L’ERRORE

Piernicola Silvis

Ci sono libri, romanzi, che leggi con la contezza di immergerti in una storia d’amore, o criminale o in un altro tempo. Poi ci sono romanzi come questo, che ti portano ovunque senza soluzione di continuità lasciandoti alla fine con due certezze. Non esistono colpevoli né innocenti assoluti, tutti potremmo essere tutto, a causa di un momento infinitesimale o per una vita di reiterazioni inconsapevoli.   L’errore che nello specifico risulta essere fatale non è immediatamente identificabile o per meglio dire è attribuibile a più protagonisti e contemporaneamente è talmente banale da non sembrare tale. Nella storia di Pepe Ruggieri e Flo, il lettore passa continuamente da uno stato d’animo all’altro, dalla parte di uno a quella dell’altro, si riconosce a fasi alterne, l’errore diventa di uno  poi dell’altra e ritorna indietro.  Esattamente come nella vita, prendere una posizione netta diventa impossibile salvo che nella pietas che si prova per chi ha commesso quell’errore, senza nemmeno essere cosciente di averlo fatto, perché ogni atto, azione pensiero o omissione, nel momento in cui viene messo in essere diventerà un errore o no, in base al momento e al contesto. Il romanzo è dedicato a quelli che Silvis chiama gli Angeli Violati, che sono le donne abusate, picchiate uccise e lo è a buona ragione, però, per chi è bacato in testa come me, oltre ad essere un gran bel romanzo, diventa un coacervo di domande molto poco politicamente corrette, una valanga di riflessioni e contro riflessioni, che nulla tolgono, anzi, probabilmente rendono più consapevoli dell’importanza del tema di fondo.                                                                            Il che è esattamente quello che chiedo a un romanzo che non sia uno di quelli svuota cervello.                                                                       Silvis è un poliziotto – in quiescenza – che ha svolto nella sua carriera, svariati e diversi incarichi, fino a diventare questore, nel corso degli anni ha affrontato situazioni di ogni tipo, cosa che si riflette inevitabilmente sulla scrittura e nelle storie, evitando l’effetto “cazzata” che ovviamente è il rischio maggiore di chi racconta per interposta persona, ragion per cui le sue storie risultano ancora più coinvolgenti.    Non ha uno stile unico e immediatamente riconoscibile (che nello specifico è un complimento) ma è in grado di adattare la scrittura al racconto; passa da un linguaggio duro e veloce – La pioggia – a una scrittura dolente senza cadere mai nel lamentoso di Storia di una figlia.                                                  In questo libro è quasi tenero, salvo qualche necessaria eccezione, perché tenero e comprensivo è lo sguardo sul dramma che i protagonisti, hanno involontariamente creato, estendendolo a una situazione purtroppo attualissima.     Un romanzo da leggere per mille motivi, per farsi domande, come scritto prima, per capire quato sia facile commettere errori anche di valuazione, e quanto sia importante porsi davanti al problema della violenza di genere con la mente aperta, andando in profondità senza mai perdere di vista il tutto da cui parte il particolare. E se mi è concesso, con la voglia e la seria intenzione di capire che laddove la follia non è prevenibile, tutto il resto molte volte sì.                                                                                                                                                                                                                

È COSì CHE SI MUORE

Correva l’anno 2012 e militavo in quel fantastico gruppo di anobiani (per chi non lo sapesse Anobii è una specie di godreaders ante litteram) che si chiamava Corpi freddi, un chiaro omaggio al genere di letture che ci accomunava. Fra i nomi nuovi o da poco emersi, arrivò anche Giuliano Pasini. Venti corpi nella neve fu una rivelazione. Una scrittura pulita e mai banale che ti porta ad andare avanti senza togliere il fiato, ma non ti lascia andare, la capacità di entrare in punta di piedi in argomenti delicatissimi, come poi ha dimostrato nei romanzi successivi e un personaggio strano. Non del tutto nuova come idea ma declinata in maniera diversa, che lo rende unico.                                                                           Roberto Serra è a capo del più piccolo commissariato d’Italia, lo era quando nel 1995 si consumò la tragedia raccontata in Venti corpi nella neve e ci è tornato per cercare la pace.  Da ragazzino gli sono stati strappati entrambi i genitori, uccisi mentre erano in auto da uno sconosciuto che ha sparato da una moto, lui era con loro e lo shock gli ha lasciato dei problemi che gli hanno reso la vita davvero difficile, ha dei buchi di memoria che cerca di riempire da tutta la vita. È affetto da uno strano e  indiagnosticabile disturbo che lo porta ad avere delle crisi, facilmente scambiabili per attacchi epilettici, durante i quali quasi come un derviscio, raggiunge uno stato di trance in cui vede (o immagina di vedere) come sono andati i fatti di cui si occupa ma non solo. È una condanna La danza – così ha soprannominato il disturbo – che teiene nascosta a tutti, che ha mandato in frantumi il suo matrimonio, arriva inaspettata ed è preceduta da un sentore di fiori marci, prende il controllo sul suo corpo che comincia a girare e fare movimenti inconsulti durante i quali vede cose che non sempre riesce a decifrare. Gli attacchi arrivano all’improvviso, gli lasciano appena il tempo di capire che sta per succedere e lo lasciano stremato, ogni volta sempre più spaventato di aver in qualche modo potuto trasmettere questa maledizione alla figlia.     A Case Rosse sull’appennino modenese, ambientazione naturale per l’autore che è concittadino di Blasco, oltre a Serra è stata inviata, come misura disciplinare, Rubina Tonelli che durante il servizio è solo un po’ intemperante ma  nel suo privato si porta dei fardelli pesanti come quelli del suo capo e altrettanto segreti, che la trasformano in qualcuno di competamente diverso. Nonostante il paese raggiunga a malapena il migliaio di abitanti, che significa conoscersi e sapere più o meno tutto di tutti, il Burdigòn, al secolo Eros Bagnaroli viene ucciso e la sua cascina incendiata.           L’indagine è, se così si può dire, alleggerita dai divertenti contrasti fra la Tonelli, che viene dalla Romagna (se state per obiettare che la regione è una, sappiate che vale solo se siete emiliano romagnoli, in quel caso si fa fronte comune, ma in regione, cambia tutto) e la gente del paese; per di più viene da Rimini, il che equivale a dire che per lei stare a Case Rosse è come stare in un cimitero.                                                                                                                                                Ai suoi ripetuti “Cùt vègna” (“che ti venga” a cui segue un sottinteso “cancher” che a dispetto di tutto è un intercalare del tutto esente da rancore) si alternano le obiezioni e il classico che sei un “ed fora”, un forestiero. Qualcuno che non può capire le logiche del paese. Per non parlare dei soprannomi, che se nei paesi, in città è diverso ovviamente, in generale, ad esser chiamati col proprio nome sono in pochi, nei paesini, nessuno e ogni soprannome ha una storia, una motivazione incomprensibile a chi venga da fuori. Le ambientazioni sono splendide, personalmente mi riportano alla mente autori che amo, Guareschi Varesi Guccini e Macchiavelli, un mondo che sembra lontano e invece è appena dietro la curva.                                                                          Una natura a volte inospitale ma affascinante, con un retrogusto di cose passate, che si rispecchia anche nella gente, perché come diceva zia Agatha, l’essere umano non cambia. Una storia bella tosta, ottimo biglietto da visita per chi non conoscesse l’autore, un graditissimo ritorno, con tanti fatti nuove che scopriamo insieme al commissario su lui stesso, per chi ha già incontrato e amato Roberto Serra. Ben tornato Giuliano Pasini, adesso non facciamo che ci fai aspettare anni e anni per il prossimo.

DOLCE DA MORIRE

CRISTINA AICARDI – FERDINANDO PASTORI

Il romanzo si apre con Olga Cazzaniga Peroni che dall’ubertosa Brianza arriva a Milano per incontrare un investigatore privato. È in ritardo sul suo perenne anticipo – e già questo dovrebbe dirci che abbiamo a che fare, se non con una psicopatica, con qualcuna che si avvicina molto alla condizione. “Parla” da sola o col gatto e trattandosi di una cinquantenne, single di ritorno piuttosto colta e afflitta – sì ho usato il termine scientemente – da un sense of humor di quelli che le farebbero uccidere la mamma per una battuta, le rare volte in cui riesce a contenersi, le pensa se le dice e si fa anche le controbattute. Una donna così, non potrebbe sopravvivere a se stessa se non fosse dotata anche di una dose extra di ironia, che esercita ai limiti del sarcasmo soprattutto con se stessa, ma ciò non toglie che la diverta molto usarla anche con gli altri. Chi ce l’ha, ahimé, sa quanto pochi siano gli umani provvisti e questo fa sì che praticamente sempre, gli interlocutori restino un po’ imbesuiti a chiedersi se stia dicendo sul serio o li stia prendendo in giro. Ed è esattamente quello che succede al povero Franco Reali, titolare di una prestigiosa agenzia di investigazioni, esatto, quello in cui ha l’appuntamento. Vabbè, in attesa di verifica del prestigio, prendiamo atto che perlomeno il palazzo in cui ha sede è prestigioso e così l’arredamento. Che Olga Cazzaniga Peroni è anche un po’ goffa oltreché oltremodo golosa ve l’ho detto? Lo scopriamo subito, perché mentre aspetta che arrivi l’orario giusto, si è sentita chiamare irresistibilmente dalla pasticceria poco lontana, sono le bombe alla crema. Bomba in mano si avvia baldanzosa verso l’agenzia, la baldanza però, nulla può contro un gatto nero che le schizza fra i piedi facendola cadere sulle scale, ma delle conseguenze sull’ampio (dice lei) fondoschiena non vi dico nulla. Eh sì, non bastasse il modo di fare a destabilizzare Reali, reo di essere un gran pezzo d’uomo e quindi bersaglio naturale delle battute della donna, il colpo di grazia glielo dà un pezzo di bomba alla crema che dal sopracitato sedere di Olga a sua insaputa, come insegna Locard, è rimasta sull’alcantara della preziosa Egg chair su cui si è accomodata.  Vi ho raccontato meno di quel che succede nelle prime 14 pagine, siete riusciti a farvi un quadro di cosa può succedere dopo? Esatto, volgarmente si potrebbe dire la qualunque; La Cazzaniga Peroni (che al suo doppio cognome tiene assaissimo) ha dato mandato di indagare sul fidanzato della nipote Olivia che si è innamorata sembra ricambiata, di un antiquario parecchio più grande di lei e siccome la suddetta nipote, avviata sulla strada della ricchezza grazie alla sua professione, è anche la futura erede unica di un consistente patrimonio, Olga sua madre e una sorella, hanno pensato fosse meglio accertarsi che non si tratti di un cacciatore di dote. La storia si dipana così alternando una parte “seria”, quella dell’investigazione che Reali cerca, porello, di portare avanti nonostante le intemperanze della cliente, che ha fatto suo il “ lavoro guadagno spendo pretendo”, interpretandolo liberamente, nel senso che da appassionata lettrice e donna sostanzialmente annoiata, ritiene di potersi aggregare all’indagine, prendendo iniziative e incasinando tutto – compresa se stessa – non poco. Chiariamo che nonostante lo “strillo” di Antonio Manzini (garantisco che a differenza di tanti Nomi, lui lo ha letto) che parla di giallo, in realtà parliamo di una commedia leggermente tinta, con qui e là, qualche spruzzo di rosa (pallido ma rosa).

Ferdinando Pastori, uno dei due autori è un apprezzato scrittore di genere al suo nono romanzo e chi lo ha letto, non può che apprezzare come sia riuscito ad alleggerire moltissimo la sua vena splatter e nera, ideando comunque una trama con tutti gli ingredienti, manca solo il morto, cioè c’è ma non è oggetto di indagine, che dà il giusto punto di giallo a una commedia, senza nulla togliere, anzi quasi sottolineando e bilanciando alla perfezione, la meticolosa cialtroneria della Aicardi. Meticolosa sì, perché la signora al suo esordio da romanziera, è da molti anni la caporedattrice di Milanonera e protagonista – a volte involontaria – del festival di Suzzara Nebbiagialla, lettrice accanita e appassionata, ha al suo attivo circa 700 recensioni (di gialli) più un tot di interviste ai maggiori autori italiani e stranieri. In rigoroso ordine sparso dovete conoscere Olimpya Olivia Ottavia il De Stefani la russa, il Nero, Reali e la mamma di Olga. No, il fatto che due su tre (due autori e un editore) siano amici e/o lo conosca personalmente e mi siano entrambitre molto simpatici non fa di questo articolo una marchetta, è proprio che mi è piaciuto, è divertente anche quando va appena appena sopra le righe, e se nell’investigazione non intervenisse Olga, Reali potrebbe tranquillamente essere il protagonista di un giallo senza commedia, d’altra parte, appartengo alla schiera di quelli che per una battuta o una freddura venderebbero la mamma (che per inciso avrebbe venduto la primogenita e sappiate che ho solo due fratelli più piccoli).

LA LIBRERIA DEI GATTI NERI

Partiamo subito col dire che se per caso, difficile ma non impossibile, non conoscete e non avete letto nulla di questo autore, questo potrebbe essere il romanzo giusto con cui cominciare. Avevo letto la sinossi e pensato sì a un thriller, perché insomma, Piergiorgio quello scrive, noir e gialli che ti lasciano secco, ma dalla descrizione e suppongo fuorviata anche da titolo e copertina, mi aspettavo qualcosa di leggero.  Alla faccia. Credo si possano dire tante cose di me, ma non che sono una persona paurosa o impressionabile, bè, al primo omicidio ho avuto la tentazione di spegnere il reader e tanti saluti, agghiacciante, di una ferocia inaudita; ovviamente sono andata avanti e la versatilità di Pulixi, la sua bravura il talento mi hanno tenuta incollata. I cambi di registro non sono una novità, ma in linea di massima li trovi in libri diversi e se i momenti di tenerezza o comunque di relax sono necessari e in ogni romanzo ne viene inserito qualcuno, qui sono tutti insieme. Lo smandrappato libraio, l’ironia della sua commessa (la vera libraia fra i due), la concretezza dei due poliziotti che seguono il caso, la fermezza ignegnosa della Presidente e tanto altro, convivono felicemente, molto felicemente alternandosi anche all’interno degli stessi capitoli. Alla fine i membri del club del martedì (solo uno dei tanti evidenti omaggi ad altri maestri del genere), ti fanno venir voglia di avere amici nella polizia che ti coinvolgono nelle indagini dandoto accesso agli atti e far parte di un gruppo di lettura così strampalato eppure perfetto. La soluzione sposta decisamente il romanzo sul noir ma durante tutta la narrazione non mancano battute e l’irrompere di umani sentimenti, la stima l’amicizia la collaborazione e l’amore in ogni sua forma. Però se vi racconto tutto io poi che gusto c’è a leggerlo? Difficile trovare una libreria come  Les Chats Noirs dove acquistarlo ne sono consapevole, ma con un po’ di fortuna potrebbe capitarvi. Se poi siete amanti dei gatti e ne avete uno o più a farvi compagnia durante la lettura, siete dei lettori fortunati.

LA STELLA DEL DESERTO

Hieronymus “Harry” Bosch. Età settant’anni circa. Veterano del Vietnam. Professione poliziotto in pensione, detective privato, collaboratore freelance. Una figlia, Maddie, poliziotta anche lei. È un appassionato di jazz: Parker, Coltrane, Brown, Baker. Lo ascolta preferibilmente nella sua casa sulle colline di Hollywood, da dove spesso, mentre se ne sta seduto fuori a gustarsi la sua birra, sente l’urlo del coyote in lontananza.

Questo il curriculum, molto sintetizzato, del personaggio creato da Michael Connelly ormai trent’anni fa. Eppure Harry è ancora uno dei personaggi più amati della letteratura thriller: soprattutto per chi lo segue da sempre, Harry è ancora l’eroe romantico, con ideali ferrei e una particolare e immensa compassione per le vittime dei suoi casi. Non per nulla la filosofia che lo guida è: “Contano tutti o non conta nessuno.”  Non uno slogan, non un messaggio motivazionale, ma un modo di sentire profondo che da sempre lo anima.

Per questo Renée Ballard, che abbiamo incontrato in coppia con Bosch negli ultimi libri, lo chiama a collaborare con lei quando viene messa a capo della rinata Unità Casi Irrisolti. Ballard è a sua volta una outsider della polizia, con un curriculum altrettanto tormentato di quello di Bosch: degradata all’Ultimo Spettacolo (il turno di notte), uscita dalla polizia per incomprensioni coi capi, rientra in gioco quando le viene promesso di poter lavorare nel settore preferito.

L’Unità Casi Irrisolti, a cui aveva già lavorato Bosch anni addietro, era stata smantellata, ma ora viene ricostituita sotto l’insistenza e con l’appoggio del consigliere comunale Jake Pearlman, la cui sorella minore era stata assassinata anni addietro senza che il suo assassino fosse mai stato preso. Bosch accetta di lavorare con la squadra di Ballard quando gli viene promesso che potrà rioccuparsi del caso freddo che più gli è rimasto nel cuore: lo sterminio della famiglia Gallagher, genitori e due figli piccoli uccisi e poi seppelliti nel deserto del Mojave. Un sospettato, Finbar McShane, mai rintracciato.

Le indagini nel libro seguono i due filoni Pearlman e Gallagher, con alterni colpi di scena e momenti di suspense. Più ci addentriamo in esse, più torniamo in sintonia con Bosch, più la lettura diventa adrenalinica, concitata e impellente. Purtroppo non è possibile raccontare i momenti più tesi della storia, per non fare spoiler. Ma vi assicuro che non vi faranno dormire!

Ritroverete il Bosch che avete amato tanto, quello che pensa“a come la verità veniva sempre manipolata dalle persone al potere”, o che “A volte fai la cosa sbagliata per il motivo giusto”. E che il nostro è inevitabilmente “un mondo pieno di rabbia” dove “le persone fanno cose che non ti aspetteresti mai. Che forse non si aspettano neppure loro”. Ritroverete un Bosch invecchiato e acciaccato, ma ancora capace di conquistare il cuore del lettore. Un Bosch che si commuove di fronte alla stella del deserto: un piccolo fiore dall’aspetto delicato, eppure forte e implacabile, resistente al caldo e al freddo, che nasce tra le rocce del deserto. Un fiore che secondo qualcuno è la prova che Dio esiste: “È difficile credere che qualcosa di così bello possa nascere in un posto come questo. E dicono che Dio non esiste. Se lo chiedi a me, Dio è proprio qui, nelle piccole cose.”

Bosch è ancora lì: personaggio immaginario, eppure così vivo e reale. E ancora se ne va, continuando a guidare nella notte. Fino alla prossima volta.

UNA SPECIE DI FOLLIA

Louise Penny

Ogni tanto sembra che ne siamo fuori, poi arrivano le news dalla Cina o da Dio sa dove e tutto quello che hanno lasciato nella psiche umana il covid19 i lockdown i negozi chiusi  l’incertezza i morti, torna tutto insieme e ci colpisce all’improvviso. Non è ancora tutto tornato alla normalità, ci si prova ma qualcosa di quella paura è ancora in circolo. Non più sotto forma di isolamento negozi chiusi mascherine e distanziamenti, ma di ipotesi, su come affrontare il futuro con quell’eredità sulle spalle e la consapevolezza che potrebe accadere di nuovo. A Tree Pines, come in tutto il resto del mondo cattolico, festoni luci presepi alberi addobbati, cibi tradizionali e riunioni conviviali, tentano di rendere il Natale come prima, e Gamache si sta godendo la famiglia quando gli viene chiesto di garantire la sicurezza ad una conferenza un po’ particolare, una controversa esperta di statistica, la terrà proprio lì n quel paesino minuscolo e nemmeno segnato sulle carte geografiche. A parte la stranezza della cosa in sé, è il personaggio che fa temere, a buona ragione scopriremo, l’ispettore capo che possano verificarsi quantomeno dei disordini. La donna, riconosciuta eminente scienziata, a seguito dei suoi studi post emergenza, ha elaborato delle teorie che definire divisive è davvero poco. Come accade per ogni cosa che divide, le fazioni pro e contro sono un rischio. Giacché Louise Penny scrive dei gialli e il protagonista è un poliziotto, va da sé che ci son degli omicidi da risolvere ma direi che in questo volume sono davvero l’ultima cosa da cercare e a cui prestare attenzione. Perché la vera protagonista del romanzo è una teoria assai vecchia ma che evidentemente viene periodicamente cancellata dalla memoria salvo altrettanto periodicamente, tornare a sconvolgere degli equilibri che sembrano stabili. Nell’apparentemente lontano 1933, in Germania si studiò e ahimè si applicò agli esseri umani quello che definito dai pastori Ausmarzen, indicava una pratica tremenda. L’eliminazione dei soggetti deboli, malati o comunque non abili a una vita produttiva.  La Penny con il suo innegabile talento narrativo, ci mette di fronte a quello che razionalmente ci rifiutiamo di accettare. Le risorse, alimentari energetiche mediche, sono insufficienti per una popolazione sempre più numerosa in cui la percentuale di soggetti bisognosi di protezione, che diventano di fatto un costo, aumenta proporzionalmente. Forse l’unica voce che ha avuto il coraggio, perché di questo si tratta, di affrontare un tema tanto delicato e che tocca nervi scoperti in tanti di noi se non in tutti. Perché siamo umani e se razionalmente, umanamente appunto, siamo portati ad essere solidali, laddove il diritto dell’altro rischia, anche solo idealmente, di mettere a rischio il nostro, in molti il “mors tua vita mea”, prende il sopravvento sull’umanità. Ad aumentare la percezione dell’inevitabile dicotomia che coinvolge tutti credo, c’è la presenza della nipotina di Gamache, affetta dalla sindrome di down a rappresentare quei soggetti fragili che tanto hanno pagato durante la pandemia, forse inevitabilmente o forse no e a quell'”Andrà tutto bene” che ci ha dato forza, sottovoce dovremo o dovremmo aggiungere se.

IL GRANDE HANS

foto reperite in rete

Siamo a poco più di metà strada fra il SalTo22 e il SalTo23, a questo punto se l’ufficio stampa della Casa Editrice o l’editore mi schifano quando mi vedono, mi tocca anche stare zitta. La punizione però me la sono inflitta da sola. È vero che ho problemi con i pdf che il mio vecchio kobo schifa, è vero che ho avuto un po’ di cose che mi han portato via tempo sono vere un sacco di altre cose, ma così imparo. Ecco.

L’autore del romanzo è Daniele Grillo, giornalista ligure che ha già pubblicato un bel po’ di cose, che evidentemente nel mare magnum mi erano sfuggite, sempre e solo mea culpa, questo è il suo primo romanzo non di genere e fidatevi che una storia d’amore di viaggio di vita così coinvolgente, non mi capitava sottomano da tanto. Hans Gueber, il protagonista è un gigante (2 mt e 18) ma la sua grandezza – altezza – fisica è niente paragonata alla sua grandezza morale. Da anni vive solo nella grande villa affacciata sul lago, sostenendo come può la figlia lontana a cui manca solo l’abilitazione per diventare avvocato e passa ore e ore a sperare che la sua Ju Ju si risvegli dal coma in cui è caduta una mattina, senza un perché, quattro anni prima. Lui è in pensione di ore libere ne ha tante,la maggior parte dedicate a stare con lei, incurante delle poche speranze che gli danno i medici, paziente, senza mai perdere la speranza di rivedere gli occhi del suo amore riaccendersi. Le parla la accudisce la coccola e intanto… Della trama vi dirò poco altro perché senza essere un giallo, qualunque cosa vi dicessi rovinerebbe la magia che Grillo ha saputo creare pagina dopo pagina, la magia e le sorprese che il grande Hans riserva al lettore. Sorprendente è forse la parola che meglio descrive il romanzo e lo stesso Hans. Un personaggio ben diverso da come appare agli occhi degli altri, non c’è una pagina che lasci indifferenti, c’è tenerezza c’è saggezza c’è una visione della vita che ad essere capaci di averla (e attuarla), non ci sarebbe una sola persona infelice in tutto il globo terracqueo. Ad un certo punto sembra che Hans sia impazzito ed è qui che subentra il romanzo di viaggio, seguiamo giocoforza gli spostamenti dell’uomo per mezzo mondo, dalle rive del tranquillo Attersee in Austria a Praga dove il suo vecchio amico Piotr col suo ancor più vecchio taxi, decisamente stupito, lo accompagna alla piccola chiesa ortodossa, una chiesetta di legno come tante altre. E poi in Islanda a Svartifoss, in Africa e poi nel Salar prima di arrivare in California. Non è impazzito il grande Hans e sembra che ad ogni tappa incappi in un problema più grosso del precedente ma come un mago in incognito ad ogni tappa lascia delle piccole briciole da seguire perché quel problema si risolva. Impossibile non amare questo gigante buono, non partecipare alla sua missione e non restare sgomenti ma con un sorriso alla fine del viaggio. Rimane dentro quest’uomo strano e insegna cosa si può nascondere dentro ogni persona che incontriamo e sperare di trovare almeno un Hans sulla nostra strada.

FAIRY TALE

Raccontami una storia di paura

No, non è decisamente un caso se oltre ad essere la traduzione del suo nome King è diventato il Re in tutto il mondo. Impossibile da classificare da chiudere in un genere, è horror? Si. È thriller? Si. È noir è fantasy è storico è…Tutto quello che vi viene in mente è! Ha messo la parola fiaba nel titolo e via via che scorrono le pagine, che sono 598 se non erro, ti rendi conto che ha davvero scritto una favola che ha fra gli altri protagonisti le favole, sì quelle che conosciamo tutti, dove ci sono i lupi le fate le streghe gli animali che parlano i nani malefici principi re principesse giganti morti viventi e chi più ne ha più ne metta (perché ne ho citato solo alcuni). Mondi che si incrociano, che trovano il punto di contatto in un diciassettenne che ha già vissuto tanta vita quanta se ne vive nel triplo degli anni e per aver fatto una cosa apparentemente normale, si trova catapultato in un vortice di situazioni dove deve prendere decisioni che potrebbero cambiare il destino di molte, moltissime persone. Come sempre ci sono più piani di lettura, la storia di Charlie, un diciassettenne – e sappiamo che infanzia e adolescenza sono temi molto cari a King – che si incasina un po’ (un po’ tanto a dire il vero), la vita per aver fatto una buona azione, no un’azione logica e normale a pensarci bene, ma non scontata. E poi c’è l’amore per un cane, che voglio vedervi a non innamorarvi e anche gli animali domestici sono un punto fermo nella produzione del re. Poi ci sono le responsabilità, le scelte obbligate, le sfide che a volte sembrano impossibili, quelle che la vita ti butta addosso e sta a te decidere se accettarle o meno.

Il solito libro quindi. No. King è in grado di affrontare gli stessi argomenti declinandoli verrebbe da pensare all’infinito e nei suoi romanzi c’è tutto, tutta la gamma dei sentimenti umani, c’è la bontà la cattiveria l’egoismo e la generosità l’estrema razionalità e la fantasia più sfrenata e sono tutte equamente divise nei vari  (tanti) personaggi che animano le storie e non un buono e un cattivo, esattamente come nella realtà in ognuno c’è del buono e del cattivo e ognuno li tira fuori a seconda delle necessità del momento.

Come ogni volta che si apre un libro del buon vecchio Steve, mettetevi comodi, per almeno un paio di giorni assicuratevi di non avere impegni, preparatevi a qualche attimo, più di qualcuno forse, ad aver paura a fare il tifo a intenerirvi a incazzarvi e poi a commuovervi e…se anche a smettere di trattenere il fiato non ve lo dico. Buon viaggio

LUNEDI PROSSIMO – La seconda indagine del commissario Cattaneo

Vi ricordate cosa ho scritto nella recensione di Requiem per un amico? Dicevo che Freeman è uno di quegli autori di cui fra un libro e l’altro mi “dimentico” salvo poi godere come una quaglia (no, non saprete mai come godono le quaglie, non qui perlomeno) quando lo leggo, magari dopo mesi che è uscito. Con Eugenio Tornaghi  mi succede lo stesso, parlando di libri, perché è una personcina che adoro e non potrei mai dimenticarmi che c’è. Diciamo pure che in parte è colpa sua, nel senso che essendo un affermato professionista oltre che un ottimo autore, pubblica ogni tot di tempo, non sforna un libro ogni sei mesi per capirci, ma neanche uno all’anno, così quando mi trovo un suo nuovo romanzo fra le mani, ho i miei bei momenti.

Il commissario Libero Cattaneo lo abbiamo incontrato la prima volta ne La pesca dello spada, un’indagine di polizia all’interno del mondo dell’alta finanza – che Tornaghi conosce profondamente – pubblicato nel 2015. Di lui però non sapevamo nulla fino a quando, nel 2020, perché si sa che chi va piano arriva sano e lontano, in Maradagal (palese e dichiarato omaggio a Gadda) Tornaghi ci ha raccontato tutto dall’inizio. Ed eccoci all’anno scorso, con  Lunedì prossimo, la seconda indagine del commissario Cattaneo.  La trama è tecnicamente ineccepibile, perché il ragazzo sa come si scrive un giallo, ma quello che davvero lo rende particolare è lo svolgimento. Surreale, una “commedia” degli equivoci in cui si accavallano senza soluzione di continuità situazioni paradossali intorno alla vicenda principale. Di fondo sono due i “protagonisti” che in qualche modo ritornano (lo so mi lascio andare ai voli pindarici ma sono giustificati). Un personaggio protagonista che non è esattamente una cima e il mondo delle banche dei soldi, della finanza che anche qui fa in qualche modo da sfondo. Qui in realtà si aggiungono anche più di un paio di temi che definirei socialmente rilevanti che ovviamente non vi sto a raccontare. Ho scritto commedia ma in realtà non c’è da ridere, sorrisi amari, quelli sì, perché le situazioni che crea, viste da fuori sono al limite del buffo, si creao malintesi e i conseguenti incasinamenti sono divertenti. La cura nella scrittura è di quelle davanti a cui togliersi il cappello. Non a caso il primo romanzo pubblicato da Todaro nel 2007 era curato dalla leggendaria e mai troppo rimpianta Tecla Dozio, che insomma, era una che di giallo e di scrittura ne sapeva.

Ah, il collegamento è alla pagina FB dell’autore, un po’ perché mettere quello a Linkedin mi pareva inutile, un po’ perché, pochi se non siete fra i suoi amici, ma trovate qualche post che fa anche riferimento al film che è stato tratto da Una spiegazione logica, così a conferma che scrive roba buona. E lo so, di solito non metto foto dell’autore, ma siccome gli rimprovero da anni di essere uno strafigo, mi pareva giusto mostrarlo alle fanciule che passano di qua.

Siete ancora lì e non l’avete ancora ordinato, meglio se al vostro libraio di fiducia? Su dai che poi mi dite, in tutti gli store e sul sito di Laurana Editore.

IL MISTERO DELLA VETRERIA

Margaret Armstrong

Herriet Trumbull è la classica zitella di mezz’età, con molto tempo libero da dedicare ai passatempi preferiti, non ultimo impicciarsi di… delitti misteriosi. Vi ricorda qualcuno, per caso? A me sì, Harriet assomiglia un po’ a Miss Marple, anche se abita a New York e non in un piccolo villaggio come Saint Mary Mead e anche se ha un carattere più frizzantino                                                                                   Ma ci ritroviamo anche qui nel classico delitto di campagna: Harriet ,non proprio entusiasta, accetta l’invito dell’amica Charlotte, di passare qualche giorno da lei a Bassett’s Bridge, un paesino del Connecticut – che a ben vedere non è in fondo molto diverso in fondo da Saint Mary Mead – Zitelle pettegole, cameriere curiose giovani scapestrati e innamorati, fanno da cornice ai personaggi “importanti” del villaggio. Uno di questi è Frederick Ullathorne, artista sui generis noto creatore di vetrate artistiche, famoso anche per il temperamento burbero e litigioso con cui approccia sia i dipendenti della vetreria, come Jake Murphy, sia col figlio Leo. Quando nel forno della vetreria vengono ritrovate delle ossa umane, la noia di della signorina Trumbull scompare e iniziano le sue indagini parallelamente a quelle della polizia.

Ci ritroviamo quindi in un classicissimo giallo della Golden Age, l’età d’oro del mystery degli anni ‘20-’30 del Novecento, che ha annoverato fra i suoi esponenti più famosi Agatha Christie, Chesterton, Dorothy L. Sayers e tanti altri. Margaret Armstrong è una felice riscoperta della casa editrice Le Assassine che, con la sua collana Vintage di cui questo libro fa parte, vuol portare alla ribalta, come dice la presentazione della collana: “scrittrici che a vario titolo sono state pioniere della letteratura gialla. Alcune sono cadute nell’oblio, altre sono tuttora lette e hanno premi dati in loro onore. Abbiamo proposto le loro opere in chiave moderna, senza cancellare del tutto la polvere del tempo che le ha rese solo più preziose.” Il maggior pregio di questi gialli è immergerci in un’atmosfera ormai scomparsa, indagini che hanno il sapore del passato dove la violenza è solo sottintesa e mai raccontata esplicitamente. Il gusto e la curiosità del lettore stanno tutti nel voler sapere se la detective dilettante la spunterà sulla polizia e se le proprie impressioni si riveleranno esatte, in genere un lettore esperto di mystery classici riesce a fare deduzioni più o meno istintive che quasi sempre si rivelano esatte. Un giallo dunque da leggere nelle sere invernali, meglio se accoccolati su una poltrona accanto al fuoco scoppiettante di un camino, magari anche mentre fuori la neve crea quel silenzio tutto particolare. Fra i vari titoli della collana – di alcuni abbiamo parlato anche qui – sono da non perdere: Il tagliacarte veneziano, di Carolyn Wells; Crimini di prima classe, di Elizabeth Gill; Un colpevole in giuria, di Ruth Burr Sanborn; Un prezioso francobollo rosso, di Auguste Groner; e l’ultimo uscito Una regata mortale, di Editha Aceituna Griffin. E per gli amanti dell’estetica, ci aggiungo che le copertine sonoo una più bella dell’altra – prima o poi vi dico di chi sono – che non mi pare un particolare da poco e le traduzioni sono assolutamente ottime.