Malvaldi – Ghammouri

Un corso di scrittura all’interno del carcere di Pisa e il buon vecchio Malvaldi, ti scova del talento in un uomo che da lì, non potrà uscire per molti anni, sta scontando la pena per un omicidio e conscio del peso di quanto commesso, ha messo a frutto il tempo, scrivendo un libro, Vengo dal sud oltre l’orizzonte (di cui lo stesso Malvaldi ha scritto la prefazione), e ha contribuito a questo nuovo romanzo. Fatta questa doverosa premessa passiamo a parlare di questa nuova fatica, Il vento in scatola (in libreria dal 9 maggio). Salim Salah, brillantemente laureato in economia, arriva dalla Tunisia in Italia e lo conosciamo come ispettore di volo ENAC. Un bel salto eh, non si capisce neanche quanto conveniente poi, cioè, facendo trading rischi anche di fare dei bei soldini – anche se a onor del vero, la finanza islamica si basa su principi un tantinello diversi da quelli che conosciamo, ma tant’è. Che poi a rifletterci, chissà se lo spiegassimo che so, all’Arabia saudita? Pensaci Malvaldi vah -Torniamo a bomba che se mi distraggo è finita, come diavolo è successo un cambiamento così radicale (che comprende peraltro anche un nome nuovo di zecca)? E niente, si vede che studiare Leonardo per il romanzo precedente, l’avete letto tutti vero? All’uomo di Vecchiano gli si sono lubrificate ulteriormente le già diaboliche cellule grige, perchè, state sulla fiducia fino a quando non lo avrete letto, ha messo insieme una trama micidiale. Un giallo (perchè noi lo sappiamo che è un giallo), senza morto e che si svolge all’interno di un carcere. Poi così, per inciso, il fatto che il nostro tenga o abbia tenuto, dei corsi di scrittura in carcere, fa pensare che la scelta della location non sia casuale e che sempre per le celluline di poirottiana memoria, abbia capito che quel che racconti sorridendo o facendo sorridere, sedimenta meglio nella testa e nel cuore. Se come mi capita spesso di dire, a qualche autore mi abbandono fiduciosa nella poesia che troverò, a qualche altro con la soddisfazione di lasciarmi stupire, a Malvaldi mi abbandono felice al rincoglionimento. Pascolo felice dalla prima all’ultima riga, capendo qualcosa qua e là, sapendo con certezza che il risultato finale mi lascerà satolla e soddisfatta. Esce stamattina ve l’ho detto, hop hop via in libreria

I paragrafi concentrici di Marco Malvaldi

Siamo verso la metà del 1400, a Milano c’è un ducato ovviamente un duca, più di uno a dire la verità, più o meno legittimato a governare dall’alto della sua ragguardevole altezza (all’epoca non era così usuale essere alti) e con la forza che emana il suo sguardo. Anche di carattere pare non fosse proprio un pasticcino, ma ripeto, all’epoca si usava così e quindi più di tanto non ci turbiamo. Al soldo del Moro, che gli ha commissionato una statua equestre in bronzo – enorme – per dare eterno lustro a Francesco Sforza che è morto da ventisette anni, ma come suol dirsi è vivo e lotta insieme a noi, c’è Leonardo da Vinci, maestro riconosciuto in più di un’arte. Le vesti rosa e il fatto che non abbia donne, fanno sì che sia considerato diciamo eccentrico, ma anche questo non è il punto. Si ma allora sto punto? Ok avete ragione, il punto è che Leonardo ha sempre con sè un taccuino che c’è un omicidio che il cavallo ancora non c’è e c’è invece un serio problema di soldi. E poi c’è la scrittura di Malvaldi, come i grandi, i bravi veri, riesce a cambiare restando sè stesso. L’ironia rimane la stessa, sia che parli di vecchietti che ci racconti di una vacanza gastronomica o che imbastisca un giallo su e con Leonardo da Vinci, l’impianto narrativo è perfetto, il plot giallo scorre perfettamente. Un romanzo storico in cui scopriamo che il problema del traffico era già presente nel 1400 ma non solo. Difficile da descrivere quello che fa Malvaldi in questo romanzo, (ah per inciso si intitola La misura dell’uomo) che è poi quello che fa sempre ma in modo diverso. Scrive su due piani, in uno si muove fra ciottoli e polvere fra cene coi nani buffoni e congiure, nell’altro si muove nel presente, il divertimento sta nel non far capire al lettore, se dal passato racconta il futuro o viceversa. Per ultimo segnalo una chicca, in un romanzo che parla di enigmi, usa un gioco linguistico (che viene anche lui da lontano), facendo iniziare ogni paragrafo legandolo al precedente, vuoi con le parole vuoi con i concetti, sì, esattamente come nelle cornici concentriche o meglio ancora nel Bersaglio (quelli della Settimana Enigmistica). Prendi una cultura vastissima (e mi tengo bassa), una dose di sense of humor che sarebbe sufficiente per tre, lo studio accurato dell’argomento e un talento raro, mescola il tutto in un chimico allampanato e dall’aria stralunata et voilà mesdames e mosssieurs, lo scrittore è servito. Ah non so se vi è chiaro, ma non leggerlo sarebbe un delitto.