Tornano le miss Marple di Rosa Teruzzi

In libreria da pochi giorni con La memoria del lago, a fine lockdown sono uscite anche Libera e Iole, Libera soprattutto, l’avevamo lasciata con un doppio peso sul cuore, entrambi fardelli molto pesanti, uno riguarda la mai conosciuta e adorata nonna Ribella, morta misteriosamente alla fine della guerra, l’altro invece è Gabriele, l’unico uomo che dopo la morte del marito, abbia saputo suscitare in lei dei sentimenti. Oddio, sentimenti, si parla proprio di amore, ma le circostanze hanno fatto sì che lui adesso aspetti un figlio da una collega con cui ha una relazione. Niente casi criminali stavolta per le nostre amate donne Cairati – nome scelto in omaggio a Bice, meglio nota come Sveva Casati Modignani, fra l’altro in questo romanzo appare un’altra amica di cui vi consiglio di sbirciare il profiloSarah– anzi. Libera ha ricevuto dei documenti strani, che aumentano i dubbi e le domande, per il momento è riuscita a tenerli nascosti a Iole, ma si sa che oltre al sesto e al settimo senso, sua madre ha il fiuto di un cane da tartufo.
Non resta che chiedere aiuto alla sua amica Irene detta la smilza e Cagnaccio detto dog, rispettivamente giornalista e direttore de La città, quotidiano di poche pretese ma molte copie. Certo, non essendo una notizia da prima pagina, c’è anche il dubbio se lo otterrà o meno.
Tutto in famiglia questo quarto romanzo, una ricerca dolorosa per trovare la verità, che come le ha inculcato fin da bambina nonno Spartaco, è l’unica via.
La Teruzzi (come del resto è capitato a molti autori, credo a loro insaputa), cambia leggermente registro, non ci sono indagini vere e proprie, ma un percorso a ritroso per capire, per scoprire, per togliere di mezzo almeno qualcuno di quegli ostacoli che impediscono in qualche modo di andare avanti. In questo quarto (o quinto) romanzo non solo non si sente la mancanza del classico caso poliziesco, ma anzi, ci si appassiona ancora di più alla vita di queste donne che abbiamo imparato a conoscere di pagina in pagina.
Sono romanzi a doppio binario – e d’altra parte la passione di Rosa sono treni e caselli – quelli di Rosa, sembrano leggeri, li prendi in mano per passare qualche ora di completo e totale relax, così succede in effetti, ma quando poi li chiudi e le parole che hai letto sedimentano un po’, ti accorgi che non sono affatto solo quello. Sono intrisi di qualcosa che ti resta, frasi e modi di fare che ti si attaccano dentro. Ti scopri a cercare in te i tratti caratteriali di una delle tre donne, ti senti o desideri essere un po’ Libera, gentile ferma determinata nonostante sia cresciuta con un nonno come unico punto di riferimento, ma anche come Iole, la sua mamma pazzerella, all’apparenza, che in realtà (questo è quello che arriva a me), è saggia, tanto saggia da vivere la sua vita senza curarsi delle convenzioni, a volte insopportabile, indifferente ai giudizi degli altri. Vittoria, figlia e nipote, che forse col suo rigore nasconde il bisogno di essere diversa da come si sente obbligata dalla divisa che indossa e dalla necessità di assomigliare un po’ di più a mamma e nonna. Ripensi a quanto sia importante la verità, a quanto i segreti possano rovinare delle vite e allo stesso tempo di quanto sia difficile valutare quando sia il caso di svelarli. Quanto il male che si può fare superi il bene. Molto più di un semplice romanzo giallo rosa, come una Piccadilly, scritto come sempre con una delicatezza e un talento impeccabili. (foto reperita nel web)

Sara

Fra le tante cose di cui la pandemia ci ha privato, (ma solo momentaneamente tranquilli), ci sono state le uscite dei libri con relative presentazioni. Per noi maniaci, non poter ascoltare i nostri autori (che in qualche caso sono anche cari amici), poter discutere con loro delle scelte fatte, poterli abbracciare, che è un modo per ringraziarsi a vicenda, è stata dura. Molti autori hanno rimandato le uscite o fatto uscire i libri alla data stabilita, Maurizio de Giovanni, ha fatto una scelta intermedia, lo ha fatto per un senso di responsabilità nei confronti del suo lavoro e soprattutto dei lettori,ha aspettato che riaprissero le librerie per far uscire Una lettera per Sara. Lo ha fatto, come ci ha spiegato ieri in uno splendido seppur virtuale incontro. Accade anche on line certamente, ma il lettore che entra in libreria per comprare il suo libro, probabilmente uscirà con anche altro, un esordiente, un classico, insomma, un libro tira l’altro no?
Bon che vi parlo del libro, si sa che io la Morozzi la amo, mi ci rivedo, con la sua sete di giustizia, con la sua capacità di andare oltre le convezioni, di inseguire quello che va al di là del limite della legge umana. Come sempre non sto a raccontarvi della trama o del dono di Maurizio di usare le parole, la storia non solo regge ma è anche molto molto buona, deGio con le parole crea ricami preziosissimi. Fra l’altro per la prima volta (escludendo alcuni racconti), è partito da una storia vera, la storia di Graziella Campagna, poco più di una bambina che si trovò suo malgrado ad avere a che fare con quella montagna di merda che è la mafia.
Una lettera mai arrivata a destinazione, finita dentro un libro, che per quegli strani disegni del destino, diventa una chiave che può aprire molte porte. Ed è questo che fa, o tenta di fare Sara, non con l’intenzione dell’autore che non si è mai posto su un podio a predicare, ma lei è il desiderio che le cose vadano nel modo giusto, è la Giustizia, giustamente bendata.
Non ha pietà ed è forse quello che tutti vorremmo. Che non si guardasse in faccia nessuno, a meno che non riguardi noi. Ecco, lei no. Lei paga in prima persona, e questo ci mette di fronte a qualcosa che non ci piace e non vogliamo vedere. Non è stata simpatica a tutti da subito, le sue scelte sono risultate incomprensibili a molti, non le si è perdonato di aver vissuto, di avere “sacrificato”, pagando un prezzo altissimo, la vita familiare sull’altare dell’amore. Eppure quella scelta è quello che le ha permesso di diventare quello che è. Ha trovato il suo riscatto, agli occhi del mondo, perché lei non ha nulla da perdonarsi, nel fare la nonna, sui generis ma nonna, ha trovato qualcuno con cui riempire, in minima parte, il vuoto che la riempie.
Ci sono Viola il bambino e Pardo, c’è Bionda, e c’è Andrea, il suo vecchio collega cieco. Andrea che in questa vicenda ha un ruolo fondamentale, che potrebbe, ma Sara ne è praticamente certa, conoscere qualcosa che le è stato nascosto.
Maurizio con questo dubbio, apre almeno un centinaio di scenari futuri, (non ultimo un accenno, durante l’incontro di ieri sul suo “desiderio”, un fil rouge che unisca le sue storie) mette Sara davanti a qualcosa che potrebbe sconvolgerla togliendo il senso a tutto quello che è stata la sua vita. Lo dico quasi sempre, lo so, ma a mio parere questo è il miglior romanzo su Sara, Maurizio ha dato al tutto un piccolissimo colpo di timone, che potrebbe cambiare completamente la rotta. Come sempre, c’è molto di più, i piani di lettura sono tanti e sfaccettati, godeteveli tutti.

Martin Hewitt Investigatore

Torniamo a scrivere i consigli, che qui ormai, fra dirette di autori recensori blogger (me inclusa eh) o semplici lettori, non ci si sta più dietro.
Del Vecchio Editore ha recuperato un autore vintage, Arthur Morrison. Vissuto a cavallo fra ‘800 e ‘900, ha creato un investigatore decisamente sui generis. Un po’ Sherlock un po’ miss Marple e contemporaneamente del tutto a se stante. Martin Hewitt, dopo aver lavorato con successo per uno studio legale, decide di proseguire l’attività di investigazione in proprio. Non cerca il suo Watson ma un casuale incendio nell’edificio dove ha l’ufficio, durante il quale il suo vicino Brett che fa il giornalista, salva dei documenti importanti, innesca per così dire una sorta di collaborazione.
Il libro è in effetti composto dai racconti/cronaca che Brett fa di alcuni dei casi risolti da Hewitt, come dicevo lo stile di Morrison può ricordare per ambientazione e periodo, sia miss Marple, sia Holmes, a differenza dei due però, non c’è un’investigazione che segue la deduzione, ma la consegna del colpevole alla giustizia. Peraltro il buon Hewitt è, a differenza di Holmes, un signore pacioso e cordiale, senza scatti d’ira e con buona pace di miss Marple, non si sofferma troppo sulla natura umana, concentrandosi esclusivamente sui fatti nudi e crudi. Perfetto per rilassarsi con un giallo “leggero”, nel senso di non trucido, in cui abbandonarsi al lavoro dell’investigatore, senza sforzarsi di seguire trame troppo complicate. Ottimo anche per chi non ha ancora recuperato la concentrazione, perché i casi narrati, sono slegati fra loro, come dei racconti, consentendo una lettura veloce che può essere interrotta e ripresa senza risentirne e restando un piacevole momento di relax.

Standby – comunicazione di servizio

Chi segue il blog si sarà accorto che sto latitando un po’, sto leggendo meno, mi manca la concentrazione, sto uscendo come tutti i miei colleghi, regolarmente su Mangialibri, dove vi ricordo che ogni giorno, e dico ogni, trovate recensioni nuove interviste curiosità e cose belle.Però chi ha un profilo facebook, sulla pagina del blog (omonima ovviamente), trova ogni lunedì dei filmatini con i video consigli, se ne avete voglia, ci si vede lì. A presto

Oggi riflessioni sparse

Lo so, siete abituati al fatto che più o meno si parla sempre di libri, ma siccome libri e librerie in questi giorni sono inflazionato come argomento, faccio qualche riflessione spaziando qua e là.
Oggi è l’anniversario del mio miracolo personale, costole vertebre naso mano e caviglia rotte, 200 e rotti punti di sutura sparsi, un finestrino tolto dalla faccia con le pinzette, ed ero quella che stava meglio, a parte il figlio di puttana ubriaco che ci è venuto addosso, ma vabbè. Dice ma che c’entra? C’entra perché, a seguito di una conversazione, ho messo a fuoco due o tre cose che confermano le teorie che mi accompagnano da una vita. La prima è che i millemila morti (e ne parlo con tutto il rispetto per il dolore dei loro cari), se anche non ci fosse stata la pandemia provocata dal covid19, sarebbero mancati esattamente nello stesso momento, per un incidente un ictus un infarto la caduta di un aereo un albero in testa uno squalo troppo vicino a riva in Australia. Solo che non lo avremmo saputo, semplicemente sarebbe stato un fatto personale di chi era coinvolto. Per conferma, senza nulla togliere alla gravità del momento, fare una ricerca seria, sui morti quotidiani, imparare a fare calcoli statistici elementari e poi paragonarli.
Nel 1988, non era il mio momento evidentemente, ecco il link.
Ieri parlavo con una persona che ha dei nipoti, sugli otto anni, un’età importante, (ma attenzione anche ai più piccoli, intorno ai 4 o 5) in cui si formano le persone, ecco forse non tornerà tutto come prima, ma ho pensato che forse la speranza sta proprio in questi bambini che quando saranno adulti, avranno fra i ricordi più cari le visite se possibili o le video chiamate coi nonni, l’ossessiva ripetizione del mantra che ci vuole buonsenso, che proteggere gli altri equivale a proteggere noi stessi (imparando quindi la vera solidarietà) e si comporteranno di conseguenza.
Quindi un consiglio (non richiesto ma che mi frega), care mamme papà nonne/i zie e chiunque abbia a che fare con loro, state attenti a cosa fate, dite e fate passare nelle testoline dei vostri ragazzi, ricordatevi che sono spugne, assorbono tutto ma tutto, quello che diciamo e quello che non diciamo, ma soprattutto quello che facciamo. Forse è questo il momento e l’unico modo che noi grandi, abbiamo di trarre vantaggio da questo gran casino. Fare sì che il domani sia un posto migliore per tutti. Per noi tornerà una normalità che sarà più o meno come prima, ma davvero potremo lasciare qualcosa di grande ai nostri ragazzi.
Forse questa “prova”, con questa impreparazione (di tutti), è il modo con cui il mondo ci sta dando la possibilità di cambiare il dopo. Non si scappa al destino, ma assecondarlo può cambiare tutto. Non è cosa da poco sapete.

Il regno delle ombre – Louise Penny

Mi par di capire che da qualche settimana, anche i lettori più voraci abbiano blocchi, mancanza di concentrazione e dio sa quali altre deformazioni mentali, per cui pur avendo un sacco di tempo a disposizione, stiamo leggendo poco. Ecco, io ho finito (mettendoci una vita per i suddetti motivi), Il regno delle ombre, di Louise Penny. L’ho iniziato con un po’ di timore, perché il precedente Le case di vetro, lo avevo trovato un po’ lento e faticoso. Impressione clamorosamente smentita. Il commissario Armand Ghamache, capo della Sûreté du Québec, al momento sospeso per un “forse” errore, commesso nella conclusione di un caso, roba grossa davvero, si ritrova nominato esecutore testamentario, insieme a Myrna, ex psicologa sua vicina di casa e attuale gestrice della libreria di Three Pines e a Benedict, uno strano ragazzo di Montreal. Ma esecutori testamentari nominati da chi e perché loro? Un vero e proprio groviglio ordinato, in cui il capo del filo da tirare per sbrogliare la matassa è davvero difficile da trovare. Non fossi stata in quarantena probabilmente lo avrei finito in un paio di giorni. La Penny è abile a intrecciare più trame contemporaneamente, fra l’altro tutte belle toste. Le intervalla sciogliendo la tensione, con le descrizioni del fantastico paesaggio canadese, con tanta, tanta neve, pasti caldi (e deliziosi) condivisi fra gli abitanti del villaggio, la caratterizzazione di Ghamace che oltre ad essere il capo della Sûreté, è un marito amorevole un padre attento e un nonno che si perde nel profumo dei capelli del nipotino. Un’alternanza affascinante di indagine serrata e dolcezza. Se avete il blocco, è il momento di superarlo e questo mi pare un ottimo modo.

Gli idioti e la pandemia

Chiedo scusa ma oggi si va di veleno, come il mamba verde, o lo espello o muoio. Adesso se siete arrivai su questo articolo, fate i bravi e leggetelo, con attenzione, con molta attenzione, anche se è lungo. Non perché io sia diventata una virologa infettivologa medico economista o dio sa cos’altro, ma perché ringraziando Dio, ho ancora la lucidità per vedere la bolla dal di fuori, e francamente mi sembra ce ne sia un gran bisogno.
Allora, partiamo da una premessa: 1) non ho paura per me, non sono indispensabile per nessuno. A volte è brutto, altre, come in questi casi, è decisamente un sollievo, appena appena doloroso ma un sollievo. 2) ho delle persone che amo, come tutti credo, sono in pena per loro? Il giusto, confido che siano saggi abbastanza da tutelarsi al meglio, che la sorte sia clemente e nel caso non lo sia, che la loro salute sia abbastanza da superare indenni un eventuale attacco. Questo mi fa passare la paura? Certo che no, ma non ho molta scelta.
Dunque,fatta questa doverosa premessa, devo constatare che ahimè, anzi, ahivoi, continuate imperterriti a leggere solo determinate fonti, quelle a cui siete abituati, a credere di essere nel giusto, senza se e senza ma. Ho una notizia, non lo siete. O meglio lo è chi non pontifica, chi non crede a tutto, siano notizie catastrofiche o siano miracoli di questo o quel laboratorio.
La cosa è molto semplice, i virus i batteri gli organismi perniciosi,esistono esattamente da quando esiste l’uomo, anzi, a dirla tutta, l’uomo è arrivato un bel po’ dopo di loro. Unico scopo di questi organismi è riprodursi e vivere, siccome non hanno un cervello pensante, ma sono solo un mucchietto di dna, non fanno altro che aggrapparsi dove possono, dove trovano un ambiente confortevole e si installano per poter procedere alla loro riproduzione. Abbiamo modo di combatterli? Sì, quelli noti, nei confronti degli altri, tipo il covid19, abbiamo una sola e unica possibilità, evitare di fornire un ambiente adatto, rendere noi stessi un terreno infertile.
E qui arriviamo al punto 1 – l’isolamento, certo che sì, è il primo provvedimento da adottare, ma noi siamo animali sociali, l’isolamento non è nella nostra natura, magari per un po’ ci riusciamo, ma dopo un po’, a meno che non viviamo in un mondo nostro, ideale, dove possiamo essere autosufficienti in toto, la cosa diventa difficile. Allora io dico usiamo il buon senso. Siete obbligati ad andare al lavoro? Fatelo utilizzando tutte le protezioni possibili, mettete qualcosa davanti a naso e bocca, e se inevitabilmente toccate qualcosa, qualsiasi cosa, non portate le mani vicino alle mucose, naso bocca e occhi. E lavatevi le mani il più spesso possibile. Non serve la mascherina ospedaliera, basta qualcosa che faccia da barriera, tipo la distanza oltre a qualcosa davanti alla bocca. Siete costretti ad usare un treno o una metro? Pretendete, e sottolineo il verbo, che siano potenziati i mezzi nelle ore diciamo di punta, pretendete che gli orari di arrivo e di uscita dal lavoro siano scaglionati, diluiti, e già così una parte del problema lo abbiamo risolto. Avete un malessere da raffreddamento? Vi sentite le ossa e i muscoli doloranti?, avete magari un 36 e 8 di febbre? Telefonate al lavoro e dite che non ci andate, 90 su 100, in tre giorni ne siete fuori. Magari se è possibile, in casa isolatevi, così da non impestare gli altri. Vabbè, gioco facile perché vivo sola, ma se avete quel metro quadro in più a casa, usatelo.
Punto 2 Comunque la pensiate, non scrivete sui social le vostre soluzioni, non siamo in grado (la maggior parte di noi almeno), di discernere, quale sia la filiera che sta dietro a quello che noi consideriamo essenziale, due esempi per chiarire. Le mucche del covid se ne fregano e fanno il latte ogni giorno, idem le galline, sì le uova non il latte ma il concetto è chiaro no? Qualcuno quelle mucche le deve mungere, il latte va portato allo stabilimento dove i meccanici e i tecnici devono stare perché le macchine che pastorizzano il latte e/o lo smistano affinché finisca nei cartoni (che qualcuno deve produrre) e poi sugli scaffali dove noi lo prendiamo. Ovvio che non ci arriva da solo vero? Che qualcuno lo ha controllato imballato trasportato consegnato e infine sballato ed esposto. Il conto di quanta gente ha lavorato dietro un litro di latte ve lo fate da soli vero?
I pomodori pelati che mettete sulle pizze che tutti state diventando bravissimi a fare in casa, Lo sapete vero che non hanno alba di quando sono maturi e che per essere corretti dovrebbero scendere dalla pianta, andare da soli in catena dove si lavano si bollono si pelano ed entrano nelle latine e nelle bottiglie. Sì lo sapete, solo che le lattine e le bottiglie non si autoproducono nemmeno loro, né una volta riempite vanno da sole al supermercato.
Questo in generale dovrebbe essere un esempio abbastanza chiaro, e siccome è un esempio, applicatelo a tutto quello che vi viene sottomano, sì sì, oggetto per oggetto. Adesso stilate la lista di chi deve chiudere (ma non postatela, fatelo come esercizio)
Punto 3 Quanto alle scoperte miracolose dei medici, oggi allo Spallanzani domani al Sacco poi al Pascale eccetera, beh, ho una notizia anche qui, fonti certe, ma molto certe, mi dicono che i farmaci le cure i protocolli, benché a volte beneficino di particolari intuizioni, richiedono mesi di studi e sperimentazioni, quindi i miracoli, potete evitare di condividerli (questo in genere avviene sui social, ma ahimè anche la pubblica informazione non se la cava male a sensazionalismi). Lo stesso vale per il resto. Ogni Paese conta i morti i malati i guariti gli infettati, secondo criteri diversi, che questo cambia radicalmente le cose lo si capisce vero? Ogni medico, virologo immunologo rianimatore, ha una sua opinione su quali procedure applicare, non è che oggi mi danno un manuale e io posso andare in rianimazione a far funzionare le macchine, e come è normale che sia, ognuno, in quei pochi minuti che ha liberi, ne parla con la moglie, ne parla con la sorella il marito la zia o l’amico,che magari fa l’idraulico, capisce lombi per lobi e poi di post in post, di bacheca in bacheca di trasmissione tv in trasmissione tv, salta fuori che il coronavirus colpisce il sistema renale. Scusate la lunghezza del post, grazie per la pazienza e credetemi se vi dico che in tasca, ho nè più nè meno le verità che avete voi. Quindi facciamo i bravi, torniamo a postare gatti cani fiori storie d’amore e canzoni. Il resto, lasciamolo fare a chi sa o a chi deve. Ah, scusate un’ultima cosa, l’italiano, comprendetelo, siate umili e usate i dizionari se qualche parola vi sfugge

Nel nome della pietra – Il duomo di Milano pietra per pietra

Anno domini 1387, a Milano Giangaleazzo Visconti, primo duca di Milano, fa gettare le fondamenta di Santa Maria Nascente, sul perimetro di Santa Maria Maggiore e Santa Tecla, che vengono “sacrificate” alla nuova costruzione. Non sarà solo una chiesa, il progetto è enorme e dovrà rappresentare a tutti, il potere del duca, dei Visconti di Milano. Si sa che in quegli anni, la vita della gente era promiscua, le vite dei nobili erano intrecciate strettamente con quelle di chi per loro lavorava o gravitava nella loro sfera. Facile che nascessero storie anche d’amore o comunque rapporti, e nascevano anche figli, non voluti o forse non accettabili. Cristina Fantini usa ottimamente le vite di nobili e gente comune, per raccontarci la storia di un monumento che tutto i mondo conosce, che rappresenta poco al di sotto di San Pietro in Vaticano, la religione cattolica nel mondo. Ma quante vite, quante segrete battaglie, quanto orgoglio e quanti segreti è costata la costruzione della cattedrale, lo sanno in pochi. Davvero un bel romanzo, scritto rispettando la Storia ma mettendoci la giusta dose di fiction equilibrandoli e rendendo la lettura rilassante e interessante allo stesso tempo, con anche il giusto grado di suspance in qualche punto. Una lettura consigliata a chi ama gli intrighi e i personaggi forti. Fra un giro sui social, e qualche partita a carte, io lo prenoterei in libreria o su Amazon. Fino al 3 aprile dobbiamo passare il tempo in casa, e con Nel nome della pietra, garantisco che lo passate bene.

Sulla Riva – Francesca Violi

Sempre complicato parlare di un’opera prima, almeno io con gli esordienti sono sempre un po’ più critica, sarà che ho letto talmente tante cose belle nella vita, che ho sempre il timore di restare delusa o insoddisfatta, soprattutto quando si parla di noir. Ebbene devo dire che Elliot, difficilmente delude e ci ha visto giusto pubblicando il primo romanzo di un’autrice che mantiene quel che promette. Un’andata e ritorno dall’inferno all’inferno. La Violi, un architetto reggiano trasferitasi a Treviso, ha scritto un noir puro direi, senza l’ausilio della trama investigativa come spesso accade. Tutto ruota intorno a Nicola, figlio illegittimo che come unica eredità dal padre ha avuto una malattia genetica che avrà conseguenze piuttosto gravi. Ancora bambino, per una serie di coincidenze, incontra il padre sposato e con un figlio legittimo. Pur instaurando un rapporto molto poco intimo, come un uomo adulto potrebbe fare con un ragazzino qualsiasi che graviti nella comunità, questo viene inacidito dall’ostilità palese, della moglie che soffre forse di una irrazionale gelosia retroattiva e da una sottaciuta gelosia del figlio legittimo che pur sentendosi forte nel suo ruolo riconosciuto, teme irrazionalmente di perderlo. Passano così gli anni dell’adolescenza di Nicola e Mauro, in una sorta di complicità contro il resto del mondo e come accade fra complici, non fidandosi mai completamente uno dell’altro. Ha una scrittura cruda tagliente ma che affascina, com’è affascinante la presenza dell’acqua che diventa personaggio, accoglie si intorbidisce può arrivare ad uccidere per poi tornare a scorrere placidamente. Una storia di uomini e donne stravolti nel loro essere, dal dolore dall’amore e da quanto i sentimenti possano essere crudeli.

Un male necessario

Abir Mukherjee autore scozzese di origine indiana, ha esordito nel 2016 con L’uomo di Calcutta, pubblicato in Italia da SEM, me ne avevano parlato bene, ma io che sono testacchiona, ci ho messo un po’ a leggerlo. E mal me ne incolse. Avete presente quei periodi in cui qualsiasi libro tu prenda in mano ti annoia? Ecco, ero in uno di quei momenti lì e mi son trovata in una situazione strana, non avevo voglia di leggere e allo stesso tempo mi stava intrigando la storia, il libro giusto per sbloccare la situazione. La scrittura (grazie anche, credo, alla traduzione di Alfredo Colitto che è spettacolare) è morbida e trascinante, aiuterà l’ambientazione in una Calcutta e poi a Sambalpore – capitale dell’omonimo distretto – negli anni 20 del secolo scorso? Non lo so, ma di sicuro si fa fatica a mollarlo. Un’ambiente che sta a metà tra la realtà della povertà, o comunque dell’idea che noi abbiamo della miseria di quei posti, e il lusso del palazzo del maharaja, il cui figlio per inciso, o meglio il suo assassinio, è il motivo che porta il protagonista, capitano Sam Wyndham e Surrender-not (che ovviamente non si chiama così, ma Surendranath, un nome particolarmente difficile da pronunciare, perché come lui stesso sostiene, la lingua inglese non comprende la d morbida) al palazzo delle meraviglie. Come al solito per dire che un libro è buono, ci sono i tre parametri, oltre al gusto personale ovviamente, la trama, nel giallo in particolare, che deve reggere e non avere nessun “buco”, Mukherjee l’ha pensata e scritta così. La lingua o il linguaggio, che non sono la stessa cosa, devono incastrarsi per coinvolgere fino in fondo, sono i veicoli con cui l’autore ti porta dove vuole e anche qui, non dico che si viaggia in Rolls Royce, ma di sicuro è una macchina di lusso, infine i personaggi. Caratterizzati davvero bene, con il giusto mix fra quelli che sono i ruoli e le personalità, divertenti quanto basta senza esagerare per quelli fissi, e una precisione cinematografica per gli altri. Insomma, proprio un bell’autore e per me, una bella scoperta.