Prendi una specie di vulcano (attivo attivissimo), dalle forma di donna e lasciala agire. Molto probabilmente ti troverai davanti un esemplare di Paola Barbato. Un marito scrittore tre figlie e se non sbaglio il conto tre cani, si divide allegramente fra presentazioni saggi scolastici camice da stirare e quant’altro. Nel frattempo scrive, e pensa a cosa scrivere quando avrà finito di scrivere (che siano libri o sceneggiature di Dylan Dog l’è istess). Adesso si è inventata una roba folle; Ha scritto Io so chi sei (fra un attimo ve ne parlo) e contemporaneamente sta pubblicando sulla piattaforma Wattpad, un romanzo parallelo. Cioè un paio di protagonisti sono gli stessi, le Storie sono diverse ma per un lasso di tempo si sovrappongono, e le conclusioni (quello on line non è ancora finito), sono del tutto indipendenti. Ciononostante, leggendo uno si capiscono delle cose dell’altro e viceversa. Se non è una roba folle ditemi voi cos’è. Durissimo Io so chi sei, ma senza splatter senza sangue inutile. Una figura quella della protagonista, molto più comune di quanto sarebbe auspicabile, totalmente inetta, incapace di prendere qualunque decisione che non sia di fare quello che le viene suggerito. Ovviamente questa pochezza la mette in casini difficilmente immaginabili. In contrapposizione l’ex fidanzato (forse, probabilmente morto) e il suo entourage di personaggi marginali (nel senso che vivono ai margini). Una serie di accadimenti innescano situazioni non facilmente gestibili che la Barbato trasforma in scioltezza in un romanzo tipo millechiodi, se ti ci attacchi non lo molli. A mio modesto parere, una delle voci più potenti nel panorama della scrittura italiana
Categoria: Un libro e quel che ne penso
L’ombra di Pietra –
Ci sono poche cose più piacevoli che ascoltare un uomo innamorato. Innamorato del suo lavoro della sua donna della sua città e più in generale della vita. Ecco l’idea che mi sono fatta incontrando Lorenzo Beccati, è stata che lui sia così, che ami profondamente quello che racconta e fa. Tutto rigorosamente documentato (anche se per ovvie ragioni un po’ romanzato). Questa passione emerge prepotente dalle pagine de L’ombra di Pietra, un romanzo che senza intenzione – almeno credo – è femminista senza se e senza ma, in tempi di #metoo, mi sembra un gran punto a favore. Le Storie di una donna che senza proclami e senza apparire, anzi tenendo quel che si dice un profilo più basso possibile, usa la sua intelligenza e quel tanto di furbizia, per guadagnarsi la vita in un periodo storico, siamo all’inizio del ‘600, in cui le donne, salvo rari casi, erano fattrici o tutt’al più un grazioso ornamento. La trama gialla – che per me è sempre secondaria rispetto ad altre cose – è comunque sviluppata ottimamente, il lavoro di deduzione di Pietra, niente di magico o trascendentale nonostante l’uso di una bacchetta da rabdomante, è acuto come quello di un’antica miss Marple, esattamente come la sua profonda conoscenza dell’animo umano. I personaggi sono cesellati con precisione così come la città che non a caso è detta La superba. Se amate i gialli o i romanzi storici, se vi piacciono i romanzi scritti bene, se vi piace scoprire che le cose non sono sempre quello che sembrano (questo è uno spoiler ma non lo potete capire senza leggervi il libro) (bastarda dentro), insomma dopo tutti sti se, non avete ancora deciso? Hop hop. Fra un po’ aggiungerò il link all’intervista, quella su Mangialibri dove trovate anche le recensioni serie (sì miscredenti, faccio anche quelle)
Non si uccide per amore – Lo scrive Rosa Teruzzi e io le credo
Vi ricordate le tre donne del casello? Tre generazioni dello stesso sangue che almeno ad un primo incontro, non potrebbero essere più diverse. Iole è una figlia dei fiori con una certa avversione per la biancheria intima, grazie allo yoga e ad una mente molto aperta (non in senso ironico ma reale), dei suoi settant’anni se ne sente addosso almeno 40 in meno. Libera omen nomen nella mente di Jole, in realtà è cresciuta in realtà con dei “valori” un po’ diversi, più tradizionali (anche se basati sulla assoluta libertà di tutti). Infine Vitttoria, dura e pura nei primi due romanzi, qui ci mostra che in fondo la genetica non è un’opinione. Per farvi un breve ma breve riassunto, il marito di Libera e padre di Vittoria, è stato ucciso. Era un poliziotto e sia pure non in azione, la pallottola fatale è stata sparata da qualcuno che doveva incontrare per un’indagine. Qualcuno che gli aveva dato appuntamento con un biglietto, qualcuno che ha tradito. L’istinto “poliziesco” di Libera – vedi volumi precedenti – questa volta è spinto dalla necessità di capire chi sia il traditore, lo deve capire per fare pace con se stessa e riprendere la sua vita, andare finalmente oltre perchè no, anche con un nuovo amore. Rosa Teruzzi riesce ancora a portare avanti una storia senza banalizzarla, le tre donne prendono contorni diversi e come quasi sempre accade, i tratti dell’una si intersecano con quelli dell’altra prendendo ciascuna quello che manca. Iole sempre mantenendo la sua apparente svagatezza ha delle ottime idee e supporta Libera che a sua volta sembra prendere un po’ della pazzia della madre e Vittoria, bè, Vittoria fa un po’ storia a se sorprendendo tutti. Quello che sembrava partire come una cosa conclusiva, apre in realtà la strada a tante nuove e presumibilmente interessanti svolte. Quanto al titolo, perchè non è che siano messi a caso, potrebbe far pensare ad un qualche riferimento al femminicidio (tema che ormai si tende ad infilare ovunque) e invece la sciura Teruzzi, che nella Nera ci vive tutti i giorni, ci presenta la questione sotto tutt’altra luce. Sapete che non è mia abitudine gridare al miracolo e ai capolavori, ma di sicuro questo giallo è scritto bene, proprio nel senso che l’autrice sa scrivere, con una trama molto ma molto ben pensata e con il consueto garbo che è cifra di Rosa.
Mio caro serial Killer – Ti (DE)scrivo così mi distraggo un po’
L’abbiamo letta nelle ormai mitiche raccolte a tema di Sellerio, ma un romanzo tutto intero mancava da un po’. A memoria credo un lustro poco più poco meno; Alicia Gimenez Bartlett ci regala una Petra Delicado che personalmente ho trovato un po’ cambiata, in meglio se posso dire la mia (e voglio vedere chi ha il coraggio dire che non posso).
La trama lo sapete già che non sto a raccontarvela, vi dico giusto che per la prima volta, come forse si evince dal titolo, l’ispettore Delicado si trova ad affrontare un serial killer. Lo fa ovviamente con il fido Fermìn Garzòn e l’ingerenza, o almeno così la vivono inizialmente, di un giovane ispettore dei Mossos, tale Roberto Fraile. Vuoi perchè in qualche modo l’ispettore prende il comando della situazione, vuoi che si sente spodestata da un uomo con almeno una ventina d’anni meno di lei e che per giunta adotta la tecnica dei profiler, che contrasta con il buon vecchio metodo a cui lei e Garzon sono abituati, vuoi che l’idea di un serial killer la disturba molto più di un semplice assassino, le indagini partono quasi con un muro contro muro. Sarà la tecnica di Roberto che si fa portare gli hamburger in ufficio, e spulcia nei computers e nei tabulati o saranno le intuizioni della coppia Delgado- Garzon, che perlopiù arrivano fra una tapas e una birretta, a dare la svolta? Questo ve lo scoprite da soli.
Io nel frattempo vi racconto di questa donna che improvvisamente vede nello specchio una cinquantenne con la sua faccia e si chiede se sia un incantesimo malefico o cosa. A questa ignobile scoperta, Petra reagisce con insolita leggerezza, concedendosi una benefica sosta al centro estetico. L’ho trovata cambiata dicevo, nonostante il caso sia parecchio tosto (ma si sa che la Bartlett, un donnino delizioso e dolcissimo, può raccontare cose trucissime), a dispetto di quello scherzo crudele giocatole dallo specchio, è come alleggerita, per carità, non che sia mai stata pesante, ma ha sempre avuto, o almeno io ce l’ho sempre trovata, una certa severità che qui ho percepito mitigata. Le schermaglie verbali con Garzòn, forse per reazione all’invasore che sembra essere tutto d’un pezzo, mi sono sembrate più simili a sciabolate che a duelli in punta di fioretto. Mi è parso che anche il rapporto familiare abbia beneficiato di questa maturazione (perchè poi alla fine di questo eventualmente si tratta), certo che anche la suocera e i figli vogliano partecipare alle indagini e quasi ci riescano, non mi pare fosse mai successo. Se non lo avete ancora fatto leggetelo, se potete venite al Salone per ascoltarla di persona, in ogni caso godetevela perchè autrici che scrivono ottimi gialli, facendoci anche ridere e pensare, non ce ne sono poi tantissime.
Commedia nera n° 2 – Recami ci porta alla Clinica Riposo & Pace
Che ridere faccia bene non è una novità, ben lo sanno gli inglesi che dello humor, quello nero in special modo, hanno fatto una bandiera. Ma Recami con l’Inghilterra cosa c’entra vi chiederete, assolutamente niente, però mi serviva l’aggancio per arrivare alla Clinica dal nome evocativo, in cui la nipote e il marito, portano lo zio, Alfio Pallini, sostenendo che è impossibile da gestire. Che sia vero o meno è un dubbio che ci si porta fino all’ultima pagina, insieme al dubbio che, come crede fermamente il vecchietto (oddio un quintale di roba è dura da pensare come vecchietto, ma insomma), lo abbiano portato in un posto dove agli anziani viene praticata entro poche settimane rigorosamente fatta passare per naturale, la dolce morte. Però come dice Recami, le sue sono nere ma commedie, quindi sì, si ride molto perchè l’arguzia toscana salta fuori ad ogni riga, c’è il gusto per la “parolaccia” (mai volgare), un po’ come i bambini che ridono parlando di cacca, c’è l’immedesimazione col povero Alfio, che se da un lato ne combina di ogni, anche belle toste, dall’altro ci convince o almeno ci fa sorgere forte il dubbio come dicevo, che lo vogliano effettivamente far fuori.
Già dai tempi della Casa di ringhiera, ve lo ricordate sì il Consonni e suoi vicini, Recami ha mostrato la sua cifra, assolutamente singolare eppur comune ai Magnifici 6/7/8 insomma i noiristi giallisti pubblicati da Sellerio (che cosa volete che vi dica, saran le copertine blu, ma io li adoro), Gialli o come in questo caso noir (sia pur commedia), perfetti, ma con tanta tanta ironia. Quel che succede – forse – alla Clinica Riposo & Pace, potremmo leggerlo su un qualsiasi giornale di un giorno qualsiasi, cose tremende raccontate in maniera paradossale, esasperando toni e situazioni. D’altra parte, gli autori di classe, colgono l’aria che tira e ne fanno delle Storie. Unico difetto, purtroppo piuttosto comune negli autori che mi piacciono, loro ci impiegano un anno a scriverli e io in mezza giornata li finisco.
Sara al tramonto – ancora e sempre un de Giovanni che sorprende
Le donne dell’universo deGiovannesco sono tante e tutte diverse una dall’altra. Abbiamo iniziato conoscendo Enrica, una specie di Beatrice dei giorni nostri, pronta ad accompagnare Ricciardi all’inferno senza esitazioni, Tata Rosa, una mamma universale, una di quelle donne capaci di amare incondizionatamente e di difendere i loro cuccioli con la vita. La fatale Livia, ritratto di una donna che non sa accettare un no, pagandone anche le pesanti conseguenze. Bianca, l’amica fragile che al bisogno diventa un sostegno indistruttibile e prezioso. Figure che abbiamo poi ritrovato nella realtà di oggi, l’inflessibile Piras la dolce Ottavia la fragile Alex la materna Letizia. E ancora le figure “femminili” de I Guardiani (che fra parentesi spero tornino presto), che hanno una valenza universale nella contrapposizione Bene/Male. Mancava forse quella che in qualche modo le riassume tutte.
Sara Morozzi è una donna come tante, “un’anziana” signora delle migliaia che popolano le strade i giardinetti delle nostre città, una di quelle che non vedi perché vai di fretta perché è grigia e si confonde fra le ombre della sera con gli angoli dei muri. Una figura invisibile per sua stessa scelta. Ha imparato a sembrare quello che non è nei lunghi anni in cui è stata in polizia, non di pattuglia no, Sara faceva parte dei Servizi, quelli che sappiamo esistere ma non appaiono mai, che hanno catalogato e archiviato migliaia e migliaia di informazioni su chiunque per le ragioni più svariate. Sara è rimasta invisibile ma non per la sua squadra che ha ancora bisogno di lei. Per quelle cose che non si devono sapere, che non esistono e forse tornare alla vita restando nell’ombra, è proprio quello di cui ha bisogno. Come le altre che ho nominato prima, ha pagato ogni suo gesto e sappiamo bene che la crudeltà con cui la vita presenta il conto è superiore a qualunque immaginazione. Attenzione però, se dalla descrizione può sembrare un noir cupo, in realtà come sempre succede, de Giovanni spezza le atmosfere inevitabilmente tese, affiancando dei comprimari con cui a tratti ci si fanno anche delle belle risate, per conferma chiedere di Davide e Boris.
E Napoli vi chiederete, presenza viva quasi come una persona in ogni romanzo? Napoli c’è, non più personaggio, ma quieto sfondo. E infine qualcosa che a mia memoria appare per la prima volta nei suoi lavori, un sentimento che non appartiene al de Giovanni che conosciamo, va da sè che non vi dico di cosa si tratta ma sarà palese e abbastanza sconcertante quando arriverete a fine romanzo. Con questo primo episodio, deGio ci lascia intuire le diversissime evoluzioni che potrà avere Sara e che al momento affidate di sicuro, note forse, solo alla smisurata fantasia del mago. Insomma non c’è moltissimo da dire se non che la storia di Sara è l’ennesimo colpo da maestro di un autore che ormai ci ha abituati alle letture a 5 stelle. Ah, questa nuova collana NeroRizzoli è decisamente da tenere d’occhio.
L’intruso in libreria – mai iniziare un libro nel momento sbagliato
Quando ti arriva un libro è sempre una festa, finisci quello che stai leggendo e poi ti accomodi, siccome però non tutti i giorni sono uguali, capita che lo cominci e per qualche ignoto motivo (in realtà un motivo c’è ma lo capisci dopo), non riesci ad andare avanti, leggi una pagina, due ma poi ti blocchi. Siccome la cortesia di chiunque va rispettata, e nessun ufficio stampa è obbligato ad inviarti niente, se proprio un libro ricevuto ti fa orrore eviti di “recensirlo”, ma correttezza vuole che tu lo legga. L’intruso di Tana French (Einaudi) quindi, tornato sullo scaffale in attesa di un momento migliore. Nel frattempo leggevo in giro recensioni entusiaste (ora, questa cosa di non recensire se una cosa non ti piace, la facciamo in pochi, la maggioranza, almeno a che sappia io, quando riceve un libro ne parla bene e basta), lasciando da parte la mia etica comunque, mi è venuta la curiosità di capire perchè non riuscissi a proseguire, quindi l’ho ripreso in mano ed è andato giù una meraviglia. Trama perfetta e devo dire anche bella complessa, la poliziotta protagonista, mulatta e per di più unica donna nella Omicidi di Dublino, è una tosta. Parte con qualche debolezza, che te la fa stare subito antipatica, ma sa fare il suo lavoro e alla fine si riscatta alla grande, la vittima è molto più protagonista di quanto normalmente non lo sia il morto, per tutto il romanzo e il finale è davvero del tutto inaspettato. Bello, alla fine proprio un bel giallo. Ah volete sapere cos’era che mi “bloccava”? La lunghezza di alcuni dialoghi, sia con il suo partner sia con testimoni e indagati, che si intervallano alle elucubrazioni della detective Conway, nella prima parte del romanzo, superata quella (che attenzione, è solo la mia percezione), ribadisco che va giù bello liscio, appassionando anche.
D’amore di morte e altre utopie – Le spose sepolte di Marilù Oliva
Monterocca non esiste e se esistesse forse non sarebbe poi così bello viverci come si potrebbe pensare. Monterocca è un borgo (grossino ma un borgo), appoggiato sull’appennino emiliano, dove ancora la pianura non è ancora diventata montagna aspra, ma i boschi hanno già stabilito un confine. Monterocca è un esperimento sociale, anche logisticamente, è un posto gestito dalle donne, donna il sindaco donne gli assessori e le rappresentanti delle Forze dell’ordine. Non è che gli uomini siano banditi, anzi, hanno anche dei ruoli pubblici, ma visto che a suo tempo l’esperimento è andato bene, poi la popolazione ha continuato ad eleggere delle donne e si è proseguito così. Una delle eccellenze (sempre parte dell’esperimento) è un istituto di ricerca, oltre a studi su malattie ad oggi senza cura, portano avanti uno studio su un farmaco, una variante del siero della verità, che è stato usato per degli omicidi. Non uomini qualunque, uomini le cui mogli ad un certo punto della loro vita, sono scomparse, svanite nel nulla. Hanno lasciato(?) mariti casa e soprattutto figli, senza mai essere ritrovate nè vive nè morte. Qui stanno le parole chiave di questo romanzo (aperte e chiuse le virgolette, un giallo di tutto rispetto come Marilù ha già ampiamente dimostrato di saper scrivere), figli scomparse e indirettamente, donne. La Oliva ha scritto un romanzo “denuncia”, che punta il faro su diverse cose che probabilmente di solito vengono sottovalutate. Primo fra tutti l’impatto sociale che hanno queste “scomparse”, l’impatto sui figli che improvvisamente si trovano a crescere come se gli fosse stato amputato un arto, senza la figura che nel nel bene e nel male fa di noi quello che siamo da adulti. Un aspetto spesso trascurato, cosa piuttosto ovvia del resto, tendiamo a guardare le cose dal nostro punto di vista, che è quello degli adulti, ma di cosa accade davvero nella testa dei bambini o ragazzini? Non lo sappiamo, non abbiamo in realtà contezza di quali sconvolgimenti e conseguenze possano avvenire e quali effetti potranno avere. Per forza di cose viene sfiorato il femminicidio, parola che personalmente non amo, li considero omicidi, ma che ahimè rende bene l’idea di come una certa parte della società, se a parole, nell’immediatezza dei fatti, condanna gli uomini che dispongono letteralmente della vita (e della morte) delle loro compagne di vita, nella realtà dei fatti, preferisce girare la testa dall’altra parte. Si sfoga sui social ma se sente la vicina di casa urlare o la vede con un livido, fa rigorosamente finta di nulla. Un male antico, non è certo storia dei giorni nostri, ma vuoi la maggior diffusione delle notizie, vuoi un minimo in più di attenzione sui fatti, sembra che ultimamente gli uomini siano impazziti e considerino le donne, soprattutto quelle con cui dividono l’esistenza, come una proprietà esclusiva, non qualcuno ma qualcosa di cui disporre a proprio piacimento. Tornando al romanzo, non solo di femminicidio e delle sue conseguenze si parla; il paese descritto nel romanzo, è chiaramente un’utopia, un posto dove le donne non hanno bisogno di dimostrare nulla dove i ruoli non sono definiti ma interscambiabili a prescindere. Eppure anche nel descrivere un’utopia la Oliva riesce a non perdere di vista la realtà e quel posto che potrebbe essere meraviglioso diventa a tratti claustrofobico, le protagoniste non sono tutte valchirie senza macchia; un posto dove qualcuno che nasconde dei segreti tali da spingere all’omicidio, forse si è nascosto cambiando faccia. Insomma un romanzo in cui si racconta un bel sogno ma senza perdere di vista la realtà. Un giallo che trascina fino alla fine, lasciando il lettore con tanti domande, che per come la vedo io, è esattamente quello che deve fare un buon romanzo. Per chi ama i tecnicismi, bella prova anche dal punto di vista della scrittura, un deciso cambio di stile nel linguaggio per adeguarlo alla situazione, insomma, direi un’altra prova superata brillantemente
Se l’amore è uno sgambetto – Un anno di noi
Capita che la vita ci faccia dei brutti scherzi, tipo lasciarti da sola, portarti via l’uomo che ami. Capita e ovviamente tutto deve andare avanti. Sofia ha raggiunto un equilibrio ragionevole, ha il suo lavoro i suoi figli e un formidabile alleato in suo fratello Anacleto. Una vita tranquilla. Ma incappa in un uomo, altrettanto tranquillo e realizzato, che si innamora di lei e soprattutto, fa innamorare lei. de Giovanni nella prefazione lo definisce un magnifico sgambetto, perché un amore così, quando ormai credi di aver realizzato quello che volevi, ti sconvolge letteralmente la vita. Gabriella Giglio, manager napoletana di nascita ma internazionale per background, esordisce nel mondo della scrittura con un romanzo d’amore, ma mica una storia qualsiasi, un anno, raccontato giorno dopo giorno, un anno in cui la Giglio ci racconta delle piccole cose che fanno le giornate, ma in cui ogni singolo gesto è un pezzo di strada e come percorrendo ogni strada, anche Sofia e Roberto non sanno esattamente cosa ci sarà dietro la prossima curva. Una scrittura che forse in qualche punto è ancora un po’ acerba, ma che ha dentro di sè un’idea forte, esattamente come forte è l’amore. Un anno in cui sembra non succedere nulla se non il concretizzarsi di una relazione, ma in realtà un anno in cui Sofia e Roberto mettono in gioco le loro vite e raccontare una vita (anzi molte in questo caso), non è affatto cosa semplice, soprattutto quando i sentimenti in gioco sono diversi, perché una cosa è l’amore fra un uomo e una donna, altro è l’amore che resta verso chi non c’è più, e altro ancora è quello che lega genitori e figli. Insomma Un anno di noi è consigliato a chi ama le storie d’amore “classiche” e a chi ha voglia di scavare un po’ sotto la superficie e perché no, abbandonarsi un pochino ai sogni.
Una vespa gialla del ’74 di nuovo in giro per Milano – Radeschi is back
Prendi un uomo coinvolto suo malgrado in delle morti, minacciato di morte lui stesso, può aspettare di morire o decidere di scomparire. Radeschi Enrico, giovane hacker, giornalista, collaboratore della polizia ad aspettare di morire non ci pensa proprio e quindi scompare. A Milano intanto, molti anni dopo che il nostro eroe è sparito, i delitti continuano a riempire la cronaca, certo quello che viene commesso al Museo del ‘900, in remoto potremmo dire, ad opera di un assassino che lo posta in rete, secondo il vicequestore Loris Sebastiani, per essere risolto ha bisogno che qualcuno si occupi della parte informatica dell’indagine. Roversi (inventore fra l’altro del portale Milano Nera)ha scritto forse il romanzo migliore della serie, è cresciuto in questi anni e la sua evoluzione come scrittore si legge tutta, se già con il precedente – La confraternita delle ossa – aveva strizzato l’occhio a Dan Brown – stavolta non strizza niente, non fa occhiolini e si limita a scrivere un romanzo che davvero non ha nulla da invidiare agli intrighi del citato autore. La trama è complessa e avvincente lascia comunque spazi agli intermezzi di vita del redivivo, dal recupero del Giallone (l’ormai mitica Vespa del 1974), alle visite nella Bassa, sempre una presenza forte che Roversi non manca di menzionare, insieme alla mamma e al babbo
La differenza fondamentale è che se Dan Brown di fondo tocca un tema etico e su quello costruisce la storia, Roversi non scomoda l’etica nè i grandi temi, ma scrive dei gran bei romanzi che si leggono d’un fiato, e ad averne voglia, si imparano anche un bel po’ di cose. E se vi state chiedendo da dove arrivano le cartoline, beh, lo trovate in tutte le librerie di carta o in digitale
