L’ODORE DELLA RIVOLUZIONE

Andrea Franco

Giugno 1846, la città eterna è insanguinata da una successione di delitti che miete vittime delle classi sociali più disparate, da uomini di chiesa a un “carnacciaro” – una specie di incrocio fra un gattaro e un venditore di scarti destinati agli animali –  accomunati sembra, soltanto dall’aver subito orribili torture prima di essere uccisi. Don Attilio Verzi, ormai monsignore grazie alla “benevolenza” di Papa Pio IX poco dopo la sua elezione, viene chiamato ancora una volta a indagare, grazie al suo intuito e a quella sua particolare caratteristica di cogliere gli odori che nessun altro sente, compreso l’odore del peccato – per inciso titolo del primo romanzo che lo ha visto protagonista – Le indagini condotte insieme al suo assistente Giani e al capitano della Milizia Iacoangeli, conducono a eventi accaduti cinquant’anni prima durante la Rivoluzione francese. La Rivoluzione del titolo, appunto. Nel corso del romanzo scopriremo che la rivoluzione riguarda anche i personaggi e la loro storia: Attilio, il cui segreto nascosto nel passato si scoprirà solo alla fine e Iacoangeli, coinvolto in una storia d’amore difficile. Perché “le cose cambiano in continuazione, nulla è mai immobile, determinato. E forse, quel profumo strano che si portava addosso Iacoangeli in quei giorni era proprio l’odore del cambiamento, della rivoluzione.” Una serie di gialli storici ambientati nella Roma papalina di metà ‘800, come protagonista un investigatore molto particolare. Monsignor Verzi infatti ha una caratteristica che spiega “l’odore” citato in ogni titolo: è il “fiuto”, una capacità tutta sua di captare e decifrare gli odori delle persone che incontra, e che sente anche aleggiare dai morti e di associarli a particolari caratteristiche umane. La predisposizione alla menzogna,  la cattiveria  l’orgoglio, ma anche la bontà, oltre a situazioni che lo aiutano a individuare il colpevole. Cimentarsi col giallo storico non è certo semplice. Oltre a una buona trama, che regga l’investigazione, bisogna essere il più accurati possibile nella ricostruzione di ambienti ed epoche. Andrea Franco sa renderci una Roma ottocentesca viva, raccontandoci di mestieri che neanche sospettavamo esistere, come quello del carnacciaro,  facendoci assaporare vini antichi, che si chiamano sospiro, chirichetto, fojetta. La contemporaneità degli eventi con personaggi reali, come Mastro Titta, il famosissimo boia, e papa Mastai Ferretti rendono gli eventi ancora più inseriti nella realtà storica e coinvolgenti. L’odore della rivoluzione è il terzo romanzo giallo  scritto da Andrea Franco, molti sono invece i racconti, con protagonista monsignor Verzi. Con il suo primo romanzo, L’odore del peccato, nel 2013 Franco ha vinto il premio Alberto Tedeschi (Gialli Mondadori). A seguire, L’odore dell’inganno, del 2016, e infine questo, uscito a settembre sempre nella collana dei Gialli Mondadori. Se verso la fine alcune scene di una violenza fin troppo efferata mi hanno fatto storcere un po’ il naso, la figura di Verzi però spicca su tutto: la sua capacità introspettiva, il suo mettersi in discussione e temere la sua fallibilità tutta umana, la sofferenza che si porta dentro lo rendono un personaggio vivo e interessante, da seguire con attenzione. E certamente il passato di Verzi non ha ancora finito di svelarci i suoi segreti.

I paragrafi concentrici di Marco Malvaldi

Siamo verso la metà del 1400, a Milano c’è un ducato ovviamente un duca, più di uno a dire la verità, più o meno legittimato a governare dall’alto della sua ragguardevole altezza (all’epoca non era così usuale essere alti) e con la forza che emana il suo sguardo. Anche di carattere pare non fosse proprio un pasticcino, ma ripeto, all’epoca si usava così e quindi più di tanto non ci turbiamo. Al soldo del Moro, che gli ha commissionato una statua equestre in bronzo – enorme – per dare eterno lustro a Francesco Sforza che è morto da ventisette anni, ma come suol dirsi è vivo e lotta insieme a noi, c’è Leonardo da Vinci, maestro riconosciuto in più di un’arte. Le vesti rosa e il fatto che non abbia donne, fanno sì che sia considerato diciamo eccentrico, ma anche questo non è il punto. Si ma allora sto punto? Ok avete ragione, il punto è che Leonardo ha sempre con sè un taccuino che c’è un omicidio che il cavallo ancora non c’è e c’è invece un serio problema di soldi. E poi c’è la scrittura di Malvaldi, come i grandi, i bravi veri, riesce a cambiare restando sè stesso. L’ironia rimane la stessa, sia che parli di vecchietti che ci racconti di una vacanza gastronomica o che imbastisca un giallo su e con Leonardo da Vinci, l’impianto narrativo è perfetto, il plot giallo scorre perfettamente. Un romanzo storico in cui scopriamo che il problema del traffico era già presente nel 1400 ma non solo. Difficile da descrivere quello che fa Malvaldi in questo romanzo, (ah per inciso si intitola La misura dell’uomo) che è poi quello che fa sempre ma in modo diverso. Scrive su due piani, in uno si muove fra ciottoli e polvere fra cene coi nani buffoni e congiure, nell’altro si muove nel presente, il divertimento sta nel non far capire al lettore, se dal passato racconta il futuro o viceversa. Per ultimo segnalo una chicca, in un romanzo che parla di enigmi, usa un gioco linguistico (che viene anche lui da lontano), facendo iniziare ogni paragrafo legandolo al precedente, vuoi con le parole vuoi con i concetti, sì, esattamente come nelle cornici concentriche o meglio ancora nel Bersaglio (quelli della Settimana Enigmistica). Prendi una cultura vastissima (e mi tengo bassa), una dose di sense of humor che sarebbe sufficiente per tre, lo studio accurato dell’argomento e un talento raro, mescola il tutto in un chimico allampanato e dall’aria stralunata et voilà mesdames e mosssieurs, lo scrittore è servito. Ah non so se vi è chiaro, ma non leggerlo sarebbe un delitto.