CAMINITO un aprile del commissario Ricciardi

Ci sono romanzi  che sono poesie, raccontano storie succedono cose ma la sostanza rimane poesia.

Quella di un amore non corrisposto che non si arrende, non accetta di morire e si sublima in una musica che diventa una danza. Sensuale crudele affascinante, che anche se non la sai ti invade il corpo. Una danza che si accompagna a parole di rimpianto che nascondono una forza che a volte non sai di avere.

È poesia una stradina che diventa viaggio e meta, è una pietra elevata a panchina, una strada che può essere ovunque e ad ogni metro risveglia ricordi, riscalda il cuore di chi l’ha percorsa con accanto l’amore e lì, solo lì, ci parla e ascolta, come se fosse ancora fisicamente vicino. Perché l’amore risponde l’amore ascolta e asciuga lacrime che non finiranno mai.

La poesia di un mese ingannevole, con l’aria che parla di primavera, che ci si può nascondere dietro un cespuglio per  far l’amore e trovare la morte.

È poesia la paura di un padre che non sa se potrà proteggere la figlia da un’eredità che potrebbe averle involontariamente trasmesso, né da un futuro che è gravato da nuvole nere, in cui ogni parola può essere un pericolo, un futuro che potrebbe non esserci.   O quella di un padre disposto a mutilarsi perché un figlio possa avere il meglio. È poesia perfino un marcantonio vestito da Lady dei boschi                                                                               

Lo è la dolcezza di una bimba che fa ridere quel papà imitando la sua tata che comunica solo con proverbi in cilentano stretto e lo rende orgoglioso della sua intelligenza che un’amica preziosa sta curando.   

Questo e tanto altro è Caminito.

Un inno alla vita che va avanti prepotente a dispetto di tutto e si sente la necessità di de Giovanni o di Ricciardi (che pare sia uno stolker da manuale) di raccontare che la vita che non si può fermare. Non ci sono lutti che ci portino via chi abbiamo amato, non c’è paura che non si superi, non c’è nulla per cui non valga la pena di rischiare.

Poi c’è tutto quello de Giovanni ci ha abituato a trovare nei suoi romanzi, il giallo la Storia le cose di tutti i giorni, l’amicizia la Città, ma quello lo trovate nelle recensioni vere, questa è solo una dichiarazione d’amore a chi non avevo capito, mi fosse mancato tanto

REQUIEM PER UN AMICO

Brian Freeman

Potrebbe far finta di nulla Jonathan Stride, ha taciuto per tanti anni, la storia è morta e sepolta esattamente come il corpo di Ned Baer, dato per annegato e disperso nel fiume sette anni prima. Potrebbe non dar peso alle parole che Steve Garske gli dice poco prima di morire, potrebbe lasciare che i morti riposino in pace. Ma non lo farà. La principale caratteristica dei thriller di Freeman è proprio di mettere al centro della storia le vicende personali dei suoi protagonisti facendole diventare Il Caso. Abilissimo nel costruire trame intricate in cui si intrecciano più storie apparentemente slegate, fino alla conclusione che riunisce tutti i fili. in questo romanzo, la morte di Baer che si scopre essere stato ucciso, riporta prepotentemente all’attenzione della cronaca fatti che trent’anni prima hanno visto Andrea, diventata poi la seconda moglie di Stride, vttima di una violenza sessuale che molti anni dopo, viene attribuita a un politico. Il Caso riguarda Stride tanto strettamente, che il tenente si trova ad essere sospeso dal servizio in quanto principale indiziato dell’omicidio. La trama parallela riguarda invece la giovane Cat, ragazza problematica, più volte abusata, abbandonata e diventata giocoforza una prostituta, che i coniugi Stride hanno accolto a casa amandola come una figlia. La ragazza è vittima di stalking da parte di un ammiratore sconosciuto ed estremamente pericoloso, al punto che le viene messo vicino un agente che la protegge h24. Vicenda che si scoprirà strettamente intrecciata a quello principale. Non ha niente del “supereroe” il tenente Stride, se non un’etica ormai rara, condivisa con Serena e la sua vice Maggie e una capacità di amare fuori dal comune, oltre alla rara capacità di unire davvero le forze e riuscire insieme a trasformare i problemi in opportunità, a trovare serenità dove non c’è. Dire di più sulla trama di questo thriller non si può perché il piacere maggiore dei lettori di Freeman deriva dalle sorprese continue e dai colpi di scena che si susseguono fino all’ultima pagina. Chi sceglie di leggere Freeman, uno degli autori americani più amati, sa cosa aspettarsi e non rimane deluso. Nemmeno questa volta. “Restarono in silenzio, a guardare la risacca e il sole scintillante sull’acqua. Sulla sinistra, la città si stendeva sulla collina. All’orizzonte, una nave da carico piena di minerale grezzo si dirigeva verso il ponte mobile. Era una giornata perfetta a Duluth.”

UNA REGATA MORTALE

Una regata mortale

Voglia di leggere qualcosa di fresco e scritto bene? Trovato. Direttamente dalla collana Vintage de Edizioni le Assassine, Una regata mortale. Fresco sì, nonostante l’autrice sia nata verso la fine del 1800, degna degnissima di essere accostata a zia Agatha, certo, un pochino meno imprevedibile chi sia l’omicida, ma decisamente scritto – e magistralmente tradotto – con brio e arguzia. Una critica neanche troppo velata a un certo tipo di nobiltà della campagna inglese di inizio secolo. Snob o meglio con i quarti di nobiltà ma senza pecunia – che credeva – di poter barattare l’entrata nei clan in cambio di soldi. La trama è un classico, Merle ricca plebea si innamora, sembra ricambiata, del giovane Leonard Holroyd. Conoscenza che è stata combinata da una vecchia conoscente di entrambe le famiglie e perfettamente a conoscenza delle esigenze deell’una e i desideri dell’altra. Purtroppo la giovane e generosa Merle capisce ben presto che la considerazione della sua nuova ( e unica famiglia) è solo per il suo partimonio e in cambio di averla fatta diventare una Lady, pretenderebbe di farla diventare qualcosa che da lei è lontanissimo. La situazione che Daria Lane, amica intima di Merle trova è decisamente sconcertante. La donna insiste perché lei si trasferisca nella suntuosa e antica dimora del marito che lei ha fatto ristrutturare, ha bisogno di sfogarsi di parlare e di un’alleata che la aiuti a tener testa a marito suocera e cugina, che inspiegabilmente vive con loro. Stanca di subire critiche e offese, nonostante sia sposata da relativamente poco, Merle si è infatuata, lei sostiene innamorata e ricambiata, di un politico che sta tentando di emergere tralasciando il fatto non indifferente, che le scalate politiche costano. Lei però ha deciso, vuole il divorzio e un nuovo matrimonio con Gideon Franklin che ovviamente beneficerebbe della ricchezza della donna al posto degli Holroyd. Ma qualcuno non è d’accordo al punto che la povera Merle viene uccisa. Questa la trama che come dicevo può sembrare non originalissima ma il ritratto che la Griffin fà dei personaggi e della piccola comunità in cui si muovono, gli indizi seminati qui e là, l’indagine che prende pieghe inaspettate, fanno scorrere le circa trecento pagine davvero leggermente e con la giusta dose di tensione, fino alla soluzione che ovviamente non è quella che ci si aspetta. Sono sempre indietro con le letture, ma ogni volta che Le Assassine mi propone qualcosa, che regolarmente rimane indietro (come tutto il resto), quando lo leggo poi, mi pento e mi dolgo di avere aspettato. Non imitatemi e leggetelo subito. Ah, per misurare se un libro mi è piaciuto, basta chiedersi se cercherò altri romanzi dell’autore – autrice in questo caso – e sì, nello specifico lo farò.

GIORNI BELLI CON I LIBRI BLU

ATTENZIONE POSSONO PROVOCARE DIPENDENZA

Ne parlerò più esaustivamente e separatamente su Mangialibri, però proprio come capita agli artisti (che mi perdoneranno l’ardimento del paragone) ho proprio l’urgenza di raccontarvi questi tre e spingere chi non li conoscesse (ma che davero esiste qualcuno che non?) o chi ancora non li avesse letti a provvedere al più presto. Andiamo con ordine? Sì, alfabetico per la precisione. Bruzzone Samatha, coniuge e complice (lui lo dice da sempre e finalmente in copertina c’è anche lei) di Malvaldi Marco. Tutta la scienza e la conoscenza di due cervelli parecchio funzionanti, messe a servizio del divertimento intelligente e credetemi che i due di scienza e conoscenza ne hanno a iosa di loro. Come ebbe a dire mi pare Umberto Eco, non è fondamentale avere tutte le risposte ma sapere esattamente dove cercarle quando ti servono. Questi due non solo sanno dove cercare le risposte, ma sono in grado di inventarsi le domande alle quali darle. Manzini Antonio, quando scrive di Rocco Schiavone è splendido ma quando racconta altro diventa superlativo. Una storia di provincia, di campanile, in cui descrive le miserie e le rivincite, che sanno di miseria anche quelle, di chi è costretto ad abbassare la testa, dagli eventi le circostanze la vita in generale. Lo fa con apparente distacco, dico apparente perché nei suoi romanzi, soprattutto quando parla di bambini e giovani, c’è compassione, quella vera che fa trasparire il dolore che provocano le ingiustizie e questa, La mala erba che infesta e soffoca, è di quelle che non può essere risolta da un tribunale o da un’indagine di polizia. Non è un thriller ma di sicuro se associamo il noir al romanzo “sociale”, è nero come la pece. Recami Francesco fiorentino, già inventore del Consonni e Co, abitanti di una casa di ringhiera in Milano, intorno a via Porpora. Anche lui come gli ideatori di romanzi seriali, ogni tanto esce dallo schema e se posso, si gode. La sinossi parla di un killer che come copertura è un tranquillo impiegato dell’inps. Ci si aspetta una storia intricata e ricca di humor nero (che è poi la sua cifra, di Recami non degli impiegati statali). Epperò parliamo di 573 pagine di romanzo, riuscite a immaginare quante trame orizzontali verticali e diagonali può essersi inventato? Non ci provate neanche perché non ci riuscireste. Dai colleghi corrotti, che non potevano mancare a un ipotetico ulteriore killer che decapita cani, anche quelli di gente che ha affari sozzissimi e poi sedicenti universitari, figli di ‘ndranghetisti, spogliarellisti, attentati, fino a una finta Sibilla e vi ho detto solo quel che succede nelle prime pagine. Dando per scontata la ricchezza lessicale del toscano (inteso come l’autore) e il suo amore per l’assurdo insieme a una fantasia che si riscontra raramente, ha messo insieme una storia in cui oltre alle millemila trame che si incrociano pefettamente, è palesemente nascosta una spietata disincantata crudeltà che sbeffeggia elegantemente tutti, perché in un pochino di quei personaggi, con un po’ di onestà ci si può riconoscere tutti.

LA CATTIVA STRADA

Paola Barbato, scrittrice di thriller e romanzi per ragazzi e sceneggiatrice di fumetti – tra i quali è doveroso ricordare il mitico Dylan Dog -, è tornata in libreria quest’estate con il suo nuovo romanzo La cattiva strada.

Chi legge le sue opere dall’esordio sa che ci troviamo davanti una scrittrice che sorprende sempre, sia nei romanzi che nei graphic novel, perché le sue trame sono sempre originali e con finali mai banali e scontati. Pensiamo ad esempio a uno dei primissimi libri di Paola, ‘Il filo rosso’, in cui l’autrice utilizza un punto di vista inusuale nella maggior parte dei libri che leggiamo, ovvero quello dell’assassino. Oppure, in tempi più recenti, la graphic novel in 4 volumi ’10 ottobre’, in cui viene immaginato un mondo fatto di persone con una vera e propria ‘data di scadenza’. Oltrepassata quella moriranno. O ancora un’altra graphic novel recente, scritta con il compagno Bussola e disegnata dallo stesso Bussola in collaborazione con l’amico Pilliu, ovvero ‘Bacteria’ in cui si immagina la nascita di quattro bambini portatori sani di alcune tra le più mortali malattie al fine di portare morte in territori nemici.

E anche con La cattiva strada non si è smentita regalando al lettore una storia claustrofobica e adrenalinica come lei sa fare ma con due particolarità: l’ambientazione esclusiva in autostrada, lungo la A1 e una storia narrata secondo due punti di vista che sembrano due poli opposti ma che alla fine la stessa storia raccontano.

Protagonista di questa vicenda è Giouscia Gambelli, un ragazzo trentenne che non è mai maturato del tutto. Non chiede nulla dalla vita, non ha mire particolarmente ambiziose per il suo futuro ma tutto sommato è contento perché è un bravo corriere, anche se non sa esattamente di cosa. Lavora per un privato che gli commissiona dei trasporti notturni con il suo furgoncino con l’ordine di non guardare mai all’interno dei pacchi che trasporta. E lui lo fa, stando ben attento a non essere mai alterato dall’alcool, rispettando i limiti di velocità, cercando di non farsi notare. Solo qualche piccolo strappo alla regola: fa delle tappe negli autogrill lungo il percorso dove ha stretto una sorta di amicizia con alcune persone che ci lavorano.

Ma una notte le cose non vanno come dovrebbero andare. Dalla scatola che sta trasportando esce del liquido, la scatola è rovinata e bagnata e quindi decide di sostituirla. Ma per farlo deve vedere il contenuto. E da li iniziano i guai. Ma non solo per lui ma anche per le persone che loro malgrado vengono coinvolte in questa rocambolesca avventura. Giosciua capisce di essere diventato un testimone scomodo e soprattutto si accorge che chi lo ha ingaggiato è li vicino pronto ad eliminarlo e l’unica cosa che può fare è fuggire ma forse il luogo più sicuro è proprio l’autostrada che sta percorrendo…

Autostrada che ho percorso pure io andando quest’estate in vacanza dove ho potuto vedere gli autogrill menzionati nel libro e rendermi conto che determinate situazioni, in particolari orari, che durante la lettura mi sembravano piuttosto irrealistiche sono invece assolutamente possibili. Non voglio spoilerare ma provate a pensare di attraversare a piedi di notte un’autostrada come la A1! Ecco, percorrendo proprio quel pezzo sono stata presa da alcuni brividi interni rivivendo la scena letta pochi giorni prima.

La cattiva strada è sicuramente un thriller ad alta tensione, con personaggi ottimamente delineati, che acquistano spessore man mano che procediamo con la lettura e con un finale a dir poco sorprendente. Ma è anche un romanzo di crescita personale, un passaggio dall’innocenza alla responsabilità, al rendersi conto come un’azione che commettiamo possa incidere sulla vita di altre persone. E di come il male sia ovunque, anche dove mai potremo immaginare.

L’ODORE DELLA RIVOLUZIONE

Andrea Franco

Giugno 1846, la città eterna è insanguinata da una successione di delitti che miete vittime delle classi sociali più disparate, da uomini di chiesa a un “carnacciaro” – una specie di incrocio fra un gattaro e un venditore di scarti destinati agli animali –  accomunati sembra, soltanto dall’aver subito orribili torture prima di essere uccisi. Don Attilio Verzi, ormai monsignore grazie alla “benevolenza” di Papa Pio IX poco dopo la sua elezione, viene chiamato ancora una volta a indagare, grazie al suo intuito e a quella sua particolare caratteristica di cogliere gli odori che nessun altro sente, compreso l’odore del peccato – per inciso titolo del primo romanzo che lo ha visto protagonista – Le indagini condotte insieme al suo assistente Giani e al capitano della Milizia Iacoangeli, conducono a eventi accaduti cinquant’anni prima durante la Rivoluzione francese. La Rivoluzione del titolo, appunto. Nel corso del romanzo scopriremo che la rivoluzione riguarda anche i personaggi e la loro storia: Attilio, il cui segreto nascosto nel passato si scoprirà solo alla fine e Iacoangeli, coinvolto in una storia d’amore difficile. Perché “le cose cambiano in continuazione, nulla è mai immobile, determinato. E forse, quel profumo strano che si portava addosso Iacoangeli in quei giorni era proprio l’odore del cambiamento, della rivoluzione.” Una serie di gialli storici ambientati nella Roma papalina di metà ‘800, come protagonista un investigatore molto particolare. Monsignor Verzi infatti ha una caratteristica che spiega “l’odore” citato in ogni titolo: è il “fiuto”, una capacità tutta sua di captare e decifrare gli odori delle persone che incontra, e che sente anche aleggiare dai morti e di associarli a particolari caratteristiche umane. La predisposizione alla menzogna,  la cattiveria  l’orgoglio, ma anche la bontà, oltre a situazioni che lo aiutano a individuare il colpevole. Cimentarsi col giallo storico non è certo semplice. Oltre a una buona trama, che regga l’investigazione, bisogna essere il più accurati possibile nella ricostruzione di ambienti ed epoche. Andrea Franco sa renderci una Roma ottocentesca viva, raccontandoci di mestieri che neanche sospettavamo esistere, come quello del carnacciaro,  facendoci assaporare vini antichi, che si chiamano sospiro, chirichetto, fojetta. La contemporaneità degli eventi con personaggi reali, come Mastro Titta, il famosissimo boia, e papa Mastai Ferretti rendono gli eventi ancora più inseriti nella realtà storica e coinvolgenti. L’odore della rivoluzione è il terzo romanzo giallo  scritto da Andrea Franco, molti sono invece i racconti, con protagonista monsignor Verzi. Con il suo primo romanzo, L’odore del peccato, nel 2013 Franco ha vinto il premio Alberto Tedeschi (Gialli Mondadori). A seguire, L’odore dell’inganno, del 2016, e infine questo, uscito a settembre sempre nella collana dei Gialli Mondadori. Se verso la fine alcune scene di una violenza fin troppo efferata mi hanno fatto storcere un po’ il naso, la figura di Verzi però spicca su tutto: la sua capacità introspettiva, il suo mettersi in discussione e temere la sua fallibilità tutta umana, la sofferenza che si porta dentro lo rendono un personaggio vivo e interessante, da seguire con attenzione. E certamente il passato di Verzi non ha ancora finito di svelarci i suoi segreti.

COSA BEVIAMO STASERA?

Questo per dimostrare che sono sempre sul pezzo, questo libro, che non è un romanzo non è un saggio non è un testo su cui studiare ma va giù bello liscio come un margarida (o margarita) in una sera d’estate, mi è stato dato, o più probabilmente l’ho chiesto, al SalTo di maggio. Marco Giuridio, l’autore, serviva dei deliziosi drink con pochissimo alcol e molto gusto; chi si sia fatto almeno una volta il SalTo come addetto ai lavori, può immaginare cosa siggnifica fermarsi in uno stand e trovare un ristoro di quel tipo. Leggere il suo libro era proprio il minimo sindacale. Fra l’altro pochi mesi prima avevo recensito per Mangialibri un libro con 101 ricette dei più cocktails più bevuti, ricette nude e crude con dei piccoli accenni di storia per ognuno sicché ero anche un po’ curiosa. Qui c’era una storia o una specie di storia, insomma un coprotagonista. Marco è dietro il bancone da una vita, è stato bartender nei più importanti cocktail bar d’Italia e all’estero, è stato brand ambassador e ha fondato una scuola per bartender, tutto questo, unito al cocktail di cui sopra mi sembrava una bella garanzia. E ho fatto bene a fidarmi, perché ammettiamolo, a tutti è capitato di aver voglia di bere qualcosa di particolare ma non è che magari che so, il giovedì sera alle 22 e 30 (che poi il giorno dopo devi andare al lavoro) non è che ti vesti ed esci, ti tieni la voglia, o un dopocena a casa con gli amici e ci si stufa del solito amaro (per buono che sia), con questo libro in casa, letto magari prima, potrete stupire e stupirvi con degli ottimi drink. Certo dovete avere uno spazietto per qualche bottiglia, per il bicchiere giusto e per qualche ingrediente in più, ma garantisco che seguendo le “istruzioni” e gli stati d’animo, risolverete un sacco di serate, godrete del gusto di una bevuta sana, senza esagerare (perché sempre di alcool parliamo) e imparerete un mucchio di cose che non vi aspettavate. Mi corre l’obbligo di un grazie a Gianni La Corte e al suo mitico ufficio stampa Giovanna Burzio, che oltre a fare egregiamente il suo lavoro, mi conosce e sa consigliarmi sempre libri di cui parlare è un piacere e mai un obbligo. Quindi Cosa beviamo stasera?

CI SPOSTIAMO IN GIAPPONE un autore – due romanzi

L’articolo è di Martina Sartor che ringrazio di cuore, appassionata di giallo classico, lettrice più o meno compulsiva e decisamente esperta del genere (ma non solo). Benvenuta e speriamo a presto. Speriamo perché qui, nessuno ha obblighi tranne la scrivente coleichelegge. PS – Si richiede una standing ovation per la cura e la pazienza nel cercare tutti i caratteri speciali.

MATSUMOTO SEICHō

Quando un genere appassiona molto, il lettore si sente spinto ad esplorare nuove frontiere, a scoprire sempre nuovi autori che soddisfino le proprie esigenze. Da appassionata di gialli classici, dopo aver letto tantissimi mystery degli autori più noti, da Agatha Christie in poi, sto riscoprendo molti autori giapponesi che nei decenni passati hanno sfornato gialli ad enigma, psicologici, o comunque di stampo classico appunto, degni di stare accanto agli autori più noti: Keigo Higashino, Yokomizo Seishi, Shimada Sōji e, appunto, Matsumoto Seichō. Matsumoto (in giapponese si antepone sempre il cognome al nome) è stato considerato il Simenon giapponese per la sua prolificità, avendo scritto dagli anni ‘50 in poi oltre trecento romanzi. Quando in libreria ho visto che la collana Il Giallo Mondadori aveva pubblicato due suoi titoli – Agenzia A e La donna che scriveva haiku e altre storie – li ho presi praticamente a occhi chiusi.

AGENZIA A

Un giallo di stampo spiccatamente psicologico, ambientato negli anni immediatamente successivi al dopoguerra giapponese. La giovane Itane Teiko sposa, con un matrimonio combinato come era usanza a quel tempo, Uhara Ken’ichi, manager in un’agenzia pubblicitaria. Ma, subito dopo la luna di miele, durante un viaggio di lavoro, Kenichi scompare. Teiko quindi inizia a cercarlo, ripercorrendone le tracce nel nord del Giappone. La trama è molto radicata nella storia dell’epoca e prende spunto da quegli eventi, riflettendone malinconie, difficoltà e tristezze. Non è un caso che nel Giappone occupato dai soldati americani, alla fine della seconda guerra mondiale la miseria era tale che “nacquero” le cosidette pan pan ragazze che sopravvivevano prostituendosi coi soldati stranieri. Come spesso accade nei gialli giapponesi, l’atmosfera è molto noir. Più che indizi fisici, seguiamo le indagini attraverso i pensieri dei personaggi e le loro elucubrazioni psicologiche. Bellissimo, a questo proposito, il personaggio di Teiko, la giovane moglie: il romanzo è praticamente raccontato attraverso i suoi pensieri. Ci immerge profondamente nella sua psiche, seguiamo le sue ipotesi sulla vita di questo quasi sconosciuto marito. Aiutati dall’abilità di Matsumoto nel ricreare ambienti e scenari naturali, alla fine ci sembra di esser lì con lei, sulle rive del Mar del Giappone, in una sera di burrasca invernale, ripetendo i versi di Allan Poe: Nel suo sepolcro laggiù in riva al marenella sua tomba laggiù dove echeggia il mare!

LA DONNA CHE SCRIVEVA HAIKU E ALTRE STORIE

Anche in La donna che scriveva haiku e altre storie è intatta la grande capacità introspettiva dell’autore che porta in modo magistrale a capire dinamiche e motivazioni degli omicidi. Si tratta di sei racconti, ognuno con protagonista un personaggio particolare di cui scopriamo la vicenda, sia esso la vittima o l’assassino. Rispetto ai romanzi, data l’inevitabile brevità dei racconti, è un po più difficile memorizzare i nomi di luoghi e personaggi, soprattutto se i racconti vengono letti di seguito, come ho fatto io. Prendetelo come un suggerimento. Consigliatissimo leggere anche gli altri titoli (pochi rispetto alla produzione) di Matsumoto già pubblicati in italiano: Tokyo Express, La ragazza del Kyūshū e Come sabbia tra le dita.

UN MARE DI SILENZIO

Cristina Rava

Capita anche a voi di scovare un libro di un autore – autrice nello specifico – della quale eravate convinti di aver letto tutto? A me sì ed è una goduria non da poco. Non ho idea del perché mi fosse sfuggito, in genere sono piuttosto attenta, rimane il fatto che Un mare di silenzio non lo avevo proprio letto. A me la Ardelia Spinola, vuoi perché è un medico legale – lo so, le bambine di solito sognano di fare altri lavori io invece avrei voluto fare quello – “normale”, lontanisima da una Kay Scarpetta, vuoi perché è una donna di poco più giovane di me, senza superpoteri, nel senso che a fine giornata è stanca ma non disdegna un aperitivo con un amico o amica, che ama cucinare anche per se stessa, vive con i suoi gatti, sta bene quando è in coppia ma anche quando è single , vuoi perché il suo cuore è equamente diviso fra il mare e le colline tendenti alla montagna e e last but not least è una discreta casinista o meglio ha una ingestibile propensione a ficcarsi in situazioni incasinate, molto incasinate, mi piace assai. Insomma mi ci ritrovo. Aggiungiamo che sa essere un’amica preziosa e che Cristina Rava, la donna che se l’è inventata, scrive benissimo e nelle storie che le fa vivere ci mette quello che c’è nella vita di tutti, a parte i morti ovviamente. Affronta tutto con una delicatezza rara che non è mai fragilità, con partecipazione vera. Lo so che gli scaffali delle librerie sono pieni di cose nuove e belle da leggere, ma se non la conoscete o magari avete letto solo qualcosa, fate un salto in libreria e prendeteveli tutti che tanto i libri belli non vanno mai in prescrizione e quando avete bisogno di un libro leggero ma non troppo, rilassante ma mai noioso, avvincente senza che vi manchi il fiato, ne prendete uno di questi e garantisco che siete a posto.

Gli ultimi giorni di luce di Billie Scott

“Molte persone usano l’arte come un rifugio. Se trasformi una cosa che ti ferisce in qualcosa di bello che gli altri possono capire, non stai aiutando solo te stesso, ma anche gli altri. Non hai bisogno che ti dica quanto è crudele il mondo. E quanto può essere avvilente la vita di tutti i giorni. Ma se tu, attraversandolo e creando qualcosa di nuovo, non importano le circostanze…aggiungi alla realtà qualcosa che prima non c’era… Questo è incredibile!

Quale è la tua paura più grande? Sicuramente la mia, fra le tante ovviamente, è quella di perdere la vista.

E’ proprio ciò che succede alla protagonista di questo nuovo graphic novel edito da Feltrinelli Comics ‘Gli ultimi giorni di luce di Billie Scott’ , opera prima della fumettista britannica Zoe Thorogood.

Ma andiamo con ordine. Billie Scott è una pittrice solitaria -ha chiuso con amici e famigliari – e vive barricata in una stanza, dedita esclusivamente alla pittura. Un giorno le arriva una lettera in cui una galleria le comunica di essere stata selezionata per una mostra personale dove potrà esporre dieci dipinti. E’ finalmente arrivato il suo momento! E quindi decide di uscire di casa per trarre ispirazione ma ecco che il destino le si mette contro: subisce un’aggressione e nel giro di pochi giorni scopre che è destinata a rimanere cieca entro due settimane.

Da qui prendono il via tutta una serie di avvenimenti che porteranno Billie in giro per Londra alla ricerca di dieci soggetti da ritrarre. Incontrerà molti personaggi durante questo viaggio che le apriranno gli occhi come non mai. Si tratta di molte persone alla deriva ma dotati di tanto ottimismo e forza di volontà che le insegneranno a non arrendersi mai. Tra i vari personaggi che Billie incontra nel suo viaggio spiccano su tutti Iris e Rachel, due ragazze conosciute in momenti diversi e che segneranno profondamente la sua vita.

Per quanto riguarda la parte grafica il graphic novel ha un disegno pulito, reale, riempito di colori caldi e freddi a tratti vivi a tratti spenti ma che creano uno sfondo ideale ad apprezzare ancor di più la trama.

“Dentro ciascuno di noi c’è una mappa, complessa e incompleta di quello che siamo, eravamo e saremo. Questo viaggio assurdo ci accomuna tutti , così rendiamocelo più facile gli uni con gli altri”