TORNANO I LIBRI SOTTO L’ALBERO

Ho disertato BookCity quest’anno, per tante ragioni personali, ma una gran spinta a non sfidare pioggia vento e freddo, è che diventare scema a rincorrere gli eventi, con la possibilità concreta di non entrare dopo ore di coda, di ascoltare gli autori parlare di libri che non ho ancora letto e se li ho letti non poter fare eventuali domande e per finire salutare al volo gli autori (quelli che conosci o addirittura amici), perché giustamente hanno davanti centinaia di persone per autografi e foto, anche no.

Sto disertando un po’ anche la lettura, cioè, leggo un pochino meno del solito, ma sempre abbastanza da poter “consigliare” cosa, a chi, per chi i regali li fa in forma libresca.

Fra ottobre e novembre sono usciti una caterva di libri, tutta roba succosa e attesa. A partire da de Giovanni di cui vi ho già parlato, sono arrivati in libreria, in ordine sparso

Donato Carrisi con LA BUGIA DELL’ORCHIDEA – Uno stand alone, non c’è Marcus non c’è Mila non c’è Gerber, una storia tutta nuova. Non nutro dubbi sulla capacità di Donato di tirare fuori dal cilindro dei conigli che sono dei gioielli, penso per esempio a L’educazione delle farfalle, mi sento di consigliarlo senza se e senza ma. A chi? Bè, ovviamente a chi ama la sua particolare scrittura, nello specifico a chi è disponibile a lasciarsi sorprendere, perché si è spinto parecchio in là. Ecco direi che è perfetto anche per chi ama Musso  King e Koontz.

Cristina Cassa Scalia con MANDORLA AMARA – Dopo l’esordio di un personaggio nuovo, Scipione Macchiavelli, con notevole successo va detto, ritorna con una nuova indagine per Vanina Guarrasi. Scossa per le ultime vicende con Paolo Malfitano, storico amore che mai messo in dubbio, subisce colpi e contraccolpi a causa del lavoro, si trova ad affrontare la “bellezza” di sette morti in contemporanea, trovati casualmente dall’amica Giuli che voleva godersi un paio di giorni alle Eolie sulla sua barca nuova e invece si imbatte in una barca alla deriva. A bordo, le sette persone che non possono più far nulla. Richiamata a Catania con un inaspettata puntata alle Eolie parzialmente orbata di Patanè, solo parzialmente e per un tempo limitato, Vanina se la cava comunque egregiamente e sebbene non navighi mai in acque tranquille, è come pacificata, Meno “incattivita” (se così si può definire il personaggio), si gode il ritrovato rapporto con la sorella, con l’uomo che le ha fatto da padre con discrezione e scopre che in fondo, per quanto pesanti possano essere il suo lavoro e conseguentemente la sua vita, forse c’è modo di viverla godendone un po’. A chi regalarlo, a chi ami i gialli belli, con trame credibili e sviluppate realisticamente, a chi ama Vanina, va da sé, Ottimo per chi vuole sentirsi in Sicilia, profumi e colori annessi, senza muoversi dal divano. Senza dimenticare mai che sebbene sia parte di una serie, si può leggere tranquillamente come primo incontro con l’autrice.

Dan Brown con L’ULTIMO SEGRETO –   Riassumere le trame di Dan Brown è sempre un’impresa, Langdon divide il palco, o le pagine con la fidanzata, anche lei scrittrice e scienziata. Il tema è oltremodo affascinante, la coscienza. L’ambientazione è a Praga, città piena di Storia e perfetta per i segreti che tali dovrebbero restare. Davvero bello, 700 pagine che alternano nel lettore stati d’ansia, adrenalina a mille e riflessioni (ammesso che lo si voglia). Come quello di Carrisi in alcuni moment rasenta l’impossibile, o meglio l’impensabile, che sia impossibile è tutto da dimostrare. Da regalare a chi lo tiene in libreria senza leggerlo, a chi ama le storie incasinate con quel filino di supereroe che diverte o a chi ama prendere spunti per pensare, divertendosi un po’.

DI SARDEGNA IN SARDEGNA

Oggi vi accompagno in Sardegna, anzi nella Sardegna di inizio secolo scorso, in quella di oggi vi ci porto fra qualche giorno, per farlo mi faccio aiutare da un autore che amo e che di quella terra è figlio (devoto oserei), pur avendo anche ascendenze continentali).

Nella Cagliari del 1905 è ambientato IL MISFATTO DELLA TONNARA di Francesco Frisco Abate. La protagonista è Clara Simon, la prima giornalista investigativa donna per di più italo cinese, alla sua terza apparizione, più agguerrita che mai e resa più forte dall’immenso dolore di vedersi spegnere la speranza mai sopita di poter conoscere almeno il padre, (la madre è morta dandola alla luce) militare in missione all’estero di cui – all’inizio del romanzo – le viene comunicata la morte in battaglia. Resta che Clara è stata cresciuta dal nonno, un ricco imprenditore navale – status che per inciso le ha agevolato non poco la vita – che le ha dato oltre a tutto l’affetto che ha potuto, l’agio di non dover lavorare per crescere in un tempo in cui era sorte comune, una casa di prestigio, un nome che tutti in città rispettano, il diritto di studiare e scegliere cosa fare. È un personaggio di cui ci si innamora facile, giovane bella determinata e tosta, molto tosta. La trama del romanzo, in cui c’è ovviamente un colpevole da assicurare alla giustizia per aver ridotto in fin di vita una maestra, una suffragetta che sta in prima linea perché le donne abbiano finalmente il diritto di voto (che è poi di fondo il riconoscimento primario di un uguaglianza fra sessi), si srotola, come i precedenti del resto, sulla figura di questa giovane donna che non scende in piazza, ma combatte la sua personale battaglia per ottenere lo stesso risultato, conquistandosi giorno per giorno il rispetto e sempre maggiori riconoscimenti sulle pagine e soprattutto in redazione, fra le autorità, oltreché della gente. Per esplicita ammissione dell’autore, Clara è liberamente ispirata dalle donne della famiglia Abate, che di poco si discostano dal personaggio. Femministe ante litteram, donne che quando i diritti non c’erano, se li sono presi. Insieme al collega e amico svizzero Fassbinder, al carabiniere Saporito, con cui sta inesorabilmente sviluppandosi una storia d’amore, Clara si muove in una città del tutto inaspettata al lettore che approcci il personaggio per la prima volta. Una città che stupisce, piena di commerci università teatri, attività di tutti i tipi, cosmopolita, dove si intrecciano provenienze da tutto il mondo, dove il fermento culturale è palpabile pur convivendo con un’altra città, quella dei lavoratori poveri perché sfruttati, ma che stanno cominciando a dar vita a movimenti sindacali che arriveranno lontano. Abate, oltre all’amore per la sua terra e per il suo lavoro – è giornalista dell’Unione Sarda e Clara scrive su L’Unione – mette, in questo romanzo in particolare, una serie di temi, più che mai attuali, su cui lasciare che l’inconscio rifletta mentre il conscio si gode una gran bella storia. Ma bella vera.

A ESEQUIE AVVENUTE – MASSIMO CARLOTTO IS BACK

“Dove eravamo rimasti?”  Parto non a caso da questa frase. Non leggevamo dell’Alligatore da parecchi anni, almeno 5 ma più probabilmente sono 8.

Lo ritroviamo con il cuore spezzato, come quello del Vecchio Rossini ed entrambi sanno che le ferite diventeranno cicatrici e ogni tanto faranno male. Li ritroviamo che hanno venduto l’appartamento di Padova e comprato una cascina sui colli Euganei, Max ci vive stabilmente, Buratti ci è tornato come un gatto va in una cuccia nascosta a leccarsi le ferite e Rossini lo stesso.

Ognuno a modo suo, con il salame il pane e il vino che Max sta bene attento a non fare mai mancare, e forse – libera interpretazione – anche questo fa parte dell’essere la Memoria cose che riportano a un passato per alcuni mi rendo conto solo iconico. Ma un fuoco, pane salame e un bicchiere di vino, sono il passato che non morirà mai anche per chi non lo ha vissuto. 

Oh, ci sono delle bombe tali in questo romanzo che tante cose, passano un po’ in sordina. Ma sono quelle (credo) per cui Massimo Carlotto scrive.

Perché questo è il noir all’origine, il racconto del sociale che sottotraccia macina la legge, denuncia sociale, quello in cui la trama è collaterale, serve a raccontare altro e in questo Carlotto è davvero un maestro. Se per la gran parte, gli autori di genere e fidatevi che in Italia abbiamo un parterre che resto del mondo spostati, la trama nel corso degli anni, è diventata la parte centrale dei romanzi, per Carlotto no. Lo è per forza, per chi compra i libri e per chi li pubblica, ma non per tutti.

Massimo è sostanzialmente un giornalista d’inchiesta, solo che anziché sui giornali le sue inchieste diventano libri. Non sono inchieste che fanno rumore alla tv le sue, ma riguardano fatti e costumi che a nostra insaputa, influiscono sulle nostre vite.

Riguardano capire la differenza fra legge e Giustizia, che in soldoni vuol dire dormi una vita su una branda oppure hai la coscienza morta, che puzza e marcendo infetta tutto quello che c’è intorno.

Riguardano gli invisibili, quelli involontari, che avrebbero diritto alla dignità, nonostante la vita li abbia messi nella casella dei disperati – dove intendo letteralmente senza speranza – a cui viene negata.

Quelli la cui esistenza ha valore solo per la famiglia e spesso neppure per quella.

Quelli, quelle, che erano figlie mogli madri e diventano carne più o meno fresca da vendere sul bordo di una strada o sui divanetti di un night. E tutti quelli che se ci pensate vi vengono in mente.

Riguardano anche quelli che hanno facce ben visibili, apparentemente pulite, ricchi pseudo ricchi, a cui non manca niente, nemmeno un milione di euro a cui aggiungere un 15% da usare e non dovranno rinunciare a nulla se non forse, a cambiare la macchina una volta in meno.

Quelli che dormono su materassi ben imbottiti in case belle calde d’inverno e fresche d’estate. Quelli che non si sporcano le mani, perché i soldi che maneggiano e con cui comprano anche le vite degli altri, passa da particolari lavanderie – banche cinesi – che gli tolgono la patina sporca e li trasformano in denaro onestamente guadagnato.

Riguardano le conseguenze delle inutili e stupide guerre, che stravolgono le vite della gente, e fanno sì che chi non muore sotto le bombe o i colpi dei cecchini, vada a morire nell’invisibilità, o nelle mani di chi sui morti e sui vivi che quelle guerre producono e lasciano.

Di quella mafia che ormai non vediamo più – se mai l’abbiamo vista – che controlla lo spaccio, sia droga armi vite.

Ecco che allora diventa importante che ci siano uomini come l’Alligatore, come Rossini, come Max “la memoria”, che sì, sono fuori dalle regole, agiscono seguendo un codice morale che è lontano dalle leggi, che adottano un Codice che non è lo stesso dei tribunali.

No, non sto invitando nessuno a farsi giustizia in proprio, quello lasciamo che lo facciano loro, ma impariamo la “lezione” del maestro.

Costi quel che costi, impariamo a guardare quello che ci sta intorno, a farci delle domande, a non accettare passivamente perché non ci tocca. Non è vero, possono e toccano tutti

Davvero quello che vediamo è la realtà? Davvero possiamo continuare a guardare solo dentro il confine del nostro orto? È giusto così o è il momento di vedere quello che per esempio la GdF, sembra non vedere o che le FFOO non fanno (sicuramente con scopi “nobili” alla lunga, ma deleteri nell’immediato)?

Poi ci sarebbe il tema dell’invecchiamento, quello a differenza del riciclaggio tocca tutti i fortunati – gli altri muoiono giovani – e il tema del sociale torna al privato, al personale.

La cascina che hanno comprato i tre, diventa Casa, una parola che ha poco a vedere con muri e porte, ma tanto con il sentirsi al sicuro. Non giudicati, né per come siamo né per come agiamo.

Casa è dove qualcuno ti ama, è anche litigare, non si diventa tutti uguali, ma si impara a convivere con le differenze.

Capite quanta roba c’è in 300 pagine e spicci e perché diventa complicato parlarne?

Rimane solo una cosa sensata da fare: prendere il libro, cercare su Spotify la colonna sonora che l’Alligatore stesso, per mano di Carlotto, ha indicato come accompagnamento, avere vicino una bottiglia o una tazza di quello che più ci piace o conforta e accomodarsi su una poltrona comoda, sul letto sul divano e abbandonarsi al piacere della lettura.

Tanto piove, dove dovete andare?

PS né Carlotto né Einaudi hanno pagato per questo entusiasmo dovuto solo ed esclusivamente alle emozioni che mi sono rimaste dop la lettura. Quindi aggiungo un sincero grazie a entrambi.

La pazienza che dovete avere…

C’è una premessa inprescindibile, chi mi segue sa che quindici giorni fa, ho dovuto affrontare una delle cose più dolorose che ci siano nella vita, ho fatto addormentare uno dei due mici, vi lascio immaginare con che stato d’animo mi accingevo a partire (praticamente obbligata da amici impagabili, che avevano ragione). La sera prima, il pulsante di accensione del Kobo, quel pirullino in plastica sul bordo inferiore, finisce di sfracellarsi. Vabbè, la mattina, il treno era alle 8 e spiccioli, ma va anche raggiunta la stazione, lo faccio ripartire ataccandolo al pc. Vi pare che la sfiga potesse abbandonarmi? Giammai, infatti si è riacceso, ma si è anche resettato completamente, perdendo nell’etere la bellezza di 482 titoli. Letti da leggere da consultare. Puf. Scomparsi. Ricarico al volo quello che stavo leggendo (di cui vi parlo fa poco) e via. Morale della favola, parto con sto coso rabberciato ma acceso e se due anni fa il 15 di agosto ero a caccia di un telefono, arrivata in Romagna, si è partite (sia sempre reso grazie a Rosy che è un’amica ma è anche santa), a caccia di un nuovo reader.

La corsa folle in cerca di un posto dove ne avessero almeno due modelli fra cui scegliere, con un caldo che scioglieva i neuroni, un nervoso che mi facevo paura da sola, erano esasperati dal romanzo che stavo leggendo. Mimica di Fitzek. Un pazzo totale ma un talento sterminato. L’idea di non riuscire a finire Mimica mi stava mandando ai pazzi. (Che sarebbe anche stato il posto più adeguato ai personaggi )

La trama di Mimica è una ragnatela in cui si rimane impigliati, inesorabilmente, sapendo che arriverà il ragno e ci mangerà, magari a pezzetti. Ed è esattamente quello che fa, ad ogni pagina la prospettiva si ribalta e se credevi di avere raggiunto il massimo dell’orrore ecco che Fitzek ti porta un po’ più in là e quel che è peggio, ti rendi conto che non solo non ci hai capito niente – i moventi e i possibili colpevoli sono infiniti – ma che fino a quando l’autore non ti svelerà l’arcano, non ci salterai fuori. La scrittura di Fitzek è un turbine, che però non solleva polvere, non c’è confusione pur essendo una montagna russa. Se, faccio fatica a crederlo ma tutto è possibile, è il primo Fitzek della vostra vita, preparatevi perché in men che non si dica, diventerete dipendenti e andrete inesorabilmente a cercare gli altri.

Finito Mimica e ripresami dallo shock, felice del mio nuovo Kobo – che adesso grazie a Dio fanno riparabile – inizio Strani disegni di Uketsu. Ve lo consiglio? Sì a condizione che abbiate già letto autori giapponesi. Se è vero come è vero che ogni autore ha un suo stile, è anche vero che la letteratura nipponica ha un filo condutttore, un fondo comune che – è sempre un’opinione personale, non sparate sul pianista – anche in eventuale assenza di nomi che inevitabilmente ti fanno capire dove sei, permea le narrazioni, indipendentemente dalle trame. Una sorta di pacatezza nel racconto, che non tiene minimamente conto del fatto che si parli di efferati omicidi o di ciliegi che fioriscono. L’altra condizione che ve lo farà amare, è essere appassionati di matematica e della strettissima connessione con il disegno. Se non lo foste, presumo che vi piacerà lo stesso, ma solo dopo averlo finito e averlo lasciato riposare qualche giorno. Difficile spiegare il perché, ma ripensando alla trama, dopo che avete lasciato sedimentare il resto, vi renderete conto di aver letto un bel giallo.

“I CERCHI VANNO CHIUSI”

Volver, tornare. E gli amanti del commissario Ricciardi tornano sempre con piacere e un po’ di timore negli anni trenta, senza sapere come se ne usciranno.

Avevamo lasciato Ricciardi ben deciso a mettere in salvo la sua famiglia. Lui Marta e Nelide possono stare tutto sommato tranquilli, ma leggere i nomi della famiglia Colombo, i genitori di Enrica, negli elenchi della questura, attenzionati in quanto di origine ebraica, lo ha spinto a insistere oltre ogni resistenza, per un trasferimento a Fortino. Lì nella campagna cilentana, spera, della guerra ormai imminente, arriveranno solo degli echi e non l’impatto brutale che incombe sulle città e lui tornerà ad essere il barone di Malomonte e non più il commissario che a suo tempo ha suscitato tante chiacchiere. Nelide potrà gestire più agevolmente le terre e i fittavoli, non che da Napoli le sia mai sfuggito qualcosa, ma la sua costante presenza fisica, avrà un peso ancora maggiore. Ma soprattutto Marta potrà continuare a studiare e crescere,mentre per quanto possibile, i Colombo saranno in sicurezza, senza la paura che qualcuno li denunci o li venga a prendere.

Anche i ritorni, sia pure in un luogo familiare, non sono esenti da rischi, a maggior ragione se torni dove è iniziato tutto, nel posto in cui hai deciso che la tua vita sarebbe stata altrove. Dopo poche righe dall’inizio, mi sono fermata con una domanda: ma se non è più un commissario di polizia, non è in città, cosa diamine farà il barone Luigi Alfredo?

La risposta l’ho avuta a fine romanzo.

L’indagine più difficile di tutte, la più dolorosa probabilmente, perché è uno scoprire di sé, di sua madre, la sua dolcissima mamma, il perché di quel suo stare male, sempre presente ma distante, chiusa nella sua camera. Quel suo padre che gli sorride dai muri del castello, di cui però ha pochissimi ricordi, un padre che scopre non perfetto ma coerente con i valori che in qualche modo fanno parte di lui.

In questo romanzo c’è un fascismo sempre meno nascosto, sempre più volgare e palese nelle sue esternazioni, nel suo mostrarsi senza vergogna e ci sono uomini antifascisti per natura, semplicemente essendo contro le ingiustizie, uomini e donne, che combattono con le armi che hanno, che ripudiano la guerra, che vogliono un mondo banalmente soltanto giusto.

L‘indagine c’è, eccome se c’è, così come c’è l’amore, quello a tutto tondo che senza dichiararsi tale, fa sì che si sia tesi alla protezione dell’altro, che sia un parente un amico o qualcuno che fa parte di noi.

Si conclude con una sospensione questo romanzo, anzi più d’una, inevitabile e sacrosanta, perché raccontare cosa potrebbe essere la guerra per Ricciardi sarebbe una crudeltà inutile e dolorosa oltre ogni limite, eppure c’è una speranza, di cui ovviamente non vi racconto.

Abbiamo bisogno di memoria, abbiamo assoluta necessità di riprendere le misure. Di imparare tutti, quanta fatica costi diventare esseri umani, consapevoli, completi, capaci di vivere senza combattersi.

Un piccolo inciso, sapete quanto sia “reale” per me Ricciardi, questo articoletto, recensione, come volete, sta sul desktop da molti giorni, mi sembrava di aver detto niente. Oggi su un profilo social di MdG, è stato pubblicato questo video. era la chiusa che serviva, sì, avevo scritto tutto

«Ricciardi, perché hai deciso di portarmi a Fortino?» «Perché i cerchi si devono chiudere. Ma tu questo lo sai bene. Vero, scrittore?»

https://www.repubblica.it/spettacoli/tv-radio/2024/11/28/video/maurizio_de_giovanni_e_il_commissario_ricciardi_non_so_come_finira_ma_sono_felice_di_non_saperlo-423759207/

Se il link non dovesse funzionare – potrebbe essere un contenuto riservato -provate da qui e scusatemi, vorrei davvero riusciste a vederlo tutti.

https://www.facebook.com/maurizio.degiovanni.7/posts/pfbid02N9gPQGhnoScdPKpkoZ9HF3FWQr3H4LVCpirwWoXtxFUAEqFu9jWhKyQXD2AQpRsGl?notif_id=1732960865743498&notif_t=close_friend_activity&ref=notif

RIPARTONO I CONSIGLI

Lo so, sono orrendamente ferma da un sacco di tempo con i consigli le recensioni le ricettine e quant’altro, il fatto è che l’articolo sulla ricca Milano, ha fatto sì che chi di dovere si mettesse in moto e a onor del vero, ci sono tante persone da ringraziare. A giorni credo sarà finita la bonifica e lo farò pubblicamente. Nel frattempo vi lascio giù qualche consiglino di lettura. Ne ho in canna circa un quintale in canna, quindi nei prossimi giorni, tenterò di rimettermi in pari.

Partiamo da una riedizione, che poi non so nemmeno se sia corretto come termine, però, se prima di giovedì andate in edicola, insieme a Sorrisi e canzoni TV del 19 settembre, trovate L’ultima mano di burraco di Serena Venditto. Confesso che quando è uscito nel 2019, mi era sfuggito. A prescindere dal fatto che i 5 di via Atri, li adoro, sono una giocatrice incallita del suddetto gioco, ragion per cui mi sono fiondata nel romanzo. Non conoscete i 5? Ok, riassunto breve. In via Atri a Napoli – che è in centro – vivono 4 adulti, non studenti squattrinati che dividono l’appartamento, bensì: Malù, un’archeologa che per inciso è la proprietaria di casa, la sua amica traduttrice anglo italiana Ariel e il di lei fidanzato (ma con stanze separate) Samuel detto Magnum sardo nigeriano – per inciso gran figo -e Kobe un pianista giapponese, il quinto elemento è il gatto nero di Malù Mycroft e il nome dovrebbe già dirvi tutto. Per una serie di ragioni che scoprirete leggendo, sono spesso tutti coinvolti in indagini di polizia. Tutti nel senso che indaga anche il gatto? Se mai ne avete avuto uno, sapete che la risposta è: Eccome! Serena Venditto ha imparato a meraviglia (e di suo ha un bel talento), le regole della scuola napoletana del giallo – sento qualcuno dire ma che è? De Giovanni De Silva Perna , giusto qualche giorno fa de Crescenzo e chiedo scusa a chi sto involontariamente escludendo  –  mescolare il crime il noir, la vita insomma e la leggerezza calviniana con cui solo i napoletani sanno vivere, anche la morte, strappando a tempi determinati e perfetti, anche delle grosse risate. A dirla tutta, è anche molto più efficace di tanti concionamenti e prediche contro il razzismo, che male non fa.

Il secondo romanzo che vi segnalo, è già fuori a qualche mese ed è il secondo romanzo di Janice Hallett, l’autrice inglese che ha inventato un modo decisamente nuovo – se l’hanno fatto prima è stato a mia insaputa – di scrivere gialli. I libri si compongono non di dialoghi e descrizioni ma di mail messaggi WA sms (pochi), articoli di giornali e rapporti di polizia. L’esordio è stato con L’assassino è tra le righe che oltre ad avermi spiazzata per la forma, mi è anche piaciuto molto, questo forse un filino meno – ma se lo consiglio evidentemente il filino è proprio sottile – probabilmente perché la storia è un bel po’ più complessa – però, superato l’impatto iniziale (ho passato ore a chiedermi e cercare sul web)mi sono resa conto che non c’erano riferimenti a fatti realmente accaduti e a quel punto c’ero dentro con tutte le scarpe, ragione per cui Il misterioso caso degli angeli di Alperton, entra di diritto nella pagina dei consigli. Non vi riassumo la trama, ma tanto non lo faccio mai, un po’ per non guastarvi il piacere della lettura, un po’ perché scoprire quale sia il filo da seguire, secondo me è proprio parte del divertimento.

LA NEVE IN FONDO AL MARE

Se, o meglio quando, leggerete questo romanzo, sappiate che se anche siete preparati sarà una coltellata, dritta precisa al cuore, ma lo stiletto è talmente affilato e appuntito che non lo sentirete subito e quando ve ne accorgerete ringrazierete il Bussola. Poco importa se siete genitori o no, siete comunque figli e questo racconto scava senza pietà ma con pìetas nei rapporti genitori figli, madri e padri, ma soprattutto nel come si affrontano quei momenti in cui non hai più armi, in cui sei solo davanti alla persona che hai generato, la tua carne lo riconosce, il sangue sa chi è il cuore lo ama oltre ogni possibile immaginazione, ma la mente non lo capisce e forse – il dubbio atroce -non lo ha mai capito.

Nel reparto di psichiatria, sorvegliati a vista, sembra che i ragazzini siano una specie aliena, hanno smesso di rispondere ai canoni normali di comportamento e ognuno a modo suo ha continuato a urlare un grido d’aiuto senza riuscire a dire quale sia il pericolo che vede, il male che lo assedia.

Non so quanto possa essere costato a un uomo che si è dichiarato (più o meno), nato per essere padre, che ha tre figlie deliziosamente balenghe che per contro hanno una maturità e un’intelligenza non comune (chi segue lui o la sua compagna Paola Barbato sui social sa cosa intendo), mettere su carta una storia così piena di dolore.

Credo una cifra.

Il dolore è quello dei figli e dei genitori, l’impotenza che non si può accettare, la testardaggine nel cercare la chiave per entrare nella testa e nel cuore di quei ragazzini/bambini, a dispetto di tutto e di tutti.

Un percorso molto più che accidentato, costellato di ferite inferte e ricevute, una discesa nell’abisso, possibile solo restando attaccati al filo sottilissimo della speranza, un filo che permette di tenere la testa fuori dall’acqua, che ti fa sentire tutta la responsabilità che ti sei preso mettendo al mondo un essere umano.

Nonostante ogni parola sia intrisa di dolore, Bussola è riuscito ad ammantarla di amore e di speranza, la speranza di riuscire a ri-mettere al mondo quei figli che sembrano perduti. E quel sentimento, quell’ammissione di umanità e di riconoscimento delle proprie mancanze, è più forte dello strazio, più forte della paura più forte di tutto.

È una storia d’amore a tutto tondo, non lasciatevi spaventare, leggetelo se siete genitori, se pensate che potreste diventarlo, se avete amici che hanno figli, se siete zie o zii, leggetelo se siete cresciuti senza un problema e se invece da adolescenti avete avuto qualche disagio.

Leggetelo comunque, perché è uno di quei romanzi che ti danno molto più di quelle ore che ti hanno tolto, ti resta dentro qualcosa che sarà per sempre.

SULLA PIETRA

Sei anni dicesi sei che non scriveva, quando mi è arrivato il volume (in anteprima e per questo sia sempre reso grazie a Einaudi), l’ho divorato nonostante sia un bel malloppo. Ero preoccupata di essermi dimenticata qualche personaggio, qualcuno di quei tratti surreali della squadra e invece. Invece no, alla prima pagina sono tornata felicemente a Parigi, pronta a spalare nuvole a nutrire tutti a rannicchiarmi ovunque per un pisolino. Poche pagine e mi sono trovata in un paesino del nord a caccia di un assassino davvero particolare. Il paesino è Louviec, dove vive un (forse) discendente di Chateaubriand e per non farsi mancare nulla, c’è anche un fantasma. Si discosta un pochino dal solito, anche Fred Vargas ha ceduto al fascino del cibo, giustificata dal fatto che il commissario e in seguito i suoi uomini, alloggiano in una locanda, la migliore dei dintorni, che gestita da Johan, cuoco sopraffino e memoria storica del Paese, diventa il centro nevralgico dell’operazione. Una parte della squadra di Adamsberg, lo raggiunge a Louviec e voilà, nulla è cambiato. Il mantra dello spalatore che è poi la sua risposta standard a quasi tutte le domande, è sempre lo stesso, “non lo so”, ci trascina nelle sue elucubrazioni, strampalate ma precise come le pallottole di un cecchino e ci si trova a camminare su strade di acciottolato, a bere sidro ed elaborare le teorie più strambe, per arrivare, senza essersene resi conto, al centro del bersaglio. Non è un romanzo per tutti, la Vargas non è un’autrice per tutti, ma chi riesce a entrare nel mood, non smette di rimpiangerla ad ogni romanzo finito. Bisogna lasciarsi trasportare, arrampicarsi su un Dolmen lasciando vagare i pensieri, seguire Adamsberg e i suoi, non è una semplice lettura, è un fantastico viaggio da rimpiangere in attesa del prossimo. Ah, alle ultime pagine, più di qualche cuore si scioglierà con un sorriso.

IL BACIO DEL CALABRONE

Un PM  sempre un po’ annoiato che difficilmente perde la calma, che cerca di capire perché si innamora ogni due per tre, fingendo anche con se stesso di cercare un amore stabile con cui rimpiazzare l’ex moglie, orfano di padre, con un maggiordomo Camillo, che nonostante l’età di Manrico, continua salvo rari momenti di intimità familiare, a chiamarlo contino, ama visceralmente la madre, con cui vive, deliziosa vecchia signora ludopatica che ha dilapidato allegramente il patrimonio della famiglia, mantenendo uno spirito eccezionale e che lo stupisce anche per il rapporto privilegiato che ha con il nipote adolescente.

La sua passione, l’amore per sempre, è quello per la lirica che conosce come forse solo un direttore d’orchestra, e se da un lato per risolvere omicidi e malefatte varie, è indispensabile il contributo di tutta la sua eterogenea (e fantastica) squadra, Cianchetti in testa – l’esatto opposto di un nobile, borgatara doc – che con Spinori forma un perfetto TAO, dall’altro, il conte è convinto che la lirica contempli nelle opere, tutti i misfatti commettibili e di conseguenza, trovata l’opera in cui cercare le risposte, trova anche la quadra dei casi.

Mi piace perché non è perfetto, ha come tanti, un famigerato “passato”, ma lo ha metabolizzato e ci convive tranquillamente. Consapevole di come funziona la vita, onora la decaduta nobiltà con quella d’animo, è una persona buona onesta ma non fessa, collabora e non prevarica, non ha paura di ammettere gli errori né di porvi rimedio. E dopo tutta sta spatafiata? Cosa avrà fatto il calabrone del titolo, ma soprattutto chimai vorrebbe farsi baciare? Lo scoprirete se non conoscendo ancora il personaggio, vi ho incuriositi a sufficienza. Ah, è il quarto libro, il consiglio è di tenerlo in libreria finché non avete letto i primi tre.

COSE BELLE IN ARRIVO

L’8 marzo, in concomitanza alla festa della donna, uscirà per Rizzoli Lizard, SHE’S A WOMAN – “Storie di coraggio, orgoglio, amore e (dis)onore di 33 regine della musica” di Enzo Guaitamacchi, laureato in economia in realtà ha dedicato tutta la vita alla musica, a 360°, ha scritto libri ha prodotto e scritto dischi, oltre a fare il direttore artistico, insomma diciamo (per chi non lo conoscesse) è uno che i titoli per parlare e scrivere di musica li ha. 33 voci che hanno, ognuna a modo suo, cambiato la storia della musica. Alla prefazione di Gianna Nannini, seguono le vite, musicali e personali con aneddoti racconti e particolari, che forse non tutti conoscono. Le ha idealmente divise in 5 sezioni rappresentate da quello che è stato il fil rouge del loro lavoro. Ecco allora Il Coraggio e l’emancipazione, l’impegno politico, l’amore e il sesso, le violenze e i soprusi e l’orgoglio culturale. Alcuni dei nomi, tanto per capire di cosa parliamo: Joni Mitchell Patti Smith Noa Miriam Makeba, Etta James Nina Simone. Corredato da splendide foto e per ogni protagonista, da 2 QRcode che portano alle canzoni per avere un’esperienza completa. Un libro da non perdere per chi ama la musica, sia per la varietà dei personaggi che per l’accuratezza dei racconti (scremati da bufale e leggende metropolitane), ma anche da chi si limita ad ascoltarla, perchè la musica è vita e non la si conosce mai abbastanza. Qui per il preorder https://www.rizzolilibri.it/libri/shes-a-woman/. Per chi lo volesse, l’8 marzo alle 18, in Sala Lab alla Triennale, l’auore ne parlerà con Andrea Mirò e Brunella Moschetti, moderati da Federica Lodi (ingresso libero fino a esaurimento posti).

il 20 febbraio, per Einaudi Stile Libero, torna anche l’avvovato Guerrieri. Ne L’orizzonte della notte per la prima volta, dopo aver assistito alla liturgia dell’uscira di corte presidente avvocati pubblico, decide di attendendere la sentenza senza uscire. Nota tante piccole cose che durante il processo, non si vedono, sfuggono all’attenzione. Una scritta incisa sul legno di un banco, il colore sbiadito e incerto delle pareti, sono particolari che lasciano alla mente il tempo di spaziare e i pensieri come le ciliege o le perle di una collana si susseguono legandosi uno all’altro. La naturale introversione di Guerrieri, lo portano a un’ autoanalisi a rivedere mentalmente tutto, a fare i conti ancora una volta, con i pugni presi e quelli dati.

Due giorni dopo, il 22, in librera trovate il nuovo romanzo firmato da Pierluigi Porazzi e Claudio Chiaverotti, un noir con sorpresa, una sfida per i lettori confezionata con la solita maestria e se mi posso permetere, un pizzichino di bastardaggine. Protagonista de Il re delle fate d’autunno, in libreria per Mursia, è una profiler spedita per “punizione” da Torino alla questura di Udine, si trova ad indagare sull’omicidio di una ragazzina, lasciata nuda nella posizione dell’uomo vitruviano, sulla piazza di un minuscolo paese (immaginario), dove tutto sembra ruotare intorno al “mostro” la fabbrica che come accade nella realtà, garantisce la vita ma forse anche la morte.La “bastardaggine” non ve la svelo, ma per chi ama il thriller, fidatevi che vale la pena scoprirla.