Cosa conosce un panettiere? Conosce la notte, è nel silenzio che fa il suo lavoro, mentre la maggior parte della gente dorme sogna o fa l’amore, il panettiere è lì, davanti al forno in cui cuoce la vita. C’è un modo di dire per indicare una donna gravida, si dice che “ha una pagnotta nel forno”, e non è un caso, il pane è da sempre metafora di tutto, “buono come il pane” “non è pane per i tuoi denti” “rendere pan per focaccia”. Il pane è vita, e se fatto bene il pane è vivo, letteralmente, c’è chi cura la pasta madre come si cura un figlio, un pezzo di Pasta madre passa di generazione in generazione e fa un pane buono che sazia e non gonfia, un pane che nutre, un pane che diventa simbolo di amore. Gesù Cristo spezzò il pane e lo diede ai suoi discepoli. E per il pane si può morire. Pasqualino fa il pane da tutta una vita, è il Principe dell’alba lui, ha il compito che fu di suo padre e prima di suo nonno, quando la luce non ha ancora vinto sul buio della notte, quando il giorno si intuisce soltanto, lui spezza il lievito che darà al suo pane quel profumo che sveglierà la città, e rimette al sicuro quello che servirà per il giorno dopo il mese dopo l’anno dopo, quello che suo nipote Totò userà quando sarà lui il Principe dell’alba. Pasqualino non avrà il tempo di insegnare a suo nipote cosa sia il pane, quanta vita ci sia nel pane, Totò imparerà da solo che per il pane si può morire.
Ve lo dico ogni volta, se comprate e leggete i libri di deGio per il giallo lo trovate, ma non è quello l’importante. I romanzi di Maurizio sono altro, vanno oltre. Ogni singolo Bastardo è una poesia a se stante e parte di un canto corale, un balletto in cui non ci sono etoile perché ognuno brilla di luce propria e insieme scaldano il cuore. Ogni volta che inizio un nuovo libro tremo. Ho paura che possa esserci una scivolata, che dopo tante Storie possa arrivare quella che mi lascerà tiepida, lo apro trattenendo il fiato per le prime righe, come le zie che fuori dalla sala parto, quando gli portano il nipote senza farsi vedere gli contano le dita per assicurarsi che sia sano e bello. Pane è un bambino bellissimo, gente che ne sa, dice che è il più bello, io francamente non lo so. So che è pieno di profumo, di luce e di angoli bui come la notte più profonda, è un viaggio nel cuore di ogni Bastardo e di chi con loro va. A casa del sospettato, sulla brandina del commissariato di Pizzofalcone, a casa della vittima, ma soprattutto dentro i loro cuori e pensieri, nella notte, mentre il pane lievita e cuoce e di giorno, quando si fanno i conti con la vita. Pane ti scaraventa senza pietà nella vita di chi ha perso, di chi si finge malato per trovare riparo e cibo, almeno per qualche giorno, di chi invece dello smartphone pensa a come comprare il latte per il figlio neonato che piange dalla fame, di chi va al supermercato per rubare un pezzo di formaggio vergognandosi perché lavora ma non basta. Non di solo pane si vive ma anche di buona letteratura.

Ma insomma sti gay, froci ricchioni culattoni busoni o come più vi piace chiamarli, esistono o no? Esistono ma siccome sono effeminati non giocano a calcio, se per caso dovessero di sicuro non arrivano alla massima divisione. E invece Diego Di Martino (abbiate pazienza ma è napoletano ed ha avuto il coraggio di nascere il giorno in cui il Napoli ha vinto lo scudetto, si è rassegnata anche la mamma), a ventidue anni gioca in serie A e ha un piccolo problema. Lo sa lui e lo sa il suo procuratore, gli piace il pesce. La cosa è parecchio problematica perché come si diceva, nel calcio non esistono i gay e quindi incontri clandestinissimi e blindati con dei marchettari strapagati (la discrezione quasi mai è gratis) supervisionati dal suo procuratore e donne farlocche con cui apparire sulle copertine dei giornali. Poi vai a guardare gli scherzi che fa il destino, Diego scopre che mogli e figli o virili manate in campo, nascondono a volte altri gay, altre anime che non possono uscire. Ovviamente non vi racconto nulla di come si svolge la trama di un romanzo che definire godibile è poco, ma sottolineo come Carrino sia in grado di alternare momenti in cui ti si stringe il cuore a momenti in cui ti pisci addosso (cioè, io ancora non mi sono ripresa dall’immagine dei mammut – che al mercato mio padre comprò perché erano finiti i topolini -) ed è solo un esempio. Ti sbatte letteralmente in faccia il sesso e l’amore, perché come dice magistralmente, si perdona la droga il tradimento l’indulgere nella prostituzione anche minorile che si picchi la moglie, ma la tenerezza e l’amore no; “è l’amore storto che somiglia paro paro all’amore dritto che non si perdona: la somiglianza alla sedicente normalità, in questi casi non si perdona mai.”
Gli appassionati di gialli e in particolare quelli di autori italiani conoscono bene il giornalista investigatore
Venezia è piena di belle donne, ma c’è un uomo che guarda oltre la bellezza e l’eleganza, lui ha una passione per le
Premessa: chi come me ha amato Patricia Cornwelll, ad ogni nuova uscita di un autore amato è diviso fra la smania di avere subito il libro fra le mani, e l’orrenda consapevolezza che 99 su 100, avrà l’ennesima delusione, vada tranquillo, la delusione qui non c’è.
Un diciassettenne che cita filosofi gruppi musicali storici, che usa parole note solo ai vocabolari e non ha mai fatto sesso, come direbbero a Bergamo, a far sura, gli hanno messo l’apparecchio ai denti – bracket maledizione si chiama bracket – e sua madre gli ha confidato che suo padre naturale è un macho sudamericano e non quello che lui ha sempre chiamato papà, su cui sorvolo per non togliervi il divertimento. Dice ma guarda che io
Normalmente i libri di deGio mezzo scrittore (vedi profilo FB) e io aggiungo mezzo poeta, li divoro in meno di 24 ore, lo faccio perché ho paura. In che senso vi chiederete, paura che possa non aver centrato il bersaglio, che per una congiunzione astrale – credo a questo punto impossibile – possa non piacermi. Quindi niente dicevo, ogni nuovo libro lo divoro con il cuore in gola e poi quando mi rendo conto che non si sa come, ogni libro è più bello del
in mare, questo bambino probabilmente non vedrà mai un rubinetto, una tavola con sopra del cibo, se sopravviverà la sua vita sarà presumibilmente un povero cristo che si arrabatta per un pugno di riso concesso dalla Caritas o da qualche altra missione umanitaria. Più probabilmente morirà di fame prima che gli arrivi un aiuto. Nella foto qui sotto bambini che sono sbarcati, quelli che ce l’hanno fatta. Io una certa differenza la noto, voi
no? Ha ragione il Papa, e la cazzata è perfettamente coerente con il suo ruolo, scappare dalla fame non è un delitto, però però, faccio un inciso. Mi è capitato qualche giorno fa di sentire una storia, una giovane Italiana andata in Africa per imparare lo Swahili, ha raccontato delle difficoltà che ha incontrato già in aeroporto, donna bianca e sola, la polizia le ha sequestrato lo zaino (dicesi zaino non valigia di Vuitton, e le hanno fatto domande per ore. Quando ha raggiunto il villaggio, ha scoperto che non c’era acqua, per potersi lavare doveva andare a qualche km dal villaggio e pagare per fare la doccia in albergo. Ora mi sorge spontanea una domanda, è colpa nostra, intendo dell’occidente, se i governi di quel paese africano, credo fosse in Senegal, lasciano che gli alberghi abbiano l’acqua e i villaggi a pochi km no? Direi che l’ipotesi non regge, la colpa è di politiche interne su cui abbiamo poco potere.
ra mi chiedo, è davvero possibile non fare delle differenze? Considerare i migranti africani (quelli che sbarcano, che hanno trovato centinaia di dollari per pagare il viaggio, dollari con cui avrebbero potuto mangiare per mesi) alla stregua di chi scappa da un bombardamento? A chi, e credetemi sulla parola, esce per andare al lavoro o all’università e non sa se ci arriverà o se a sera rivedrà la sua famiglia.
I libri della