Commissari amici e libri in TV

Per gli amanti della lettura di Napoli e di Maurizio de Giovanni, il 25 gennaio rimarrà nella memoria come IL GIORNO. Dopo anni in cui si sono succedute le teorie più strampalate, ipotesi su chi avrebbe interpretato il commissario Ricciardi, trattative per la vendita dei diritti, quale regista sarebbe stato in grado di rendercelo così come ce lo siamo costruiti nel nostro immaginario, finalmente tutte le domande hanno avuto una risposta e ieri sera ci siamo sintonizzati in tanti su RAI1, chi trepidando chi pronto alla critica feroce, soprattutto dopo avere già pontificato il pontificabile sulla fiction ispirata da Mina Settembre. Stamattina la prima occhiata ai trend sui social, per una volta tutti d’accordo. Personalmente non convintissima che D’Alatri fosse il regista giusto, ho dovuto ricredermi dalla prima inquadratura. Calati negli anni ’30 come se l’oggi non esistesse, ci siamo goduti ogni secondo, il San Carlo di quegli anni, con le due opere in programma nella stessa giornata, l’opera come musica popolare e poi lui. Il commissario che non sorride, che vede gli ultimi istanti di vita di chi ha subito una morte violenta. Lino Guanciale si è rivelato perfetto, è entrato in parte amando il personaggio e si è visto. Negli sguardi nei modi nella freddezza nei confronti del vicequestore – dell’autorità – nella pietà verso i morti e infine nel muto dialogo da una finestra all’altra. Quel dialogo muto che ci ha fatto sospirare temere parteggiare. Non faccio l’elenco dei personaggi, sarebbe inutile, dico solo che meglio di così era veramente difficile fare. Una trasposizione delle emozioni, perché questo è stato Ricciardi dal primo all’ultimo romanzo, dal cuore agli occhi. Ho letto post e tweet in cui si diceva “dovrò leggere i romanzi” e questo a mio modesto parere è il grande merito della trasposizione televisiva fatta bene, avvicinare alla magia di un libro, dare l’imput a chi non ha l’abitudine di prendere in mano un oggetto che può portarti ovunque. Ben vengano allora prodotti così ben fatti e ancora, sempre un gigantesco grazie a chi ha iscritto Maurizio a quel concorso, a quella zingarella che gli ha fatto le linguacce da fuori la vetrata del Gambrinus, alla ribolla gialla e a tutti quelli che dal primo momento (un donnino enorme in particolare) hanno creduto nella magia che dopo tanti anni, ci è stata regalata in video. Grazie Maurizio

Come ha detto Salinger “… i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quello che segue vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.“ Anche se sono le 23.30 di un lunedì.

Fiori

Per i Bastardi di Pizzofalcone

A Napoli succede, fra i vicoli le scese e le scalinate improvvisamente ti trovi davanti un paesaggio che mozza il fiato o una chiesa di una bellezza che incanta, quel che succede è più tutto. Più colorato più chiassoso più profumato e più disperato. Così è Pizzofalcone, un groviglio di ricchezza e povertà, di allegria e di dolore. Esageratamente primavera anche nell’alba di aprile, in cui Savio Niola, viene trovato Massacrato appena oltre la soglia del suo chioschetto liberty, in ferro battuto e vetro da dove ogni mattina, nonostante i settantaquattro anni, tirava fuori i suoi fiori e le sue piante, pronti ad essere venduti a chiunque abbia qualcosa da dire, un perdono da chiedere, un amore da dichiarare, un’amicizia da ribadire e perfino un addio da suggellare. Eppure Savio era amato da tutti, aiutava chiunque avesse bisogno, fosse con le parole con i gesti con la comprensione. Lo ribadisce anche Ciro Durante, l’amico che tutte le mattine lo incontrava lì, gli faceva compagnia mentre Savio metteva fuori le piante, parlavano o forse no, quando si è amici da una vita non c’è bisogno di tante parole. Ma di questo, di come evolve l’indagine, lascio che vi dicano gli altri blogger. Quando finisco di leggere Maurizio ho il privilegio di poterlo chiamare e dire quel che ne penso, stavolta non avevo parole. Lui vuole sapere se il giallo regge, ma quello regge sempre, è il resto che mi ha lasciata fra le pagine per un pezzo. Ho scoperto il significato dei fiori, sentito la poesia, la bellezza e il dolore che emana l’amore, quello felice quello travagliato quello taciuto e quello manifesto. Quanto possano sorprenderci le persone (ok i personaggi) che credevamo di conoscere e quelli che stiamo conoscendo poco a poco. Quanto qualcuno possa scatenare nel giro di pochi minuti, raptus omicidi e risate di cuore e quanto ci si possa sbagliare nel “giudicare” qualcuno. Al di là di questo comunque, la potenza narrativa di una poesia messa in prosa, è al momento irraggiungibile ed è quello che fa de Giovanni, mette su carta le emozioni le paure le gioie segrete. Ci sono anche un paio di “colpi di scena” che scateneranno discussioni infinite, ma si sa che non sempre i lettori sono d’accordo su tutto, di una cosa però sono certa, non guarderete più un anemone, una rosa, un geranio o un ciclamino.    “Tu lo sai, perché te l’ho detto tante volte: ogni fiore racconta una storia. A volte sono storie di una parola sola, altre invece sono piú lunghe. Dipende dal fiore”. In questo, che forse a parte il prossimo, è al primo posto della mia classifica, ho trovato più poesia più bellezza più dolore e più amore che in tutti i precedenti.  Io lo sapevo che non sarei riuscita ad evitare la banalità, che inevitabilmente sminuisce la profondità della scrittura di de Giovanni. Ci ho provato, ma credetemi è davvero una poesia in prosa.

  

  

 

Troppo freddo per Settembre

Un inverno particolarmente freddo, insolito a Napoli, permette a Mina (Gelsomina all’anagrafe), di camuffare ancora più del solito il suo esuberante e imbarazzante – per lei – Problema n° 2. Per chi non avesse letto il precedente – vergogna e 5 minuti in ginocchio sui ceci – l’assistente sociale, che viene da un quartiere bene ma lavora nel consultorio più scalcagnato di Napoli, nei Quartieri con quel che ne consegue, ha un fisico che inspiegabilmente resiste alla forza di gravità e al passare del tempo, nonché una quinta abbondante, il problema n° 2 appunto. Il fascinoso ginecologo che la affianca al consultorio DomenicoChiamamiMimmo, palesemente cotto di lei ma che Mina sappia fidanzatissimo, continua a turbarla, ma la turba molto di più la richiesta di aiuto di una madre che le si rivolge chiedendo aiuto. Nè Mina nè la donna sanno se e cosa sia possibile fare,qualcosa va fatto e Mina non esita a superare il turbamento e coinvolgerlo in qualunque cosa le venga in mente di fare per aiutare questa donna.
Nel frattempo, un anziano professore viene ucciso, cioè potrebbe esserci suicidato, ma il procuratore che casualmente è anche l’ex marito di Mina, scova qualcosa che non lo convince e peraltro lega l’omicidio alla vecchia signora che ha chiesto l’aiuto di Mina. Naturalmente ognuno dei due è all’oscuro del coinvolgimento dell’altro.
E la miseria, quanta trama vi ho raccontato, allora veniamo al succo, si ride, con quell’umorismo al limite del sarcasmo che abbiamo imparato nei confronti del povero Aragona (sì l’agente dei Bastardi), ma che nel sarcasmo vero e proprio non scivola mai, perchè de Giovanni ama i suoi personaggi pur riconoscendone le debolezze e gliele perdona. Cresce il personaggio di Mina Settembre, e si alza l’asticella dei problemi in cui si trova coinvolta. L’autore di Ricciardi dei Bastardi di memorabili racconti sulla cronaca e sul calcio, della donna invisibile, è sempre riuscito ad evitare un argomento che chiunque scriva di Napoli è praticamente costretto a toccare, la camorra. Ebbene stavolta ne parla ma lo fa come lui solo credo può fare. Con dolcezza, lo so, sembra un paradosso ma è esattamente così che deGio riesce a parlarne. Andando dentro le anime anche di gente che teoricamente non ci pensa un attimo ad ammazzare. Ci va con la storia di un”anziano”, schifato (come direbbero a Napoli) dal figlio la nuora e i nipoti, ma adorato dalla nipotina decenne, a cui affida quello che deve lasciare al mondo. La saluta rendendo dolce anche la morte, con l’amore che solo i nonni possono dare e ricevere dai bambini. Lo fa raccontandole delle storie, una in particolare. Lo scrittore, il raccontatore di storie, anche parlando di camorra e morte, come sempre, usa una delicatezza e un’arte nel maneggiare le parole, che lasciano storditi. Come dicevo all’inizio, dopo i racconti e il primo romanzo, la calibratura fra divertimento e racconto è praticamente perfetta. Io dico che anche gli scettici, stavolta si innamoreranno senza dubbio di questa signora, che per inciso, vedremo anche in tv con il volto e il corpo prestati da Serena Rossi.
PS : la storia che la bimba vuole sentire sempre, è una di quelle che la signora Edda ha raccontato a lui e ai suoi fratelli e poi ai nipoti quando erano piccini. Quella piccola donna che racchiudeva un cuore gigantesco, è sempre stata presente nelle storie di de Giovanni ma leggere oggi della scodella è più dolce e doloroso che mai.

E finalmente torna Settembre (portandoci 12 rose)

Avete letto tutte le raccolte di Sellerio? Se sì (a meno che non siate fra quei disgraziati che saltano i racconti), avete già incontrato la dottoressa Settembre. Quarantaduenne assistente sociale nel centro storico di Napoli. Fra l’altro ex moglie di Claudio (lo ha lasciato lei per la cronaca) che di lavoro fa il magistrato, per cui, oggi per un motivo, domani per un altro, si incontrano spesso e se non c’è necessità reale, uno dei due la crea. La Nostra Mina, che all’anagrafe fa Gelsomina, è tornata dopo la separazione, a vivere con mamma Concetta. Ecco, perdonatemi ma io due o tre parole su questa donna le devo spendere. Credo che si posa definire una sorta di monito di Dio al mondo: “occhio che l’inferno esiste”. Un martello pneumatico in sedia a rotelle, preposta ad umiliare la figlia, che non dimentichiamolo ha commesso due errori, ha sposato il magistrato, che non è ricco, e poi si è anche separata. Il Concetta life style, prevede infatti che una donna non lavori e sposi un ricco che la mantenga. Mi taccio su come tratta le badanti, che secondo lei fanno quel lavoro solo perchè la Merlin ha chiuso le case a suo tempo. Ovviamente quel geniaccio di deGio ne ha fatto un personaggio diabolicamente divertente. Oltre alla mamma, Mina ha anche un problema fisico, piuttosto grosso, però non ve ne parlo, perchè se non l’avete ancora conosciuta è giusto che lo scopriate da soli. Sappiate che nel mazzo di rose che ci ha confezionato, l’autore ha messo anche, un ginecologo bello come Robert Redford, al punto che i trans, sostengono di avere la vaginite, un anziano portiere convinto, del tutto immotivatamente, di avere il fascino di Redford, ma che per Mina, o meglio per il suo problema, farebbe follie, le amiche pazzarielle che fra una nuova french manicure e un aperitivo, accettano allegramente di aiutare Settembre nel salvataggio della mamma e della ragazzina, per quanto possa essere pericoloso.
Potrei parlarvi del giallo, che stavolta tocca Mina molto da vicino, oppure del “caso” di cui si deve/vuole occupare come assistente sociale, che proprio privo di rischi non è, potrei raccontarvi delle 12 rose, ma no, non derogo alla regola, vi dico solo ordinatelo andate precipitatevi in libreria (ce lo trovate dal 29). Se poi avete ancora un po’ di magone per i saluti di luglio, Settembre, con un gran bel giallo e molte risate, vi risolleverà il morale, senza se e senza ma. A seguire (non so esattamente quando), la recensione vera su Mangialibri

Vuoto per i Bastardi di Pizzofalcone

Il vuoto per definizione tende a riempirsi, ogni elemento è incline ad espandersi ed occupare lo spazio vuoto. Vale anche nella vita, per gli esseri umani, quando qualcuno ci lascia tentiamo di “sostituirlo/a” velocemente. Ma ci sono vuoti che per quanta roba ci si metta restano devastanti, ci sono vuoti che straziano. Avendo deciso di fare un blog che parla di libri, mi sento in dovere, di scriverne, ma con de Giovanni è sempre più difficile. Cosa vi dico? Che è come sempre eccezionale? Che una volta di più, l’ennesima, ha scritto un romanzo di una cattiveria che non posso definire inaudita solo a causa della cronaca che è ogni giorno più crudele? Eppure come ogni santa volta, te ne accorgi dopo, quando lo hai finito e quel che hai letto è sedimentato. Solo allora realizzi l’enormità di quello che hai letto. Perchè mentre lo leggi ti cattura ad ogni riga, stai in guardia per capire se ti puoi fidare della Rossa (chi è lo scoprite poi da soli eh), ti emozioni e ti inorgoglisci per Aragona, che è balordo ingenuo buffo, ma non stupido e ha un cuore grande. Mentre giri una pagina dopo l’altra ti appassioni e ti ritrovi esattamente dove eri rimasto un anno fa, quando hai chiuso Souvenir con un groppo in gola che è rimasto lì un pezzo e non segui l’indagine, no, bevi avidamente parola dopo parola, riga dopo riga per la necessità di sapere se lui sarà, se lei, se ancora lei, se loro due… de Giovanni dipinge sentimenti, usa tutti i colori, primari e terziari tirandone fuori delle cose bellissime, che in mancanza di altre parole chiamiamo romanzi. E siccome nulla è per caso, mi è capitata sotto gli occhi questa citazione. Con i Bastardi compresi nella gente e aggiungendo qualche sana risata, direi che Dostoesvskij ha detto tutto.

“E tutti si osservano e si saggiano a vicenda con occhi curiosi. Ne viene fuori una sorta di confessione generale. La gente si racconta, si descrive minuziosamente, si analizza davanti al mondo intero, spesso con dolore e sofferenza”..

Fedor Dostoesvskij – 1847

Ci siamo, penultimo episodio – avete anche voi la Ricciardìa?

Che strana parola confessione, si fa e si riceve. “Io confesso, ti confesso, lascialo stare, lascia che viva” Queste le ultime parole di padre Angelo, gesuita, padre spirituale di molti, amato stimato rispettato, eppure ucciso in un sabato di maggio, davanti al mare, nel posto in cui andava a meditare e pregare. Parole che si imprimono nella mente di Ricciardi, intrecciandosi con il pensiero della confessione che lui stesso sente di dover fare alla donna che ama, rischiando di perderla o peggio di condannarla alla solitudine. Un’indagine complessa che coinvolge l’alta società partenopea e come spesso accade ha radici lontane nel tempo. Ma non è questo che cerchiamo in de Giovanni, il giallista (che peraltro in questo romanzo è prepotentemente bravo), è sempre il pretesto. Lui lo sa e ancora una volta, la penultima ahinoi, ci da quello che vogliamo, cesella un gioiello di pregio. Difficile dire qualcosa di nuovo sui romanzi di de Giovanni, difficile descrivere qualcosa che è sempre uguale eppure diverso, migliore del precedente. Maneggia le vite dei suoi personaggi con la precisione di un chirurgo, un bisturi affilatissimo con cui individua le parti “malate” e le asporta, dando ad ogni capitolo un pezzo di vita in più a quegli uomini e donne che ormai conosciamo, di cui sappiamo le debolezze e la forza, quelle persone che gli affidiamo ogni volta che arriviamo alla fine, perchè ce li restituisca felici. Credo che si diverta de Giovanni a vedere le fazioni schierate, ognuna a immaginare come far finalmente di Ricciardi un uomo completo, che accetta l’amore e si lascia amare, a immaginare Maione finalmente pacificato con il passato, il dottor Modo un po’ meno randagio. Credo anche che lui sappia cosa fare, lo dimostra in questo Purgatorio, che porta inevitabilmente ad un inferno o un paradiso. Qualcosa di indefinibile che comunque ci rimarrà dentro.

Sara al tramonto – ancora e sempre un de Giovanni che sorprende

Le donne dell’universo deGiovannesco sono tante e tutte diverse una dall’altra. Abbiamo iniziato conoscendo Enrica, una specie di Beatrice dei giorni nostri, pronta ad accompagnare Ricciardi all’inferno senza esitazioni, Tata Rosa, una mamma universale, una di quelle donne capaci di amare incondizionatamente e di difendere i loro cuccioli con la vita. La fatale Livia, ritratto di una donna che non sa accettare un no, pagandone anche le pesanti conseguenze. Bianca, l’amica fragile che al bisogno diventa un sostegno indistruttibile e prezioso. Figure che abbiamo poi ritrovato nella realtà di oggi, l’inflessibile Piras la dolce Ottavia la fragile Alex la materna Letizia. E ancora le figure “femminili” de I Guardiani (che fra parentesi spero tornino presto), che hanno una valenza universale nella contrapposizione Bene/Male. Mancava forse quella che in qualche modo le riassume tutte.
Sara Morozzi è una donna come tante, “un’anziana” signora delle migliaia che popolano le strade i giardinetti delle nostre città, una di quelle che non vedi perché vai di fretta perché è grigia e si confonde fra le ombre della sera con gli angoli dei muri. Una figura invisibile per sua stessa scelta. Ha imparato a sembrare quello che non è nei lunghi anni in cui è stata in polizia, non di pattuglia no, Sara faceva parte dei Servizi, quelli che sappiamo esistere ma non appaiono mai, che hanno catalogato e archiviato migliaia e migliaia di informazioni su chiunque per le ragioni più svariate. Sara è rimasta invisibile ma non per la sua squadra che ha ancora bisogno di lei. Per quelle cose che non si devono sapere, che non esistono e forse tornare alla vita restando nell’ombra, è proprio quello di cui ha bisogno. Come le altre che ho nominato prima, ha pagato ogni suo gesto e sappiamo bene che la crudeltà con cui la vita presenta il conto è superiore a qualunque immaginazione. Attenzione però, se dalla descrizione può sembrare un noir cupo, in realtà come sempre succede, de Giovanni spezza le atmosfere inevitabilmente tese, affiancando dei comprimari con cui a tratti ci si fanno anche delle belle risate, per conferma chiedere di Davide e Boris.
E Napoli vi chiederete, presenza viva quasi come una persona in ogni romanzo? Napoli c’è, non più personaggio, ma quieto sfondo. E infine qualcosa che a mia memoria appare per la prima volta nei suoi lavori, un sentimento che non appartiene al de Giovanni che conosciamo, va da sè che non vi dico di cosa si tratta ma sarà palese e abbastanza sconcertante quando arriverete a fine romanzo. Con questo primo episodio, deGio ci lascia intuire le diversissime evoluzioni che potrà avere Sara e che al momento affidate di sicuro, note forse, solo alla smisurata fantasia del mago. Insomma non c’è moltissimo da dire se non che la storia di Sara è l’ennesimo colpo da maestro di un autore che ormai ci ha abituati alle letture a 5 stelle. Ah, questa nuova collana NeroRizzoli è decisamente da tenere d’occhio.

Era il 1962 su una spiaggia di Sorrento…de Giovanni e la macchina del tempo

Li aspettiamo di anno in anno, restiamo sospesi nell’ incertezza per mesi e poi finalmente arriva la fine dell’anno e sappiamo che i nostri dubbi saranno finalmente sciolti.
Aspettiamo lasciando i nostri amati ragazzi in un limbo. Poi via via che si avvicina il momento, dall’angolo in cui li abbiamo messi riemergono prepotenti, cominciamo a chiederci se Aragona sarà riuscito ad invitare a cena la bella Irina, se Pisanelli riuscirà finalmente a capire quello che noi lettori sappiamo e non possiamo dirgli. Ci viene un po’ di batticuore, lo stesso che prova Ottavia quando vede il commissario, quella sensazione di stare in bilico fra il dovere nei confronti di chi ha bisogno di noi e quello verso noi stessi. Insomma non so a voi, ma se i Bastardi di Pizzofalcone indagassero sul furto di una gomma da cancellare sparita dal tavolo del bidello, a me andrebbe bene lo stesso. In questo Souvenir ho percepito un cambiamento, che poi si sa che nei libri troviamo quello che ci mettiamo noi, mica solo quello che ci mette l’autore. Lasciamo da parte l’indagine che è un romanzo nel romanzo, un lavoro di deduzione che sembra semplice ma non lo è affatto, io ci ho trovato un cambio quasi impercettibile, come se avessero imboccato l’ultimo pezzo di strada prima del traguardo. Traguardo poi, quale? Quello che tutti noi, più o meno Bastardi nel nostro piccolo, inseguiamo sempre e comunque, che ne siamo consapevoli o no. Avere una vita che possiamo definire felice, qualcuno che accolga i nostri pensieri la sera, quando torniamo a casa con le brutture del giorno sulle spalle. Poter amare la persona che il destino ci ha messo davanti senza per questo perdere amori più antichi, la cui mancanza ci lascia lacerati. Poter aspettare il momento di lasciare questo mondo senza rimpianti, sapendo di avere fatto quello che dovevamo.
Souvenir, ricordo, qualcosa che con la sua fisicità ci riporti a momenti felici che teniamo nel cuore, questo fa de Giovanni, ci lascia ogni volta con qualcosa da tenere nella scatola dei ricordi preziosi, qualcosa che ci ricordi appunto che dobbiamo tendere alla felicità, per quanto ci possa costare. Lo fa da grande scrittore, da uomo che entra negli animi e li racconta con grazia, con la gentilezza che pochi hanno nell’affrontare l’altro. Una sola avvertenza, quando finirete di leggere Souvenir, il primo istinto sarà quello di prendere il telefono (se avete il numero) o di fiondarvi su messengers per poterlo insultare senza freni. Fatica inutile, lo sa che per qualche momento lo odieremo tutti, ma sono certa che saprà farsi perdonare incondizionatamente. Non dimenticatevi di tenere d’occhio la pagina facebook del fan club, Maurizio farà una diretta per rispondere a tutte le nostre curiosità. A questo link, anche se suppongo lo abbiate già visto, c’è un pezzettino di Souvenir letto da Maurizio

Chiamata a raccolta per i #deGiovanners –

deGiovanners tutti e genti che leggete senza essere maniaci, tra qualche giorno (pochi, magari domenica ma intanto mi anticipo), vi inviterò sulla pagina facebook di questo bel blogghino, o su twitter, vedete voi. A far cosa, ve lo dico preso.

In attesa dei Bastardi, quello che non vi ho detto di Rondini d’inverno (occhio allo spoiler)

Ne avevo parlato dicendovi poche cose, avevo bisogno di assimilare le mille cose che ci sono in Rondini d’inverno, lasciando da parte i colpi di scena nella vita del commissario dagli occhi verdi, lasciando da parte lo strazio del dottor Modo e di Maione che si fondono in un’unica storia, sia pur per ragioni diverse, vorrei concentrarmi su un particolare che per me è stato scioccante. I collegamenti mentali che trovate di seguito, sono ovviamente frutto della mia mente che tanto a bolla non è ed è cosa nota, ma ovviamente i commenti sono aperti sia al confronto (qui o sulla pagina FB è uguale), sia con chi legge, sia eventualmente de Giovanni che se vuole può dichiarare pubblicamente la mia follia. Non so voi, ma io mi sono chiesta da quando è iniziato il ciclo delle canzoni – Con Anime di vetro proseguito con Serenata senza nome- chi fossero il vecchio e il ragazzo, era come se non riuscissi a farli incontrare con le Storie che stavo leggendo. Un po’ come quando guardi un quadro di Escher. Leggendo Sipario alla fine, il mistero viene svelato e lì è partito il tour mentale che mi ha “sconvolta”. Il mio adorato Maurizio mi ha perculata senza che io minimamente me ne rendessi conto. va da sè che il pensiero mi è volato come una rondine impazzita ai Guardiani, al tempo che non c’è, o meglio che è conseguenza di sè stesso. Al fatto che le Storie, quando sono frutto di una mente geniale, possono davvero trasportarti in qualunque punto dello spazio e del tempo senza che tu, viaggiatore anche sgamato se vogliamo, sia preso per mano e portato ad accettare le circonvoluzioni del mondo in cui ti stai lasciando andare. Ecco, son riuscita anche a contenere lo spoiler. A presto prestissimo, intanto per chi non l’avesse letta, vi lascio il link della recensione “vera”, che qui si sa, lascio volare i pensieri 😉 Ci vediamo a Bookcity2017