SENZA DIRCI ADDIO

Cominciamo col dire che pur essendo il terzo romanzo che racconta quanto accade nella vita dell’ex cronista di nera Dario Corbo, si può tranquillamente leggere senza avere letto i precedenti è assolutamente autoconclusivo. Certo c’è da chiedersi perché negarsi il piacere di leggere dei gran bei noir (nella mia definizione romanzo giallo che non necessariamente vede indagare le Forze dell’ordine e lega le indagini alla società tutta, non al singolo). La narrazione iniziata con La ragazza sbagliata e proseguita in Come una famiglia vede Corbo che lavora con la donna che quando era cronista ha “seguito” come assassina – uscita di prigione e impegnata nel “riordino” del lavoro del padre che era un notissimo artista – che cerca di supportare il figlio con cui ha un rapporto conflittuale, specie dopo la separazione che è accusato di un reato piuttosto pesante, restare vedovo e tentare disperatamente di fare chiarezza su quello che non crede assolutamente essere un incidente. Una storia tosta, in cui l’autore non fa sconti a nessuno e tantomeno a se stesso. La prosa di Simi è scorrevole leggera nonostante i temi toccati siano tosti. Parlo di temi perché le trame sono tante e di conseguenza sono tanti i personaggi che a vario titolo si alternano nella vicenda. L’ironia che quasi naturalmente attribuiamo ai toscani, in Corbo è presente ma addolcita rispetto ad altri corregionali. Un romanzo da non perdere e come dico sempre, Sellerio non ne sbaglia uno e il blu sta bene su tutto quindi che abbiate delle bianche Billy o delle classiche librerie color legno, un salto in libreria ci sta.

AMOR CHE NULLO AMATO…

Quale posto migliore dell’orto botanico per un incontro che è meglio rimanga segreto? Lei adulta lui un ragazzino, ma si guardano con un amore infinito, Questo è quello che vede un giardiniere dell’Orto, che in realtà li tiene d’occhio per evitare che come spesso capita, si infrattino rovinandogli qualche pianta. Lei una meraviglia dai lunghi capelli scuri, lui un biondino delicato a cui manca poco per diventare maggiorenne. Ma quell’incontro non è un semplice rendez vous, è il preludio di una scomparsa che da la stura a una marea di ipotesi pettegolezzi chiacchiere e pruriti, perché Viviana è un’insegnante – sui quaranta – nell’istituto privato che frequenta Davide il quale peraltro, lascia un messaggio alla famiglia, due semplici parole: non cercatemi. Ma come si può immaginare la caccia, soprattutto quella mediatica, parte pressoché immediatamente. Temperante Cagnaccio lancia le sue donne, Smilza in testa e le Cairati al seguito, di nuovo in giro per l’Italia, alla ricerca della dark lady e del ragazzino. E ne scoprono di cose, segreti sepolti che inevitabilmente prima o poi saltano fuori, non senza che la sapiente arte della Teruzzi li fonda con i segreti di Iole (anche se ormai tanto segreti non sono più) e con la vita privata (le piacerebbe) di Libera. Vittoria in questo capitolo praticamente non si vede, ma fa la sua parte per incasinare la vita della nostra ex libraia e farla preoccupare, tanto più che dovrebbe coinvolgere Gabriele che sul lavoro di grane ne ha di suo. C’è meno leggerezza forse che nei precedenti, ma d’altra parte il tema è delicato. Buffa questa cosa, ho scritto lo stesso parlando del romanzo di Manzini, ma evidentemente le vicende del mondo quali che siano, incidono sugli umori anche di chi racconta. Ciononostante le incursioni nel giallo delle miss Marple, riescono ad essere appassionanti soprattutto perché le loro vicende personali si arricchiscono di libro in libro e grazie alla delicata ma decisa e sapiente scrittura, la voglia di sapere dei lettori, si attizza. Che poi diciamolo, il lago è lì, il casello anche, Rosa datti da fare.

RANCORE

Gianrico Carofiglio

Einaudi

Chi ha letto LA DISCIPLINA DI PENELOPE, in questo nuovo capitolo scoprirà cosa l’ha portata a lasciare la magistratura, a chi non lo ha letto, verrà voglia di andare a scoprire comunque qualcosa in più su questo personaggio. Entrambe le categorie comunque, arrivando all’ultima pagina non potranno che essere soddisfatte della lettura. Una donna affascinante, sebbene non ci siano descrizioni fisiche relative alla bellezza, non deve essere una ragazzina visto il ruolo professionale che aveva, non nasconde misteri, anzi, racconta senza vergogna le sue debolezze che sono quelle di tutti, non si considera una wonder woman, è assolutamente consapevole di sè e proprio per questo forse ci si identifica facilmente. Nella sua solitudine che non è un rifiuto del mondo, ma un isolamento cautelativo che durerà il tempo necessario a guarire le ferite che il suo modo di essere le ha inflitto, per capire verso quale strada andare. Nel suo modo un po’ brusco ma mai sgraziato o maleducato di approcciarsi agli altri, nel suo cercare. Bello bello proprio bello, così come è bella l’indagine che Penelope intraprende, la ricerca di qualcosa che forse non esiste, un reato che chissà se è stato commesso, ma dà la stura a riflessioni profonde, sulle dinamiche che muovono le persone a fare o non fare qualcosa, porta a pensare a quante volte diamo per scontate conclusioni che sono lontanissime dalla realtà. A quanto male possa fare il rancore, a chi lo prova a chi lo subisce a chi ne rimane invischiato. La poca e sommaria descrizione che ho dato, potrebbe far pensare che sia una lettura “pesante”, assolutamente no. Anzi, è un romanzo che nonostante tutto  regala la speranza che le cose accadute, per quanto non scompariranno mai, si potranno con calma superare. Vabbè, d’altra parte non è una novità che Carofiglio sia bravo no? Se ancora non lo avete, il consiglio è di metterlo in lista per il prossimo giro in libreria.

UNA COSA DA NASCONDERE

Il romanzo precedente è uscito nel 2017, potete immaginare la voglia di metterci sopra le mani e divorarselo, finalmente arriva il momento e mannaggia la pupazza a pagina 50 meditavo il lancio dalla finestra, a pagina 98 o giù di lì, ero certa che lo avrei lanciato. Due cosi indescrivibili (sì sì ho deciso di non usare il turpiloquio ma avete capito di che cosi parlo).  Una Londra che di solito non trovo nei libri, e già un po’ mi son sentita spiazzata,  dei miei amati non c’è traccia, in compenso ci sono delle descrizioni che farebbero imbestialire i santi. Ovvio che un attimo prima dell’abbandono, suppongo non per caso, sono entrati in scena i nostri e lì ho pensato che volevo proprio vedere come diavolo avrebbe intrecciato le storie. La George è quel che in America si chiamerebbe un fottuto genio. Alla fine il risultato è che ti bevi le rimanenti 400 pagine senza fermarti e alla fine ti esce un’esclamazione che userebbe Rocco Schiavone se qualcuno gli dicesse di aver fatto 6 al superenalotto. Sempre per evitare, inizia per m e finisce per i.

Stabilito che se già amate l’autrice qui la adorerete e se non la conoscete dovete darvi una mossa perché è una lacuna brutta, mi scappa una riflessione su come sia facile fare una cosa sbagliata nel tentativo di farne una giusta. Seguo la George sui social, è una dem molto attiva, a volte rasenta la violenza nelle sue esternazioni contro i repubblicani. Ovviamente è attivissima anche sul fronte razzismo, nel senso che è giustamente contro. Ecco secondo me qui, nel romanzo intendo, cercando (al di là del giallo che è magistrale), di far comprendere, di avvicinare i suoi lettori alla cultura africana, nigeriana nello specifico, cercando di sottolinearne la parte sana, e se leggerete il libro capirete cosa intendo, ottiene l’effetto opposto. Il bene non fa notizia, il bene non ti resta impresso, l’eroe buono lo dai per scontato. In compenso l’orrore di certi atteggiamenti di retaggi culturali che purtroppo resistono a qualunque tentativo di civilizzazione, ti resta impresso a fuoco. Il ritratto dei nigeriani ma in generale dei neri che vivono in Inghilterra (ma potrebbe essere l’America o l’Europa), che esce dalle pagine, è proprio brutto. Gente che non vuole integrarsi, che vede in chiunque non sia nero un nemico, qualcuno da sfruttare ma tenere lontano, i bianchi vanno disprezzati a prescindere e se ti sembrano amici, fingono. Davvero sgradevole nel complesso nonostante alcuni dei protagonisti neri siano assolutamente positivi. Spero e suppongo che abbia un po’ calcato la mano, ma il fatto che spesso, anche in Italia, se muovi qualunque osservazione, che niente ha a che vedere col colore, i neri si “difendono”dandoti del razzista, temo che non sia così distante dalla realtà.

Ferma restando quindi l’ammirazione per la scrittrice, che ripeto e ribadisco è grandiosa, mi resta la perplessità sul resto, su come nessuno dell’enorme staff di collaboratori, si sia posto il problema che  chi ha nell’animo anche solo una briciola di razzismo, leggendo questa storia si sentirà legittimato a sentirsi superiore, avallato nel suo considerarsi migliore e questo devo dire, mi dispiace assai.

LE OSSA PARLANO

E ne hanno di cose da dire




Rocco Schiavone non è più un personaggio, è un uomo un poliziotto. E prepotentemente il poliziotto, la guardia come da lessico romanesco, prende il sopravvento sull’uomo o almeno questo è quello che sembra, può essere perché il “caso” è l’omicidio di un bambino, l’abuso dell’infanzia una roba che fa accapponare la pelle che non si può accettare che scatena nei confronti dei pedofili una rabbia cieca e profonda. Rocco stavolta indaga, per davvero, con la voglia di trovare chi ha fatto del male a un’anima innocente, eppure nonostante mai come in questo romanzo il focus sia trovare l’assassino, io ci ho trovato più che in altri, l’uomo.

Un uomo che ha visto sgretolarsi tutto e si è sgretolato di pari passo con la sua vita. Marina è morta ed è sempre più lontana, lo spinge a lasciarla andare e ricominciare a vivere. Sebastiano, nelle cui mani Rocco avrebbe messo la sua vita, se le è sporcate del sangue di Marina e le ha passate con metaforiche carezza sul viso di Rocco. Sono sole alcune delle coltellate che la vita ha inferto al vicequestore. Su queste ferite e su come Schiavone abbia affrontato fino a qui tutto quello che la vita gli ha messo davanti, applicando pedissequamente la teoria del romanissimo sticazzi, Manzini ha costruito dei romanzi che si sono fatti via via più profondi senza perdere mai la leggerezza. Qualcosa è cambiato però e si sente. Ha preso l’amarezza di questi ultimi due anni e l’ha trasformata in un romanzo tosto, forse il più tosto di tutti, no, di tutti no. Non si ride come al solito, anche se ovviamente qualche sorriso scappa, il tema non lo consente, eppure non ci si stacca dalle pagine. Si indaga insieme alla squadra si esamina ogni dettaglio che aiuti a fare un passo in direzione di chi ha fatto di quel bambino un sogno interrotto, Mirko che diventa il bambino di ognuno, diventa la nostra speranza nel futuro che vediamo tradita. La rabbia e il dolore, quello che stiamo provando tutti probabilmente, vengono in superficie come quelle piccole ossa che  Manzini trasforma in un tremendo meraviglioso viaggio che inevitabilmente comprende degli abbandoni e dei nuovi punti da cui ricominciare una volta scoperto tutto quello che ci racconta quel che resta. E non fatevi “spaventare”, Sia pur meno cazzone dl solito, fra le pagine non c’è solo amarezza, c’è anche una lucina in fondo al tunnel che per una volta potrebbe non essere il fanale del FrecciaRossa. Ancora una volta, chapeau monsieur Manzini.

Le sultane

  Marilù Oliva

La nuova copertina

Solferino ha ripubblicato un romanzo del 2016, e devo dire ha fatto bene, a questo link trovate la recensione che feci a suo tempo per Mangialibri, oggi ve ne riparlo qui saccheggiando qualche spunto da quel che avevo scritto. Il resto viene facile perché riconoscendo la bravura di Marilù nello spaziare e cambiare mood, Le sultane è forse il suo romanzo che mi è piaciuto di più. È saturo di cattiveria, quella che di solito non vediamo ma si annida inesorabilmente in molte persone anziane, quelle che purtroppo per loro non sono riuscite a godersi la vita o non accettano che la stessa abbia per tutti a stessa destinazione.  Wilma Mafalda e Nunzia, sembrano tre innocue anziane signore che abitano a Bologna – case popolari – ed elargiscono consigli non potendo più dare il cattivo esempio, purtroppo il destinatario dei consigli è spesso quello sbagliato. Fra una chiacchiera e un tè, il dramma di Wilma a cui è morto un figlio e non riesce più ad avere nessun rapporto con la figlia rimasta, la parsimonia (perché mi piacciono gli eufemismi) di Mafalda e la malattia di Nunzia la vita sembra procedere normalmente, finché una mosca, sotto forma di lamentela per il ticchettare dei tacchi sul pavimento, non salta al naso di Wilma. Nessun giudizio, nessuna lezioncina morale, solo la descrizione perfetta della miseria che può raggiungere l’essere umano, sì, anche quello che potrebbe essere il nostro vicino di casa o perché no noi stessi. Il ritratto spietato di una terza età che in genere si tende a sottovalutare (da tutti i punti di vista), la fotografia di quanto possa essere incredibile l’essere umano, angelo e demone senza soluzione di continuità, ricettacolo dei sentimenti più diversi e insospettabili. E se vi state chiedendo, ma ve lo dico comunque quindi risparmiatevi la fatica, perché sia il romanzo che più mi è rimasto, è presto detto. Si ride, amaramente molto amaramente ma si ride e si toccano vette di cinismo che Hannibal Lechter levate proprio. Vabbè, se vi è sfuggito nel 2016, leggetelo adesso che è rimasto perfetto. Ah e ricordatevi che non faccio mai citazioni a caso.

BOLLE DI SAPONE

Marco Malvaldi

Il quindici febbraio del 2020 tutto era ancora normale, qualche voce, qualche cosa si stava muovendo ma ancora non si capiva bene cosa, ma questo suppongo ve lo ricordiate, poi il 9 marzo, sbadaban. Tutti a casa, al massimo a far la spesa e far fare la pipì al cane. Che ci si creda o no, anche Pineta è andata in lockdown, ve li immaginate l’Ampelio il Pilade l’Aldo e il Rimediotti chiusi in casa con le mogli e il BarLume aperto solo per l’asporto? Il perfido Malvaldi (poi vi spiego l’appellativo), non solo c’è riuscito, ma gli ha anche messo su un piatto, pardon un tablet d’argento, un bel caso da risolvere. Giustamente si dirà, ma come, i nonni , quei nonni, con tablet e smartphone? Yessa. Ma ha fatto di più e di peggio, ha bloccato il povero vicequestore Alice Martelli in Calabria, c’era andata a tenere un corso e come spesso capita ai poliziotti le son caduti fra i piedi un paio di morti, vuoi non dare una mano ai colleghi. No, neanche a distanza i nostri geronteroi riescono a non intromettersi. Ah fra l’altro il nonno Viviani, che poi sarebbe l’Ampelio (lo so che nella serie tv è morto ma nella realtà (dei romanzi), è vivo e lotta insieme a noi) ha pensato bene di cadere da uno sgabello e rompersi un femore, così, per poter rompere l’anima oltre che alla fidanzata di Massimo, anche alla di lui ex moglie che all’ospedale, essendo un medico, ci lavora. Io avevo giurato a me stessa che non avrei letto niente e dico niente che fosse ambientato durante quel periodo, quei mesi durante i quali i pochi che hanno avuto abbastanza buonsenso da non trasformarsi in virologi, ascoltavano un po’ sgomenti le notizie (anche perché altro da ascoltare in televisione non c’era). Però Sellerio mi pubblica un Malvaldi – di cui leggerei qualsiasi cosa – coi vecchietti e cosa faccio, leggo la quarta? Ma non ci penso nemmeno, ci sono autori che si leggono a prescindere. Ah, non vi ho spiegato il perfido, dovete sapere, i pochi che non lo abbiano incontrato a una presentazione o un evento letterario, non sanno che per qualche strana e inspiegabile ragione, anche partisse da Marte, riesce a consigliare, così quasi per caso, almeno tre o quattro romanzi che inevitabilmente, chi lo ascolta, va a comprarsi e legge. E lui lo sa, l’ignaro lettore no e se li va a cercare e li legge. Tornando a bomba, il libro è corto ahimè, il contesto difficile da digerire, e qui la verve del canuto benché giovane toscano, tocca vette altissime, trasformando una “tragedia” in una spassosa commedia. Va detto che le indagini, ancorché svolte dagli smandrappati nonnetti, sono sempre impeccabili, ma qui Malvaldi si è concesso e ci ha regalato uno spaccato di vita con qualcosa in più. Cosa? Beh, quello lo trovate nelle ultime pagine, travestito da magistrale colpo di scena.

UNA SIRENA A SETTEMBRE

Maurizio de Giovanni

La Signora prepara le verdure, le sceglie le monda le taglia, pronte a diventare parte integrante di piatti che doneranno consolazione placheranno la fame e nutriranno corpo e mente. Riempie secchi di fagioli di pomodori di patate, in uno gli scarti e in uno quello che verrà usato; non si sa chi godrà di quel cibo, lei va avanti senza fermarsi mai e intanto racconta a chi è arrivato fino da lei – e non è facile trovarla – per ascoltare. Ammalia la Signora, perché mentre le mani lavorano le sue parole ti portano sopra la città, ti mostra cose fatti persone situazioni che apparentemente non hanno nessun legame una con l’altra, ma momento dopo momento ti rende visibili  fili che le legano, come ogni piccola cosa prima o poi si incrocia con l’altra. Ed ecco che vediamo una ragazza costretta su una sedia a rotelle, praticamente segregata in casa perché il palazzo è vecchio e non c’è l’ascensore, eppure è felice, solo preoccupata per la fissa di suo fratello. In un altro quartiere c’è una donna che sogna ma è uno di quei sogni che poi ti restano appiccicati quando ti svegli e ti rovinano la giornata; ancora troviamo due ragazzi che scippano un anziana, ma la sfortuna è in agguato e lo scippo rischia di diventare un omicidio. Entrambi hanno una sirena tatuata su un braccio; e ancora, un programma tv in cui viene mostrata una scena agghiacciante, proprio lì, nei Quartieri, un bimbo si contende un pezzo di pane con un randagio. La penna di de Giovanni guidata dalla voce della Signora, unisce questi fatti, ha ragione la Signora, è tutto collegato. A partire dalla copertina questo libro è un inno, alla città che è madre, alla madre che nutre e sa, alla dignità che preserva dal degrado dei sentimenti anche se il degrado ti circonda. È poesia, quella che appartiene a ognuno e si nasconde sotto le difficoltà del quotidiano, dietro apparenti strati che formano un unico, fatto di dolori gioie frustrazioni risate. È qualcosa che ti spinge ad ascoltare, a cercare le connessioni, perché ci sono, ci sono sempre.

Stile Libero Big

pp. 272 – € 18,50 – ISBN 9788806248833

LE TRE VEDOVE

                            di CATE QUINN

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Esordio col botto, almeno per quanto mi riguarda, quello di Cate Quinn nel noir (il risvolto dice crime ma qui potremmo aprire un dibattito infinito), già autrice di romanzi storici e giornalista di costume e viaggi. L’esperienza acquisita si sente tutta, la vicenda narrata, adesso arrivo e ve ne parlo, è intrisa di Storia (recentissima ma pur sempre Storia) e di conoscenza approfondita del mondo in cui si svolge. Siamo nello Utah, lo Stato americano patria dei mormoni, dei Santi degli ultimi giorni, comunità religiose con regole precisissime, legate alle Sacre Scritture e quindi inevitabilmente interpretabili a scelta della “corrente” a cui si appartiene per nascita o per scelta. Esattamente su cosa permetta o non permetta Dio, si basa l’agghiacciante romanzo. La poligamia è ammessa o no? Cosa è peccato e cosa no? Quali aberrazioni (per noi) si possono commettere in nome di dio e della salvezza eterna? Lo scopriamo pagina dopo pagina dalle voci di Rachel, la prima moglie di Blake, Emily moglie numero due e infine Tina. Tre caratteri che scopriamo insospettabilmente forti e intelligenti a dispetto della vita a cui le costringe/va il marito, padrone assoluto di ogni loro azione, dei ruoli dei loro corpi. Quando l’uomo viene trovato ucciso, a poca distanza dalla “casa” che aveva scelto per la sua famiglia, in mezzo al deserto, lontanissima da tutto e, fondamentale, da tutti, la polizia si concentra ovviamente sulle tre donne. Tutte e tre lo amavano sostengono e nonostante si sospettino a vicenda, raccontano di una vita felice, in cui erano rispettate ed equamente amate. Sono consapevoli che per la maggior parte della gente, anche dei loro correligionari, sono dei fuorilegge, la poligamia non è ammessa (o meglio lo è in alcuni Stati ma non nello Utah) ma si ostinano a mostrare un’armonia che la polizia non riesce a scardinare. Lo fanno loro stesse, con le loro voci e i loro pensieri, ripercorrendo ognuna lo squallore e la disperazione strisciante nella loro vita. Segreti e bugie, menzogne necessarie alla sopravvivenza che si svelano e si rivelano inghiottendo il lettore in un vortice sempre  più trascinante e sempre più nero. Non so decidere se il tema principale sia la perniciosità della religione quando diventa l’unica via da seguire, se sia la violenza domestica in tutte le sue declinazioni, che sono tante e spesso non immaginabili. Di sicuro è una storia di donne, di sorellanza che nasce senza intenzione, di difesa per partito preso, per nascondere fallimenti altrui che si sentono propri. Forse è tutto questo insieme, io so che non mi capitava da un po’ di prendere in mano un romanzo (lunghetto) e di mollare ogni tre per due quel che stavo facendo per tornare a leggere. Serve altro?

IL SEGRETO DI MR.WILLER

di CHICCA MARALFA

Seconda prova per Chicca Maralfa, dopo l’esordio con una black commedy, ha deciso di cimentarsi con un giallo che scivola nel noir. Uno streamer, politicamente scorretto fino all’eccesso, uno che si è scelto un nom de plum in omaggio al cavaliere solitario, uno che sembra un buzzurro fortunato, si rivela essere invece un personaggio del tutto diverso da quello che appare. Si è fatto volontariamente e consapevolmente bersaglio di heater attivisti no vax e tutta quella fauna che popola il web. Peccato che per scoprire la vera essenza di Willer, il mondo dovrà aspettare che muoia, più precisamente che venga ucciso. La Maralfa scrive sicuramente bene, attenta a che la trama non abbia buchi o incongruenze, brava nel descrivere (e essersi inventata) dei personaggi davvero forti, con personalità che risultano addirittura disturbanti che vivono in quel sottobosco che tutti frequentiamo e crediamo di conoscere, ma che in realtà è perfetto per chi vive ai margini, che permette di nascondersi dietro nickname e falsi profili, che permette di dare sfogo a tutte le frustrazioni e le perversioni che non si possono mostrare al mondo.  Un bel giallo in conclusione, però forse c’è qualcosa da rivedere, il giallo è una sfida che l’autore lancia al lettore, l’investigatore (che sia poliziotto carabiniere detective giornalista o qualunque altra figura) deve avere una sua peculiarità, il lampo di genio che a un certo punto della storia gli fa trovare il pezzo del puzzle che nessuno aveva visto, fin qui non ci piove, ma la sfida, che non potrà mai essere ad armi pari, deve essere quantomeno leale e in questo libro non lo è. Benissimo il colpo di scena finale, del tutto inaspettato e insospettabile, però personalmente, mi sono chiesta come io lettrice avrei potuto giocare la partita non avendo a disposizione il benché minimo indizio.

Non si legga questo appunto come una critica, il romanzo resta ottimo, scritto bene e con tutto quello che serve, mi è anche piaciuto e lo consiglio, ma non ai giallisti appassionati che amano cimentarsi nella caccia all’assassino, per tutti gli altri, un’ottima lettura.

Editore: Les Flâneurs Edizioni

Collana: Maigret

Anno edizione: 2021

In commercio dal: 19 febbraio 2021

Pagine: Brossura

EAN: 9788831314787