Oi oi, ma mi è sfuggito il Malvaldi

No, a dire il vero non mi è sfuggito lui e non mi è sfugggito il nuovo romanzo, ma è uscito a giugno, quando il caldo mi stava uccidendo e ho pur avendo letto tanto, ho scritto davvero poco.

Però vi frega poco vero? Nel senso che un libro bello e quelli dell’esimio Malvaldi lo sono indiscutibilmente, non necessita di essere letto nell’immediatezza dell’uscita, per la semplice ragione che resta bello nel tempo.

Dunque, evitiamo se è possibile qualsiasi spoiler, che se non lo avete ancora letto vi toglierei parte del piacere e parliamone. Succede qualcosa di non bello a Pineta, qualcosa che coinvolge emotivamente e praticamente la banda dei vecchietti e i le giovani leve – che insomma, ormai tanto giovani non sono puù nemmeno loro.

Ma non siamo qui a farci gli affari degli altri, quello lo lasciamo all’autore (sempre con il doveroso riconoscimento all’apporto e il supporto della consorte), qundi ciò che accade lo leggerete, parliamo invece del giallo.

Qualcuno lo definisce cosy – palesemente sbagliando la traduzione – e attribuendogli una sorta di leggerezza, qui io dissento fortemente. Certo è cosy nela traduzione letterale, è accogliente, come lo sono i romanzi che ci fanno stare bene, accolti dalle pagine. Indubbiamente c’è anche la leggerezza, merito della maestria e suppongo un pochino anche della provenienza geografica, dell’autore, ma c’è anche un bel giallo a tinte fortine.

Va benissimo farsi incantare dalle battute, dai dialoghi, dalle situazioni paradossali in cui si sono convolti i vecchietti, Massimo, Tiziana Marchino e la vicequestore Martelli, divisi fra il lavoro e la cura di due bimbi che crescono, ma senza perdere di vista le trame gialle, che sono toste, mai o quasi splatter, ma tecisamente toste.

Fra l’altro qui, così ci ha raccontato in occasione di una presentazione, i coniugi Bruzzaldi, si sono resi conto di avere infuso la propensione alla giallitudine, anche al loro figliolo, che per la cronaca è appena adolescente.

Certo non avete bisogno del mio consiglio per leggere i librini blu firmati Malvaldi, ma se, come è capitato e ricapiterà (spero), passasse di qui qualcuno che non è flippato coi gialli o che per qualche ragione a me incomprensibile non conosca l’autore e si incuriosisse, bè, ci sta e ne sarei ben contenta.

RIPARTONO I CONSIGLI

Lo so, sono orrendamente ferma da un sacco di tempo con i consigli le recensioni le ricettine e quant’altro, il fatto è che l’articolo sulla ricca Milano, ha fatto sì che chi di dovere si mettesse in moto e a onor del vero, ci sono tante persone da ringraziare. A giorni credo sarà finita la bonifica e lo farò pubblicamente. Nel frattempo vi lascio giù qualche consiglino di lettura. Ne ho in canna circa un quintale in canna, quindi nei prossimi giorni, tenterò di rimettermi in pari.

Partiamo da una riedizione, che poi non so nemmeno se sia corretto come termine, però, se prima di giovedì andate in edicola, insieme a Sorrisi e canzoni TV del 19 settembre, trovate L’ultima mano di burraco di Serena Venditto. Confesso che quando è uscito nel 2019, mi era sfuggito. A prescindere dal fatto che i 5 di via Atri, li adoro, sono una giocatrice incallita del suddetto gioco, ragion per cui mi sono fiondata nel romanzo. Non conoscete i 5? Ok, riassunto breve. In via Atri a Napoli – che è in centro – vivono 4 adulti, non studenti squattrinati che dividono l’appartamento, bensì: Malù, un’archeologa che per inciso è la proprietaria di casa, la sua amica traduttrice anglo italiana Ariel e il di lei fidanzato (ma con stanze separate) Samuel detto Magnum sardo nigeriano – per inciso gran figo -e Kobe un pianista giapponese, il quinto elemento è il gatto nero di Malù Mycroft e il nome dovrebbe già dirvi tutto. Per una serie di ragioni che scoprirete leggendo, sono spesso tutti coinvolti in indagini di polizia. Tutti nel senso che indaga anche il gatto? Se mai ne avete avuto uno, sapete che la risposta è: Eccome! Serena Venditto ha imparato a meraviglia (e di suo ha un bel talento), le regole della scuola napoletana del giallo – sento qualcuno dire ma che è? De Giovanni De Silva Perna , giusto qualche giorno fa de Crescenzo e chiedo scusa a chi sto involontariamente escludendo  –  mescolare il crime il noir, la vita insomma e la leggerezza calviniana con cui solo i napoletani sanno vivere, anche la morte, strappando a tempi determinati e perfetti, anche delle grosse risate. A dirla tutta, è anche molto più efficace di tanti concionamenti e prediche contro il razzismo, che male non fa.

Il secondo romanzo che vi segnalo, è già fuori a qualche mese ed è il secondo romanzo di Janice Hallett, l’autrice inglese che ha inventato un modo decisamente nuovo – se l’hanno fatto prima è stato a mia insaputa – di scrivere gialli. I libri si compongono non di dialoghi e descrizioni ma di mail messaggi WA sms (pochi), articoli di giornali e rapporti di polizia. L’esordio è stato con L’assassino è tra le righe che oltre ad avermi spiazzata per la forma, mi è anche piaciuto molto, questo forse un filino meno – ma se lo consiglio evidentemente il filino è proprio sottile – probabilmente perché la storia è un bel po’ più complessa – però, superato l’impatto iniziale (ho passato ore a chiedermi e cercare sul web)mi sono resa conto che non c’erano riferimenti a fatti realmente accaduti e a quel punto c’ero dentro con tutte le scarpe, ragione per cui Il misterioso caso degli angeli di Alperton, entra di diritto nella pagina dei consigli. Non vi riassumo la trama, ma tanto non lo faccio mai, un po’ per non guastarvi il piacere della lettura, un po’ perché scoprire quale sia il filo da seguire, secondo me è proprio parte del divertimento.

CHI DICE E CHI TACE

Si dice anche che chi muore giace e chi vive si da pace, fondamentalmente è vero, ma non per tutti e non nell’immediato.

Lea Russo, che pure non aveva un rapporto così stretto con Vittoria, da quando ha saputo che è morta, non riesce a darsi pace. Non può credere che sia affogata nella vasca da bagno, lei che nuotava come un pesce nel mare e non capisce neanche la smania di sapere che le occupa ogni pensiero. È una donna felice del suo status, professionalmente realizzata (l’unico avvocato del paese), sposata all’uomo che ama con cui ha fatto due figlie. Ma una frase, che potenzialmente significa tutto e niente, le accende un sospetto che non riesce a mettere da parte.

La ricerca di una verità, che dopo poco non riguarda più solo il come sia morta Vittoria, la porta inevitabilmente a ripercorrere tutti gli anni in cui la donna ha vissuto a Scauri, l’ultimo paesino laziale della costa tirrenica. Credeva fossero amiche e invece si rende conto di non avere mai saputo nulla, frequentava casa sua, conosce Mara, la ragazza molto più giovane con cui viveva, senza che nessuno abbia mai saputo quale rapporto le legasse, ma Costantinopoli, così è detta la casa, era aperta a tutti, il patio e il giardino sono stati accuratamente allestiti e studiati per essere un posto accogliente, dove bere qualcosa, chiacchierare quando si passa di lì o si portano gli animali a pensione da Mara. Guardando con distacco il passato non può dire che la loro fosse un’amicizia propriamente detta, soprattutto si rende conto di non sapere nulla se non quello che Vittoria ha voluto far sapere, che in realtà è ben poco.

Come sempre accade quando si cerca di sapere qualcosa, ogni domanda ne genera un’altra e le risposte sono sempre meno delle risposte che si trovano.

La Valerio ambientando il romanzo in un passato recente ma non vicinissimo, in cui non ci sono cellulari e social, rende la ricerca di Lea un dialogo continuo fra lei e gli altri conoscenti comuni, ognuno ha un pezzetto di storia da raccontare, la stessa Vittoria, consegnando il suo testamento a Don Michele e nominando Lea come esecutore testamentario, le lascia degli “indizi” da cui ricavare informazioni. Ne escono dei bellissimi ritratti di donne, diversissime tra loro che sembrano appartenere a mondi diversi, quasi paralleli. Donne che vivono se stesse con contezza di sé, che non giudicano, che insegnano e imparano. Un invito alla sorellanza, non quella a prescindere, siamo donne e dobbiamo essere solidali, ma quella vera, che non risparmia la presa di coscienza di eventuali errori restando scevre dal giudizio. Un elogio del donarsi, nei tempi e nei modi in cui si sa dando il a ciascuno il meglio di sé.  

UNA SPECIE DI FOLLIA

Louise Penny

Ogni tanto sembra che ne siamo fuori, poi arrivano le news dalla Cina o da Dio sa dove e tutto quello che hanno lasciato nella psiche umana il covid19 i lockdown i negozi chiusi  l’incertezza i morti, torna tutto insieme e ci colpisce all’improvviso. Non è ancora tutto tornato alla normalità, ci si prova ma qualcosa di quella paura è ancora in circolo. Non più sotto forma di isolamento negozi chiusi mascherine e distanziamenti, ma di ipotesi, su come affrontare il futuro con quell’eredità sulle spalle e la consapevolezza che potrebe accadere di nuovo. A Tree Pines, come in tutto il resto del mondo cattolico, festoni luci presepi alberi addobbati, cibi tradizionali e riunioni conviviali, tentano di rendere il Natale come prima, e Gamache si sta godendo la famiglia quando gli viene chiesto di garantire la sicurezza ad una conferenza un po’ particolare, una controversa esperta di statistica, la terrà proprio lì n quel paesino minuscolo e nemmeno segnato sulle carte geografiche. A parte la stranezza della cosa in sé, è il personaggio che fa temere, a buona ragione scopriremo, l’ispettore capo che possano verificarsi quantomeno dei disordini. La donna, riconosciuta eminente scienziata, a seguito dei suoi studi post emergenza, ha elaborato delle teorie che definire divisive è davvero poco. Come accade per ogni cosa che divide, le fazioni pro e contro sono un rischio. Giacché Louise Penny scrive dei gialli e il protagonista è un poliziotto, va da sé che ci son degli omicidi da risolvere ma direi che in questo volume sono davvero l’ultima cosa da cercare e a cui prestare attenzione. Perché la vera protagonista del romanzo è una teoria assai vecchia ma che evidentemente viene periodicamente cancellata dalla memoria salvo altrettanto periodicamente, tornare a sconvolgere degli equilibri che sembrano stabili. Nell’apparentemente lontano 1933, in Germania si studiò e ahimè si applicò agli esseri umani quello che definito dai pastori Ausmarzen, indicava una pratica tremenda. L’eliminazione dei soggetti deboli, malati o comunque non abili a una vita produttiva.  La Penny con il suo innegabile talento narrativo, ci mette di fronte a quello che razionalmente ci rifiutiamo di accettare. Le risorse, alimentari energetiche mediche, sono insufficienti per una popolazione sempre più numerosa in cui la percentuale di soggetti bisognosi di protezione, che diventano di fatto un costo, aumenta proporzionalmente. Forse l’unica voce che ha avuto il coraggio, perché di questo si tratta, di affrontare un tema tanto delicato e che tocca nervi scoperti in tanti di noi se non in tutti. Perché siamo umani e se razionalmente, umanamente appunto, siamo portati ad essere solidali, laddove il diritto dell’altro rischia, anche solo idealmente, di mettere a rischio il nostro, in molti il “mors tua vita mea”, prende il sopravvento sull’umanità. Ad aumentare la percezione dell’inevitabile dicotomia che coinvolge tutti credo, c’è la presenza della nipotina di Gamache, affetta dalla sindrome di down a rappresentare quei soggetti fragili che tanto hanno pagato durante la pandemia, forse inevitabilmente o forse no e a quell'”Andrà tutto bene” che ci ha dato forza, sottovoce dovremo o dovremmo aggiungere se.

IL GRANDE HANS

foto reperite in rete

Siamo a poco più di metà strada fra il SalTo22 e il SalTo23, a questo punto se l’ufficio stampa della Casa Editrice o l’editore mi schifano quando mi vedono, mi tocca anche stare zitta. La punizione però me la sono inflitta da sola. È vero che ho problemi con i pdf che il mio vecchio kobo schifa, è vero che ho avuto un po’ di cose che mi han portato via tempo sono vere un sacco di altre cose, ma così imparo. Ecco.

L’autore del romanzo è Daniele Grillo, giornalista ligure che ha già pubblicato un bel po’ di cose, che evidentemente nel mare magnum mi erano sfuggite, sempre e solo mea culpa, questo è il suo primo romanzo non di genere e fidatevi che una storia d’amore di viaggio di vita così coinvolgente, non mi capitava sottomano da tanto. Hans Gueber, il protagonista è un gigante (2 mt e 18) ma la sua grandezza – altezza – fisica è niente paragonata alla sua grandezza morale. Da anni vive solo nella grande villa affacciata sul lago, sostenendo come può la figlia lontana a cui manca solo l’abilitazione per diventare avvocato e passa ore e ore a sperare che la sua Ju Ju si risvegli dal coma in cui è caduta una mattina, senza un perché, quattro anni prima. Lui è in pensione di ore libere ne ha tante,la maggior parte dedicate a stare con lei, incurante delle poche speranze che gli danno i medici, paziente, senza mai perdere la speranza di rivedere gli occhi del suo amore riaccendersi. Le parla la accudisce la coccola e intanto… Della trama vi dirò poco altro perché senza essere un giallo, qualunque cosa vi dicessi rovinerebbe la magia che Grillo ha saputo creare pagina dopo pagina, la magia e le sorprese che il grande Hans riserva al lettore. Sorprendente è forse la parola che meglio descrive il romanzo e lo stesso Hans. Un personaggio ben diverso da come appare agli occhi degli altri, non c’è una pagina che lasci indifferenti, c’è tenerezza c’è saggezza c’è una visione della vita che ad essere capaci di averla (e attuarla), non ci sarebbe una sola persona infelice in tutto il globo terracqueo. Ad un certo punto sembra che Hans sia impazzito ed è qui che subentra il romanzo di viaggio, seguiamo giocoforza gli spostamenti dell’uomo per mezzo mondo, dalle rive del tranquillo Attersee in Austria a Praga dove il suo vecchio amico Piotr col suo ancor più vecchio taxi, decisamente stupito, lo accompagna alla piccola chiesa ortodossa, una chiesetta di legno come tante altre. E poi in Islanda a Svartifoss, in Africa e poi nel Salar prima di arrivare in California. Non è impazzito il grande Hans e sembra che ad ogni tappa incappi in un problema più grosso del precedente ma come un mago in incognito ad ogni tappa lascia delle piccole briciole da seguire perché quel problema si risolva. Impossibile non amare questo gigante buono, non partecipare alla sua missione e non restare sgomenti ma con un sorriso alla fine del viaggio. Rimane dentro quest’uomo strano e insegna cosa si può nascondere dentro ogni persona che incontriamo e sperare di trovare almeno un Hans sulla nostra strada.

FAIRY TALE

Raccontami una storia di paura

No, non è decisamente un caso se oltre ad essere la traduzione del suo nome King è diventato il Re in tutto il mondo. Impossibile da classificare da chiudere in un genere, è horror? Si. È thriller? Si. È noir è fantasy è storico è…Tutto quello che vi viene in mente è! Ha messo la parola fiaba nel titolo e via via che scorrono le pagine, che sono 598 se non erro, ti rendi conto che ha davvero scritto una favola che ha fra gli altri protagonisti le favole, sì quelle che conosciamo tutti, dove ci sono i lupi le fate le streghe gli animali che parlano i nani malefici principi re principesse giganti morti viventi e chi più ne ha più ne metta (perché ne ho citato solo alcuni). Mondi che si incrociano, che trovano il punto di contatto in un diciassettenne che ha già vissuto tanta vita quanta se ne vive nel triplo degli anni e per aver fatto una cosa apparentemente normale, si trova catapultato in un vortice di situazioni dove deve prendere decisioni che potrebbero cambiare il destino di molte, moltissime persone. Come sempre ci sono più piani di lettura, la storia di Charlie, un diciassettenne – e sappiamo che infanzia e adolescenza sono temi molto cari a King – che si incasina un po’ (un po’ tanto a dire il vero), la vita per aver fatto una buona azione, no un’azione logica e normale a pensarci bene, ma non scontata. E poi c’è l’amore per un cane, che voglio vedervi a non innamorarvi e anche gli animali domestici sono un punto fermo nella produzione del re. Poi ci sono le responsabilità, le scelte obbligate, le sfide che a volte sembrano impossibili, quelle che la vita ti butta addosso e sta a te decidere se accettarle o meno.

Il solito libro quindi. No. King è in grado di affrontare gli stessi argomenti declinandoli verrebbe da pensare all’infinito e nei suoi romanzi c’è tutto, tutta la gamma dei sentimenti umani, c’è la bontà la cattiveria l’egoismo e la generosità l’estrema razionalità e la fantasia più sfrenata e sono tutte equamente divise nei vari  (tanti) personaggi che animano le storie e non un buono e un cattivo, esattamente come nella realtà in ognuno c’è del buono e del cattivo e ognuno li tira fuori a seconda delle necessità del momento.

Come ogni volta che si apre un libro del buon vecchio Steve, mettetevi comodi, per almeno un paio di giorni assicuratevi di non avere impegni, preparatevi a qualche attimo, più di qualcuno forse, ad aver paura a fare il tifo a intenerirvi a incazzarvi e poi a commuovervi e…se anche a smettere di trattenere il fiato non ve lo dico. Buon viaggio

REQUIEM PER UN AMICO

Brian Freeman

Potrebbe far finta di nulla Jonathan Stride, ha taciuto per tanti anni, la storia è morta e sepolta esattamente come il corpo di Ned Baer, dato per annegato e disperso nel fiume sette anni prima. Potrebbe non dar peso alle parole che Steve Garske gli dice poco prima di morire, potrebbe lasciare che i morti riposino in pace. Ma non lo farà. La principale caratteristica dei thriller di Freeman è proprio di mettere al centro della storia le vicende personali dei suoi protagonisti facendole diventare Il Caso. Abilissimo nel costruire trame intricate in cui si intrecciano più storie apparentemente slegate, fino alla conclusione che riunisce tutti i fili. in questo romanzo, la morte di Baer che si scopre essere stato ucciso, riporta prepotentemente all’attenzione della cronaca fatti che trent’anni prima hanno visto Andrea, diventata poi la seconda moglie di Stride, vttima di una violenza sessuale che molti anni dopo, viene attribuita a un politico. Il Caso riguarda Stride tanto strettamente, che il tenente si trova ad essere sospeso dal servizio in quanto principale indiziato dell’omicidio. La trama parallela riguarda invece la giovane Cat, ragazza problematica, più volte abusata, abbandonata e diventata giocoforza una prostituta, che i coniugi Stride hanno accolto a casa amandola come una figlia. La ragazza è vittima di stalking da parte di un ammiratore sconosciuto ed estremamente pericoloso, al punto che le viene messo vicino un agente che la protegge h24. Vicenda che si scoprirà strettamente intrecciata a quello principale. Non ha niente del “supereroe” il tenente Stride, se non un’etica ormai rara, condivisa con Serena e la sua vice Maggie e una capacità di amare fuori dal comune, oltre alla rara capacità di unire davvero le forze e riuscire insieme a trasformare i problemi in opportunità, a trovare serenità dove non c’è. Dire di più sulla trama di questo thriller non si può perché il piacere maggiore dei lettori di Freeman deriva dalle sorprese continue e dai colpi di scena che si susseguono fino all’ultima pagina. Chi sceglie di leggere Freeman, uno degli autori americani più amati, sa cosa aspettarsi e non rimane deluso. Nemmeno questa volta. “Restarono in silenzio, a guardare la risacca e il sole scintillante sull’acqua. Sulla sinistra, la città si stendeva sulla collina. All’orizzonte, una nave da carico piena di minerale grezzo si dirigeva verso il ponte mobile. Era una giornata perfetta a Duluth.”

GIORNI BELLI CON I LIBRI BLU

ATTENZIONE POSSONO PROVOCARE DIPENDENZA

Ne parlerò più esaustivamente e separatamente su Mangialibri, però proprio come capita agli artisti (che mi perdoneranno l’ardimento del paragone) ho proprio l’urgenza di raccontarvi questi tre e spingere chi non li conoscesse (ma che davero esiste qualcuno che non?) o chi ancora non li avesse letti a provvedere al più presto. Andiamo con ordine? Sì, alfabetico per la precisione. Bruzzone Samatha, coniuge e complice (lui lo dice da sempre e finalmente in copertina c’è anche lei) di Malvaldi Marco. Tutta la scienza e la conoscenza di due cervelli parecchio funzionanti, messe a servizio del divertimento intelligente e credetemi che i due di scienza e conoscenza ne hanno a iosa di loro. Come ebbe a dire mi pare Umberto Eco, non è fondamentale avere tutte le risposte ma sapere esattamente dove cercarle quando ti servono. Questi due non solo sanno dove cercare le risposte, ma sono in grado di inventarsi le domande alle quali darle. Manzini Antonio, quando scrive di Rocco Schiavone è splendido ma quando racconta altro diventa superlativo. Una storia di provincia, di campanile, in cui descrive le miserie e le rivincite, che sanno di miseria anche quelle, di chi è costretto ad abbassare la testa, dagli eventi le circostanze la vita in generale. Lo fa con apparente distacco, dico apparente perché nei suoi romanzi, soprattutto quando parla di bambini e giovani, c’è compassione, quella vera che fa trasparire il dolore che provocano le ingiustizie e questa, La mala erba che infesta e soffoca, è di quelle che non può essere risolta da un tribunale o da un’indagine di polizia. Non è un thriller ma di sicuro se associamo il noir al romanzo “sociale”, è nero come la pece. Recami Francesco fiorentino, già inventore del Consonni e Co, abitanti di una casa di ringhiera in Milano, intorno a via Porpora. Anche lui come gli ideatori di romanzi seriali, ogni tanto esce dallo schema e se posso, si gode. La sinossi parla di un killer che come copertura è un tranquillo impiegato dell’inps. Ci si aspetta una storia intricata e ricca di humor nero (che è poi la sua cifra, di Recami non degli impiegati statali). Epperò parliamo di 573 pagine di romanzo, riuscite a immaginare quante trame orizzontali verticali e diagonali può essersi inventato? Non ci provate neanche perché non ci riuscireste. Dai colleghi corrotti, che non potevano mancare a un ipotetico ulteriore killer che decapita cani, anche quelli di gente che ha affari sozzissimi e poi sedicenti universitari, figli di ‘ndranghetisti, spogliarellisti, attentati, fino a una finta Sibilla e vi ho detto solo quel che succede nelle prime pagine. Dando per scontata la ricchezza lessicale del toscano (inteso come l’autore) e il suo amore per l’assurdo insieme a una fantasia che si riscontra raramente, ha messo insieme una storia in cui oltre alle millemila trame che si incrociano pefettamente, è palesemente nascosta una spietata disincantata crudeltà che sbeffeggia elegantemente tutti, perché in un pochino di quei personaggi, con un po’ di onestà ci si può riconoscere tutti.

Da Mosca all’Alto Adige o viceversa

Ancora un consiglio doppio, perchè siamo onesti, chi ama leggere ama anche variare genere trovare cose nuove e soprattutto avere tanti libri.
Il primo consiglio è un romanzo strano, la recensione la trovate su Mangialibri, se comunque avete letto e amato Bulgakov Gogol e arrivo ad accostargli anche Kafka perchè sono una donna esagerata, non fatevi scappare Il violista di Orlov. Una storia che va oltre il fantasy arriverei a definirlo onirico e visionario, la vita di un uomo con qualcosa in più (è per metà figlio di un demone) che però usa i poteri in modo del tutto diverso da come ci si aspetterebbe. A me è piaciuto davvero tanto, l’unica avvertenza è di non fissarvi sui nomi dei millemila personaggi che circondano Danilov, fra nomi cognomi patronimici soprannomi, potreste perdervi (a me fino ad un certo punto è successo).

Col secondo suggerimento torniamo in Italia, grave lacuna della sottoscritta che si era persa Luca D’Andrea, ho rimediato leggendo Il respiro del sangue, ottimo giallo con un protagonista, Tony Carcano, che ha una storia mediamente triste ma niente di troppo drammatico, che gli ha dato la spinta per diventare uno scrittore, che essendo cresciuto in quartiere difficile di Bolzano (avreste detto che anche lì ce n’è uno?), si è fatto crescere le palle ma senza bisogno di esporle, ha fatto maturare il suo senso dell’umorismo senza farlo diventare troppo invadente e dulcis in fundo, gira con un san bernardo da 110 kg. Racconta D’Andera di strane cose, di quella “magia” che spesso si trova in montagna, a cui troppo spesso si ispira la gente per fare delle realissime cose brutte.