SCELTE SBAGLIATE

Edizioni Le Assassine continua nella sua costante e ascendente ricerca di autrici e romanzi, contemporanee e non, senza sbagliarne una. Nello specifico parliamo di un’autrice finalmente non nordica (mi perdonerete ma io di paesaggi banchi freddi e desolati, per quanto bellissimi mi sono un po’ stufata). Nella collana Oltreconfine, troviamo Scelte sbagliate di Susan Hernàndez, autrice Catalana ( di cui spero di trovare tradotti gli altri romanzi). Siamo oltre il noir siamo oltre il giallo psicologico. La storia relativamente e apparentemente semplice di due coppie o forse di quattro persone, due fratelli il cui nome nel piccolo centro della Catalogna dove vivono, è sinonimo di ricchezza di benessere di potere. Sono i Badia. Eredi del salumificio che sostiene quasi tutta l’economia del paese. Àxel è stato dichiarato affetto da un disturbo psicotico, dovuto all’abuso di alcol e droghe e dal quel momento praticamente ripudiato dal padre che sposta ogni aspettativa sul fratello più giovane Rai, accettando di tenere il figlio maggiore in azienda a fare qualcosa di poco impegnativo, togliendogli ogni responsabilità e buona parte dell’eredità. I due sono sposati con due amiche, super Carla, la donna perfetta, professionista affermata elegante sempre impeccabile, moglie e madre di Joel, ha “incastrato” Rai nel modo più banale, restando incinta, Àxel ha spostato Lisa, amica di super Carla. I due non hanno figli, per scelta di Lisa, e non sono riusciti a mantenere una vita normale se non benestante. La voglia di rivincita, di “vendetta” di rivalsa sulla vita fa sì che venga fatta la prima scelta sbagliata, e a volte il prezzo da pagare è altissimo.

Perché lo consiglio caldamente? Perché è scritto bene, tradotto bene, perché descrive un mondo che nonostante tutte le speranze di no, esiste. Perché Rai super Carla Àxel o Lisa, potremmo essere noi e Joel nostro figlio. Perché uscire dalla confort zone degli autori che conosciamo e amiamo è utile. Perché dovreste leggerlo? Perché sapete di potervi fidare di quello che consiglio (spero), se così non fosse non si capisce cosa facciate qui.

L’inizio e la fine – Stefano Tura chiude il cerchio

Stefano Tura non ha bisogno di gran presentazioni, autore di thriller giornalista creatore di un Festival del giallo a Cesenatico, volto ormai storico di RAI1, ha esordito con Il killer delle ballerine nel 2001 e poi ha proseguito con il thriller, direi anche con un buon successo. Per farla breve, una volta rientrato in possesso dei diritti sul suo lavoro (l’editoria come la musica è un mondo strano), ha messo in atto un progetto con La Corte editore (che io ve lo dico, è una casa editrice che sa quello che fa). Scrivere il sequel di quel primo romanzo (che era comunque autoconclusivo), tornando per così dire sul luogo dei delitti 20 anni dopo.
Le discoteche ci sono ancora così come ci sono le cubiste, quello che il protagonista de L’ultimo ballo, ex poliziotto coinvolto negli atroci delitti, non si aspettava proprio, è di ripiombare dritto in quello che con qualche variante sembra essere una replica di quanto già vissuto.
Bravo Tura a non fare un copia incolla invecchiando un po’ i protagonisti, ma a inventare una storia del tutto diversa nella sostanza.
Se infatti è vero che la vicenda attuale è diretta conseguenza della prima, i protagonisti il modus operandi e lo svolgimento dell’indagine, sono tutta un’altra cosa. Le differenze fra i due romanzi sono palesi nel linguaggio, il primo ovviamente non era soggetto al politically correct (che semplicemente non esisteva) che oggi è impensabile non seguire se non si vuole finire alla gogna, il secondo è per forza leggermente più pettinato, ma la cosa che più si nota, è l’attenzione che l’autore, evidentemente maturato, pone sul tema delle diversità, in generale, un’attenzione profonda che mette in luce quanto ancora ci sia da fare e riconosce al tempo stesso quanto sia facile distrarsi. Quanto oggi sia possibile diventare vittime nell’indifferenza. L’unico appunto che personalmente mi sento di fare al libro (in particolare al secondo romanzo) è la tendenza a qualche ripetizione di troppo di alcuni rimandi, qualche descrizione che si poteva evitare, ma che tutto sommato nulla toglie a un romanzo da leggere.

Commissari amici e libri in TV

Per gli amanti della lettura di Napoli e di Maurizio de Giovanni, il 25 gennaio rimarrà nella memoria come IL GIORNO. Dopo anni in cui si sono succedute le teorie più strampalate, ipotesi su chi avrebbe interpretato il commissario Ricciardi, trattative per la vendita dei diritti, quale regista sarebbe stato in grado di rendercelo così come ce lo siamo costruiti nel nostro immaginario, finalmente tutte le domande hanno avuto una risposta e ieri sera ci siamo sintonizzati in tanti su RAI1, chi trepidando chi pronto alla critica feroce, soprattutto dopo avere già pontificato il pontificabile sulla fiction ispirata da Mina Settembre. Stamattina la prima occhiata ai trend sui social, per una volta tutti d’accordo. Personalmente non convintissima che D’Alatri fosse il regista giusto, ho dovuto ricredermi dalla prima inquadratura. Calati negli anni ’30 come se l’oggi non esistesse, ci siamo goduti ogni secondo, il San Carlo di quegli anni, con le due opere in programma nella stessa giornata, l’opera come musica popolare e poi lui. Il commissario che non sorride, che vede gli ultimi istanti di vita di chi ha subito una morte violenta. Lino Guanciale si è rivelato perfetto, è entrato in parte amando il personaggio e si è visto. Negli sguardi nei modi nella freddezza nei confronti del vicequestore – dell’autorità – nella pietà verso i morti e infine nel muto dialogo da una finestra all’altra. Quel dialogo muto che ci ha fatto sospirare temere parteggiare. Non faccio l’elenco dei personaggi, sarebbe inutile, dico solo che meglio di così era veramente difficile fare. Una trasposizione delle emozioni, perché questo è stato Ricciardi dal primo all’ultimo romanzo, dal cuore agli occhi. Ho letto post e tweet in cui si diceva “dovrò leggere i romanzi” e questo a mio modesto parere è il grande merito della trasposizione televisiva fatta bene, avvicinare alla magia di un libro, dare l’imput a chi non ha l’abitudine di prendere in mano un oggetto che può portarti ovunque. Ben vengano allora prodotti così ben fatti e ancora, sempre un gigantesco grazie a chi ha iscritto Maurizio a quel concorso, a quella zingarella che gli ha fatto le linguacce da fuori la vetrata del Gambrinus, alla ribolla gialla e a tutti quelli che dal primo momento (un donnino enorme in particolare) hanno creduto nella magia che dopo tanti anni, ci è stata regalata in video. Grazie Maurizio

Come ha detto Salinger “… i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quello che segue vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.“ Anche se sono le 23.30 di un lunedì.

Cadaveri a sonagli

Lea e Nico sono due sbandati che si sono incontrati in un bar, qualche ora di sesso – sebbene a insaputa di lei lui abbia moglie e prole – e giorno dopo giorno il riconoscimento di chi non avendo niente a che fare con la moralità, li fa decidere che svaligiare ville è abbastanza redditizio e relativamente poco pericoloso. Fino a quella mattina (quella della quarta rapina), in cui Carla Maniero, una donna che nessuno ha mai amato, ma il cui patrimonio Gianni Romoli ha sposato, è inaspettatamente a casa. Mentre i due sono nella villa, totalmente ignari della sua presenza – è a letto da giorni per un’influenza e non l’hanno vista mentre facevano i sopralluoghi – Carla sente un cellulare squillare e scende dal letto avventurandosi al piano inferiore per vedere chi ci sia in casa. Preso alla sprovvista Nico non riesce a pensare niente di meglio di “ci dev’essere un malinteso” e poi colpirla non per ucciderla ma per renderla inoffensiva. In realtà la donna, pur sfuggendo al colpo, perde l’equilibrio e cade dalle scale e sembra morta, un osso le fuoriesce dalla spalla ed è in una posizione per cui è impossibile sia viva. Cinicamente Lea sale a frugare in cerca di oro soldi gioielli e intima al complice di togliere dal dito l’enorme smeraldo. Nico seppur sconvolto esegue, mentre stanno uscendo però, quell’informe fagotto riesce a sussurrare: “aiuto”.  Questo è solo l’inizio di una catena di eventi che coinvolge persone che si trovano dove non dovrebbero, altre dove non vorrebbero. Oppure come Dora Baròn, ispettore capo che prende servizio come comandante della stazione di polizia, proprio nel giorno in cui Santa Margherita delle Langhe si trasforma in un mezzo inferno. Per l’ennesima volta in queste settimane, devo ripete la stessa cosa, ci sono morti e qualcuno che li uccide, c’è un’indagine e dei poliziotti, ma non riesco a classificarlo come un giallo. Un noir piuttosto, dove Frascella evidenzia – se mi passate la citazione – la banalità del male. Uscendo dalla sua comfort zone di Barriera di Milano, il quartiere di Torino dove “opera” il suo detective Contrera, terra di mezzo dove ognuno fa i fatti suoi, leciti o illeciti che siano, dove si mescolano i disperati di mezzo mondo approdati per cercare una vita dignitosa e fagocitati dalla miseria dalla delinquenza, mostra tutta la sue qualità di noirista. Cambia anche la scrittura, si adegua a questo paesaggio di provincia dove intreccia le vite di gente comune, che probabilmente non si sarebbe mai incontrata, gente che si trova coinvolta a vario titolo in un episodio criminale che tira fuori da ognuno il peggio. O forse porta semplicemente in luce quella parte che giace nascosta in tutti noi, quella che si adegua alla civile convivenza, ma è pronta a prendere il sopravvento e approfittare delle circostanze per trarre un possibile vantaggio a spese degli altri. Epperò se posso, e non vedo chi me lo impedirà, vi dico che a me questa prova ha convinto molto più delle altre, che pure mi sono piaciute assai.

Continuano le Commedie nere – N° 4 La cassa refrigerata

“La morte della vecchia però esclude che l’assassino sia lei stessa, non è più fra i sospettati”… “la sua morte non la scagiona nemmeno dall’essere l’assassina di sé stessa”. Il dialogo virgolettato è solo uno dei tanti che si svolgono fra i convenuti a casa della signora Maria Carrer, di anni 82 evidentemente deceduta per motivi naturali, che giace nella cassa – che come da titolo ha la particolarità di essere refrigerata e permettere di vedere il volto della defunta – in attesa dell’ultimo saluto nel salotto di casa sua. Il particolare che fra la ventina di presenti in attesa di entrare, ci sia solo un parente lontano, che peraltro la defunta non vedeva da anni, è la cosa meno surreale che Recami si è inventato nel mettere insieme questo quarto volume delle Commedie nere. Un compito non facile quello che si è dato lo scrittore fiorentino, i morti perlopiù ammazzati – e garantisco che non sono pochi – diventano leggeri come palloncini, volano via tranquilli senza lasciare nel lettore la benché minima pena. Ci sta, non per nulla sono commedie, ma il surrealismo delle storie e dei dialoghi, se la gioca alla pari con Whodehouse, con Oscar Wlide e Woody Allen. Credete che stia esagerando? No affatto, l’umorismo nero (quasi esclusivamente inglese ed ebraico e da non confondere con la satira) è davvero una delle cose più elitarie che si possano immaginare, è dissacrante irrispettoso ironico con tendenza al sarcasmo e non è nemmeno scontato che sia di immediata comprensione, moltissima gente, probabilmente per una questione di educazione e cultura, non ride e non riesce a coglierlo. Francesco Recami, che a ben pensarci l’aspetto di un tranquillo signore britannico un po’ ce l’ha, quando apre bocca o prende i mano la penna, si mostra, per restare in casa nostra, per quel toscanaccio che è, raccontando storie adorabili.
Evidentemente, visto il successo indiscusso, riesce comunque ad andare oltre il nero che dicevo ed è da tempo una delle punte di diamante di Sellerio. Oltre a leggere senza meno il libro e se li avete persi anche i precedenti, sia le Commedie che la serie della casa di ringhiera, quando finalmente si potrà incontrarsi di persona, mi riferisco ovviamente alle limitazioni dovute al virus, non perdetevi una delle poche presentazioni che concede.

Troppo freddo per Settembre

Un inverno particolarmente freddo, insolito a Napoli, permette a Mina (Gelsomina all’anagrafe), di camuffare ancora più del solito il suo esuberante e imbarazzante – per lei – Problema n° 2. Per chi non avesse letto il precedente – vergogna e 5 minuti in ginocchio sui ceci – l’assistente sociale, che viene da un quartiere bene ma lavora nel consultorio più scalcagnato di Napoli, nei Quartieri con quel che ne consegue, ha un fisico che inspiegabilmente resiste alla forza di gravità e al passare del tempo, nonché una quinta abbondante, il problema n° 2 appunto. Il fascinoso ginecologo che la affianca al consultorio DomenicoChiamamiMimmo, palesemente cotto di lei ma che Mina sappia fidanzatissimo, continua a turbarla, ma la turba molto di più la richiesta di aiuto di una madre che le si rivolge chiedendo aiuto. Nè Mina nè la donna sanno se e cosa sia possibile fare,qualcosa va fatto e Mina non esita a superare il turbamento e coinvolgerlo in qualunque cosa le venga in mente di fare per aiutare questa donna.
Nel frattempo, un anziano professore viene ucciso, cioè potrebbe esserci suicidato, ma il procuratore che casualmente è anche l’ex marito di Mina, scova qualcosa che non lo convince e peraltro lega l’omicidio alla vecchia signora che ha chiesto l’aiuto di Mina. Naturalmente ognuno dei due è all’oscuro del coinvolgimento dell’altro.
E la miseria, quanta trama vi ho raccontato, allora veniamo al succo, si ride, con quell’umorismo al limite del sarcasmo che abbiamo imparato nei confronti del povero Aragona (sì l’agente dei Bastardi), ma che nel sarcasmo vero e proprio non scivola mai, perchè de Giovanni ama i suoi personaggi pur riconoscendone le debolezze e gliele perdona. Cresce il personaggio di Mina Settembre, e si alza l’asticella dei problemi in cui si trova coinvolta. L’autore di Ricciardi dei Bastardi di memorabili racconti sulla cronaca e sul calcio, della donna invisibile, è sempre riuscito ad evitare un argomento che chiunque scriva di Napoli è praticamente costretto a toccare, la camorra. Ebbene stavolta ne parla ma lo fa come lui solo credo può fare. Con dolcezza, lo so, sembra un paradosso ma è esattamente così che deGio riesce a parlarne. Andando dentro le anime anche di gente che teoricamente non ci pensa un attimo ad ammazzare. Ci va con la storia di un”anziano”, schifato (come direbbero a Napoli) dal figlio la nuora e i nipoti, ma adorato dalla nipotina decenne, a cui affida quello che deve lasciare al mondo. La saluta rendendo dolce anche la morte, con l’amore che solo i nonni possono dare e ricevere dai bambini. Lo fa raccontandole delle storie, una in particolare. Lo scrittore, il raccontatore di storie, anche parlando di camorra e morte, come sempre, usa una delicatezza e un’arte nel maneggiare le parole, che lasciano storditi. Come dicevo all’inizio, dopo i racconti e il primo romanzo, la calibratura fra divertimento e racconto è praticamente perfetta. Io dico che anche gli scettici, stavolta si innamoreranno senza dubbio di questa signora, che per inciso, vedremo anche in tv con il volto e il corpo prestati da Serena Rossi.
PS : la storia che la bimba vuole sentire sempre, è una di quelle che la signora Edda ha raccontato a lui e ai suoi fratelli e poi ai nipoti quando erano piccini. Quella piccola donna che racchiudeva un cuore gigantesco, è sempre stata presente nelle storie di de Giovanni ma leggere oggi della scodella è più dolce e doloroso che mai.

Gli scomparsi

A volte tornano, a me per fortuna è tornata la voglia di leggere, dopo un periodo in cui non riuscivo a concentrarmi. Ve lo avevo messo nei consigli stando sulla fiducia di lettori con la L maiuscola, adesso la Tripaldi e i suoi Gli scomparsi – pubblicato da Rizzoli – l’ho letto. Bello, un esordio pulito e fresco con personaggi decisamente non convenzionali. Il trisavolo di Lombroso, nientepopodimeno. Il romanzo prende il via dal ritrovamento di un ragazzo che sembra non avere un passato, vissuto nei boschi insieme al padre o almeno lui così definisce l’uomo di cui ha sommariamente sepolto il cadavere. La Tripaldi con un linguaggio crudo ma mai volgare, scandito da capitoli brevissimi – alla James Patterson per capirci – porta avanti l’indagine del commissario Lucia Pacinotti, che si trova in contrapposizione con la task force creata appositamente per capire chi fosse il padre chi sia il ragazzo e se sia o meno l’unico. La figura di Lombroso è controversa, come già accaduto al suo trisavolo di cui applica le tecniche e gli studi. Un thriller molto psicologico su due fronti. Quello che indaga nella mente di un bimbo rapito e cresciuto nel fanatismo religioso (con annessi e connessi) e contemporaneamente in quella di un uomo costretto dal nome che porta ad abbandonare i suoi sogni. Non perdetevelo perché merita davvero

I consigli spot

Tornano i consigli veloci, quelli senza una rece vera e propria, per la piscina il prato in montagna, insomma dove vi va di andare andate, ma fatelo con un libro che è meglio.
RiccardinoSellerio – lo trovate in due versioni, singola oppure con anche la prima versione, cambia solo la lingua (il vigatese inventato da Camilleri che si è evoluto nel corso degli anni). La soluzione che il maestro si è inventato per concludere la serie (pronto da anni), è effettivamente ottima anche se non nuova, ma evidentemente come ha funzionato nel passato, continua ad essere efficace. C’è nel romanzo la freschezza che ultimamente (mi perdonerete ma le opinioni sono personali), aveva un po’ lasciato il posto a una stanchezza – di autore e personaggio – per chi ha amato Montalbano assolutamente imperdibile, e per chi non lo conosce o non lo ama, l’occasione per dargli una chance, magari partendo dall’inizio.
Un Lansdale fuori dalla serie di Hap e Leo, uno di quelli che ti bevi come una bibita fresca sotto l’ombrellone. Anche in Una cadillac rosso fuoco Einaudi – la scrittura del texano è sempre piacevole e scorrevole, le storie – questa non fa eccezione – sono più o meno leggere più o meno incasinate, non si sa mai dove andrà a parare. Non mancano, sia pure toccati da lontano, i temi cari a Lansdale e una velata denuncia sociale. Come sempre un autore che va letto.
Ultimo ma non meno accattivante romanzo da mettere in valigia o nel reader, è l’esordio di Alessia Tripaldi, Gli scomparsiRizzoli – un thriller psicologico che vede protagonista nientepopodimeno che un discendente del discusso Lombroso. Il focus si capisce che indirizza alle scomparse dei minori, a volte ritrovati a volte per sempre, partendo dal ritrovamento di un ragazzino e di un cadavere che lui indica come il padre. Ottimo lavoro e ottimo thriller.

Tre passi per un delitto

Che alla fine chi segue il blog potrebbe anche dire: “ma possibile che non ti capiti mai una ciofeca in mano?” Capita capita, però faccio recensioni ormai da più di dieci anni, ho imparato a scindere quello che è il mio gusto personale da quello che un libro racconta, e se ci avete fatto caso, qualche volta mi è capitato di sconsigliare anziché consigliare.
Qui mi tocca dirvi andate a comprarlo alla velocità della luce, non vi perdete assolutamente questo esperimento perché sarebbe quello il vero delitto.
Un giallo “normale”, in realtà con il giusto colpo di scena, forse intuibile da quelli che fanno le gare ma non per chi si limita a leggere e godersi un romanzo perfetto. La cosa davvero fantastica è che non distingui quello che ha scritto uno da quello che ha scritto l’altro. Non so esattamente come l’abbiano studiata, certamente non come facevano i (per me) mitici F&L, nel senso che i “capitoli” sono tre, uno ciascuno e ogni autore da voce ad uno dei personaggi. L’armonia che sono riusciti a creare è qualcosa di simile a quello che può fare un grande direttore d’orchestra, ma i direttori sono tre e tre gli spartiti che rendono memorabile il pezzo.
Il protagonista è una carogna o forse no, alla fine sono convinta che in molti penseranno di assomigliargli, così come molte, ma senza dirlo, penseranno o vorrebbero avere l’aplomb della moglie.
Uno che si considera migliore di chiunque e non si fa scrupolo a dirlo e ribadirlo rivolgendosi anche e soprattutto al lettore. Figlio di nobili economicamente caduti in disgrazia a causa del gioco d’azzardo, decide di riscattare in qualche modo il nome che porta e riabbinare la nobiltà alla ricchezza. Per portare a compimento il progetto però sono necessari i soldi e dove trovarli se non sposandoli? Marco Valerio Guerra, è tanto abile da trovare la persona giusta da sposare, Anna Carla Santucci (che però si sente ed è a pieno titolo una Guerra), una tosta quanto e più di lui – perché le anime gemelle si annusano e si riconoscono – almeno fino a quando il marito, alla tenera età di settantun’anni, la chiama piangendo e chiedendole supporto morale per la fine di un amore. Ma è solo un attimo, tutto sommato decide la donna, se davvero ha bisogno di lei, può salire in macchina e raggiungerla.
La narrazione a tre voci è perfetta, del commissario Brandi, di Marco Valerio e Anna Carla. E scusate se mi ripeto, le tre versioni si armonizzano come strumenti musicali che non ti permettono di distinguerli fondendosi perfettamente. Tanto di cappello a De Cataldo de Giovanni e Casar Scalia (in rigoroso ordine di apparizione).

Carlotto e le Variazioni sul noir

Variazioni sul noir, così si intitola la raccolta di racconti di Massimo Carlotto pubblicata da CentoAutori per “celebrare” i suoi 25 anni di libri.
Sostengo da sempre che il racconto è una delle forme più ostiche con cui uno scrittore può cimentarsi, oltre al talento e se parliamo di noir la cosa si complica, è necessario avere il dono della sintesi, soprattutto mentale che permetta di dire tutto in poche pagine. Bisogna saper cogliere l’essenziale e far arrivare al lettore solo quello.
Va detto che è un dono che Carlotto padroneggia totalmente. I racconti sono sette di cui due inediti mentre gli altri sono apparsi negli anni in antologie giornali raccolte eccetera. Personalmente me li ero persi e sono di molto grata a CentoAutori che li ha pubblicati.
Parlano di uomini e donne apparentemente normalissimi che fanno cose inenarrabili, un paio sono davvero diabolici, uno agghiacciante e gli altri ottimamente neri.
La particolarità di Carlotto (anche se ammetto che la mia percezione della scrittura potrebbe essere falsata dalla percezione personale dell’uomo) è la capacità di descrivere le peggiori atrocità con una freddezza e un distacco che lo rendono riconoscibile dopo poche righe. Nessuno dei suoi personaggi sbraita urla o dà in escandescenze. Sono glaciali nel bene e nel male, anche le vittime. E attenzione, per quanto possa sembrarlo non è una critica, anzi è un punto di merito perché focalizza l’attenzione sull’azione e quello che la scatena, che sia frutto del presente o del passato.
Se è vero che ognuno di noi è la somma del suo vissuto, Carlotto è una delle persone (spero che mi perdoni questa considerazione in virtù degli ormai parecchi anni di conoscenza stima e affetto da parte mia) che come insegna Stanislavskij, ha metabolizzato una parte della sua vita, ed è riuscito a trasferire nelle parole tutte le emozioni, dalle migliori alle peggiori, senza lasciare che lo divorassero. (No, non sto facendo la psicanalisi da salotto, ma solo da quello e dal puro talento, può venire il distacco di cui parlavo prima).
Alla fine, converrete che questa capacità, è esattamente quello che fa la differenza fra un grande e un mediocre.