TEMPO AL TEMPO

Un romanzo stand alone, in due parti. De Giovanni ormai l’ha svelato e quindi per togliersi il dubbio, dobbiamo aspettare maggio 2026.

In questi tempi strani, soprattutto per noi di mezza età – lo so fa orrore ma dai 50 in poi quello siamo, se non peggio – che abbiamo visto la qualsiasi, tutto insieme, guerre pressoché mondiali, solo fatte a pezzi e bocconi, epidemie pandemie, sbarco su altri pianeti, scoperte scientifiche e dio sa cos’altro, abbiamo anche un numero sostanzioso, di talenti letterari che poco o nulla hanno da invidiare ai classici. de Giovanni è decisamente e conclamatamente uno di questi.

Nello specifico ha preso alcuni temi che evidentemente ritiene – e visto quanti lettori lo amano, direi a buona ragione – importanti. Provo a metterli in fila e raccontarveli, ma così, superficialmente, perché poi ogni lettore ne troverà altri.

È un romanzo dove le figure femminili spiccano, soprattutto nel ruolo di madri.

Madri che con i loro gesti, con le loro azioni, anche con le loro omissioni, danno il via a tutto quello che succederà.

Padri assenti che invece sono presentissimi e se ci sono madri e padri, va da sé che ciò che accade riguarderà anche i figli.

C’è l’amore, che piaccia o meno è proprio quella cosa che move il sole e le altre stelle.

C’è la ricerca della verità o se non la verità una spiegazione che permetta di andare oltre.

Ci sono le persone che fanno il loro dovere, o quello che ritengono esserlo.

Infine – o al principio – c’è il tempo, scusate, il Tempo. Quasi un personaggio anche lui.

L’orologiaio di Brest è un uomo che del tempo è stato vittima e carnefice.

Lo ha rubato ad altri, prendendosi il posto di Dio, o diventando esecutore di un disegno che non possiamo cambiare, e ha consapevolmente lasciato che gli venisse rubato, perdendo un pezzo di vita che però non ha mai dimenticato né abbandonato. Da quale “episodio” prenda il via la storia è difficile dirlo, ad ogni pagina, ad ogni capitolo, cambia la prospettiva e con lei il punto d’origine. L’ostinazione di una madre che incalza un magistrato, affinché non lasci morire la speranza di ritrovare la figlia o forse l’omicidio “politico” di un uomo che per puro caso coinvolge un’altra persona.

La ricerca dei perché di cui dicevo prima. Tanti, che cambiano a seconda di chi si pone le domande.

La tenacia di una giovane donna che rinunciando in qualche modo alla sua vita, si concentra su una ricerca che non sa dove la porterà, quali e quante vite sconvolgerà quello che riesce a scoprire e a sua insaputa diventa “complice” di chi la sconvolgerà una seconda volta.

La dedizione testarda e inspiegabile a qualcuno o qualcosa verso la quale si sente un’appartenenza totale, che travalica ogni logica e ogni morale per un bene ritenuto superiore.

Sono alcuni, perché poi c’è di sottofondo un mondo che sta cambiando, quel mondo di cui stiamo perdendo pezzi ma non memoria, un mondo in cui la maggior parte di noi “anziani”, affrontava il diventare adulti, con dolori personali che si stemperavano in un collettivo leggero, o almeno così ci sembrava. Invece, fuori dai bar, fuori dalle discoteche, dai nostri lavori che ancora avevano qualche garanzia, qualcuno lavorava per tenere ben nascosto quello che era successo prima, negli anni ’60 e ’70, negli anni che da noi sono quelli di piombo.

Tanti accadimenti, tanti sentimenti, alcuni passati, altri che continuano imperterriti sulla strada tracciata, che non cambia e probabilmente non cambierà mai.

Un romanzo che ha dentro tanti generi, che soddisferà i noiristi, gli amanti delle spy stories, chi ama i romanzi tout court. Perché come dice l’autore, la Storia è fatta da tante piccole e grandi storie, quelle che ci si palesano con una foto stampata, magari mossa o sfocata, che salta fuori da una scatola di latta che conosciamo tutti, che è in ogni casa, che quando viene aperta ci fa battere il cuore.

SCENDE LA TEMPERATURA, TORNA LA VOSTRA BLOGGER SCONDIZIONATA

Ahimè, fra il caldo – che lo sapete, per me è come la kriptonite per Superman – la malattia di uno dei mici e la frenesia del lavoro pre chiusura, è un po’ che non posto, vediamo di rimediare, che tanto per leggere c’è sempre tempo e le belle storie, fortunatamente non scadono.

 Oggi vi parlo di due romanzi, ma in realtà di due donne. Così simili e così diverse.

Il pappagallo muto – Rizzoli- è la nuova storia in cui Sara Morozzi, ex agente dei Servizi, a suo sentire, diventa responsabile del pericolo gravissimo che coinvolge una delle persone più importanti della sua vita. Lo Spy Story, genere poco rappresentato in Italia negli ultimi anni, come il noir, racconta quello che non vediamo ma condiziona le vite di tutti. Storie che sono perfette nella costruzione di de Giovanni e maledettamente molto più che veritiere.                      Distinguiamo i piani di lettura, il primo che riguarda ovviamente la storia, sembra in alcuni punti – come i precedenti e come tutte le storie del Genere – impossibile. Esagerazioni letterarie, invenzioni e invece no. Sono storie assolutamente plausibili per chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la cronaca. La rappresentazione esatta di una realtà che a vari livelli è impensabile ma esiste. La dimostrazione dell’effetto farfalla, quello per cui un gesto qualunque, anche apparentemente innocuo come un saluto, possa cambiare svariati destini, anche lontanissimi. Prendetelo per quello che è, un romanzo, ma siate consapevoli che quel mondo esiste eccome. Ci sono mille domande da farsi e molte resteranno per il momento senza risposta, ma è bene porsele. Oppure leggetelo senza farvi domande e godetevi solo la meravigliosa scrittura di Maurizio.

Poi c’è Sara, sola anche in mezzo agli altri, poche persone nella sua vita, pochi amori pochi amici, perché lei vive i sentimenti in maniera totalizzante. Ama o odia al 100%. Il resto è indifferenza. O quantomeno sepolto talmente in profondità da sembrare inesistente. Una cosa la muove, il “trionfo” della giustizia. Ho conosciuto una persona come Sara – un po’ meno rigida e che per fortuna non era un agente o ex agente dei Servizi – ma come lei ha pagato ogni scelta fatta in nome del suo rigore morale. Un personaggio pubblico che ancora oggi manca da morire, non solo a me.  E per quanto sembri presuntuoso, la sento così simile a me da essere forse il personaggio che più amo fra quelli di deGio. Sara è un ideale, forse quello che tutti vorremmo riuscire ad essere, senza tempo, senza età, capace di tutto in nome di qualcosa di superiore.

L’altra donna è nuova di zecca nel panorama letterario italiano, non altrettanto la sua “mamma”, Barbara Perna, magistrato in attività, che dopo averci divertito con le storie di Annabella Abbondante, ci presenta l’avvocato Lia Carotenuto, protagonista di Se tu non ridi più – Bompiani – La trama in questo caso, si lega profondamente con la protagonista. Per ragioni che si scoprono poco a poco nel corso della lettura, ha lasciato la professione legale, dedicandosi all’insegnamento, è ancora “segretamente” iscritta all’ordine e molto meno segretamente riconosciuta come uno dei migliori avvocati in circolazione. Per aiutare un’amica tornerà a indossare la toga, sebbene le costi moltissimo. Una donna che ha in comune con Sara il rigore e una dolcezza che pochi intimi le conoscono, oltre a un dolore grosso che custodisce gelosamente. La Perna conosce bene l’ambiente di cui scrive ed è palese, ha un talento per la scrittura che è altrettanto impossibile non riconoscerle, che affianca a una profonda umanità. Mai giudicante, cosa non facile visto l’argomento e lo svolgimento della vicenda, era facile cadere in uno stereotipo, ma accogliente, capace di rapportarsi distinguendo l’affetto dagli obblighi che impone la legge, passando sopra se stessa opponendo solo un debole tentativo di autoprotezione, capace però anche di tornare sulle sue decisioni, facendo sanguinare una ferita che sembra chiusa, ma certamente non è guarita. Non un romanzo semplice, è il classico pugno nello stomaco che non ti aspetti, non a caso il titolo, in chi abbia dimestichezza coi classici, fa suonare un campanello, eppure una lettura che secondo me sarebbe davvero imperdonabile farsi mancare, per la storia, per la scrittura e per il personaggio che senza farsene accorgere, vi entrerà nel cuore.

CECI N’EST PAS UNE PIPE TANTOMENO UNA RECENSIONE

Ho un file aperto da settimane, quello che ho aperto per dire quello che penso del nuovo romanzo, lo stand alone, di de Giovanni L’antico amore.          Sono a tre fogli fitti fitti, troppi per un articolo sul blog. Ho letto delle recensioni splendide, in cui gli autori hanno colto ogni minima sfumatura.             Eppure ho trovato altro da dire, troppo.                                                                      E allora forse vale pena solo sottolineare quello che dico da anni.                   

Lo scrittore napoletano, forse per nascita o per inclinazione personale, ha solo usato il plot giallo come copertura, come esca. Strategia perfetta del resto, perché gli riesce alla perfezione.                                                                            Dietro ogni storia, a muovere le fila di tutto c’è sempre stato solo l’amore. A partire dai primi racconti per arrivare ai romanzi e alle storie di tifo o di cucina.                                                  Materno filiale fraterno, quello per la Città in ogni sua componente, luoghi Storia cibo paesaggi atmosfere, che si trasferisce agli esseri umani.                Fin dal racconto che è stato la spina dorsale de Le lacrime del pagliaccio – il romanzo che lo ha fatto conoscere al grande pubblico diventando Il senso del dolore – passando per Il resto della settimana, al Metodo del coccodrillo, fra le indagini, dietro gli omicidi, nei rapporti umani, c’è amore.

Sapete che sono una delle fortunelle che leggono in anteprima i romanzi di de Giovanni, so quanto Maurizio tiene ai “fuori serie”, se li coccola per anni, li cresce li plasma, ci mette dentro tutto se stesso. Io l’ho adorato, sarebbe stato così per tutti? Ho avuto paura? Sì e sì, ho temuto che potesse essere criticato e invece…                                                                  

Ci ho messo qualche mese ma ho capito, nonostante i social, la politica l’ignoranza che impazza, la gente ha bisogno d’amore e se è raccontato con maestria, con grazia, intrecciando un passato lontano e uno più recente, che si sovrappongono con naturalezza, il risultato non può che essere…Amato.       

Un sentimento che va oltre, che sublima tutto il bene e tutto il male.         Un bene superiore all’egoismo degli amanti, che si arrotola su se stesso e si tace per l’altro, perché l’amato non abbia a soffrire, non debba cambiare, perché l’altro, quando ami così, è più importante.                                                

Questo racconta de Giovanni, amori così profondi da spingere chi li prova a disinteressarsi del suo stare per preservare l’amato.

È Oxana, la “badante” moldava che badante non è, la voce narrante del presente, una narratrice che non sa ma intuisce, è la ragione che accetta, che si arrende a qualcosa che sente essere troppo intimo e profondo per essere indagato e lascia che accada.                                                                                  Dà spazio a quello che non capisce, a dei pezzetti di carta che contengono, forse, parole che non si sono potute dire, raccogliendoli con rispetto.                            Accompagna, restando un passo indietro, il vecchio e noi nella memoria, in una vita che non ci appartiene ma possiamo riconoscere, camminando nel sole e nella pioggia che diventa un sipario, fino a svelarci l’unica verità a cui troppo spesso rinunciamo o non sappiamo accettare.

Se qualcosa può salvarci, è l’amore. E se c’è un uomo che lo sa raccontare, è Maurizio de Giovanni.

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“I CERCHI VANNO CHIUSI”

Volver, tornare. E gli amanti del commissario Ricciardi tornano sempre con piacere e un po’ di timore negli anni trenta, senza sapere come se ne usciranno.

Avevamo lasciato Ricciardi ben deciso a mettere in salvo la sua famiglia. Lui Marta e Nelide possono stare tutto sommato tranquilli, ma leggere i nomi della famiglia Colombo, i genitori di Enrica, negli elenchi della questura, attenzionati in quanto di origine ebraica, lo ha spinto a insistere oltre ogni resistenza, per un trasferimento a Fortino. Lì nella campagna cilentana, spera, della guerra ormai imminente, arriveranno solo degli echi e non l’impatto brutale che incombe sulle città e lui tornerà ad essere il barone di Malomonte e non più il commissario che a suo tempo ha suscitato tante chiacchiere. Nelide potrà gestire più agevolmente le terre e i fittavoli, non che da Napoli le sia mai sfuggito qualcosa, ma la sua costante presenza fisica, avrà un peso ancora maggiore. Ma soprattutto Marta potrà continuare a studiare e crescere,mentre per quanto possibile, i Colombo saranno in sicurezza, senza la paura che qualcuno li denunci o li venga a prendere.

Anche i ritorni, sia pure in un luogo familiare, non sono esenti da rischi, a maggior ragione se torni dove è iniziato tutto, nel posto in cui hai deciso che la tua vita sarebbe stata altrove. Dopo poche righe dall’inizio, mi sono fermata con una domanda: ma se non è più un commissario di polizia, non è in città, cosa diamine farà il barone Luigi Alfredo?

La risposta l’ho avuta a fine romanzo.

L’indagine più difficile di tutte, la più dolorosa probabilmente, perché è uno scoprire di sé, di sua madre, la sua dolcissima mamma, il perché di quel suo stare male, sempre presente ma distante, chiusa nella sua camera. Quel suo padre che gli sorride dai muri del castello, di cui però ha pochissimi ricordi, un padre che scopre non perfetto ma coerente con i valori che in qualche modo fanno parte di lui.

In questo romanzo c’è un fascismo sempre meno nascosto, sempre più volgare e palese nelle sue esternazioni, nel suo mostrarsi senza vergogna e ci sono uomini antifascisti per natura, semplicemente essendo contro le ingiustizie, uomini e donne, che combattono con le armi che hanno, che ripudiano la guerra, che vogliono un mondo banalmente soltanto giusto.

L‘indagine c’è, eccome se c’è, così come c’è l’amore, quello a tutto tondo che senza dichiararsi tale, fa sì che si sia tesi alla protezione dell’altro, che sia un parente un amico o qualcuno che fa parte di noi.

Si conclude con una sospensione questo romanzo, anzi più d’una, inevitabile e sacrosanta, perché raccontare cosa potrebbe essere la guerra per Ricciardi sarebbe una crudeltà inutile e dolorosa oltre ogni limite, eppure c’è una speranza, di cui ovviamente non vi racconto.

Abbiamo bisogno di memoria, abbiamo assoluta necessità di riprendere le misure. Di imparare tutti, quanta fatica costi diventare esseri umani, consapevoli, completi, capaci di vivere senza combattersi.

Un piccolo inciso, sapete quanto sia “reale” per me Ricciardi, questo articoletto, recensione, come volete, sta sul desktop da molti giorni, mi sembrava di aver detto niente. Oggi su un profilo social di MdG, è stato pubblicato questo video. era la chiusa che serviva, sì, avevo scritto tutto

«Ricciardi, perché hai deciso di portarmi a Fortino?» «Perché i cerchi si devono chiudere. Ma tu questo lo sai bene. Vero, scrittore?»

https://www.repubblica.it/spettacoli/tv-radio/2024/11/28/video/maurizio_de_giovanni_e_il_commissario_ricciardi_non_so_come_finira_ma_sono_felice_di_non_saperlo-423759207/

Se il link non dovesse funzionare – potrebbe essere un contenuto riservato -provate da qui e scusatemi, vorrei davvero riusciste a vederlo tutti.

https://www.facebook.com/maurizio.degiovanni.7/posts/pfbid02N9gPQGhnoScdPKpkoZ9HF3FWQr3H4LVCpirwWoXtxFUAEqFu9jWhKyQXD2AQpRsGl?notif_id=1732960865743498&notif_t=close_friend_activity&ref=notif

SOLEDAD – Maurizio de Giovanni

Ho deciso di iniziare l’anno con una delle “recensioni” più difficili. Teoricamente è fra le più facili, basterebbe descrivere le emozioni che dà la lettura, ma proprio perché c’è talmente tanto in questo romanzo, la banalità è dietro il punto a capo.                            Lo scrivo sempre e lo ribadisco, la storia gialla è perfettamente costruita, la soluzione da manuale, purtroppo, pur mantenendo il senso critico della giallara, è la cosa che mi interessa meno e passa in secondo piano, c’è tutto un mondo intorno, perdonate l’involontaria citazione.              Tutto è nel titolo, tutto. La solitudine.                  Questo mi ha dato questo romanzo, quanto ognuno sia solo, per quanto amore amicizia possa provare, per quanta gente possa avere intorno.         Si è soli nella battaglia per non far mancare mai un sorriso che consoli, nell’affrontare situazioni potenzialmente distruttive per chi si ama e si vuole proteggere, siamo soli nel prendere le decisioni più importanti. Quelle che cambieranno la nostra vita ma anche quella di chi abbiamo intorno.     Eppure queste solitudini de Giovanni le intreccia così bene da farle diventare un unicum, corale all’inverosimile.                        Si intuisce ormai, siamo nel dicembre del ‘trentanove’39, che la guerra è pronta a esplodere e si comincia a sentire la paura del non sapere quanto potrà costare.                                    Ci sarà chi perderà la vita, chi i propri affetti, chi tutto quello che ha e nessuno sa come affrontare la paura che questa incertezza genera.          Ecco la grandezza di Maurizio, non si limita a descrivere, ci fa sentire come se la cosa ci riguardasse, adesso. E forse non è nemmeno così improbabile seppur con modi diversi; ci fa vivere quello che sentono i nostri amici – perché questo sono Ricciardi Bambinella Maione Modo Lucia – scava senza violenza negli animi, ci porta negli abissi e sulle vette- da cui non dimentichiamo, si può cadere, viviamo con loro i rarissimi attimi di gioia e le mille situazioni diverse che in un contesto così sono tragicamente inevitabili.              Oltre alla parte diciamo così poetica, c’è il talento narrativo, nel senso letterale del termine e quindi il racconto preciso, puntuale delle atmosfere – sia chiaro, comprese quelle intorno a vittima e assassino- che si sono vissute.      La pseudo tranquillità che ancora qualcuno ostenta, in forza di posizioni economiche solide o di presunte amicizie e con quanta facilità possano essere distrutte; la condizione dei femminielli, che a Napoli ricordiamolo, sono altro rispetto ai transessuali che conosciamo oggi, esseri speciali che racchiudevano in sè tutto l’umano, il maschile fisicamente e il femminile nell’animo, protetti dalla gente del quartiere, in qualche modo segregati in un ghetto, per la loro sicurezza.                                   La vita della povera gente che sente avvicinarsi la sciagura, impotente eppure decisa a non soccombere – come ci dimostreranno le quattro giornate -    La fatica di proteggere anche chi fa di tutto, consciamente o meno, per non esserlo, la delusione di chi scopre o presume, di avere fallito nel suo essere uomo e pone rimedio come può e sa.                      E infine la pietas, quel sentimento ormai così raro, de Giovanni ci ricorda crudelmente che non sempre quello che vediamo delle persone corrisponde a quello che sono davvero.                           C’è veramente tanto dentro queste pagine, ci sono tutte le forme d’amore e di egoismo, amplificate al massimo, quasi a prepararci, a proteggerci, da quella valanga di dolore che è dietro l’angolo.

SORELLE

Ho iniziato ad amare le spy stories approssimativamente nella seconda metà degli anni ’70 Dossier Odessa, Il giorno dello Sciacallo e poi Ludlum Le Carrè Cruz Smith poi senza nulla togliere a nessuno ho abbandonato il genere, finché de Giovanni, senza dirmi nulla, mi manda un raccontino che ha per protagonista una donna molto particolare.Un’ex agente dei servizi.

Qui scusatemi ma è necessaria una digressione.

Se devo descrivermi a qualcuno, uso questa avvertenza: “puoi farmi qualsiasi cosa, in genere perdono e passo oltre, ma se mi ferisci volontariamente o mi fai un’ingiustizia, non sai come quando e da dove, ma la mia giustizia prima o poi ti trova”. 

Ecco, io in quella donna non particolarmente curata, senza trucco, coi capelli non tinti, abiti che passano inosservati e scarpe comode; che ha rinunciato a tutto per amore, tanto sicura di sé da non aver bisogno  di riconoscimenti, né nel privato né nella carriera, ho trovato qualcosa di me. Amarla è stato inevitabile.

In quel racconto che anticipava Sara al tramonto e sarebbe poi stato pubblicato in Sbirre, c’erano tutti i prodromia un personaggio strepitoso. Ha lavorato in un’unità particolarissima, che esiste anche se sembra inventata, Sara Morozzi è in grado di leggere il labiale ma soprattutto di interpretare ogni minimo gesto; la postura gli sguardi i movimenti delle mani delle spalle. Sara è stata un’arma innescata al servizio della legge e una volta lasciato il servizio, si è messa al servizio della giustizia.

Agli antipodi rispetto a Sara, ancora in servizio c’è Teresa Pandolfi. Tanto l’ex agente passa inosservata quanto invece la collega è attenta ad apparire sempre al top. Trucco e parrucco accurati, esercizio fisico e attenzione al cibo, propensa ad amori passeggeri, possibilmente con uomini più giovani che non richiedano altro impegno che quello fisico.

Diverse come il giorno e la notte, non use a sentirsi spesso, quando si incontrano davanti a un caffè, in genere è per programmare qualche azione “professionale”, perché anche se adesso Teresa ricopre un ruolo apicale, è sempre disponibile a mettersi a disposizione dell’amica. Fino a questo romanzo, era chiaro che fra le due donne, ci fosse un legame forte e certamente con tanto non detto, ma quanto sia profondo,soprattutto sul piano personale, de Giovanni ce lo svela completamente solo in Sorelle. Una mancata risposta a un messaggio, fa scattare (a buona ragione) l’allarme di Sara. Tanti anni densi di tutto, hanno fatto sì che a dispetto delle apparenze, se c’è qualcuno può sapere con certezza che Teresa è in pericolo, quella è Sara. Se qualcuno può intuire quale sia “l’assicurazione” che la poliziotta ha predisposto per i casi di emergenza, è ancora lei.

Sempre più addentro nella spy story, che per quanto romanzata, dovrebbe far venire i brividi, oltre la storia, deGio si è concentrato sulle due donne, ci racconta di come pur apparendo così diverse siano in realtà complementari. Stampella l’una dell’altra a turno, scegliendosi negli anni, perché questo succede con gli amici, ci si sceglie. Non è un caso che (vero o no che sia), quando si vuole esprimere la stima e l’affetto che si ha per qualcuno lo si definisce un fratello o una sorella. Una sorella la senti, che te lo dica o no tu sai come sta, da quello che fa o non fa, dice o non dice. E se non dice e “scompare”, indipendentemente da quello che possono pensare gli altri, tutti gli altri, tu sai se ha bisogno di aiuto.

È questa l’ottica in cui si sviluppa Sorelle, il legame di Sara e Teresa così profondo che solo la donna invisibile capisce dove andare a cercare l’Assicurazione, qualcosa che chiunque lavori in quel particolare ambiente, si premura di nascondere, da giocarsi quando sul piatto c’è la propria vita. E solo a Sara la Pandolfi può mostrarsi “nuda”, senza la corazza che le fanno il trucco i lunghi capelli biondi gli abiti sexy. Solo a Sara è permesso entrare nel cuore dell’algida Teresa, perché per muoversi sull’anima delle persone, bisogna saperle leggere, è necessario aver percorso un pezzo di strada a piedi nudi sui sassi della vita, essere inciampati nello stesso dolore che ti fa sorella o fratello al di là del sangue.

CAMINITO un aprile del commissario Ricciardi

Ci sono romanzi  che sono poesie, raccontano storie succedono cose ma la sostanza rimane poesia.

Quella di un amore non corrisposto che non si arrende, non accetta di morire e si sublima in una musica che diventa una danza. Sensuale crudele affascinante, che anche se non la sai ti invade il corpo. Una danza che si accompagna a parole di rimpianto che nascondono una forza che a volte non sai di avere.

È poesia una stradina che diventa viaggio e meta, è una pietra elevata a panchina, una strada che può essere ovunque e ad ogni metro risveglia ricordi, riscalda il cuore di chi l’ha percorsa con accanto l’amore e lì, solo lì, ci parla e ascolta, come se fosse ancora fisicamente vicino. Perché l’amore risponde l’amore ascolta e asciuga lacrime che non finiranno mai.

La poesia di un mese ingannevole, con l’aria che parla di primavera, che ci si può nascondere dietro un cespuglio per  far l’amore e trovare la morte.

È poesia la paura di un padre che non sa se potrà proteggere la figlia da un’eredità che potrebbe averle involontariamente trasmesso, né da un futuro che è gravato da nuvole nere, in cui ogni parola può essere un pericolo, un futuro che potrebbe non esserci.   O quella di un padre disposto a mutilarsi perché un figlio possa avere il meglio. È poesia perfino un marcantonio vestito da Lady dei boschi                                                                               

Lo è la dolcezza di una bimba che fa ridere quel papà imitando la sua tata che comunica solo con proverbi in cilentano stretto e lo rende orgoglioso della sua intelligenza che un’amica preziosa sta curando.   

Questo e tanto altro è Caminito.

Un inno alla vita che va avanti prepotente a dispetto di tutto e si sente la necessità di de Giovanni o di Ricciardi (che pare sia uno stolker da manuale) di raccontare che la vita che non si può fermare. Non ci sono lutti che ci portino via chi abbiamo amato, non c’è paura che non si superi, non c’è nulla per cui non valga la pena di rischiare.

Poi c’è tutto quello de Giovanni ci ha abituato a trovare nei suoi romanzi, il giallo la Storia le cose di tutti i giorni, l’amicizia la Città, ma quello lo trovate nelle recensioni vere, questa è solo una dichiarazione d’amore a chi non avevo capito, mi fosse mancato tanto

Sara che ci fa volare

Un volo privato, quelli usati dai vip con poche persone a bordo, “scompare” durante il breve tragitto fra Napoli e Olbia, dove scompare è un eufemismo per non dire esplicitamente che è precipitato in mare e non ci sono sopravvissuti, almeno fino al ritrovamento se ci sarà, dei corpi.                                               Andrea Capatano, ex agente dei Servizi, amico complementare di Sara Morozzi così come lo è stato di Massimiliano, l’uomo che entrambi hanno amato e di cui hanno conservato i segreti, sta ascoltando il telegiornale quando durante un’intervista di repertorio al vip che era a bordo, sente qualcosa che lo spinge prima a cercare qualcosa nel suo personale archivio e poi a chiamare Sara.   La donna invisibile sembra ben nascosta sotto la nonna che invece è ben visibile e che per far sì che il Massimiliano nipote potesse avere una vita, ha dovuto e voluto tornare nel passato contraendo un debito. La telefonata di Andrea ha lo stesso effetto, il passato ritorna e chiede che vengano saldati dei debiti.

Il romanzo si discosta un po’ dai precedenti o meglio imbocca più decisamente la strada della spy story, l’indagine è su un cold case, un altro aereo che ha volato molti anni prima, anche se ben presto Sara Andrea e Teresa – coinvolta per la sua posizione ai vertici dell’unità e dal profondo legame con i due ex colleghi – si rendono conto che tanto cold poi non è.

E vi ho detto anche troppo, tante le ragioni per leggere questo romanzo così come gli altri, almeno per quanto mi riguarda però, la principale è proprio Sara. Una donna che dalla prima apparizione mi ha affascinata, tranne il fatto che io ancora aspetto che i capelli sbianchino del tutto per poter smettere di colorarli e il fatto che non maneggio la materia come lei, la trovo così affine a me nel rigore, nella solitudine che impone l’onestà brutale, nell’estremismo sentimentale che non posso fare a meno di amarla e mi sembra naturale che tutti debbano fare lo stesso. A differenza che nelle altre serie, qui l’evoluzione sia di Sara che degli altri – Viola Teresa Pardo – è più strutturata, più completa e in qualche modo più integrata e legata alle indagini.

Maurizio de Giovanni si dimostra uno scrittore di razza, un balzano da tre per chi ama l’equitazione, dopo aver affrontato con L’equazione del cuore una storia dove il genere non c’è, dal noir e dal giallo maneggia anche la spy story con naturalezza e la solita maestrìa che romanzo dopo romanzo non fa rimpiangere mai i grandi classici.

Perfetto anche l’equilibrio, sua cifra stilistica ormai consolidata, fra la trama verticale e quella orizzontale facendoci entrare di romanzo in romanzo nel cambiamento che inevitabilmente “subiamo” tutti noi, sia col passare del tempo sia a causa di quello che viviamo. L’unica cosa che non gli perdono, come sempre del resto, è il dover restare sospesi un annetto in attesa del successivo.

L’equazione del cuore

è bella perfino così.

Se avete letto anche solo un post o un articolo di Maurizio de Giovanni, riconoscerete il tratto, ma scordatevi il resto, non c’è noir né giallo in questa storia se non lo scoprire che cosa può fare l’amore. Perché questo è, come da titolo del resto. Una storia che parla d’amore in ogni pagina. Quanto possa essere coinvolgente Maurizio, non c’è bisogno di ricordarlo, ma quanto possa dare oltre al solito, lo si scopre con la caratterizzazione dei termini di questa equazione che diventano un uomo sua figlia suo nipote, e ancora suo genero, la baby sitter di Checco, una donna tradita e tante altre persone. Non è mica una poesia eh, no no, è proprio un’equazione matematica (molto meno romantica di come è nota ovviamente e per giunta anche un po’ romanzata ma secondo me se ne fregano anche i matematici), eppure sorpresa sorpresa, riesce a spiegare perfettamente quel che succede agli esseri umani, le cui esistenze per una ragione o per l’altra si incrociano. Certo che si intersechino la vita di un nonno e un nipote è dato per scontato ma non lo è poi così tanto e sempre. Massimo è un nonno sui generis, vive la sua solitudine accontentandosi di quel rapporto quasi convenzionale che ha con la figlia dopo la morte del collante madre. Sposata e madre a sua volta, vive lontana dall’isola in cui torna solo d’estate con figlio piccolo, ma per il resto i rapporti sono ridotti alla telefonata standard : come va tutto bene? Claudio e Francesco? Bene papà, Claudio lavora tanto e il piccolino è un amore.Tu come stai? Quanti ne conosciamo. Eppure ecco il colpo di teatro, un banale incidente d’auto di figlia e genero, che lo costringe a spostarsi in quel nord di provincia freddo e tanto ostile coi forestieri e lo porta inaspettatamente a conoscere quella figlia che è così diversa da come lui immaginava. Ma soprattutto gli fa capire quanto poco abbia saputo esprimere e ancora di più provare quei sentimenti che si danno per scontati. Questo dice l’equazione, in soldoni, due insiemi che vengono a contatto fra loro anche se poi si allontanano non saranno più gli stessi, avranno in sè qualcosa dell’insieme che hanno toccato e se ci pensate, se vi soffermate a guardare chi siete, non potrete che convenire di essere fatti di tante piccole parti che vi hanno lasciato tutti quelli che avete incontrato. Lo aspettavo da 7 anni questo romanzo, quando Maurizio mi ha parlato di questa idea l’ho amata all’istante, ho cercato la rappresentazione grafica dell’equazione e mi ha affascinata, è bella anche scritt in matematichese, da non crederci. L’ho usata come immagine di copertina, l’ho applicata, ho immaginato come e cosa sarebbe successo, ho aspettato che il seme mettessse una radice e trovasse il vaso in cui sbocciare. La bellezza che ci ho trovato è straziante ma impagabile. Questo più di ogni altro è un romanzo che si leggge col cuore, la copertina che contrariamente al solito vi posto qui sotto, dice tutto. Io, per ragioni personali posso solo dire a quel pesciolino di ricordarsi chi è, di allungare le sue piccole braccia verso chi ha capito come aprire le sue.




UNA SIRENA A SETTEMBRE

Maurizio de Giovanni

La Signora prepara le verdure, le sceglie le monda le taglia, pronte a diventare parte integrante di piatti che doneranno consolazione placheranno la fame e nutriranno corpo e mente. Riempie secchi di fagioli di pomodori di patate, in uno gli scarti e in uno quello che verrà usato; non si sa chi godrà di quel cibo, lei va avanti senza fermarsi mai e intanto racconta a chi è arrivato fino da lei – e non è facile trovarla – per ascoltare. Ammalia la Signora, perché mentre le mani lavorano le sue parole ti portano sopra la città, ti mostra cose fatti persone situazioni che apparentemente non hanno nessun legame una con l’altra, ma momento dopo momento ti rende visibili  fili che le legano, come ogni piccola cosa prima o poi si incrocia con l’altra. Ed ecco che vediamo una ragazza costretta su una sedia a rotelle, praticamente segregata in casa perché il palazzo è vecchio e non c’è l’ascensore, eppure è felice, solo preoccupata per la fissa di suo fratello. In un altro quartiere c’è una donna che sogna ma è uno di quei sogni che poi ti restano appiccicati quando ti svegli e ti rovinano la giornata; ancora troviamo due ragazzi che scippano un anziana, ma la sfortuna è in agguato e lo scippo rischia di diventare un omicidio. Entrambi hanno una sirena tatuata su un braccio; e ancora, un programma tv in cui viene mostrata una scena agghiacciante, proprio lì, nei Quartieri, un bimbo si contende un pezzo di pane con un randagio. La penna di de Giovanni guidata dalla voce della Signora, unisce questi fatti, ha ragione la Signora, è tutto collegato. A partire dalla copertina questo libro è un inno, alla città che è madre, alla madre che nutre e sa, alla dignità che preserva dal degrado dei sentimenti anche se il degrado ti circonda. È poesia, quella che appartiene a ognuno e si nasconde sotto le difficoltà del quotidiano, dietro apparenti strati che formano un unico, fatto di dolori gioie frustrazioni risate. È qualcosa che ti spinge ad ascoltare, a cercare le connessioni, perché ci sono, ci sono sempre.

Stile Libero Big

pp. 272 – € 18,50 – ISBN 9788806248833