I consigli spot

Tornano i consigli veloci, quelli senza una rece vera e propria, per la piscina il prato in montagna, insomma dove vi va di andare andate, ma fatelo con un libro che è meglio.
RiccardinoSellerio – lo trovate in due versioni, singola oppure con anche la prima versione, cambia solo la lingua (il vigatese inventato da Camilleri che si è evoluto nel corso degli anni). La soluzione che il maestro si è inventato per concludere la serie (pronto da anni), è effettivamente ottima anche se non nuova, ma evidentemente come ha funzionato nel passato, continua ad essere efficace. C’è nel romanzo la freschezza che ultimamente (mi perdonerete ma le opinioni sono personali), aveva un po’ lasciato il posto a una stanchezza – di autore e personaggio – per chi ha amato Montalbano assolutamente imperdibile, e per chi non lo conosce o non lo ama, l’occasione per dargli una chance, magari partendo dall’inizio.
Un Lansdale fuori dalla serie di Hap e Leo, uno di quelli che ti bevi come una bibita fresca sotto l’ombrellone. Anche in Una cadillac rosso fuoco Einaudi – la scrittura del texano è sempre piacevole e scorrevole, le storie – questa non fa eccezione – sono più o meno leggere più o meno incasinate, non si sa mai dove andrà a parare. Non mancano, sia pure toccati da lontano, i temi cari a Lansdale e una velata denuncia sociale. Come sempre un autore che va letto.
Ultimo ma non meno accattivante romanzo da mettere in valigia o nel reader, è l’esordio di Alessia Tripaldi, Gli scomparsiRizzoli – un thriller psicologico che vede protagonista nientepopodimeno che un discendente del discusso Lombroso. Il focus si capisce che indirizza alle scomparse dei minori, a volte ritrovati a volte per sempre, partendo dal ritrovamento di un ragazzino e di un cadavere che lui indica come il padre. Ottimo lavoro e ottimo thriller.

Tre passi per un delitto

Che alla fine chi segue il blog potrebbe anche dire: “ma possibile che non ti capiti mai una ciofeca in mano?” Capita capita, però faccio recensioni ormai da più di dieci anni, ho imparato a scindere quello che è il mio gusto personale da quello che un libro racconta, e se ci avete fatto caso, qualche volta mi è capitato di sconsigliare anziché consigliare.
Qui mi tocca dirvi andate a comprarlo alla velocità della luce, non vi perdete assolutamente questo esperimento perché sarebbe quello il vero delitto.
Un giallo “normale”, in realtà con il giusto colpo di scena, forse intuibile da quelli che fanno le gare ma non per chi si limita a leggere e godersi un romanzo perfetto. La cosa davvero fantastica è che non distingui quello che ha scritto uno da quello che ha scritto l’altro. Non so esattamente come l’abbiano studiata, certamente non come facevano i (per me) mitici F&L, nel senso che i “capitoli” sono tre, uno ciascuno e ogni autore da voce ad uno dei personaggi. L’armonia che sono riusciti a creare è qualcosa di simile a quello che può fare un grande direttore d’orchestra, ma i direttori sono tre e tre gli spartiti che rendono memorabile il pezzo.
Il protagonista è una carogna o forse no, alla fine sono convinta che in molti penseranno di assomigliargli, così come molte, ma senza dirlo, penseranno o vorrebbero avere l’aplomb della moglie.
Uno che si considera migliore di chiunque e non si fa scrupolo a dirlo e ribadirlo rivolgendosi anche e soprattutto al lettore. Figlio di nobili economicamente caduti in disgrazia a causa del gioco d’azzardo, decide di riscattare in qualche modo il nome che porta e riabbinare la nobiltà alla ricchezza. Per portare a compimento il progetto però sono necessari i soldi e dove trovarli se non sposandoli? Marco Valerio Guerra, è tanto abile da trovare la persona giusta da sposare, Anna Carla Santucci (che però si sente ed è a pieno titolo una Guerra), una tosta quanto e più di lui – perché le anime gemelle si annusano e si riconoscono – almeno fino a quando il marito, alla tenera età di settantun’anni, la chiama piangendo e chiedendole supporto morale per la fine di un amore. Ma è solo un attimo, tutto sommato decide la donna, se davvero ha bisogno di lei, può salire in macchina e raggiungerla.
La narrazione a tre voci è perfetta, del commissario Brandi, di Marco Valerio e Anna Carla. E scusate se mi ripeto, le tre versioni si armonizzano come strumenti musicali che non ti permettono di distinguerli fondendosi perfettamente. Tanto di cappello a De Cataldo de Giovanni e Casar Scalia (in rigoroso ordine di apparizione).

L’assassino ci vede benissimo – Garantisce Christian Frascella

A Torino, quartiere Barriera di Milano fa un freddo porco e Contrera svegliato da un sms di Mohammed, titolare della lavanderia a gettoni che in un angolo ospita un tavolino e due sedie che sono il suo ufficio, deve lasciare il caldo letto che spesso divide con Erica. Prima di uscire guarda con tenerezza i capelli rossi della donna, le sue lentiggini e pensa che quando sarà costretto a dirle quanto le sta tenendo nascosto, finirà tutto nel peggiore dei modi.
La sua ex moglie è rimasta incinta, così a tradimento, colpa di una serata piena di uno scadente vino rosso che li ha portati a consumare un rapporto senza senso.
Quando non dorme da Erica, è ancora lì che sopporta la convivenza obbligata con il cognato, da quando poi ha il sospetto che tradisca sua sorella, lo sopporta ancora meno. Un uomo questo ex poliziotto che ancora rimpiange amaramente il suo tradimento alla divisa, solo perché ha portato al disprezzo di suo padre. Investigatore privato sicuramente capace ma senza futuro, stavolta con la sua licenza di detective privato, dovrebbe convincere un pusher a lasciare la casa di sua madre, che l’ha lasciata al ragazzo che lo spacciatore ha messo su una sedia a rotelle, investendolo mentre guidava fatto e ubriaco. L’incarico glielo commissiona il fratello del disabile, una questione di giustizia. Il pusher la casa la lascia in effetti, ma solo perché qualcuno lo uccide risolvendo il problema alla radice. Naturalmente il tempismo che caratterizza la vita di Contrera, fa sì che sia lui a trovare il cadavere.
Ad ogni romanzo Frascella definisce un po’ di più la figura di un uomo che ha mille sfaccettature, uno che sembra l’emblema della sfiga e della capacità di andarsela a cercare. Però in fondo, nonostante i pochi scrupoli, una morale tutta sua, risulta essere una brava persona, uno che ha capito l’inutilità di combattere contro la vita e fa del suo meglio (che spesso non è abbastanza), per pararne i colpi. Frascella è decisamente bravo nel raccontare l’umanità, quella che sta un po’ ai margini (Barriera di Milano non è esattamente un quartiere elegante e residenziale), nel descrivere un mondo di rapporti umani ideale, dove ognuno è quel che è e per tale viene accettato dagli altri. Purtroppo vien da dire, sono solo romanzi e la morale comune, si infastidisce per principio nel dare per buono piaccia o no, che al mondo e in particolare sotto casa, la norma sia che dietro la porta accanto a quella dell’idraulico, viva tranquillo il pusher. Ma così va il mondo oggi e così ce lo racconta.

Un “nuovo” vintage per le edizioni Le assassine

Un romanzo che si svolge nei primi del ‘900, la storia di una donna che per il suo paesino è un simbolo, quella a cui tutte aspirano di somigliare. Enid Belfame è in assoluto l’esempio da seguire. quarantadue anni di cui ventidue passati da moglie esemplare di Dave, un pessimo individuo che non ha saputo gestire il patrimonio di famiglia e si è dato alla politica, restando nella mediocrità, un uomo che ama l’alcool più della moglie e che incarna il peggiore esempio di mediocrità del tempo. Enid è ormai arrivata al limite, non ne sopporta più la vista l’odore la vicinanza, ma il divorzio è escluso. Macchierebbe indelebilmente la sua immagine, l’alternativa gira gira, rimane solo una. L’omicidio. Oddio, non è che non si renda conto che non è una bellissima cosa, però se alternative non ce ne sono…
Il prosieguo del romanzo è deliziosamente orchestrato e riserva anche un bel colpo di scena finale, ma il bello sta decisamente nel mezzo. Come da copione ognuno troverà la sua chiave di lettura, io ci ho trovato un’autrice sopraffina, un linguaggio ironico ma non smaccatamente, piuttosto un’ironia sottotraccia, una descrizione precisa del vivere di quel tempo. Una critica velata, ma nemmeno tanto, al perbenismo che rendeva più accettabile un omicidio al divorzio. La conclusione come dicevo è un’ottimo colpo di scena, lo svolgimento perfetto e d’altra parte, l’autrice Gertrude Atherton, è stata assolutamente prolifica e di buon successo. Menzione d’onore quindi alla Casa editrice e alla sua direttrice Tiziana Prina che l’ha ripescata e tradotta. Un giallo perfetto da portarsi in vacanza, per chi ci andrà, o da leggere comodamente sulla sdraio per chi deve restare a casa. La soddisfazione è garantita.

Chi meglio di Malvaldi per parlare di cibo

Capisco che il “titolo” può sembrare fuorviante, ma Artusi Pellegrino da Forlimpopoli, con gli ingredienti fa magie (vabbè le faceva) e cos’è un piatto ben riuscito se non un’alchimia perfetta fra i sapori, che per chi non seguisse masterchef o non fosse esperto di medicina orientale sono cinque (salato amaro piccante dolce e acido)? In un manicaretto perfetto devono esserci tutti e nelle giuste proporzioni. Malvaldi, oltre che esperto di vecchietti è anche un signor ricercatore chimico, che ne sa di ogni e va da sé che se hai le competenze, la fantasia e una moglie che sa come mettere ordine nelle cose che si ammassano nella testa del suddetto coniuge Malvaldi, il risultato assicurato è un piatto a dir poco prelibato. Così è stato anche stavolta, lui aveva in mente una cosa, ne ha parlato con Samantha (cosa lei abbia risposto lo trovate nel libro), e tac, Il borghese Pellegrino diventa il secondo giallo che vede coinvolto l’esimio gastronomo. Premesso che io potrei tenermi Malvaldi sul comodino, tipo radio, perché di qualunque cosa parli, fosse anche la farinata di ceci (è successo), mi affascina totalmente facendomi anche ridere molto e non potendo per ovvie ragioni utilizzarlo in questo modo, ogni cosa che scrive la leggo con grandissimo godimento. E faccio bene. Non è che lo consiglio, ve lo do quasi come un imperativo, fatelo anche voi.
Leggetelo senza se e senza ma. Fra l’altro, riflettevo sulle due particolarità dell’autore. Scrive come parla e credo sia l’unico (almeno fra i tanti che ho letto e ascoltato), ogni tanto poi, interrompe la storia che sta raccontando che in questo caso è ambientata nel 1900 per rivolgersi direttamente al lettore, anzi visto che è un gentiluomo, alle lettrici, uscendo dal libro. Non è l’unico che lo fa, ma lo fa in modo unico. Vi ho convinti? Se no, peggio per voi ragazzi, perché perderlo è davvero un peccato. (non sono sicura che non leggendolo si vada all’inferno, ma mi sembra quantomeno probabile)

i Bar Toletti Come ho cambiato facebook

Io per esempio – ma non è che faccia molto testo – non sapevo fino a qualche mese fa, che Marino Bartoletti fosse su facebook, l’ho scoperto perché dovendolo intervistare cercavo spunti per le domande e ovviamente la rete è il posto migliore. Ebbene c’era e devo dire che la sua bacheca, anzi, le sue bacheche, quella pubblica e quella privata, sono delle vere miniere sia per chi deve preparare delle domande, sia per chi voglia farsi una cultura. Ovviamente gli argomenti di cui scrive di più sono musica e sport, o sport e musica a scelta, ma non manca mai di legarli all’attualità.
Chiedi una cosa chiedine un’altra, ho scoperto l’esistenza dei Bar Toletti, sì lo so che esiste altro oltre ai gialli e ai noir, ma ho poi delle giornate di sole 24 ore come tutti, non posso sapere tutto.
Trattasi di numero 3 volumetti che raccolgono la produzione facebucchiana (ma si pò dire? Boh), forse dovrei dire trattavasi, perché così tra il nusco e il brusco è arrivato anche il Bar Toletti 4 – Come ho cambiato facebook. Sono pubblicati da Minerva edizioni che mercoledì 1° luglio, a Russi (RA), lo propone in un incontro a cui sarà presente l’autore, in anteprima nazionale.
I post, datati nel senso che riportano la data in cui sono stati scritti e ovviamente senza i commenti (rischiavano di uscire 33 volumi), accompagnati dalle deliziose vignette di Matitaccia al secolo Giorgio Serra, un vignettista caricaturista eccezionale, capace di cogliere l’esatta essenza dei post del suo complice e trasformarli in disegni precisissimi. (Basti dire che io permalosa come sono, darei non so cosa per avere una caricatura fatta da lui, il che la dice lunga sulla bravura dello stesso). I capito – letti (dai, passatemi un gioco di parole), raccontano fatti e persone, ovviamente di pubblico interesse, con la grazia, anche quando picchia, che è da sempre uno dei tratti distintivo dell’autore. Episodi, perlopiù ripescati dalla memoria personale (che uno si chiede anche come cavolo avrà fatto a fare tutte quelle cose) o dalla cronaca dei tempi, quando si tratta di uomini e accadimenti vissuti o successi prima che lui ci fosse, con una precisione che fa impressione. La, o una delle particolarità (e queesto lo si evince o meglio lo si trova esplicitato nei commenti che appunto nel libro non trovate, ma state come sempre sulla fiducia) è la capacità di trasmettere le emozioni di un dato evento o qualche particolare sui personaggi che la sua tastiera trasforma in persone, coinvolgendo gli avventori e tirando fuori da ognuno le proprie emozioni relative a quel fatto, e/o scatena ricordi che chi legge conserva gelosamente, di quella volta che, per esempio, ha incontrato magari per un attimo, il suo personaggio mito, sia cantante attore o campione sportivo, “rubandone” dei pezzetti, che Bartoletti generosamente condivide.
Stavo dicendo, pensavo potesse essere “noioso” leggere qualcosa che magari ho già letto e commentato, e invece, a parte il fatto che frequento la bacheca da relativamente poco e quindi molti non li ho letti, devo dire che rileggerli senza la distrazione dei commenti, è un’altra cosa. Sono praticamente dei corti di giornalismo anziché di cinema, scritti con la competenza la conoscenza e il mestiere, che conditi con quel pizzico di leggerezza ionia o nostalgia, li fa meno asettici e ti ci trascina dentro.
Diciamolo, a volte è fin troppo educato per un social, ma evidentemente, come recita il sottotitolo – Come ho cambiato facebook – la cosa funziona e la pagina è una boccata d’aria fresca in un posto oggettivamente piena di aria viziata

Carlotto e le Variazioni sul noir

Variazioni sul noir, così si intitola la raccolta di racconti di Massimo Carlotto pubblicata da CentoAutori per “celebrare” i suoi 25 anni di libri.
Sostengo da sempre che il racconto è una delle forme più ostiche con cui uno scrittore può cimentarsi, oltre al talento e se parliamo di noir la cosa si complica, è necessario avere il dono della sintesi, soprattutto mentale che permetta di dire tutto in poche pagine. Bisogna saper cogliere l’essenziale e far arrivare al lettore solo quello.
Va detto che è un dono che Carlotto padroneggia totalmente. I racconti sono sette di cui due inediti mentre gli altri sono apparsi negli anni in antologie giornali raccolte eccetera. Personalmente me li ero persi e sono di molto grata a CentoAutori che li ha pubblicati.
Parlano di uomini e donne apparentemente normalissimi che fanno cose inenarrabili, un paio sono davvero diabolici, uno agghiacciante e gli altri ottimamente neri.
La particolarità di Carlotto (anche se ammetto che la mia percezione della scrittura potrebbe essere falsata dalla percezione personale dell’uomo) è la capacità di descrivere le peggiori atrocità con una freddezza e un distacco che lo rendono riconoscibile dopo poche righe. Nessuno dei suoi personaggi sbraita urla o dà in escandescenze. Sono glaciali nel bene e nel male, anche le vittime. E attenzione, per quanto possa sembrarlo non è una critica, anzi è un punto di merito perché focalizza l’attenzione sull’azione e quello che la scatena, che sia frutto del presente o del passato.
Se è vero che ognuno di noi è la somma del suo vissuto, Carlotto è una delle persone (spero che mi perdoni questa considerazione in virtù degli ormai parecchi anni di conoscenza stima e affetto da parte mia) che come insegna Stanislavskij, ha metabolizzato una parte della sua vita, ed è riuscito a trasferire nelle parole tutte le emozioni, dalle migliori alle peggiori, senza lasciare che lo divorassero. (No, non sto facendo la psicanalisi da salotto, ma solo da quello e dal puro talento, può venire il distacco di cui parlavo prima).
Alla fine, converrete che questa capacità, è esattamente quello che fa la differenza fra un grande e un mediocre.

Cristina Cassar Scalia ci accompagna a La salita dei saponari

Oh, cosa volete che vi dica, io quando trovo un autore, in questo caso un’autrice, che regge al secondo romanzo e migliora al terzo, ho degli attimi di godimento. Mi rendo conto che ci sono fior di professionisti – direttori di collana editor correttori di bozze eccetera – che vivisezionano un romanzo prima che arrivi a noi, ma sono un po’ megalomane e quando dico che qualcuno farà strada e questo poi accade, eh bè, me la tiro, mi autoincenso e come dice un tizio in tv, mi stimo e mi incoraggio, ecco.
Sei giorni fa è tornata in libreria Cristina Cassar Scalia, e con lei ovviamente, Vanina Guarrasi vicequestore aggiunto alla Mobile di Catania, alla Omicidi per la precisione. Ma la sua sete di vendetta? Giustizia? Non è placata e quindi ha chiesto e ottenuto di partecipare ad un’operazione della Catturandi di Palermo, arresto a cui tra l’altro il mafioso latitante è riuscito a sfuggire. Potrebbe fermarsi ancora se solo lo volesse, per la gioia del suo ex collega Manzo, ma da Catania la avvisano che hanno un morto ammazzato e lei tutto sommato, Paolo incluso, non ha troppa voglia di restare a Palermo. Il morto che ha la doppia cittadinanza italiana e americana, ed è nato a Cuba, possiede una casa a La Salita dei saponari si rivela essere un bel personaggino (d’altra parte si sa, non è che le brave persone vengono ammazzate tutti i giorni) e il caso molto più complicato di quanto ci si potesse aspettare. La Scalia ha imparato dai migliori, oltre naturalmente ad avere talento (lo so mi ripeto, ma a chi lo ha, è d’obbligo riconoscerlo); la lezione che ha magnificamente incamerato è quella di equilibrare la trama gialla, che ovviamente non solo deve essere impeccabile, ma possibilmente essere anche intrigante e complessa, con l’evoluzione dei personaggi, non solo del/della protagonista, ma anche dei comprimari. Last but not least, cogliere dai lettori chi sono i personaggi più amati e dar loro sempre maggior spazio senza toglierlo agli altri. In questa coda di pandemia, dove i viaggi sono ancora un po’ penalizzati, reagalatevi un soggiorno sotto la Montagna, che con la sua imponenza e i suoi risvegli improvvisi, è una bellezza

La squadra dei sogni – Bartoletti racconta il terzo atto

Hanno buttato il cuore sul prato, sono scesi tutti in campo e adesso celebrano l’impresa giocandosi la Coppa dell’amicizia. (che uscirà il 25 ma potete preordinare qui e vi arriva anche autografato)
Sono i ragazzini delle scuole Sassi e Mellone, guidate rispettivamente dai presidi Borghesi e Russo. La Coppa Lori, nata per onorare la memoria di Lorenzo Baldieri (vittima di omicidio stradale), dopo aver integrato ragazzini di ogni dove e di ogni colore, dopo avergli fatto superare il problema di genere, la seconda edizione aveva squadre miste composte da ragazzi e ragazze, ha anche fatto sì che le loro “imprese” siano arrivate sul tavolo del ministro dell’istruzione. Vabbè in realtà ha scoperto la cosa grazie alla figlia che segue il blog di Paolino, portiere italo cinese ormai famoso, ma non è che stiamo a fare della quadricotomia capillare.
Facciamola breve, si gioca in trasferta con una squadra nuova, nome e divisa nuovi e giocatori sempre quelli, ma di entrambe le scuole, con la benedizione di Roma. La location della partita si sposta dalla provincia ad una grande città, ma quale ve lo lascio scoprire da soli.
Bartoletti in questo ultimo (sembra) capitolo, è salito di un paio di gradini. Lo spirito di partenza è lo stesso, descrivere raccontare ed essere convinti, di come sia ancora possibile superare molti degli “ISMI” che ci ammorbano quotidianamente, razzismo sessismo classismo bullismo e protagonismo. E per quanto strano possa sembrare, per quanto impossibile appaia l’impresa, probabilmente si può/si potrebbe fare, con il solo uso del buonsenso e il mettersi almeno qualche volta, nelle scarpe degli altri.
I ragazzi delle due scuole, una più in e l’altra più popolare, quando sono sul campo con un pallone da calciare si dimenticano bellamente le differenze sociali, così come davanti alla palla messa in rete, non fanno caso al fatto che a segnare sia stato un ragazzo o una ragazza.
Grazie a Don Rocci (detto don Chilometro per la sua altezza), a dei genitori che trovano il tempo per i loro ragazzi e all’aver affrontato delle spiacevoli vicende accadute a scuola, i ragazzi hanno imparato a fare squadra, hanno capito che sostenendosi l’un l’altro si arriva più lontano e si sopportano meglio i colpi della vita che ahimè, non risparmiano nessuno, nemmeno loro.
Anche qui come nei precedenti capitoli, ci regala un piccolo ma significativo racconto (di vita vera) fatto da un personaggio simbolo dello sport, nel primo fece incontrare ai ragazzi Mazzola, nel secondo Sara Simeoni e qui non ve lo dico che non voglio rovinarvi la sorpresa, ma è un nome amato e rispettato.
Rispetto ad una “storia” pensata più per i ragazzi che per gli adulti, l’impressione è che già da Tutti in campo – volutamente o meno – sia cambiato l’interlocutore principale, non più gli adolescenti ma chi se ne occupa, per natura e per lavoro. Mi auguro che in tanti lo leggano e soprattutto recepiscano il messaggio. Non credo sia mai successo che un libro cambiasse il mondo, ma certamente, se le pagine (di qualunque libro) riescono a cambiare anche di poco in meglio, una sola persona, è già molto. Ultima nota, se nei precedenti si sorrideva, qui ci si fa anche qualche risata di gusto, che mi sembra sempre una buona cosa. Copertina e disegni sono come nei precedenti, il risultato di una ormai consolidata collaborazione e sono opera di Giorgio Serra Matitaccia

Un consiglio al volo di quelli da non trascurare – Guccini racconta – Tralummescuro

Il consiglio di oggi è Trallumescuro, una parola sola che indica la famosa ora che volge al disio e ai naviganti intenerisce il core, di Foscoliana e Dantesca memoria. Quel momento in cui il giorno lascia spazio alla notte ma ancora non se n’è andato del tutto. Un lungo riandare indietro messo a confronto con l’oggi, scritto con la passione che il Maestrone – dai adesso chiedetemi di chi parlo se avete il coraggio – ha sempre messo in quello che ha scritto, ma con in più la velata tristezza di chi, arrivato a ottanta primavere non ha paura di dire le cose come stanno, anche se proprio belle non sono – oddio non che il Guccio abbia mai avuto scrupoli a dire quel che aveva da dire – neanche quando le cose sono velate dal rimpianto di quel che non è più. Un lungo racconto che mescola italiano e pàvanese, che racconta quel paesino a cavallo dell’appennino, quell’angolo di mondo dove, deciso di “terminare” la carriera di cantante (per quanto sia poco come definizione di quel che ha fatto). si è ritirato nella casa che fu dei nonni. Un viaggio un po’ a ritroso e un po’ in avanti, senza soluzione di continuità. Un continuo di ricordi, quello che poi ha fatto in buona parte di lui l’uomo che è diventato e tanto ci ha dato. Non è il primo lavoro di Guccini ad essere scritto in forma di lunga ballata – il sottotitolo è Ballata per un paese al tramonto – è il primo però che usa le parole (alla fine c’è un lungo elenco di note con traduzioni e origine dei vocaboli) come mezzo di trasporto, fra nomi di piante frutti paesi modi di dire e abitudini ormai dimenticate. Un libro per tutti, perché l’arte vera, non ha confini di nessun genere.