IL BIANCO E IL NERO

Amal Bouchareb

Leggendo i romanzi che Le Assassine pubblica nella collana Oltreconfine non ci si limita a un tempo più o meno lungo di relax o di svago, anzi, nel caso de IL BIANCO E IL NERO dell’algerina Amal  Bouchareb, si entra in un mondo ai più sconosciuto.  Non sono certa che si possa considerare un giallo, anzi direi che decisamente il giallo è l’ultima cosa importante in questo romanzo. Si parte con un morto, un artista di fama internazionale italoalgerino che è tornato ad Algeri inseguendo un’ambizione, quella di dipingere il quadro perfetto attraverso un viaggio a ritroso nelle sue origini. Ma la sinossi la trovate al link, quello che importa in questo polposo racconto è tutto quello che gira intorno. C’è la Storia, la colonizzazione francese certo, ma anche la presenza degli ebrei che hanno dato e preso, c’è la religione o meglio quella parte di islam di ebraismo sufismo e tanto altro che ha influenzato lo sviluppo di tante tradizioni che insieme al resto identificano una cultura, c’è la geografia, perché l’autrice con gli spostamenti dei protagonisti e del racconto ci porta a spasso e non è possibile semplicemente archiviare i nomi dei posti nella memoria. Ho parlato dell’ambizione di dipingere il quadro perfetto, non è un caso se ho usato la parola ambizione e non ricerca o ispirazione, perché ambire a qualcosa che sia o tenda alla perfezione non viene dal desiderio di realizzare qualcosa per gli altri, ma per sé e una spinta così potente può venire solo dal fuoco che accende dentro la filosofia. Poi c’è la magia, quella bianca e quella nera che si incrociano a Torino, insomma non manca nulla e per di più è scritto bene. Volete un termine di paragone, A che punto è la notte, sì sì, proprio quello di Fruttero e Lucentini. Ecco, non è un romanzo da leggere per rilassarsi, richiede concentrazione e spesso un accesso a san google.  Non so se sia una strada facile quella scelta da Le Assassine, vendere è più facile se dai al lettore solo pagine da relax, ma la lettura è altro e qui lo troviamo, per di più, c’è la scelta di pubblicare solo donne, in un momento in cui ogni giorno c’è notizia di un omicidio che vede soprattutto vittime femminili uccise senza una ragione che non sia impedirne l’autonomia. Che poi va a finire o almeno c’è il rischio che cercando di approfondire quel tanto che basta, si arrivi a capire quel che abbiamo intorno, – che non è esattamente il massimo – a capire come si può e si deve rapportarsi agli altri con la conoscenza reciproca. Non un romanzo semplice, ma io so che chi passa di qua a leggere le mie opinioni, ama anche scoprire cose nuove, modi diversi di approcciare la lettura e quello che se ne può ricavare. 

SCELTE SBAGLIATE

Edizioni Le Assassine continua nella sua costante e ascendente ricerca di autrici e romanzi, contemporanee e non, senza sbagliarne una. Nello specifico parliamo di un’autrice finalmente non nordica (mi perdonerete ma io di paesaggi banchi freddi e desolati, per quanto bellissimi mi sono un po’ stufata). Nella collana Oltreconfine, troviamo Scelte sbagliate di Susan Hernàndez, autrice Catalana ( di cui spero di trovare tradotti gli altri romanzi). Siamo oltre il noir siamo oltre il giallo psicologico. La storia relativamente e apparentemente semplice di due coppie o forse di quattro persone, due fratelli il cui nome nel piccolo centro della Catalogna dove vivono, è sinonimo di ricchezza di benessere di potere. Sono i Badia. Eredi del salumificio che sostiene quasi tutta l’economia del paese. Àxel è stato dichiarato affetto da un disturbo psicotico, dovuto all’abuso di alcol e droghe e dal quel momento praticamente ripudiato dal padre che sposta ogni aspettativa sul fratello più giovane Rai, accettando di tenere il figlio maggiore in azienda a fare qualcosa di poco impegnativo, togliendogli ogni responsabilità e buona parte dell’eredità. I due sono sposati con due amiche, super Carla, la donna perfetta, professionista affermata elegante sempre impeccabile, moglie e madre di Joel, ha “incastrato” Rai nel modo più banale, restando incinta, Àxel ha spostato Lisa, amica di super Carla. I due non hanno figli, per scelta di Lisa, e non sono riusciti a mantenere una vita normale se non benestante. La voglia di rivincita, di “vendetta” di rivalsa sulla vita fa sì che venga fatta la prima scelta sbagliata, e a volte il prezzo da pagare è altissimo.

Perché lo consiglio caldamente? Perché è scritto bene, tradotto bene, perché descrive un mondo che nonostante tutte le speranze di no, esiste. Perché Rai super Carla Àxel o Lisa, potremmo essere noi e Joel nostro figlio. Perché uscire dalla confort zone degli autori che conosciamo e amiamo è utile. Perché dovreste leggerlo? Perché sapete di potervi fidare di quello che consiglio (spero), se così non fosse non si capisce cosa facciate qui.

I consigli spot

Tornano i consigli veloci, quelli senza una rece vera e propria, per la piscina il prato in montagna, insomma dove vi va di andare andate, ma fatelo con un libro che è meglio.
RiccardinoSellerio – lo trovate in due versioni, singola oppure con anche la prima versione, cambia solo la lingua (il vigatese inventato da Camilleri che si è evoluto nel corso degli anni). La soluzione che il maestro si è inventato per concludere la serie (pronto da anni), è effettivamente ottima anche se non nuova, ma evidentemente come ha funzionato nel passato, continua ad essere efficace. C’è nel romanzo la freschezza che ultimamente (mi perdonerete ma le opinioni sono personali), aveva un po’ lasciato il posto a una stanchezza – di autore e personaggio – per chi ha amato Montalbano assolutamente imperdibile, e per chi non lo conosce o non lo ama, l’occasione per dargli una chance, magari partendo dall’inizio.
Un Lansdale fuori dalla serie di Hap e Leo, uno di quelli che ti bevi come una bibita fresca sotto l’ombrellone. Anche in Una cadillac rosso fuoco Einaudi – la scrittura del texano è sempre piacevole e scorrevole, le storie – questa non fa eccezione – sono più o meno leggere più o meno incasinate, non si sa mai dove andrà a parare. Non mancano, sia pure toccati da lontano, i temi cari a Lansdale e una velata denuncia sociale. Come sempre un autore che va letto.
Ultimo ma non meno accattivante romanzo da mettere in valigia o nel reader, è l’esordio di Alessia Tripaldi, Gli scomparsiRizzoli – un thriller psicologico che vede protagonista nientepopodimeno che un discendente del discusso Lombroso. Il focus si capisce che indirizza alle scomparse dei minori, a volte ritrovati a volte per sempre, partendo dal ritrovamento di un ragazzino e di un cadavere che lui indica come il padre. Ottimo lavoro e ottimo thriller.

Carlotto e le Variazioni sul noir

Variazioni sul noir, così si intitola la raccolta di racconti di Massimo Carlotto pubblicata da CentoAutori per “celebrare” i suoi 25 anni di libri.
Sostengo da sempre che il racconto è una delle forme più ostiche con cui uno scrittore può cimentarsi, oltre al talento e se parliamo di noir la cosa si complica, è necessario avere il dono della sintesi, soprattutto mentale che permetta di dire tutto in poche pagine. Bisogna saper cogliere l’essenziale e far arrivare al lettore solo quello.
Va detto che è un dono che Carlotto padroneggia totalmente. I racconti sono sette di cui due inediti mentre gli altri sono apparsi negli anni in antologie giornali raccolte eccetera. Personalmente me li ero persi e sono di molto grata a CentoAutori che li ha pubblicati.
Parlano di uomini e donne apparentemente normalissimi che fanno cose inenarrabili, un paio sono davvero diabolici, uno agghiacciante e gli altri ottimamente neri.
La particolarità di Carlotto (anche se ammetto che la mia percezione della scrittura potrebbe essere falsata dalla percezione personale dell’uomo) è la capacità di descrivere le peggiori atrocità con una freddezza e un distacco che lo rendono riconoscibile dopo poche righe. Nessuno dei suoi personaggi sbraita urla o dà in escandescenze. Sono glaciali nel bene e nel male, anche le vittime. E attenzione, per quanto possa sembrarlo non è una critica, anzi è un punto di merito perché focalizza l’attenzione sull’azione e quello che la scatena, che sia frutto del presente o del passato.
Se è vero che ognuno di noi è la somma del suo vissuto, Carlotto è una delle persone (spero che mi perdoni questa considerazione in virtù degli ormai parecchi anni di conoscenza stima e affetto da parte mia) che come insegna Stanislavskij, ha metabolizzato una parte della sua vita, ed è riuscito a trasferire nelle parole tutte le emozioni, dalle migliori alle peggiori, senza lasciare che lo divorassero. (No, non sto facendo la psicanalisi da salotto, ma solo da quello e dal puro talento, può venire il distacco di cui parlavo prima).
Alla fine, converrete che questa capacità, è esattamente quello che fa la differenza fra un grande e un mediocre.

Letizia Vicidomini – letta per voi da Brunella Caputo

Ebbene sì, dopo anni di onorata solitudine su queste pagine, abbiamo una new entry. Suppongo che la conosciate È (come si evince dal titolo) Brunella Caputo, regista, attrice teatrale, autrice di testi teatrali. Ha riadattato per il teatro i radiodrammi di Ellery Queen. Scriveper quotidiani salernitani. È Coinvolta in svariate associazioni culturali è ideatrice del progetto video-fotografico “Scritti di Luce – Autori in immagini e parole” e del progetto “Letture d’autore – la musicalità della lingua italiana” che promuove e insegna, attraverso l’utilizzo di testi teatrali e di narrativa, la lingua italiana in Brasile. Il suo racconto 24 ore a Rio è presente nell’antologia Crimini sotto il sole pubblicata da Novecento Editore.(informazioni reperite su Salernoletteratura per evitare di dimenticarmi qualcosa). Io sapevo solo regista autrice di testi teatrali e attrice, però ha trovato il tempo di raccontarci Lei era nessuno di Letizia Vicidomini, quindi godetevi la rece e anche il libro. Benvenuta Brunella.

È la sorprendente storia di una donna che ha sofferto, di una donna innamorata, di una madre sempre presente.
È la storia di Ines.
Il dolore della vita, quello che arriva a condizionare il battito del proprio cuore, rende Ines una donna indipendente e forte.
Vedova, con due figlie a cui dedica tutta la sua vita tranne piccoli spiragli d’amore sconosciuto.
Sola, ma con un uomo misterioso a riempire i suoi vuoti; forse ad abitarli.
Giuseppe abita i vuoti di Ines, quelle voragini incolmabili all’apparenza ma profonde fino al profondo dell’anima.
Giuseppe l’ha resa felice per vent’anni.
Un uomo all’apparenza unico, che la riempie d’amore.
È in paradiso Ines, nel paradiso dei sensi ogni volta che i loro corpi si sfiorano.
È felice.
Ma quanto dura la felicità?
È eterna o è solo un attimo che fugge anche se quest’attimo dura tanti anni?
Improvvisamente Giuseppe scompare.
Manca ad un incontro senza nessuna spiegazione.
Ines cade nell’abisso della disperazione. Si era fidata di lui, di ciò che le raccontava.
Aveva l’amore e non le serviva altro, tantomeno approfondire dettagli di vita.
A cosa serve un dettaglio insignificante se c’è l’amore e se c’è un perfetto contatto fisico a suggellare questo amore?
Domande, infinite domande.
Giuseppe scompare.
Potrebbe essere morto.
Nessuno avvisa Ines perché nessuno sa di lei.
“Lei era nessuno nella vita di quell’uomo”.
E Giuseppe? Anche lui era nessuno?
È testarda, Ines.
Deve sapere.
Saprà.

Bella, uso l’aggettivo più comune ma l’unico efficace, una storia bella.
Bello, lo uso anche al maschile, un noir bello senza necessità di indagini scientifiche, senza assassini da scoprire.
Una storia dell’animo umano e di tante sue possibili deviazioni.
Una storia di tutti i giorni, che racconta che il nero, quello vero, germoglia molto spesso nella normalità.
“Da chi meno te lo aspetti”, anche se questo “chi”, poi, ha il suo immenso nero a tormentargli l’anima, a renderlo ciò che forse non sarebbe stato senza un passato di dolore.
Circa trecento pagine che raccontano, con brillante naturalezza e con la poesia che contraddistingue la scrittura di Letizia Vicidomini, il senso del nero della vita quotidiana.
Circa trecento pagine per spiegare che il nero dell’anima non sempre è il nero del cuore.
Circa trecento pagine per scoprire che il serial killer dell’amore…è l’amore.

Vuoto per i Bastardi di Pizzofalcone

Il vuoto per definizione tende a riempirsi, ogni elemento è incline ad espandersi ed occupare lo spazio vuoto. Vale anche nella vita, per gli esseri umani, quando qualcuno ci lascia tentiamo di “sostituirlo/a” velocemente. Ma ci sono vuoti che per quanta roba ci si metta restano devastanti, ci sono vuoti che straziano. Avendo deciso di fare un blog che parla di libri, mi sento in dovere, di scriverne, ma con de Giovanni è sempre più difficile. Cosa vi dico? Che è come sempre eccezionale? Che una volta di più, l’ennesima, ha scritto un romanzo di una cattiveria che non posso definire inaudita solo a causa della cronaca che è ogni giorno più crudele? Eppure come ogni santa volta, te ne accorgi dopo, quando lo hai finito e quel che hai letto è sedimentato. Solo allora realizzi l’enormità di quello che hai letto. Perchè mentre lo leggi ti cattura ad ogni riga, stai in guardia per capire se ti puoi fidare della Rossa (chi è lo scoprite poi da soli eh), ti emozioni e ti inorgoglisci per Aragona, che è balordo ingenuo buffo, ma non stupido e ha un cuore grande. Mentre giri una pagina dopo l’altra ti appassioni e ti ritrovi esattamente dove eri rimasto un anno fa, quando hai chiuso Souvenir con un groppo in gola che è rimasto lì un pezzo e non segui l’indagine, no, bevi avidamente parola dopo parola, riga dopo riga per la necessità di sapere se lui sarà, se lei, se ancora lei, se loro due… de Giovanni dipinge sentimenti, usa tutti i colori, primari e terziari tirandone fuori delle cose bellissime, che in mancanza di altre parole chiamiamo romanzi. E siccome nulla è per caso, mi è capitata sotto gli occhi questa citazione. Con i Bastardi compresi nella gente e aggiungendo qualche sana risata, direi che Dostoesvskij ha detto tutto.

“E tutti si osservano e si saggiano a vicenda con occhi curiosi. Ne viene fuori una sorta di confessione generale. La gente si racconta, si descrive minuziosamente, si analizza davanti al mondo intero, spesso con dolore e sofferenza”..

Fedor Dostoesvskij – 1847

A proposito di razzismo – parliamone con un libro – Cristiani di Allah

Lo avete letto? Nel caso non lo abbiate fatto, rimediate, rimediate subito, così quando vi verrà voglia di mettervi alla tastiera e digitare come forsennati sull’ignoranza degli altri, usando immagini frasi e ridicole scemenze, magari vi fermate un attimo e riflettete. Leggo ogni giorno – troppe volte al giorno ahimè – che dovremmo ricordarci di quanto noi bianchi cattivoni abbiamo sfruttato l’Africa. Ora, siccome non sono nè una negazionista nè una revisionista, non nego che gli europei ne abbiano fatte di ogni, ben imitati dagli americani per altro, ma non è questo il punto. Il punto è, e lo scoprirete o vi tornerà in mente quello che dovreste aver studiato, leggendo Cristiani di Allah, che state dimenticando la Storia. Carlotto voleva parlare di omosessualità, i protagonisti sono una coppia di uomini costretti (come tanti) ad abiurare per poter vivere la loro vita. Certo sottostando ad alcune regole di facciata, ma tutto sommato tranquilli. Secondo me, ma si sa che ognuno nei libri ci trova cose che non necessariamente l’autore aveva in mente, non è venuto fuori un gran servizio alla causa, nel senso che uno dei due è evidentemente innamorato (e in quanto tale fedele), mentre l’altro, pur dichiarandosi innamorato, va allegramente in giro a fare sesso per amore di bellezza (diciamo così). Su questo fatto mi sono già espressa, è l’esatta dimostrazione che come fra gli etero ci sono persone capaci di amare e altri meno. Ma c’è un aspetto storico in questo libro, che sempre a mio parere andrebbe approfondito. Lo schiavismo. Le descrizioni che Carlotto fa, ovviamente documentato come sempre a prova di bomba, del mercato degli schiavi, di come e perchè poteva capitare che si finisse in quel mercato. Valutati come bestie al mercato, in base al peso alla necessità del compratore alle caratteristiche iconografiche legate alla provenienza e ai propri talenti, sono eccezionali. Gli schiavi e le schiave, non hanno colore. Non sono i poveri neri sfruttati, no, sono africani olandesi francesi italiani. Sorpresa eh, vi eravate dimenticati che lo schiavismo ha radici molto più lontane di quelle che vi ricordavate – e sono buona non mi spingo all’impero romano e oltre – Lo so ho un po’ deviato dal solito e del libro vi ho detto poco, ma anche a questo servono i libri, soprattutto quelli di autori garanzia come Massimo Carlotto, a dare spunti di riflessione, ad andare a fondo di tanti argomenti, in buona sostanza a stimolare il pensiero.