La pazienza che dovete avere…

C’è una premessa inprescindibile, chi mi segue sa che quindici giorni fa, ho dovuto affrontare una delle cose più dolorose che ci siano nella vita, ho fatto addormentare uno dei due mici, vi lascio immaginare con che stato d’animo mi accingevo a partire (praticamente obbligata da amici impagabili, che avevano ragione). La sera prima, il pulsante di accensione del Kobo, quel pirullino in plastica sul bordo inferiore, finisce di sfracellarsi. Vabbè, la mattina, il treno era alle 8 e spiccioli, ma va anche raggiunta la stazione, lo faccio ripartire ataccandolo al pc. Vi pare che la sfiga potesse abbandonarmi? Giammai, infatti si è riacceso, ma si è anche resettato completamente, perdendo nell’etere la bellezza di 482 titoli. Letti da leggere da consultare. Puf. Scomparsi. Ricarico al volo quello che stavo leggendo (di cui vi parlo fa poco) e via. Morale della favola, parto con sto coso rabberciato ma acceso e se due anni fa il 15 di agosto ero a caccia di un telefono, arrivata in Romagna, si è partite (sia sempre reso grazie a Rosy che è un’amica ma è anche santa), a caccia di un nuovo reader.

La corsa folle in cerca di un posto dove ne avessero almeno due modelli fra cui scegliere, con un caldo che scioglieva i neuroni, un nervoso che mi facevo paura da sola, erano esasperati dal romanzo che stavo leggendo. Mimica di Fitzek. Un pazzo totale ma un talento sterminato. L’idea di non riuscire a finire Mimica mi stava mandando ai pazzi. (Che sarebbe anche stato il posto più adeguato ai personaggi )

La trama di Mimica è una ragnatela in cui si rimane impigliati, inesorabilmente, sapendo che arriverà il ragno e ci mangerà, magari a pezzetti. Ed è esattamente quello che fa, ad ogni pagina la prospettiva si ribalta e se credevi di avere raggiunto il massimo dell’orrore ecco che Fitzek ti porta un po’ più in là e quel che è peggio, ti rendi conto che non solo non ci hai capito niente – i moventi e i possibili colpevoli sono infiniti – ma che fino a quando l’autore non ti svelerà l’arcano, non ci salterai fuori. La scrittura di Fitzek è un turbine, che però non solleva polvere, non c’è confusione pur essendo una montagna russa. Se, faccio fatica a crederlo ma tutto è possibile, è il primo Fitzek della vostra vita, preparatevi perché in men che non si dica, diventerete dipendenti e andrete inesorabilmente a cercare gli altri.

Finito Mimica e ripresami dallo shock, felice del mio nuovo Kobo – che adesso grazie a Dio fanno riparabile – inizio Strani disegni di Uketsu. Ve lo consiglio? Sì a condizione che abbiate già letto autori giapponesi. Se è vero come è vero che ogni autore ha un suo stile, è anche vero che la letteratura nipponica ha un filo condutttore, un fondo comune che – è sempre un’opinione personale, non sparate sul pianista – anche in eventuale assenza di nomi che inevitabilmente ti fanno capire dove sei, permea le narrazioni, indipendentemente dalle trame. Una sorta di pacatezza nel racconto, che non tiene minimamente conto del fatto che si parli di efferati omicidi o di ciliegi che fioriscono. L’altra condizione che ve lo farà amare, è essere appassionati di matematica e della strettissima connessione con il disegno. Se non lo foste, presumo che vi piacerà lo stesso, ma solo dopo averlo finito e averlo lasciato riposare qualche giorno. Difficile spiegare il perché, ma ripensando alla trama, dopo che avete lasciato sedimentare il resto, vi renderete conto di aver letto un bel giallo.

SCENDE LA TEMPERATURA, TORNA LA VOSTRA BLOGGER SCONDIZIONATA

Ahimè, fra il caldo – che lo sapete, per me è come la kriptonite per Superman – la malattia di uno dei mici e la frenesia del lavoro pre chiusura, è un po’ che non posto, vediamo di rimediare, che tanto per leggere c’è sempre tempo e le belle storie, fortunatamente non scadono.

 Oggi vi parlo di due romanzi, ma in realtà di due donne. Così simili e così diverse.

Il pappagallo muto – Rizzoli- è la nuova storia in cui Sara Morozzi, ex agente dei Servizi, a suo sentire, diventa responsabile del pericolo gravissimo che coinvolge una delle persone più importanti della sua vita. Lo Spy Story, genere poco rappresentato in Italia negli ultimi anni, come il noir, racconta quello che non vediamo ma condiziona le vite di tutti. Storie che sono perfette nella costruzione di de Giovanni e maledettamente molto più che veritiere.                      Distinguiamo i piani di lettura, il primo che riguarda ovviamente la storia, sembra in alcuni punti – come i precedenti e come tutte le storie del Genere – impossibile. Esagerazioni letterarie, invenzioni e invece no. Sono storie assolutamente plausibili per chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la cronaca. La rappresentazione esatta di una realtà che a vari livelli è impensabile ma esiste. La dimostrazione dell’effetto farfalla, quello per cui un gesto qualunque, anche apparentemente innocuo come un saluto, possa cambiare svariati destini, anche lontanissimi. Prendetelo per quello che è, un romanzo, ma siate consapevoli che quel mondo esiste eccome. Ci sono mille domande da farsi e molte resteranno per il momento senza risposta, ma è bene porsele. Oppure leggetelo senza farvi domande e godetevi solo la meravigliosa scrittura di Maurizio.

Poi c’è Sara, sola anche in mezzo agli altri, poche persone nella sua vita, pochi amori pochi amici, perché lei vive i sentimenti in maniera totalizzante. Ama o odia al 100%. Il resto è indifferenza. O quantomeno sepolto talmente in profondità da sembrare inesistente. Una cosa la muove, il “trionfo” della giustizia. Ho conosciuto una persona come Sara – un po’ meno rigida e che per fortuna non era un agente o ex agente dei Servizi – ma come lei ha pagato ogni scelta fatta in nome del suo rigore morale. Un personaggio pubblico che ancora oggi manca da morire, non solo a me.  E per quanto sembri presuntuoso, la sento così simile a me da essere forse il personaggio che più amo fra quelli di deGio. Sara è un ideale, forse quello che tutti vorremmo riuscire ad essere, senza tempo, senza età, capace di tutto in nome di qualcosa di superiore.

L’altra donna è nuova di zecca nel panorama letterario italiano, non altrettanto la sua “mamma”, Barbara Perna, magistrato in attività, che dopo averci divertito con le storie di Annabella Abbondante, ci presenta l’avvocato Lia Carotenuto, protagonista di Se tu non ridi più – Bompiani – La trama in questo caso, si lega profondamente con la protagonista. Per ragioni che si scoprono poco a poco nel corso della lettura, ha lasciato la professione legale, dedicandosi all’insegnamento, è ancora “segretamente” iscritta all’ordine e molto meno segretamente riconosciuta come uno dei migliori avvocati in circolazione. Per aiutare un’amica tornerà a indossare la toga, sebbene le costi moltissimo. Una donna che ha in comune con Sara il rigore e una dolcezza che pochi intimi le conoscono, oltre a un dolore grosso che custodisce gelosamente. La Perna conosce bene l’ambiente di cui scrive ed è palese, ha un talento per la scrittura che è altrettanto impossibile non riconoscerle, che affianca a una profonda umanità. Mai giudicante, cosa non facile visto l’argomento e lo svolgimento della vicenda, era facile cadere in uno stereotipo, ma accogliente, capace di rapportarsi distinguendo l’affetto dagli obblighi che impone la legge, passando sopra se stessa opponendo solo un debole tentativo di autoprotezione, capace però anche di tornare sulle sue decisioni, facendo sanguinare una ferita che sembra chiusa, ma certamente non è guarita. Non un romanzo semplice, è il classico pugno nello stomaco che non ti aspetti, non a caso il titolo, in chi abbia dimestichezza coi classici, fa suonare un campanello, eppure una lettura che secondo me sarebbe davvero imperdonabile farsi mancare, per la storia, per la scrittura e per il personaggio che senza farsene accorgere, vi entrerà nel cuore.

SI ABBASSANO LE TEMPERATURE E SI ALZA LA VOGLIA DI LEGGERE

Vi lascio qualche consiglio, veloce senza troppo approfondire, ma titoli garantiti, un po’ come andare dall’ortolano di fiducia, perché vi fidate vero?

Einaudi, che devo dire, difficilmente delude – soprattutto con Stile libero – Delitto di benvenuto : Cristina Cassar Scalia, spostandosi indietro di qualche anno, negli anni ’50 ’60, si conferma un’autrice di razza. Scipione Macchiavelli, commissario tolto dalla via Veneto dei locali delle bevute e delle belle donne, affronta una Noto che inevitabilmente sembra arretrata e provinciale ma si rivela alla fine molto diversa da come appare. Belli i nuovi personaggi, ben architettata – ma su queto non c’erano dubbi – l’indagine e la conferma, laddove ce ne fosse bisogno, che sostanzialmente, la gente non cambia mai. Promossa a pieni voti

Sempre per restare su letture che rilassano ma tutto sono tranne che superficiali, consiglio Un cadavere in cucina (l’ultimo nato della serie) ma in generale le indagini del contino Manrico Spinori – con tutti gli altri nomi e cognomi – Il Sostituto Procuratore che (se fossimo innocenti), tutti vorremmo incontrare. È un personaggio strano, emana calma e tranquillità mentre in realtà è bello frizzantantino il ragazzo, affronta il lavoro con la stessa accettazione che ha dovuto applicare alla vita, con una mamma ludopatica, ma simpatica, un figlio adolescente e un ex moglie che…Rispettoso di tutti ma non molla di un centimetro finchè la verità vera non è sul piatto. L’unica cosa che proprio mi fa sanguinare gli occhi (ma la “colpa” non è di de Cataldo credo, gli editor si adeguano al mondo), è l’uso di Ispettora, abbiamo una bella parola come ispettrice, perché adeguarsi al brutto?

Last but not least, vi consiglio fortemente di leggere La Furia, un thriller che “ricalca” meravigliosamente le orme impresse dalla Christie e da Dard senza scopiazzare. Il passaggio dalla pioggia di Londra al sole di un’isoletta della Cicladi avviene in contemporanea al cambiamento psicologico dei personaggi con sorpresa finale davvero ben ben pensata. Ah l’autore è Alex Michaelides e la Furia del titolo uno dei personaggi, certamente inaspettato.

UN PAIO DI TITOLI DI CUI NON PRIVARSI

Carlo Lucarelli non è certamente il primo a rendere protagonista un figlio – nello specifico figlia – di un romanzo, certo che mettere su carta e nella testa di chi legge, così tante emozioni diverse, richiede un certo talento (ma su quello c’erano pochi dubbi) e almeno altre due cose. Non è detto che sia o/o, possono tranquillamente convivere, questo romanzo ne è la prova.                                                                                             Un’enorme sensibilità, che gli permette di raccontare come lo stesso fatto, la stessa tragedia, sia vissuta elaborata e affrontata in modi così diversi da sembrare fatti diversi e uno studio approfondito sulle dinamiche che si innescano in chi viene privato di una parte di sé.                           Cosa diventa il dolore? Dove ti può portare il dolore senza nome – in realtà ho scoperto che una definizione esiste –  Quali abissi può arrivare a toccare un essere umano? Ma più di tutto, la domanda che ti resta dentro e continua a macinare quando meno te lo aspetti è: quante volte vediamo ciò che vogliamo vedere e non la realtà delle cose? Cosa siamo disposti a sacrificare per non vedere la realtà? Almeno tu è un romanzo sconvolgente ma imprescindibile nei tempi in cui viviamo.

Magari imprescindibile non è la parola esatta per questo romanzo di Alessandro Robecchi, però ecco, Il tallone da killer è uno di quei romanzi salvavita che sarebbe bene avere a portata di mano. Avete presente quando vi viene il blocco del lettore? Oppure quando aprite centordici libri e dopo le prime 10 pagine li richiudete sbuffando? Ecco, a quel punto prendete in mano il libriccino blu e si compie la magia. La penna (vabbè la tastiera l’è istess) di Robecchi, si trasforma in una bacchetta magica e la sua mente (deliziosamente perversa), partorisce incantesimi. I due protagonisti li abbiamo già incontrati, se non ricordo male – si fa per dire, lo ricordo benissimo – sono i padri della della famosa frase Hic sunt capannones, definizione perfetta della ubertosa Brianza. Non hanno un nome, ne hanno tantissimi, monouso naturalmente. Robecchi è un autore raffinato, capace di farti sballicare dal ridere usando ironia e paradossi eppure andando a toccare temi che riflettono perfettamente uno dei peggiori quesiti che oggi rappresentano quasi la normalità. Quanto vale la vita di qualcuno? O ancora più precisamente, ha un valore oltre a quello economico? Secondo me, scoprirlo ridendo, non ha prezzo.

CECI N’EST PAS UNE PIPE TANTOMENO UNA RECENSIONE

Ho un file aperto da settimane, quello che ho aperto per dire quello che penso del nuovo romanzo, lo stand alone, di de Giovanni L’antico amore.          Sono a tre fogli fitti fitti, troppi per un articolo sul blog. Ho letto delle recensioni splendide, in cui gli autori hanno colto ogni minima sfumatura.             Eppure ho trovato altro da dire, troppo.                                                                      E allora forse vale pena solo sottolineare quello che dico da anni.                   

Lo scrittore napoletano, forse per nascita o per inclinazione personale, ha solo usato il plot giallo come copertura, come esca. Strategia perfetta del resto, perché gli riesce alla perfezione.                                                                            Dietro ogni storia, a muovere le fila di tutto c’è sempre stato solo l’amore. A partire dai primi racconti per arrivare ai romanzi e alle storie di tifo o di cucina.                                                  Materno filiale fraterno, quello per la Città in ogni sua componente, luoghi Storia cibo paesaggi atmosfere, che si trasferisce agli esseri umani.                Fin dal racconto che è stato la spina dorsale de Le lacrime del pagliaccio – il romanzo che lo ha fatto conoscere al grande pubblico diventando Il senso del dolore – passando per Il resto della settimana, al Metodo del coccodrillo, fra le indagini, dietro gli omicidi, nei rapporti umani, c’è amore.

Sapete che sono una delle fortunelle che leggono in anteprima i romanzi di de Giovanni, so quanto Maurizio tiene ai “fuori serie”, se li coccola per anni, li cresce li plasma, ci mette dentro tutto se stesso. Io l’ho adorato, sarebbe stato così per tutti? Ho avuto paura? Sì e sì, ho temuto che potesse essere criticato e invece…                                                                  

Ci ho messo qualche mese ma ho capito, nonostante i social, la politica l’ignoranza che impazza, la gente ha bisogno d’amore e se è raccontato con maestria, con grazia, intrecciando un passato lontano e uno più recente, che si sovrappongono con naturalezza, il risultato non può che essere…Amato.       

Un sentimento che va oltre, che sublima tutto il bene e tutto il male.         Un bene superiore all’egoismo degli amanti, che si arrotola su se stesso e si tace per l’altro, perché l’amato non abbia a soffrire, non debba cambiare, perché l’altro, quando ami così, è più importante.                                                

Questo racconta de Giovanni, amori così profondi da spingere chi li prova a disinteressarsi del suo stare per preservare l’amato.

È Oxana, la “badante” moldava che badante non è, la voce narrante del presente, una narratrice che non sa ma intuisce, è la ragione che accetta, che si arrende a qualcosa che sente essere troppo intimo e profondo per essere indagato e lascia che accada.                                                                                  Dà spazio a quello che non capisce, a dei pezzetti di carta che contengono, forse, parole che non si sono potute dire, raccogliendoli con rispetto.                            Accompagna, restando un passo indietro, il vecchio e noi nella memoria, in una vita che non ci appartiene ma possiamo riconoscere, camminando nel sole e nella pioggia che diventa un sipario, fino a svelarci l’unica verità a cui troppo spesso rinunciamo o non sappiamo accettare.

Se qualcosa può salvarci, è l’amore. E se c’è un uomo che lo sa raccontare, è Maurizio de Giovanni.

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SETTE VITE COME I LIBRI

Post influenza, ragazzi ma davvero quest’anno bastardissima, giustamente mi hanno chiamata per un piccolo intervento programmato, niente di che ma con obbligo/consiglio di stare il più ferma possibile. Ok la televisione ok qualche ora la dedichi al pc per eventuali emergenze di lavoro, ma se devi stare ferma con la gamba in scarico, cosa c’è di meglio che un buon libro?

Mi è andata di lusso, siamo onesti, il giorno prima del ricovero è uscito 7 vite come i libri, l’ultima fatica di Serena Venditto.

Posso dire che a me certe menti fanno “paura”? Lei, come la Perna come i Bruzzaldi – sia chiaro che sono tre nomi su 100 che valgono la spesa – hanno questa capacità di imbastire delle trame gialle che non hanno una sbavatura neanche a cercarla col lanternino e contemporaneamente (nell’ordine): svuotarmi la testa da qualsivoglia pensiero – inchiodarmi alle pagine, non c’è verso di mollarli – divertirmi e finirli senza mai deludermi. Se vi pare poco… Certo c’è qualche esagerazione in alcune scene, quello zicchettino di surreale che però riesce a sembrare perfettamente naturale, il tutto unito a un naturale (credo che dipenda dalla genetica territoriale) senso dell’umorismo e della tragedia. Lo so, sembra un parolone ma parliamo pur sempre di un giallo, c’è pur sempre il morto e quando qualcuno muore, per qualunque ragione, è sempre una tragedia. Ecco, raccontare le morti, quello che le ha provocate, a volte partendo da lontano, richiede talento e probabilmente, credo, un radicato bisogno di giustizia che Serena Venditto ha riversato sui 5 di via Atri, sì sì, anche Mycroft ha una spiccata idiosincrasia per le cose brutte. Ah, per inciso, anche senza il morto, le tragedie sono tali per chi le vive, anche quando si tratta di un amore che finisce, una bocciatura o la perdita del lavoro. Sono consapevole di non avervi raccontato niente della trama, non lo faccio mai e non si capisce perché dovrei iniziare adesso. Comunque, Malù diventa all’intrasatto una sostituta libraia e in un libro usato, perché quelli vende la libreria, trova delle pagine macchiate di sangue. E non è sangue vecchio, come arriva al proprietario del libro del sangue e del come e perché…Oh, ve lo dovete leggere.

PS – ho linkato il nome anche se la pagina porta a wikipedia in spagnolo, dio sa perché, ma se non la conosceste, lì trovate tutti i titoli, perché non so se vi è chiaro, ma ci tengo proprio che la conosciate.

UN GROSSO SI E UN “ANCHE NO”

In attesa tornare in forma, (ma quanto è lunga la forma influenzale quest’anno) vado a raccontarvi un po’ di quello che ho letto e cosa ne penso.

Ordunque, c’è ovviamente Donato Carrisi, con La casa dei silenzi, sempre più estremo se così vogliamo dire, epperò, siccome lo conosco da tanto tempo, so che prima di mettere qualcosa nelle pagine di un libro, si documenta fino all’ultima lettera, pe quanto folle possa sembrare quello che racconta, tocca crederci. Non che faccia testo, ma a me è piaciuto molto, più dei precedenti. Ancora Pietro Gerber e il suo rapporto con i bambini che cerca di aiutare, i metodi a volte possono sembrare estremi, in realtà di estremo ed eccezionale, c’è solo la sua bravura nel creare l’atmosfera in cui accadono le cose. Cupe, capaci di metterci in una condizione di tensione a priori, ovviamente questo fa sì che anche la cosa più banale risulti ammantata da un sintomatico mistero. Last but not least, il tema di fondo, l’abuso, più che mai attuale, più di sempre trattato con delicatezza ma di una forza prepotente. Se lo amate, non lasciatelo sullo scaffale dei non letti a lungo, concedetevi qualche ora e immergetevi in quella splendida follia che riesce sempre a creare.

C’è un romanzo che invece potete tranquillamente lasciar attendere, eh sì, lei, la superanatomoatologa, zia di un genio e sposata con il top dei servizi segreti nonché partner del buzzurrissimo Pete Marino – che per inciso è anche suo cognato – Non ce la fa. Io ogni tanto ripenso al primo anatomopatologo della fiction, ve lo ricordate il dottor Quincy? Buona che avesse un microscopio, ma quanto lo abbiamo amato. Ora, per carità, la scienza va avanti il progresso e la grandeur americana, ma dio santo. Ci sono le auto, ma no, l’ineffabile Lucy si sposta solo in elicottero – e che elicotteri – indossa gli occhiali smart h24 (perché lei non dorme) e mentre parla con la zia, pilota in mezzo alle tempeste, riceve messaggi inoltra mail controlla le videocamere di sicurezza di almeno 4 posti e magari si fa uno snack. Ok la supereroina ci sta – oddio – ce la facciamo stare, ma l’acerrima nemica che sembra più che altro un’ araba fenice… La arrestano e quella evade (scomparendo), ha sul gobbo qualcosa come una decina di omicidi – noti – ma non è ancora andata a processo definitivamente, probabilmente perché con la pena di morte finirebbe il gioco. Riesce regolarmente a penetrare le barriere di casa Benton Scarpetta, datele le chiavi santo cielo, che facciamo prima. Dulcis in fundo, tralasciando il fatto chesull’omicidio aleggiano gli UFO, questa cosa che la bella Kay deve rimarcare le sue origini italiane, perdonatemi ma du palle. Pasta alla marinara (sugo preparato da lei e congelato, che quando trovi il tempo rimane un mistero glorioso), serviti con abbondante parmigiano e accompagnati da pane all’aglio (ma da quando è una specialità italiana?) e udite udite, un corposo chianti. Mi pare abbastanza no? Patricia Cornwell insomma, la sua Kay Scarpetta e le Cause innaturali, possono tranquillamente attendere che non abbiate niente ma niente di meglio da fare.

Di schifezze e cose bellissime

Faccio molta fatica a scrivere di libri, troppe cose brutte intorno, non a me personalmente anzi, ma basta ascoltare un TG (uno a caso tanto mi sembrano fatti con lo stampino) e ti cadono le braccia. Non sopporto più le fazioni, il tifo per il tifo, per cui da un lato mi si ribalta lo stomaco per come sta agendo Israele, per l’ISIS che prende il potere in Siria (e se pensate che sia un Paese qualsiasi, fatevi un ripassino di Storia o un giro su un’enciclopedia). Dall’altro mi sale il crimine a leggere (dovrei mollarli sti cazzi di social, lo so), novax che attribuiscono la morte di ultraottantenni al vaccino, e provax che ancora si accaniscono augurando le peggiori cose, uomini e donne che si suppongono adulti, con una professione, insomma, mediamente muniti di intelligenza e cultura, che hanno creduto alla storia della bambina sopravvissuta tre giorni in mezzo al mare – per inciso non ci sono resti del barchino né umani, grazie a dio, e dopo qualche ora, se fosse vero, non ci sarebbe più stata nemmeno la bimba – ma gli insulti che ho beccato, sono roba da TSO. E vogliamo parlare di chi posta solo ed esclusivamente reati e inciviltà commessi da immigrati e di chi ribatte colpo su colpo con le nefandezze autoctone. Potete capirmi vero? Comunque ci proviamo, un paio di consigli dovrei riuscire a metterli insieme.

Partiamo col botto, è tornata da qualche settimana, la mia adorata Louise Penny e con lei l’amato Gamache. Il gioco, il trucco se vogliamo, è di essersi inventata un personaggio impossibile da non amare. L’umanità di quel personaggio apparentemente burbero che invece si porta dentro e sulle spalle tutto il dolore diretto e indiretto che ha visto provato, involontariamente provocato, scalda come un tè caldo. Un uomo che non è capace di odiare, che trova un sollievo totale nella famiglia e negli amici.

Forse rileggendo, lo si ama proprio per quello che ho scritto in apertura, è un antidoto alla bruttura del mondo, è un attimo di pace. Mi direte ma che giallo può essere? Tosto cavolo, ma tosto forte eh, perfino troppo. Richiede grande concentrazione questo romanzo, il caso è particolarmente complicato e prevede un piano mostruoso da sventare, si viaggia, anche molto pericolosamente, per tutto il Canada e si arriva addirittura a Roma, ci sono un sacchissimo di alias – del tutto legittimi peraltro – che ne fanno una girandola.

Eppure le relativamente poche scene che si svolgono a Three Pines, sebbene drammatiche, danno quel senso di pace di cui parlavo prima. La strega la papera Rose, i proprietari del bistrot, i cani e il paesaggio, lasciano sempre un senso di “giusto”. La voglia di avere un posto così, degli amici così dove tornare. Una “collega” blogger, si chiedeva se fosse una sua impressione, aver trovato nel romanzo una vaga aria di Fred Vargas e in effetti c’è, ma d’altra parte se la Vargas ha portato lo spalatore di nuvole in Canada (e ci stava perfettamente), altrettanto bene ci sta una puntina del suo stile. Un paio di giorni, ma anche tre o quattro perché è bello cicciotto, fra una festa e l’altra, dedicateglieli che la prossima settimana, vi racconto di Carrisi.

PREVISIONI DAL 1 ALL’8.12

Ariete: e dai e dai la situazione circostante si è tranquillizzata, resta probabile forse, solo qualche ripicchina in amore, ma sono residui, piccoli e che non lasciano strascichi.

Toro: bella settimana tranquilla, bella proprio perché sappiamo che voi, meno casini avete, più siete contenti, mica tutti son così eh. Bene il lavoro e bene in famiglia, non chiederei altro.

Gemelli: siete un po’ ossessionati, senza motivo a dire il vero, dai soldi, ma in generale siete ipersensibili, tant’è che verso metà settimana, basterà una parola storta per scatenare la lite. Fortuna poi vi metterete un po’ tranquilli.

Cancro: anche voi, ma sta succedendo un po’ a tutti a turno, deciderete di lasciare andare qualcuno o qualcosa, ma è un bene, la settimana proseguirà e voi volerete come farfalle a primavera.

Leone: bene leoncini, fila tutto liscio anche questa settimana, magari preferireste darvi ai preparativi natalizi anziché al lavoro, ma sopporterete stoicamente con un sorriso, la vostra forza.

Vergine: forse un filo agguerriti nei confonti di non si sa bene chi, ma tutto sommato soddisfatti, qualche pensiero molesto ci sarà, ma talmente veloce da non lasciare neanche traccia.

Bilancia: l’avvicinarsi delle feste vi rende un pochino malinconici, settimana combattuta fra il desiderio di lasciarvi avvolgere dalle luci e dalla frenesia e il desiderio di stare in solitudine. A rimuginare probabilmente, meglio di no.

Scorpione: a voi invece il desiderio di pace e serenità, vi fa un baffo, saranno le scadenze o qualche impegno non previsto, ma sarete piuttosto pungenti, alla faccia del siamo tutti più buoni.Voi no.

Sagittario: periodo in cui il lavoro ha la priorità e questo vi scoccia da matti, avete voglia di andare di non pensare o anche solo di ammirare il creato in santa pace. Cercate di ritagliarvi più momenti possibili per voi.

Capricorno: settimana tranquilla anche per voi, soddisfazioni sul lavoro, a metà settimana, un giudizio forse affrettato di qualcuno potrebbe però scatenare una cruenta battaglia che ovviamente vincerete

Aquario: avete qualche nervo scoperto e qualcuno che vi è vicino, probabilmente lo toccherà volontariamente, facendovi male. A volte capita, non fatevi portare via la serenità.

Pesci: vabbè la settimana non è delle migliori, qualcosa vi sta bloccando perché non sapete come affrontarla, anche per voi potrebbe esserci qualche giorno di down, pensate a un viaggio, vi aiuterà.

“I CERCHI VANNO CHIUSI”

Volver, tornare. E gli amanti del commissario Ricciardi tornano sempre con piacere e un po’ di timore negli anni trenta, senza sapere come se ne usciranno.

Avevamo lasciato Ricciardi ben deciso a mettere in salvo la sua famiglia. Lui Marta e Nelide possono stare tutto sommato tranquilli, ma leggere i nomi della famiglia Colombo, i genitori di Enrica, negli elenchi della questura, attenzionati in quanto di origine ebraica, lo ha spinto a insistere oltre ogni resistenza, per un trasferimento a Fortino. Lì nella campagna cilentana, spera, della guerra ormai imminente, arriveranno solo degli echi e non l’impatto brutale che incombe sulle città e lui tornerà ad essere il barone di Malomonte e non più il commissario che a suo tempo ha suscitato tante chiacchiere. Nelide potrà gestire più agevolmente le terre e i fittavoli, non che da Napoli le sia mai sfuggito qualcosa, ma la sua costante presenza fisica, avrà un peso ancora maggiore. Ma soprattutto Marta potrà continuare a studiare e crescere,mentre per quanto possibile, i Colombo saranno in sicurezza, senza la paura che qualcuno li denunci o li venga a prendere.

Anche i ritorni, sia pure in un luogo familiare, non sono esenti da rischi, a maggior ragione se torni dove è iniziato tutto, nel posto in cui hai deciso che la tua vita sarebbe stata altrove. Dopo poche righe dall’inizio, mi sono fermata con una domanda: ma se non è più un commissario di polizia, non è in città, cosa diamine farà il barone Luigi Alfredo?

La risposta l’ho avuta a fine romanzo.

L’indagine più difficile di tutte, la più dolorosa probabilmente, perché è uno scoprire di sé, di sua madre, la sua dolcissima mamma, il perché di quel suo stare male, sempre presente ma distante, chiusa nella sua camera. Quel suo padre che gli sorride dai muri del castello, di cui però ha pochissimi ricordi, un padre che scopre non perfetto ma coerente con i valori che in qualche modo fanno parte di lui.

In questo romanzo c’è un fascismo sempre meno nascosto, sempre più volgare e palese nelle sue esternazioni, nel suo mostrarsi senza vergogna e ci sono uomini antifascisti per natura, semplicemente essendo contro le ingiustizie, uomini e donne, che combattono con le armi che hanno, che ripudiano la guerra, che vogliono un mondo banalmente soltanto giusto.

L‘indagine c’è, eccome se c’è, così come c’è l’amore, quello a tutto tondo che senza dichiararsi tale, fa sì che si sia tesi alla protezione dell’altro, che sia un parente un amico o qualcuno che fa parte di noi.

Si conclude con una sospensione questo romanzo, anzi più d’una, inevitabile e sacrosanta, perché raccontare cosa potrebbe essere la guerra per Ricciardi sarebbe una crudeltà inutile e dolorosa oltre ogni limite, eppure c’è una speranza, di cui ovviamente non vi racconto.

Abbiamo bisogno di memoria, abbiamo assoluta necessità di riprendere le misure. Di imparare tutti, quanta fatica costi diventare esseri umani, consapevoli, completi, capaci di vivere senza combattersi.

Un piccolo inciso, sapete quanto sia “reale” per me Ricciardi, questo articoletto, recensione, come volete, sta sul desktop da molti giorni, mi sembrava di aver detto niente. Oggi su un profilo social di MdG, è stato pubblicato questo video. era la chiusa che serviva, sì, avevo scritto tutto

«Ricciardi, perché hai deciso di portarmi a Fortino?» «Perché i cerchi si devono chiudere. Ma tu questo lo sai bene. Vero, scrittore?»

https://www.repubblica.it/spettacoli/tv-radio/2024/11/28/video/maurizio_de_giovanni_e_il_commissario_ricciardi_non_so_come_finira_ma_sono_felice_di_non_saperlo-423759207/

Se il link non dovesse funzionare – potrebbe essere un contenuto riservato -provate da qui e scusatemi, vorrei davvero riusciste a vederlo tutti.

https://www.facebook.com/maurizio.degiovanni.7/posts/pfbid02N9gPQGhnoScdPKpkoZ9HF3FWQr3H4LVCpirwWoXtxFUAEqFu9jWhKyQXD2AQpRsGl?notif_id=1732960865743498&notif_t=close_friend_activity&ref=notif