ULTIMI SUGGERIMENTI DELL’ANNO

Ultimi suggerimenti, che restano oggi e domani. No, non è che finiscano i consigli, solo non li potete più spacciare come regalo di Natale, ma l’occasione per regalare e regalarsi un buon libro, la si trova sempre. Giusto? Giusto.

Immancabile Antonio Manzini con Sotto mentite spoglie, pare impossibile eppure in questo romanzo riusciamo a intravedere nuove sfumature dell’immarcescibile Rocco. Invecchia? Cresce? O semplicemente vive e quello che sembrava essere l’uomo con la corazza più solida di quella di un armadillo, di romanzo in romanzo vede le crepe allargarsi, non si ribella come verrebbe spontaneo pensare, anzi. Certo a modo suo (o dell’autore), ma smette di tenerla in piedi, svela il bluff o forse è solo stanco di perdere pezzi e occasioni. Non che pensi di poter essere felice, ma che forse può smettere di limitarsi a vegetare, può lasciare che i sentimenti, umani e normalissimi, tornino a far parte della sua vita. Vabbè, magari mi sono spinta un po’ in là. Diciamo che perlomeno riconosce di provarli, a differenza di noi, che sappiamo di amarlo incondizionatamente.

Luise Penny ci aveva lasciato con un finale che poteva sembrare chiuso ma in realtà era sospeso, lo conclude ne Il lupo nero. Anche se leggete le storie di Gamache per sentirvi al sicuro nella bolla di Three Pinese qui non ci si passa tanto tempo, vale il tempo dedicato. La conferma che oltre ad aver creato (averci mostrato) un posto quasi magico, è anche una signora giallista, una trama davvero intrigante che se può sembrare a una lettura superficiale “esagerata”, in realtà ci dice cose estremamente probabili e anche parecchio spaventose.

Se invece preferite letture più rilassanti, meno cruente, gialle o meno che siano, vi do altri due titoli. Sveva Casati Modignani  con la sua La domestica a ore, ci porta in un mondo dove tutti vorremmo essere nati. Un mondo di ricchezza, in cui si lavora per il piacer di farlo, non per necessità ma per dare un senso alla propria vita. Sognare non fa male, soprattutto se in fondo a quei sogni c’è anche un messaggio e nelle fiabe che scrive, c’è.

Per fare invece un salto nella campagna inglese, dove troviamo l’atmosfera un po’ sospesa di un mondo che sembra inventato, fra presepi e pranzi di Natale, vecchie tradizioni e nuovi omicidi che ci fanno un po’ sentire a St. Mary Mead, c’è il terzo romanzo del Rev Richard Coles, Assassinio sotto il vischio. L’omicidio c’è, l’investigatore suo malgrado anche, ma no splatter. Perfetto per tutti.

TORNANO I LIBRI SOTTO L’ALBERO

Ho disertato BookCity quest’anno, per tante ragioni personali, ma una gran spinta a non sfidare pioggia vento e freddo, è che diventare scema a rincorrere gli eventi, con la possibilità concreta di non entrare dopo ore di coda, di ascoltare gli autori parlare di libri che non ho ancora letto e se li ho letti non poter fare eventuali domande e per finire salutare al volo gli autori (quelli che conosci o addirittura amici), perché giustamente hanno davanti centinaia di persone per autografi e foto, anche no.

Sto disertando un po’ anche la lettura, cioè, leggo un pochino meno del solito, ma sempre abbastanza da poter “consigliare” cosa, a chi, per chi i regali li fa in forma libresca.

Fra ottobre e novembre sono usciti una caterva di libri, tutta roba succosa e attesa. A partire da de Giovanni di cui vi ho già parlato, sono arrivati in libreria, in ordine sparso

Donato Carrisi con LA BUGIA DELL’ORCHIDEA – Uno stand alone, non c’è Marcus non c’è Mila non c’è Gerber, una storia tutta nuova. Non nutro dubbi sulla capacità di Donato di tirare fuori dal cilindro dei conigli che sono dei gioielli, penso per esempio a L’educazione delle farfalle, mi sento di consigliarlo senza se e senza ma. A chi? Bè, ovviamente a chi ama la sua particolare scrittura, nello specifico a chi è disponibile a lasciarsi sorprendere, perché si è spinto parecchio in là. Ecco direi che è perfetto anche per chi ama Musso  King e Koontz.

Cristina Cassa Scalia con MANDORLA AMARA – Dopo l’esordio di un personaggio nuovo, Scipione Macchiavelli, con notevole successo va detto, ritorna con una nuova indagine per Vanina Guarrasi. Scossa per le ultime vicende con Paolo Malfitano, storico amore che mai messo in dubbio, subisce colpi e contraccolpi a causa del lavoro, si trova ad affrontare la “bellezza” di sette morti in contemporanea, trovati casualmente dall’amica Giuli che voleva godersi un paio di giorni alle Eolie sulla sua barca nuova e invece si imbatte in una barca alla deriva. A bordo, le sette persone che non possono più far nulla. Richiamata a Catania con un inaspettata puntata alle Eolie parzialmente orbata di Patanè, solo parzialmente e per un tempo limitato, Vanina se la cava comunque egregiamente e sebbene non navighi mai in acque tranquille, è come pacificata, Meno “incattivita” (se così si può definire il personaggio), si gode il ritrovato rapporto con la sorella, con l’uomo che le ha fatto da padre con discrezione e scopre che in fondo, per quanto pesanti possano essere il suo lavoro e conseguentemente la sua vita, forse c’è modo di viverla godendone un po’. A chi regalarlo, a chi ami i gialli belli, con trame credibili e sviluppate realisticamente, a chi ama Vanina, va da sé, Ottimo per chi vuole sentirsi in Sicilia, profumi e colori annessi, senza muoversi dal divano. Senza dimenticare mai che sebbene sia parte di una serie, si può leggere tranquillamente come primo incontro con l’autrice.

Dan Brown con L’ULTIMO SEGRETO –   Riassumere le trame di Dan Brown è sempre un’impresa, Langdon divide il palco, o le pagine con la fidanzata, anche lei scrittrice e scienziata. Il tema è oltremodo affascinante, la coscienza. L’ambientazione è a Praga, città piena di Storia e perfetta per i segreti che tali dovrebbero restare. Davvero bello, 700 pagine che alternano nel lettore stati d’ansia, adrenalina a mille e riflessioni (ammesso che lo si voglia). Come quello di Carrisi in alcuni moment rasenta l’impossibile, o meglio l’impensabile, che sia impossibile è tutto da dimostrare. Da regalare a chi lo tiene in libreria senza leggerlo, a chi ama le storie incasinate con quel filino di supereroe che diverte o a chi ama prendere spunti per pensare, divertendosi un po’.

TEMPO AL TEMPO

Un romanzo stand alone, in due parti. De Giovanni ormai l’ha svelato e quindi per togliersi il dubbio, dobbiamo aspettare maggio 2026.

In questi tempi strani, soprattutto per noi di mezza età – lo so fa orrore ma dai 50 in poi quello siamo, se non peggio – che abbiamo visto la qualsiasi, tutto insieme, guerre pressoché mondiali, solo fatte a pezzi e bocconi, epidemie pandemie, sbarco su altri pianeti, scoperte scientifiche e dio sa cos’altro, abbiamo anche un numero sostanzioso, di talenti letterari che poco o nulla hanno da invidiare ai classici. de Giovanni è decisamente e conclamatamente uno di questi.

Nello specifico ha preso alcuni temi che evidentemente ritiene – e visto quanti lettori lo amano, direi a buona ragione – importanti. Provo a metterli in fila e raccontarveli, ma così, superficialmente, perché poi ogni lettore ne troverà altri.

È un romanzo dove le figure femminili spiccano, soprattutto nel ruolo di madri.

Madri che con i loro gesti, con le loro azioni, anche con le loro omissioni, danno il via a tutto quello che succederà.

Padri assenti che invece sono presentissimi e se ci sono madri e padri, va da sé che ciò che accade riguarderà anche i figli.

C’è l’amore, che piaccia o meno è proprio quella cosa che move il sole e le altre stelle.

C’è la ricerca della verità o se non la verità una spiegazione che permetta di andare oltre.

Ci sono le persone che fanno il loro dovere, o quello che ritengono esserlo.

Infine – o al principio – c’è il tempo, scusate, il Tempo. Quasi un personaggio anche lui.

L’orologiaio di Brest è un uomo che del tempo è stato vittima e carnefice.

Lo ha rubato ad altri, prendendosi il posto di Dio, o diventando esecutore di un disegno che non possiamo cambiare, e ha consapevolmente lasciato che gli venisse rubato, perdendo un pezzo di vita che però non ha mai dimenticato né abbandonato. Da quale “episodio” prenda il via la storia è difficile dirlo, ad ogni pagina, ad ogni capitolo, cambia la prospettiva e con lei il punto d’origine. L’ostinazione di una madre che incalza un magistrato, affinché non lasci morire la speranza di ritrovare la figlia o forse l’omicidio “politico” di un uomo che per puro caso coinvolge un’altra persona.

La ricerca dei perché di cui dicevo prima. Tanti, che cambiano a seconda di chi si pone le domande.

La tenacia di una giovane donna che rinunciando in qualche modo alla sua vita, si concentra su una ricerca che non sa dove la porterà, quali e quante vite sconvolgerà quello che riesce a scoprire e a sua insaputa diventa “complice” di chi la sconvolgerà una seconda volta.

La dedizione testarda e inspiegabile a qualcuno o qualcosa verso la quale si sente un’appartenenza totale, che travalica ogni logica e ogni morale per un bene ritenuto superiore.

Sono alcuni, perché poi c’è di sottofondo un mondo che sta cambiando, quel mondo di cui stiamo perdendo pezzi ma non memoria, un mondo in cui la maggior parte di noi “anziani”, affrontava il diventare adulti, con dolori personali che si stemperavano in un collettivo leggero, o almeno così ci sembrava. Invece, fuori dai bar, fuori dalle discoteche, dai nostri lavori che ancora avevano qualche garanzia, qualcuno lavorava per tenere ben nascosto quello che era successo prima, negli anni ’60 e ’70, negli anni che da noi sono quelli di piombo.

Tanti accadimenti, tanti sentimenti, alcuni passati, altri che continuano imperterriti sulla strada tracciata, che non cambia e probabilmente non cambierà mai.

Un romanzo che ha dentro tanti generi, che soddisferà i noiristi, gli amanti delle spy stories, chi ama i romanzi tout court. Perché come dice l’autore, la Storia è fatta da tante piccole e grandi storie, quelle che ci si palesano con una foto stampata, magari mossa o sfocata, che salta fuori da una scatola di latta che conosciamo tutti, che è in ogni casa, che quando viene aperta ci fa battere il cuore.

Oi oi, ma mi è sfuggito il Malvaldi

No, a dire il vero non mi è sfuggito lui e non mi è sfugggito il nuovo romanzo, ma è uscito a giugno, quando il caldo mi stava uccidendo e ho pur avendo letto tanto, ho scritto davvero poco.

Però vi frega poco vero? Nel senso che un libro bello e quelli dell’esimio Malvaldi lo sono indiscutibilmente, non necessita di essere letto nell’immediatezza dell’uscita, per la semplice ragione che resta bello nel tempo.

Dunque, evitiamo se è possibile qualsiasi spoiler, che se non lo avete ancora letto vi toglierei parte del piacere e parliamone. Succede qualcosa di non bello a Pineta, qualcosa che coinvolge emotivamente e praticamente la banda dei vecchietti e i le giovani leve – che insomma, ormai tanto giovani non sono puù nemmeno loro.

Ma non siamo qui a farci gli affari degli altri, quello lo lasciamo all’autore (sempre con il doveroso riconoscimento all’apporto e il supporto della consorte), qundi ciò che accade lo leggerete, parliamo invece del giallo.

Qualcuno lo definisce cosy – palesemente sbagliando la traduzione – e attribuendogli una sorta di leggerezza, qui io dissento fortemente. Certo è cosy nela traduzione letterale, è accogliente, come lo sono i romanzi che ci fanno stare bene, accolti dalle pagine. Indubbiamente c’è anche la leggerezza, merito della maestria e suppongo un pochino anche della provenienza geografica, dell’autore, ma c’è anche un bel giallo a tinte fortine.

Va benissimo farsi incantare dalle battute, dai dialoghi, dalle situazioni paradossali in cui si sono convolti i vecchietti, Massimo, Tiziana Marchino e la vicequestore Martelli, divisi fra il lavoro e la cura di due bimbi che crescono, ma senza perdere di vista le trame gialle, che sono toste, mai o quasi splatter, ma tecisamente toste.

Fra l’altro qui, così ci ha raccontato in occasione di una presentazione, i coniugi Bruzzaldi, si sono resi conto di avere infuso la propensione alla giallitudine, anche al loro figliolo, che per la cronaca è appena adolescente.

Certo non avete bisogno del mio consiglio per leggere i librini blu firmati Malvaldi, ma se, come è capitato e ricapiterà (spero), passasse di qui qualcuno che non è flippato coi gialli o che per qualche ragione a me incomprensibile non conosca l’autore e si incuriosisse, bè, ci sta e ne sarei ben contenta.

DI SARDEGNA IN SARDEGNA

Oggi vi accompagno in Sardegna, anzi nella Sardegna di inizio secolo scorso, in quella di oggi vi ci porto fra qualche giorno, per farlo mi faccio aiutare da un autore che amo e che di quella terra è figlio (devoto oserei), pur avendo anche ascendenze continentali).

Nella Cagliari del 1905 è ambientato IL MISFATTO DELLA TONNARA di Francesco Frisco Abate. La protagonista è Clara Simon, la prima giornalista investigativa donna per di più italo cinese, alla sua terza apparizione, più agguerrita che mai e resa più forte dall’immenso dolore di vedersi spegnere la speranza mai sopita di poter conoscere almeno il padre, (la madre è morta dandola alla luce) militare in missione all’estero di cui – all’inizio del romanzo – le viene comunicata la morte in battaglia. Resta che Clara è stata cresciuta dal nonno, un ricco imprenditore navale – status che per inciso le ha agevolato non poco la vita – che le ha dato oltre a tutto l’affetto che ha potuto, l’agio di non dover lavorare per crescere in un tempo in cui era sorte comune, una casa di prestigio, un nome che tutti in città rispettano, il diritto di studiare e scegliere cosa fare. È un personaggio di cui ci si innamora facile, giovane bella determinata e tosta, molto tosta. La trama del romanzo, in cui c’è ovviamente un colpevole da assicurare alla giustizia per aver ridotto in fin di vita una maestra, una suffragetta che sta in prima linea perché le donne abbiano finalmente il diritto di voto (che è poi di fondo il riconoscimento primario di un uguaglianza fra sessi), si srotola, come i precedenti del resto, sulla figura di questa giovane donna che non scende in piazza, ma combatte la sua personale battaglia per ottenere lo stesso risultato, conquistandosi giorno per giorno il rispetto e sempre maggiori riconoscimenti sulle pagine e soprattutto in redazione, fra le autorità, oltreché della gente. Per esplicita ammissione dell’autore, Clara è liberamente ispirata dalle donne della famiglia Abate, che di poco si discostano dal personaggio. Femministe ante litteram, donne che quando i diritti non c’erano, se li sono presi. Insieme al collega e amico svizzero Fassbinder, al carabiniere Saporito, con cui sta inesorabilmente sviluppandosi una storia d’amore, Clara si muove in una città del tutto inaspettata al lettore che approcci il personaggio per la prima volta. Una città che stupisce, piena di commerci università teatri, attività di tutti i tipi, cosmopolita, dove si intrecciano provenienze da tutto il mondo, dove il fermento culturale è palpabile pur convivendo con un’altra città, quella dei lavoratori poveri perché sfruttati, ma che stanno cominciando a dar vita a movimenti sindacali che arriveranno lontano. Abate, oltre all’amore per la sua terra e per il suo lavoro – è giornalista dell’Unione Sarda e Clara scrive su L’Unione – mette, in questo romanzo in particolare, una serie di temi, più che mai attuali, su cui lasciare che l’inconscio rifletta mentre il conscio si gode una gran bella storia. Ma bella vera.

L’UOMO DAGLI OCCHI TRISTI

La recensione vera e propriamente detta, la leggerete su Mangialibri, però per dire tutto quello che c’è ne L’uomo dagli occhi tristi, bisognerebbe scrivere un papiro, un altro libro. C’è il talento, ormai più che conclamato di Piergiorgio nell’ideare la trama “gialla”, ma c’è anche tutta la sensibilità di un uomo che ha imparato, se è vero che le donne vengono da Venere e gli uomini da Marte, non solo il venusiano, ma anche il non detto. Con una straziante semplicità, racconta di madri, dell’amore che una madre può provare e del dolore che questo amore può provocare se viene distrutto. Parla di amicizia, quella che cresce con il tempo, che si perde nei malintesi, nelle omissioni e poi è capace di chiedere scusa, di mostrarsi in tutta la sua potenza. Non parla, non racconta non descrive, ci fa vivere, quella che è in alcuni casi è la normalità e in altri diventa una condizione che può mettere a rischio la vita stessa. E ancora l’amore per la sua terra, un racconto che alterna la bellezza e i tentativi (che paiono eterni), di trasformarla in moneta sonante, stuprandola e poi mettendola in vendita. Ci sono anche cose solo accennate, poche frasi qui è lì, nelle quali se ci soffermiamo un minimo, vediamo tutto il potenziale distruttivo dell’amore malato, quello che rasenta la follia. È tanta roba vero? Non è neanche tutta. Ogni volta che finisco un romanzo di Pulixi, penso che abbia dato il massimo e regolarmente, al romanzo successivo, vengo clamorosamente smentita. Tratteggia personaggi da amare incondizionatamente o da odiare senza mezze misure, poi come un sarto farebbe con un abito su misura, ti fa intravedere un qualcosa di nascosto, che ti scombina tutto e ti fa intravedere la possibilità di una redenzione sempre possibile. Viene solo voglia di ringraziare i maestri che hanno visto quel talento in erba – per chi se lo chiedesse, sì, parlo di Carlotto – gli editori che hanno deciso di puntare su di lui, chi lo ha cresciuto con tanta sensibilità e chi gli sta accanto. Pulixi è la conferma che in questi anni, una cosa di cui possiamo andare fieri in Italia, sono gli autori cosiddetti di genere. Genere speciale.

La pazienza che dovete avere…

C’è una premessa inprescindibile, chi mi segue sa che quindici giorni fa, ho dovuto affrontare una delle cose più dolorose che ci siano nella vita, ho fatto addormentare uno dei due mici, vi lascio immaginare con che stato d’animo mi accingevo a partire (praticamente obbligata da amici impagabili, che avevano ragione). La sera prima, il pulsante di accensione del Kobo, quel pirullino in plastica sul bordo inferiore, finisce di sfracellarsi. Vabbè, la mattina, il treno era alle 8 e spiccioli, ma va anche raggiunta la stazione, lo faccio ripartire ataccandolo al pc. Vi pare che la sfiga potesse abbandonarmi? Giammai, infatti si è riacceso, ma si è anche resettato completamente, perdendo nell’etere la bellezza di 482 titoli. Letti da leggere da consultare. Puf. Scomparsi. Ricarico al volo quello che stavo leggendo (di cui vi parlo fa poco) e via. Morale della favola, parto con sto coso rabberciato ma acceso e se due anni fa il 15 di agosto ero a caccia di un telefono, arrivata in Romagna, si è partite (sia sempre reso grazie a Rosy che è un’amica ma è anche santa), a caccia di un nuovo reader.

La corsa folle in cerca di un posto dove ne avessero almeno due modelli fra cui scegliere, con un caldo che scioglieva i neuroni, un nervoso che mi facevo paura da sola, erano esasperati dal romanzo che stavo leggendo. Mimica di Fitzek. Un pazzo totale ma un talento sterminato. L’idea di non riuscire a finire Mimica mi stava mandando ai pazzi. (Che sarebbe anche stato il posto più adeguato ai personaggi )

La trama di Mimica è una ragnatela in cui si rimane impigliati, inesorabilmente, sapendo che arriverà il ragno e ci mangerà, magari a pezzetti. Ed è esattamente quello che fa, ad ogni pagina la prospettiva si ribalta e se credevi di avere raggiunto il massimo dell’orrore ecco che Fitzek ti porta un po’ più in là e quel che è peggio, ti rendi conto che non solo non ci hai capito niente – i moventi e i possibili colpevoli sono infiniti – ma che fino a quando l’autore non ti svelerà l’arcano, non ci salterai fuori. La scrittura di Fitzek è un turbine, che però non solleva polvere, non c’è confusione pur essendo una montagna russa. Se, faccio fatica a crederlo ma tutto è possibile, è il primo Fitzek della vostra vita, preparatevi perché in men che non si dica, diventerete dipendenti e andrete inesorabilmente a cercare gli altri.

Finito Mimica e ripresami dallo shock, felice del mio nuovo Kobo – che adesso grazie a Dio fanno riparabile – inizio Strani disegni di Uketsu. Ve lo consiglio? Sì a condizione che abbiate già letto autori giapponesi. Se è vero come è vero che ogni autore ha un suo stile, è anche vero che la letteratura nipponica ha un filo condutttore, un fondo comune che – è sempre un’opinione personale, non sparate sul pianista – anche in eventuale assenza di nomi che inevitabilmente ti fanno capire dove sei, permea le narrazioni, indipendentemente dalle trame. Una sorta di pacatezza nel racconto, che non tiene minimamente conto del fatto che si parli di efferati omicidi o di ciliegi che fioriscono. L’altra condizione che ve lo farà amare, è essere appassionati di matematica e della strettissima connessione con il disegno. Se non lo foste, presumo che vi piacerà lo stesso, ma solo dopo averlo finito e averlo lasciato riposare qualche giorno. Difficile spiegare il perché, ma ripensando alla trama, dopo che avete lasciato sedimentare il resto, vi renderete conto di aver letto un bel giallo.

SCENDE LA TEMPERATURA, TORNA LA VOSTRA BLOGGER SCONDIZIONATA

Ahimè, fra il caldo – che lo sapete, per me è come la kriptonite per Superman – la malattia di uno dei mici e la frenesia del lavoro pre chiusura, è un po’ che non posto, vediamo di rimediare, che tanto per leggere c’è sempre tempo e le belle storie, fortunatamente non scadono.

 Oggi vi parlo di due romanzi, ma in realtà di due donne. Così simili e così diverse.

Il pappagallo muto – Rizzoli- è la nuova storia in cui Sara Morozzi, ex agente dei Servizi, a suo sentire, diventa responsabile del pericolo gravissimo che coinvolge una delle persone più importanti della sua vita. Lo Spy Story, genere poco rappresentato in Italia negli ultimi anni, come il noir, racconta quello che non vediamo ma condiziona le vite di tutti. Storie che sono perfette nella costruzione di de Giovanni e maledettamente molto più che veritiere.                      Distinguiamo i piani di lettura, il primo che riguarda ovviamente la storia, sembra in alcuni punti – come i precedenti e come tutte le storie del Genere – impossibile. Esagerazioni letterarie, invenzioni e invece no. Sono storie assolutamente plausibili per chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la cronaca. La rappresentazione esatta di una realtà che a vari livelli è impensabile ma esiste. La dimostrazione dell’effetto farfalla, quello per cui un gesto qualunque, anche apparentemente innocuo come un saluto, possa cambiare svariati destini, anche lontanissimi. Prendetelo per quello che è, un romanzo, ma siate consapevoli che quel mondo esiste eccome. Ci sono mille domande da farsi e molte resteranno per il momento senza risposta, ma è bene porsele. Oppure leggetelo senza farvi domande e godetevi solo la meravigliosa scrittura di Maurizio.

Poi c’è Sara, sola anche in mezzo agli altri, poche persone nella sua vita, pochi amori pochi amici, perché lei vive i sentimenti in maniera totalizzante. Ama o odia al 100%. Il resto è indifferenza. O quantomeno sepolto talmente in profondità da sembrare inesistente. Una cosa la muove, il “trionfo” della giustizia. Ho conosciuto una persona come Sara – un po’ meno rigida e che per fortuna non era un agente o ex agente dei Servizi – ma come lei ha pagato ogni scelta fatta in nome del suo rigore morale. Un personaggio pubblico che ancora oggi manca da morire, non solo a me.  E per quanto sembri presuntuoso, la sento così simile a me da essere forse il personaggio che più amo fra quelli di deGio. Sara è un ideale, forse quello che tutti vorremmo riuscire ad essere, senza tempo, senza età, capace di tutto in nome di qualcosa di superiore.

L’altra donna è nuova di zecca nel panorama letterario italiano, non altrettanto la sua “mamma”, Barbara Perna, magistrato in attività, che dopo averci divertito con le storie di Annabella Abbondante, ci presenta l’avvocato Lia Carotenuto, protagonista di Se tu non ridi più – Bompiani – La trama in questo caso, si lega profondamente con la protagonista. Per ragioni che si scoprono poco a poco nel corso della lettura, ha lasciato la professione legale, dedicandosi all’insegnamento, è ancora “segretamente” iscritta all’ordine e molto meno segretamente riconosciuta come uno dei migliori avvocati in circolazione. Per aiutare un’amica tornerà a indossare la toga, sebbene le costi moltissimo. Una donna che ha in comune con Sara il rigore e una dolcezza che pochi intimi le conoscono, oltre a un dolore grosso che custodisce gelosamente. La Perna conosce bene l’ambiente di cui scrive ed è palese, ha un talento per la scrittura che è altrettanto impossibile non riconoscerle, che affianca a una profonda umanità. Mai giudicante, cosa non facile visto l’argomento e lo svolgimento della vicenda, era facile cadere in uno stereotipo, ma accogliente, capace di rapportarsi distinguendo l’affetto dagli obblighi che impone la legge, passando sopra se stessa opponendo solo un debole tentativo di autoprotezione, capace però anche di tornare sulle sue decisioni, facendo sanguinare una ferita che sembra chiusa, ma certamente non è guarita. Non un romanzo semplice, è il classico pugno nello stomaco che non ti aspetti, non a caso il titolo, in chi abbia dimestichezza coi classici, fa suonare un campanello, eppure una lettura che secondo me sarebbe davvero imperdonabile farsi mancare, per la storia, per la scrittura e per il personaggio che senza farsene accorgere, vi entrerà nel cuore.

SI ABBASSANO LE TEMPERATURE E SI ALZA LA VOGLIA DI LEGGERE

Vi lascio qualche consiglio, veloce senza troppo approfondire, ma titoli garantiti, un po’ come andare dall’ortolano di fiducia, perché vi fidate vero?

Einaudi, che devo dire, difficilmente delude – soprattutto con Stile libero – Delitto di benvenuto : Cristina Cassar Scalia, spostandosi indietro di qualche anno, negli anni ’50 ’60, si conferma un’autrice di razza. Scipione Macchiavelli, commissario tolto dalla via Veneto dei locali delle bevute e delle belle donne, affronta una Noto che inevitabilmente sembra arretrata e provinciale ma si rivela alla fine molto diversa da come appare. Belli i nuovi personaggi, ben architettata – ma su queto non c’erano dubbi – l’indagine e la conferma, laddove ce ne fosse bisogno, che sostanzialmente, la gente non cambia mai. Promossa a pieni voti

Sempre per restare su letture che rilassano ma tutto sono tranne che superficiali, consiglio Un cadavere in cucina (l’ultimo nato della serie) ma in generale le indagini del contino Manrico Spinori – con tutti gli altri nomi e cognomi – Il Sostituto Procuratore che (se fossimo innocenti), tutti vorremmo incontrare. È un personaggio strano, emana calma e tranquillità mentre in realtà è bello frizzantantino il ragazzo, affronta il lavoro con la stessa accettazione che ha dovuto applicare alla vita, con una mamma ludopatica, ma simpatica, un figlio adolescente e un ex moglie che…Rispettoso di tutti ma non molla di un centimetro finchè la verità vera non è sul piatto. L’unica cosa che proprio mi fa sanguinare gli occhi (ma la “colpa” non è di de Cataldo credo, gli editor si adeguano al mondo), è l’uso di Ispettora, abbiamo una bella parola come ispettrice, perché adeguarsi al brutto?

Last but not least, vi consiglio fortemente di leggere La Furia, un thriller che “ricalca” meravigliosamente le orme impresse dalla Christie e da Dard senza scopiazzare. Il passaggio dalla pioggia di Londra al sole di un’isoletta della Cicladi avviene in contemporanea al cambiamento psicologico dei personaggi con sorpresa finale davvero ben ben pensata. Ah l’autore è Alex Michaelides e la Furia del titolo uno dei personaggi, certamente inaspettato.

UN PAIO DI TITOLI DI CUI NON PRIVARSI

Carlo Lucarelli non è certamente il primo a rendere protagonista un figlio – nello specifico figlia – di un romanzo, certo che mettere su carta e nella testa di chi legge, così tante emozioni diverse, richiede un certo talento (ma su quello c’erano pochi dubbi) e almeno altre due cose. Non è detto che sia o/o, possono tranquillamente convivere, questo romanzo ne è la prova.                                                                                             Un’enorme sensibilità, che gli permette di raccontare come lo stesso fatto, la stessa tragedia, sia vissuta elaborata e affrontata in modi così diversi da sembrare fatti diversi e uno studio approfondito sulle dinamiche che si innescano in chi viene privato di una parte di sé.                           Cosa diventa il dolore? Dove ti può portare il dolore senza nome – in realtà ho scoperto che una definizione esiste –  Quali abissi può arrivare a toccare un essere umano? Ma più di tutto, la domanda che ti resta dentro e continua a macinare quando meno te lo aspetti è: quante volte vediamo ciò che vogliamo vedere e non la realtà delle cose? Cosa siamo disposti a sacrificare per non vedere la realtà? Almeno tu è un romanzo sconvolgente ma imprescindibile nei tempi in cui viviamo.

Magari imprescindibile non è la parola esatta per questo romanzo di Alessandro Robecchi, però ecco, Il tallone da killer è uno di quei romanzi salvavita che sarebbe bene avere a portata di mano. Avete presente quando vi viene il blocco del lettore? Oppure quando aprite centordici libri e dopo le prime 10 pagine li richiudete sbuffando? Ecco, a quel punto prendete in mano il libriccino blu e si compie la magia. La penna (vabbè la tastiera l’è istess) di Robecchi, si trasforma in una bacchetta magica e la sua mente (deliziosamente perversa), partorisce incantesimi. I due protagonisti li abbiamo già incontrati, se non ricordo male – si fa per dire, lo ricordo benissimo – sono i padri della della famosa frase Hic sunt capannones, definizione perfetta della ubertosa Brianza. Non hanno un nome, ne hanno tantissimi, monouso naturalmente. Robecchi è un autore raffinato, capace di farti sballicare dal ridere usando ironia e paradossi eppure andando a toccare temi che riflettono perfettamente uno dei peggiori quesiti che oggi rappresentano quasi la normalità. Quanto vale la vita di qualcuno? O ancora più precisamente, ha un valore oltre a quello economico? Secondo me, scoprirlo ridendo, non ha prezzo.