Ci sono mille e uno modi per scegliere un romanzo. E poi ci sono quelli scritti da Manzini.
È cambiato Rocco, ma tanto. Lo avevamo già intuito, a memoria direi con 7/7/2007, che stava succedendo qualcosa dentro di lui, poi le vicissitudini che hanno stravolto i suoi punti fermi, le storie d’amore che non vuole far decollare, D’Intino che quasi lo ammazza. Però, io avevo una certezza, che la scorza fosse abbastanza spessa da continuare a “proteggerlo”.
Smentita clamorosamente da questo romanzo tanto atteso. Il migliore, il più bello, l’ho sentito dire da molti e non escludo di averlo pensato anch’io appena finito, ma lo abbiamo detto anche di parecchi dei precedenti.
Forse è il più triste, quello sì. Il lavoro resta un’ancora di salvezza, tant’è che si gira mezza Italia senza battere ciglio e a spese sue, per arrivare a una risposta su quell’uomo che hanno investito mentre andava in bicicletta. A buona ragione? Teoricamente sì, il caso lo risolve, ma quasi emblematicamente, resta qualcosa di sospeso.
Quasi una metafora della sua vita.
Sospeso è rimasto il suo rapporto con Marina, che ormai vede sempre più raramente e non considera più qualcosa al di fuori di sé, così come quello che è successo con Sebastiano, nessuna vendetta nessun perdono, ma sappiamo che la cancellazione totale è difficilmente realizzabile. Caterina si è sposata, capitolo chiuso certo, ma trasformare qualcosa nella tua vita ha cambiato tante facce, richiede tempi lunghissimi. Anche la storia con Sandra è sospesa, certo ufficialmente è finita ma lo conosciamo il nostro vicequestore no?
Senza dubbio alcuno, l’impianto giallo è perfetto, un caso generato da un cold case che non si sapeva nemmeno essere stato un case, ma credo che a far la punta al pennino sul giallo, siano rimasti in tre, anche se forse a Manzini frega poco che lo si apprezzi per il giallo i protagonisti o per l’insieme.
Altrettanto senza dubbi, tutti siamo affezionati alla storia, le storie e quelle non ce le fa mancare.
Non so quanto poi un autore ci pensi o gli venga spontaneo in base al suo background, ma certamente, sia il ritorno degli sposini dalla Rodhesia (mi spiace ma così l’ho conosciuta e così per me rimane), sia il matrimonio imminente di Fumagalli e la Gambino, sono amplificatori della solitudine di Rocco, come lo è la virata del maniaco degli evidenziatori, che scopriamo è anche poeta. Tutto sembra sottolineare l’idiosincrasia di Schiavone per la vita dopo Marina. Ma nonostante tutto, con Lupa sempre al suo fianco – che per inciso secondo me ha un ruolo importante nello “spogliamento” di Rocco – quello che arriva è un uomo triste, a volte francamente disperato, che però si lascia vivere con la speranza inespressa di essere ancora capace. Capace di essere un uomo oltre che un vicequestore, capace di ricominciare a vivere, di non lasciare che tutto accada.
Un uomo capace di vedere, quanto sia amato – questa è una speranza mia – da tutti quelli che nonostante lui, gli sono amici.


