenti soste alla Jarra de oro, birrette rinfrescanti e consumo di cibo, che diventano carburante e momenti di necessaria rigenerazione per la mente. Questa indagine, parte dall’omicidio del proprietario di un food truck, delitto che a rigor di logica, essendo avvenuto nel piazzale dove sono riuniti diversi furgoni, dovrebbe essere facilmente risolvibile, ma sappiamo che la logica deve sempre fare i conti con la realtà ed evidentemente quest’ultima ha deciso diversamente.
Vero che l’omicidio è avvenuto in piena notte e che l’arma è un coltello – quindi silenziosa – ma pare proprio che trovare un testimone sia impossibile, lavorare tanto durante il giorno evidentemente favorisce sonni profondi e toglie il tempo per vedere qualsiasi cosa non siano i clienti. Per di più il defunto pare essere un tranquillo lavoratore che nessuno al mondo poteva odiare al punto di ucciderlo. A questo punto però la domanda che sorge spontanea nel futuro lettore è: “ma allora chi è la donna che fugge?” “Da cosa fugge?” Su questo interrogativo e sulle molteplici risposte che si svelano nel corso dell’indagine – che fra l’altro porta i nostri due investigatori in giro per tutta la Catalogna – si gioca tutto il romanzo.
Non so se la mia memoria cominci vacillare, ma la mia impressione è che il rapporto fra ispettrice e viceispettore abbia fatto un passo avanti, c’è più confidenza fra i due, le conversazioni che non riguardano il lavoro, vanno leggermente oltre le chiacchiere, in qualche modo sembra che Petra cerchi quel confronto con la controparte maschile, che non riesce ad avere col marito, coniuge che nei rari momenti in cui riescono a incrociarsi, insiste sull’idea di acquistare una casa in campagna dove trasferirsi per smettere con lo stress della città. L’ispettrice è pur sempre una donna e questa insistenza le insinua dubbi su dubbi, aggravati dalla consapevolezza di essere particolarmente assente.
A livello di indagine, ben costruito anche se forse non uno dei migliori, ma a livello narrativo, direi, anzi dico, che è assolutamente imperdibile.
Lasciate fare alla pioggia e assecondate il vostro piccolo, temporaneo mutamento
Tre anni, un ritorno un po’ a sorpresa dal passato e qualche problemino personale, hanno fatto sì che ci mancasse per due volte, l’appuntamento annuale con i Bastardi, per fortuna appena apri il libro e leggi le prime parole, succede come quando per un po’non senti o non vedi un amico, il tempo di esaurire l’abbraccio, sedersi e il discorso riprende esattamente da dove lo avevi interrotto.
Li ritroviamo uguali eppure cambiati, invecchiano crescono affrontano nuovi dolori emozioni e cose della vita, come noi, giorno dopo giorno. L’omicidio di un notissimo e vecchissimo penalista, che come spesso accade scuote le alte sfere, fa sì che i Bastardi scoprano inaspettatamente di essere ancora a rischio chiusura. Nonostante gli anni, i successi ottenuti dalla squadra e l’avvenuta “redenzione” dai peccati, non sono ancora poliziotti come gli altri per i colleghi e i superiori, sono e restano sorvegliati speciali , perché quel commissariato, fa gola a tanti.
Non c’è perdono per loro, non c’è cura per le loro lesioni, il passato è una ferita aperta che sotto la superficie non cicatrizza mai, puoi solo dividere la tua pena se ne sei capace e se hai la fortuna di avere vicino persone che possono capire. Questa consapevolezza, applicata al lavoro da Palma, li mescola, fa si che non esista un partner fisso e siano quindi (piacevolmente) costretti a un confronto continuo che alla fine – nello specifico hanno 48 ore – risolvano casi che con le normali procedure, probabilmente farebbero arrestare degli innocenti.
Ma la pioggia? Perché non è vero che a Napoli non piove mai e quando piove per giorni di fila, ora violentemente ora facendo credere di avere smesso per poi riprendere con più vigore, fa degli strani scherzi, ti obbliga a correre per cercare un riparo e quando lo hai trovato a volte scopri che sarebbe stato meglio di no, ti confonde, si confonde con le lacrime, con lo sgocciolio di un rubinetto che perde, crea illusioni visive che ti costringono a guardarti dentro. A volte fa si che anche chi è abituato a bagnarsi, cerchi quel riparo in qualcuno.
Le sottotrame, come sempre alternano momenti terribili a momenti in cui, se non fossi in un romanzo, potresti diventare il colpevole. Se state pensando che mi riferisca ad Aragona (come vittima) ebbene sì, e momenti di assoluto divertimento, per il quale dobbiamo ringraziare Viky, l’enfant terrible figlia della Martinelli e molto molto più saggia della mamma.
Chi ne ha voglia, chi legge per andare oltre il proprio campo visivo, trova spunti per guardare le cose con altri occhi, per capire che spesso le cose sono molto diverse da quello che appaiono. La somma di tutte queste cose, fa in modo che ogni romanzo di de Giovanni contenga tanti mondi quanti ne vogliamo trovare, lasciandoci con il desiderio e la speranza, che da qui al prossimo, non ci siano intoppi.
Ieri mattina finalmente il sole, grazie a un’amica che l’aveva visto sul web a un discreto sedere e alla vicinanza a casa, sono andata a visitare la RAI di Corso Sempione 27. Ci ero andata per un periodo a vedere CHE TEMPO CHE FA, quando era intrattenimento. Preistoria. Conoscevo quindi l’entrata il corridoio dove aspettavamo di entrare e lo studio.
Partiamo dall’edificio, ne abbiamo visitato solo una una parte ovviamente, avevo sentito che era stato progettato da Giò Ponti, nel ’39 ma senza dargli importanza. Le particolarità dell’edificio sono troppe per poterle elencare e parlarne senza dimenticare qualcosa, oltre al fatto che non ne ho la competenza, consiglio però fortemente a chiunque, di cercare dei testi che entrino nello specifico, perché quando te lo spiegano e lo vedi da dentro, ti rendi conto della bellezza. Giusto due curiosità : le scale, con un corrimano a serpentina che permette di non staccare mai la mano per tutti i 6 piani, le stesse, hanno i gradini studiati in altezza e profondità, in modo che salire non sia affatto faticoso. Gli oblò delle porte (originali) hanno la forma degli schermi dei vecchi tubi catodici, con gli angoli arrotondati e le stesse proporzioni. La meraviglia degli studi radiofonici – che noi frequentatori delle prime radio libere, ricordiamo tapezzati con i cartoni delle uova – in cui ogni particolare e intendo proprio tutto, dai pavimenti al soffitto, ai pannelli da un lato fonoassorbenti e dall’altro riflettenti, con cui sono rivestite le pareti irregolari, alle porte completamente isolanti, è studiato perché il suono e le voci – non dimentichiamo per esempio i radiodrammi in diretta – fosse perfetto. Un’acustica eccezionale. Incredibilmente affascinante, davvero.
E veniamo alle riflessioni, dopo le “fughe” per presunte ragioni politiche, di uomini simbolo da mamma RAI, ascoltando chi ci spiegava ( in soldoni, per forza dato il tempo), come funziona un po’ tutto, dalle luci ai costumi e le altre millemila cose, compresi gli sforzi tesi al risparmio energetico per la sostenibilità, mi sono resa conto che siamo dei pollastri. Mi ci metto in mezzo perché anch’io ho discusso degli illustri fuggitivi.
Siamo dei polli perché identifichiamo l’azienda col volto noto, siamo immancabilmente deviati dalle nostre convinzioni simpatie o antipatie politiche e non, ci facciamo condizionare dagli algoritmi che governano il web. Per carità, ovvio che qualche pirlata scappi ai vertici o comunque a qualcuno nella catena del potere e altrettanto ovvio è che qualcuno tenti di essere compiacente, ma attenzione, quelle poltrone lì vanno e vengono, esattamente come vanno e vengono i Nomi, a seconda di chi offre di più. Sapete chi sono i veri uomini azienda? I dipendenti e i pensionati con buona volontà, come quelli che ieri appunto, si sono prestati a farci da ciceroni.
Attrezzisti registi aiuto registi, gente che è stata lì per 40 anni, entrata magari perché ci aveva lavorato il padre, truccatori costumisti cameramen fonici, le redazioni le produzioni. Quelli che pur essendo certi del loro posto di lavoro, lo fanno al meglio, fanno sì che a noi arrivino le immagini nitide con le luci migliori, da studio e da esterni, quelli che conoscono ogni angolo dell’edificio e te lo mostrano con orgoglio, o quelli come l’impiegato o il dirigente (non lo so), che ci ha accolti alla fine del giro, commuovendosi nel raccontarci che a loro, come accade alla BBC, degli ascolti importa relativamente, perché loro sono il servizio pubblico.
Sono quelli che come Massimo Bernardini, lascia sua sponte una trasmissione sana e di successo, per andare semplicemente in pensione, per dare spazio a qualcuno di giovane che la carriera la deve ancora costruire. Non facciamoci abbindolare dai “si dice”, dagli algoritmi dalle nostre elucubrazioni. Pensiamo a tutte quelle maestranze (che è decisamente sminuente) e pensiamo che davvero ci sono migliaia di persone che lavorano perché noi possiamo avere un servizio pubblico, non sarà forse il migliore possibile, ma è tanta roba.
Voi per non sapere se parlare o tacere, date retta e scoprite perché Chi dice e chi tace sia da leggere.
Si dice anche che chi muore giace e chi vive si da pace, fondamentalmente è vero, ma non per tutti e non nell’immediato.
Lea Russo, che pure non aveva un rapporto così stretto con Vittoria, da quando ha saputo che è morta, non riesce a darsi pace. Non può credere che sia affogata nella vasca da bagno, lei che nuotava come un pesce nel mare e non capisce neanche la smania di sapere che le occupa ogni pensiero. È una donna felice del suo status, professionalmente realizzata (l’unico avvocato del paese), sposata all’uomo che ama con cui ha fatto due figlie. Ma una frase, che potenzialmente significa tutto e niente, le accende un sospetto che non riesce a mettere da parte.
La ricerca di una verità, che dopo poco non riguarda più solo il come sia morta Vittoria, la porta inevitabilmente a ripercorrere tutti gli anni in cui la donna ha vissuto a Scauri, l’ultimo paesino laziale della costa tirrenica. Credeva fossero amiche e invece si rende conto di non avere mai saputo nulla, frequentava casa sua, conosce Mara, la ragazza molto più giovane con cui viveva, senza che nessuno abbia mai saputo quale rapporto le legasse, ma Costantinopoli, così è detta la casa, era aperta a tutti, il patio e il giardino sono stati accuratamente allestiti e studiati per essere un posto accogliente, dove bere qualcosa, chiacchierare quando si passa di lì o si portano gli animali a pensione da Mara. Guardando con distacco il passato non può dire che la loro fosse un’amicizia propriamente detta, soprattutto si rende conto di non sapere nulla se non quello che Vittoria ha voluto far sapere, che in realtà è ben poco.
Come sempre accade quando si cerca di sapere qualcosa, ogni domanda ne genera un’altra e le risposte sono sempre meno delle risposte che si trovano.
La Valerio ambientando il romanzo in un passato recente ma non vicinissimo, in cui non ci sono cellulari e social, rende la ricerca di Lea un dialogo continuo fra lei e gli altri conoscenti comuni, ognuno ha un pezzetto di storia da raccontare, la stessa Vittoria, consegnando il suo testamento a Don Michele e nominando Lea come esecutore testamentario, le lascia degli “indizi” da cui ricavare informazioni. Ne escono dei bellissimi ritratti di donne, diversissime tra loro che sembrano appartenere a mondi diversi, quasi paralleli. Donne che vivono se stesse con contezza di sé, che non giudicano, che insegnano e imparano. Un invito alla sorellanza, non quella a prescindere, siamo donne e dobbiamo essere solidali, ma quella vera, che non risparmia la presa di coscienza di eventuali errori restando scevre dal giudizio. Un elogio del donarsi, nei tempi e nei modi in cui si sa dando il a ciascuno il meglio di sé.
Ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne potremo mai capire (semicit)
Ariete: qualcuno scoprirà degli altarini o un tentativo di fregatura e riuscirà a sventarlo facendo diventare la settimana splendida splendente.
Toro: qualche dissapore con il partner o con amici stretti, niente di grave ma sarete ipersensibili e qualcuno preferirà isolarsi a rimuginare (per poco).
Gemelli: voi questa settimana siete una crasi fra ariete e toro, scoprite delle cose avete qualche problema col partner ma siete molto meno zen dei toro. Non piangete sul latte versato.
Cancro: settimana un po’ problematica anche per voi, non tanto per qualcosa che succede, quanto per come voi vi sentirete, insofferenti con la voglia di mollare tutto e poi ci ripensate. Insomma un tira e molla continuo.
Leone: molto bene, niente di eclatante ma le cose che vanno come desiderate e questo vi farà sentire finalmente bene.
Vergine: qualche desiderio insoddisfatto c’è, ma tutto sommato non ci pensate poi troppo, fine settimana con un colpo di coda che illuminerà tutto.
Bilancia: molto concentrati sul lavoro e sul riguadagnare delle posizioni che forse vi siete dimenticati di rimarcare a chi di dovere.
Scorpione: provate se possibile a guardarvi intorno, c’è la possibilità che l’amore vi stia cercando con una certa insistenza.
Sagittario: gran lavoro, la stanchezza si fa sentire è vero, ma anche le soddisfazioni non mancheranno.
Capricorno: siete agguerriti e con dei progetti che hanno ottime possibilità di concretizzarsi, lasciate da parte i rimpianti, non è affatto detto che siano colpa vostra.
Aquario: un po’ di confusione a inizio settimana, ma da mercoledì in poi, soddisfazioni a non finire.
Pesci: ottima settimana, neanche troppo faticosa a ben guardare.
Oggi un consiglio di lettura, l’autore è il giornalista Giovanni Grasso consigliere del PdR per la stampa e la comunicazione (cliccando sul link, si capisce anche “l’autorevolezza” con cui ha saputo trattare alcuni argomenti) . In L’amore non lo vede nessuno, edito da Rizzoli nella collana Narrative, analizza attraverso un “perverso” gioco delle parti le innumerevoli forme che l’amore fra un uomo e una donna può prendere.
Federica, giovane rampante, disinibita anzichenò, dopo la morte della madre, che ha annichilito il padre e inevitabilmente trasformato gli equilibri familiari, si trasferisce a Milano a lavorare presso una prestigiosa casa d’aste, è ricca, o almeno lo sembra per la vita che conduce. Viaggi una bella casa gioielli cene e serate, ma davvero col suo stipendio può permettersi tutto questo? Era felice? Era, perché mentre sta tornado al paesino, in una delle rare visite, ha un incidente in cui muore. Quando qualcuno di così vicino come una sorella, muore improvvisamente, le domande si affastellano nella mente di chi rimane, si crede sempre di avere di avere tempo, ma non è mai così. La presenza di un misterioso uomo, che in qualche modo dimostra di aver avuto con Federica una relazione – di cui nessuno sa nulla – fa scattare nella sorella Silvia, la necessità di sapere.
La sapienza dell’autore sta nel trasformare la legittima curiosità di una donna, nei confronti della sorella e della sua vita, in una specie di giallo in cui la ricerca non è quella del colpevole ma diventa pagina dopo pagina, la caccia a quesiti universali e altrettanto universalmente senza risposta. Un romanzo che porta il lettore a porsi domande su tanti temi, sull’etica sul significato di determinati avvenimenti e lo fa con una scrittura lenta ma accattivante, colta, con riferimenti alla religione alla Storia e soprattutto all’essere umano con al centro le mille declinazioni dell’amore appunto e dello stesso esere umani, senza far mancare lo “sfioraramento” di argomenti purtroppo attualissimi che scuotono le coscienze.