UN GIOCO DA RAGAZZI Enrico Ruggeri

Ho letto credo quasi tutti i libri di Enrico Ruggeri, so quanto scrive bene,  come è in grado di cambiare genere, ma trovare la storia che ha messo in UN GIOCO DA RAGAZZI non me lo aspettavo proprio. Quando l’ho finito ho acceso subito il pc, ero così entusiasta che ho pensato mi sarebbe uscito tutto in un attimo. Errore, proprio perché l’ho trovato ottimo (non mi spingo a definirlo eccezionale perché è un aggettivo che uso davvero raramente), temo di banalizzarlo scrivendone.

Non è il primo libro che leggo sugli anni di piombo, ma questo punto di osservazione non ricordo di averlo mai trovato. A seconda dell’opinione o dell’orientamento di scrive, ci sono i buoni e i cattivi. Qui no. Qui c’è una storia se non vera molto verosimile, non ci sono prese di posizione, solo fatti nudi e crudi.

Per quanto sia più che abituata agli autori di gialli e noir che entrano nella testa degli assassini, oltre che degli investigatori, il percorso di vita di questi due fratelli che prendono strade opposte, è descritto con una vividezza tale che entri letteralmente nei panni sia di Vittorio e Mario, sia della famiglia – madre padre sorella e zia – che assistono, prima senza accorgersene e poi colpiti a morte dall’enormità della cosa, alla crescita dei due ragazzi che di giorno in giorno si allontanano sempre di più, perdendosi, non riuscendo più a dialogare, diventando due nemici che nulla hanno in comune. In quasi  tutti i romanzi c’è un messaggio – o almeno questo è quello che ci trova e forse cerca un lettore – qui forse no, c’è solo il racconto puro e semplice dei fatti, del perché e come si è arrivati a quegli  anni terribili, pieni di fervore e furore. Anni cosiddetti di piombo, che a me sono rimasti appiccicati addosso (come a tutti quelli della mia generazione credo) e che hanno letteralmente dato forma a un paio di generazioni successive. Una forma malata ahimè, che saltato un giro, si trova a mettere tutta la passione politica, dove politica sta per tutto ciò che riguarda la collettività, scrivendo perlopiù stronzate) sui social network. Mario e Vittorio con la loro storia “disgraziata”, ci ricordano quanto sia necessario mantenere un equilibrio, quanto sia facile deragliare e perdere il controllo arrivando a commettere dapprima azioni scellerate e poi reati, perdendo di vista qualunque cosa non sia la propria ossessione fino ad arrivare a perdere completamente se stessi.

Un romanzo che vale ogni minuto impiegato a leggerlo, che insegna tanto, un racconto profondo di una stagione che per l’Italia è stata fondamentale, della quale ancora oggi piangiamo i morti da una parte e dall’altra. Uno sguardo distaccato, che non prende posizione (come è giusto che sia), ma va a fondo di ogni spinta emotiva, di ogni azione compiuta in nome di un’utopia. Un romanzo per capire come siamo arrivati dove siamo ora. Un libro come ce ne vorrebbero tanti. Grazie Rouge.

Niente consigli oggi ma un grande abbraccio

A Rudolf, la renna che guida la slitta, affido gli auguri della

DONNA FUORI TEMPO

Immagine trovata in rete

Ci siete tutti anche se è un po’ lungo

Ebbene sì, non so per quale congiuntura astrale, karma o difetto di produzione, sono sempre stata o in netto (e inconcludente) anticipo, o in netto ritardo (fuori tempo massimo per capirci). Si sarebbe dovuto capire quando mi hanno fatto cominciare la scuola dalla seconda (no, non quella che si chiamava primina, ma in seconda elementare proprio), l’anno dopo, cambiando città ho dovuto fare la prima e dio sa quante bacchettate ho preso perché mi distraevo, d’altra parte sapevo leggere e scrivere, immaginatevi quanto potevo rompermi le scatole a fare le aste. Ho studiato lo shatzu quando in Italia esisteva una sola scuola e non esistevano certificazioni ordini e simili, sono arrivati molto dopo, abilitando al lavoro gente che ha fatto corsi di 3 fine settimana (io 3 anni di scuola con iscrizione e relative lezioni alla facoltà di medicina). Ho studiato il counseling quando li counselor era una figura misteriosa che veniva dall’America e anche lì non c’erano attestati scuole specifiche e ordini più farlocchi di quello dei giornalisti. Mi sono ridotta la faccia ad un hamburger (e fracassata un tot di ossa) giusto una settimana prima di un appuntamento che avrebbe potuto cambiarmi la vita. Un produttore teatrale vero, mi aveva chiesto di andare a Roma per un provino, va da sé che è saltato. Mi sono licenziata nel 2007 mettendomi a fare una cosa (splendida) che ho finito nel 2008, avete idea di cosa sia stato trovare lavoro da quel momento in poi? Non ho fatto figli (vabbè il discorso è complicato) perché c’era sempre qualcosa di più urgente, ho rifiutato per tre volte di sposarmi e a 15 giorni dai 55 direi che sono decisamente fuori tempo. Tutto sto papello per dirvi che dai ricordi di fb è ricicciato fuori il seguente post scritto un anno fa, in cui distribuivo abbracci virtuali a chi non potevo raggiungere di persona. Fuori tempo un’altra volta o inconscia preveggenza visto che da un anno non abbracciamo più nessuno. Lo ripropongo con poche piccole variazioni (alcuni non c’erano altri se ne sono andati). La speranza è che non riescano a cambiarci, che ci sia rimasta la voglia di un abbraccio, che passata la paura ritroveremo noi stessi, che passata la rabbia ci torni la gioia di essere vivi.

Quest’anno che come tutti gli altri e per tutti gli altri, è stato per me a volte bello a volte tremendo. Quindi regalo un abbraccio, uno di quelli che sia pur virtuale, spero vi arrivi avvolgente e caldo, della forza e della durata di cui ognuno ha bisogno, o voglia o solo il piacere. Essendo virtuale ha di buono che chi non ne ha bisogno, può saltarlo a piè pari e chi se ne frega, va bene così.

Un abbraccio a chi ha perso la certezza del lavoro, che dia la forza per non smettere di provarci, perché quando sai che puoi mangiare (per non parlare di chi ha figli), tutto il resto si affronta.

Un abbraccio a chi non è da solo ma non si sente e non è al suo posto, ma per mille ragioni non può o non vuole cambiare posto e compagnia.

A chi si costringe a sorridere per non far soffrire chi ha vicino, con la speranza che quel sorriso diventi presto qualcosa di profondo, venga dal cuore e non sia solo sul viso.

Un abbraccio a chi per il primo anno avrà una sedia vuota a tavola o un numero in meno da chiamare, quest’anno purtroppo saranno in tanti.Passeranno il dolore e la rabbia, e quei posti vuoti si riempiranno di nuove persone, senza che per questo chi non c’è, se ne vada dal cuore.

Un abbraccio a chi ha trovato qualcuno o qualcosa di nuovo nella sua vita, un lavoro un’amicizia un figlio o un amore,che lo cercasse o meno, perché la gioia condivisa è tanta roba.

Un abbraccio a chi non ha il coraggio di ricominciare, trovatelo quel coraggio perché come diceva un grande uomo “ma io ti voglio dire che non è mai finita, che tutto quel che accade, fa parte della vita” e a chi ha ricominciato dando il merito ad altri. Siate orgogliosi, il merito di quel che fate è solo frutto del vostro essere. Prendetevi i vostri meriti, non se li merita nessuno oltre a voi.

Un abbraccio a chi a chi in questi giorni che dovrebbero essere di festa, sta affrontando malattie e paure che non hanno mollato e son rimaste anche se si parla solo di covid, un abbraccio per crederci insieme, che passeranno che la vita avrà la meglio, più di tutti a quelli che lo stanno facendo con un sorriso, senza farlo pesare, senza lamentarsi anche se la paura li divora.

Un abbraccio a chi tutti i giorni è nella mia vita, alle amiche che dividono risate e lacrime, paure e piccole vittorie, cose serie e cazzate immani. Siete i fiori che fanno bello il mio giardino, lo zucchero nel caffè, il sale nelle pietanze. Siete ciò che rende la vita degna di essere vissuta.

Un abbraccio al sangue del mio sangue, alle due persone per cui darei la vita, siete così perfetti con le vostre imperfezioni, che senza di voi forse darei molta meno importanza alla mia vita, siete l’amore.

Un ultimo abbraccio a chi mi ha ferito e a chi ho ferito, è così facile farsi del male senza nemmeno rendersene conto, ma è così bello abbracciarsi e cancellare le cose brutte che vale la pena perfino di farsi un po’ male.

Ne avrei ancora tanti di un abbraccio a chi, ma sono troppi per metterli tutti qui. Un abbraccio. Vi voglio bene, lo sapete vero?

Consigli del giorno 3

8 come le renne di Babbo Natale, oggi non consiglio libri ma autori. Poche righe per ciascuno, naturalmente do per scontato che siccome sono nomi grossi (altri ne seguiranno) li conosciate e li abbiate letti, ma una ripassata male non fa. Mi accorgo che sono tutti autori gialli e noir, vabbè, oggi va così. Hop hop che le librerie sono aperte.

Cometa: porta con sé Maurizio de Giovanni, i suoi romanzi, siano i seriali o i singoli, sono poesia, sono immersioni nelle anime e nei pensieri. Il noir è solo il mezzo che ha scelto per portarci davanti a uno specchio magico, dove volenti o nolenti, vediamo chi siamo al di là di quello che crediamo.

Ballerina: alla sua redine è attaccata Rosa Teruzzi, la sua scrittura gentile, la bravura nell’architettare storie, la semplicità con cui esalta (senza darne l’impressione) le donne, con il rispetto dovuto, la rendono una delle autrici che dopo il primo libro entrano nel cuore e ci restano ben salde insieme alle sue protagoniste.

Fulmine colpisce con Massimo Carlotto, illumina e poi brucia, noir puro, non ci sono sbavature nei romanzi (ma l’avete visto in tv L’Alligatore?), scrive senza fronzoli colpisce e come suol dirsi, non fa prigionieri. Qui volendo potrei sbilanciarmi e fare anche qualche titolo, anzi lo faccio con quello che personalmente amo di più, L’oscura immensità della morte, ma sto facendo un torto all’autore perché fidatevi, non si può leggerlo e rimanere gli stessi.

Donnola (traduzione orrida ma non è colpa mia), vi porta i romanzi di Pierluigi Porazzi. Anche lui di difficile definizione, qualcuno più decisamente nero, altri più gialli ma anche fantascienza. Preciso come un bisturi non c’è una parola che non sia necessaria. Trame perfette, colpi di scena calibrati con precisione da gioielliere. Non può mancare nelle librerie di chi ama il genere.

Freccia, a lei affido Antonio Manzini, come gli altri consigliati non ha alcun bisogno di introduzioni o presentazioni. Che scriva di Schiavone facendoci ridere e piangere, che scriva altre storie facendoci provare tutte le emozioni possibili, prendere in mano un suo libro è come avvolgersi in un plaid di cachemire in una giornata fredda. E come disse Forrest Gump, su questo argomento non ho altro da aggiungere.

Saltarello chi mai può portare se non Marco Malvaldi? Un folletto lungo lungo con dei neuroni che saltano appunto da una parte all’altra, come degli stambecchi capaci di non vacillare neanche atterrando in spazi impossibili. Da un bar di Pineta alla chimica al cibo alla filologia. Per restare nell’ambito dei paragoni, presente una birra ghiacciata in un giorno di luglio con 35 gradi all’ombra. Ecco la goduria con i suoi libri è quella.

Donato invece di un autore trasporta addirittura una Casa Editrice, piccolina ma tosta, tutta al femminile con una selezione che va dal vintage ai temi più delicati con autrici decisamente diverse dal mainstream. Cercate Edizioni Le Assassine, scommettiamo che poi mi ringraziate?

Cupido porta con sé l’autore più lontano dall’idea di romanticismo, ma chi lo porta lo porta, Francesco Recami è una garanzia per chi ama lo humor inglese, il politicamente scorretto l’arguzia sottile e pungente. Una piccola vespa che punge ma non provoca danni, semina paradossi come i contadini fanno coi pomodori e ogni pianta è piena di frutti deliziosi.

Consigli per le strenne…2

L’impaginazione non risponde, ma metti che stiate uscendo, vi beccate i consigli così come vengono.

Un libro particolare, fra lo storico il romanzo e forse il saggio, tanta roba eh, l’ha pubblicato SEM si intitola Storia di una figlia e lo ha scritto Piernicola Silvis, di solito scrive gialli di quelli tosti (ma tanto), stavolta ha voluto condividere delle domande che si è posto e oggettivamente dovremmo porci tutti. E se nel nostro dna ci fosse molto più di qualche informazione genetica? Ma soprattutto, siamo sicuri che ci hanno raccontato proprio tutto? Perché la Storia la scrivono i vincitori, ma da qualche parte c’è anche quello su cui molti, hanno preferito sorvolare.

Se dico Enrico Ruggeri, alla maggior parte di voi credo vengano in mente centinaia di canzoni (una più bella dell’altra), a qualcuno invece i libri che ha scritto, che non sono neanche pochi e sono anche belli qualunque sia la storia che ci ha voluto raccontare. Quello che consiglio oggi è Un gioco da ragazziLa nave di Teseo – la storia di due fratelli che sono adolescenti negli anni di piombo con tutto quel che ne consegue. E fra la storia personale dei due e la Storia ne consegue un piatto davvero ricco.

Di questo libro vi ho già parlato quando è uscito, ai primi di dicembre, l’ha scritto Marino Bartoletti e l’ha pubblicato Gallucci (mi pare che ancora adesso sia possibile averlo autografato ordinandolo in casa editrice), e si intitola La cena degli dei. Una fiaba con dentro molta realtà, un incontro che fa sognare per lo spessore dei convenuti e anche un po’ per l’affetto (che si ente sincero) che l’autore ci ha messo nel raccontarli.

Abbiamo tutti un’amica una mamma una zia (tutti declinabili anche al maschile) che amano le storie se non vere almeno verosimili, quelle che potrebbero accadere a tutti ma soprattutto quelle che ricordano senza pesantezza, quali sono le cose che contano davvero, quelle poche semplici cose che rendono la vita di ognuno, un regalo da scartare ogni giorno con la consapevolezza che se abbiamo saputo creare attorno a noi una rete di amore (filiale fraterno amicale o di coppia), il bello sarà ancora più bello e il brutto diventerà sopportabile. Per loro trovo perfetto Il falco di Sveva Casati Modignani edito da Sperling & Kupfer

Consigli per le strenne da consegnare alle renne

Come per tutti il 2020 è stato particolare anche per coleichelegge, la concentrazione è stata spesso latitante, ma il Natale a quanto pare se ne frega dei colori dei negozi aperti – chiusi – metà e metà. Se ne sbatte allegramente delle difficoltà di movimento e fra qualche giorno arriverà, puntuale come sempre. Allora qui di seguito, compatibilmente con le nuove impostazioni del blog ( che ancora non mi sono del tutto chiare), vi lascio qualche consiglio per un pensiero da portare o inviare. Consigli libreschi naturalmente. Di qualcuno vi ho già parlato di altri no, ma siccome so che vi fidate (o almeno ci conto se passate di qua), procedo. Ah non sono tutte novità eh, perché un buon libro, il libro giusto, arriva nelle mani del lettore esattamente nel momento in cui deve arrivare. Domani altri consigli

Per chi ama sorridere anche se legge un giallo e non diventa matto per le cose sanguinose mi pare perfetto Come la grandine – Gino Vignali è il quarto che racconta i casi strani che accadono a Rimini, non quella delle feste d’estate, ma quella d’autunno è inverno, quando gli stereotipi si frantumano nella nebbia e nella neve. (Solferino)

Un classicone di fine anno per chi lo ama già da tempo e per chi (ma esiste?) non lo conosce Io sono l’abisso – Donato Carrisi un romanzo decisamente diverso dai soliti, meno pauroso ma in perfetto stile Carrisi, sembra tutto chiarissimo e invece…Invece poi quando arrivi alla fine, ti cambia tutta la prospettiva e ti resta dentro quel pensiero che ogni tanto riemerge facendoti correre un brivido lungo la schiena. (Longanesi)

Per la zia che non si rassegna alle cose che cambiano, per chi ama il passato che tiene il passo col presente, cercate Tra bandiere rosse e acquasantiere – Orietta Berti una sorprendente autobiografia di una donna che dal decenni è amata per la sua voce e la sua aria tenera e un po’ vaga, che invece si rivela una potente manager di sé stessa, capace di veleggiare fra le contraddizioni della vita senza perdere mai un briciolo di lucidità. (Rizzoli)

Per l’amica che ama la leggerezza senza stupidità, per chi vuole la prova che le coincidenze non esistono, le storie d’amore che assomigliano molto più alla realtà che a quelle dei romanzi Via della magnolie – Stefania Bertola un romanzo che ti porta via per qualche ora regalando relax e buonumore. (Einaudi)

Storia di una figlia

Cosa cerca un lettore nelle pagine di un libro? Emozioni, evasione relax oppure conoscenza,  approfondimento. Nel romanzo di Piernicola Silvis, si trova anche molto altro. Ci sono domande senza risposta, ci sono cose che la maggior parte della gente non sa e forse avrebbe preferito non sapere, ma per quanto siano cose tremende, forse è bene che se ne parli. Anna Sartori è una figlia privilegiata, si è comodamente laureata e affronterà la specializzazione con la benedizione di papà che l’ha sostenuta e la sosterrà economicamente, ha anche un fidanzato che papà Luigi non vede  l’ora diventi marito. La mamma ha lasciato la famiglia molti anni prima, senza una spiegazione, semplicemente se n’è andata con un altro uomo, questo e la natura violenta (non nota agli altri) del fidanzato, sono le uniche cose che la turbano. Lei ha bisogno di certezze, è una donna tosta come suol dirsi, nonostante la sua dolcezza. Ha delle domande senza risposta Anna, si chiede perché il padre non parli né abbia mai parlato della sua giovinezza nel periodo della guerra, perché anche la madre, che pure qualcosa dovrebbe sapere, opponga alle domande risposte vaghe, perché non abbiano parenti di cui parlare. È un tarlo che quando suo  padre viene colpito da un ictus ed entra in coma con l’alta probabilità che passi oltre senza più riprendersi, per Anna diventa un chiodo fisso. Lo stress per la situazione la porta a trascurarsi perdere peso  concentrazione e ad avere degli inspiegabili incubi. A partire da quelle visioni che la sconvolgono, Anna decide che se anche non potrà più rivolgere le domande a suo padre, troverà da sola le risposte.

Nel percorso alla ricerca di sé, di una storia che vada oltre l’infanzia, si imbatte in qualcosa che come dicevo prima è poco noto. Scopre l’esistenza di reparti delle SS composti da Italiani, connessioni fra il fuhrer e il Vaticano, stragi di cui solo pochi sopravvissuti hanno memoria. Quello che ha spinto Silvis, che ha gentilmente risposto a qualche mia domanda e che ringrazio, è quella che senza risposta, almeno una volta si sono posti tutti: com’è possibile tanta crudeltà? Cosa spinge un essere umano ad usare un neonato come piattello per farci il tirassegno? A ridere mentre tortura violenta e sevizia? Se ormai il sentimento comune è una più o meno blanda indignazione (tanto abbiamo la giornata della memoria no? Basta e avanza) nei confronti dei tedeschi, i veri responsabili delle atrocità, Silvis non si è accontentato e ha voluto andare oltre, facendo ricerche, i cui risultati, sia pure sotto forma di romanzo, ha voluto  rendere noti. L’esistenza  di mostri (parola abusata ma efficace), che hanno condiviso quel modus vivendi che attribuiamo ai tedeschi e che poi per ragioni politiche – nel senso più ampio del termine – hanno potuto farsi dimenticare, rinascendo alla vita come se nulla fosse, diventando persone anche stimate. Il dramma a cui ci pone davanti il romanzo è proprio questo, dove siamo disposti ad arrivare in nome dell’etica? Qual è il limite che la nostra etica personale ci impone? Fino a che punto possiamo sopportare di convivere con qualcosa che pensavamo non ci riguardasse o per cui pensavamo bastasse indignarsi  e fingere di ricordare? E se fosse toccato a me? E fidatevi che sono domande a cui dare una risposta è davvero difficile.

Fiori

Per i Bastardi di Pizzofalcone

A Napoli succede, fra i vicoli le scese e le scalinate improvvisamente ti trovi davanti un paesaggio che mozza il fiato o una chiesa di una bellezza che incanta, quel che succede è più tutto. Più colorato più chiassoso più profumato e più disperato. Così è Pizzofalcone, un groviglio di ricchezza e povertà, di allegria e di dolore. Esageratamente primavera anche nell’alba di aprile, in cui Savio Niola, viene trovato Massacrato appena oltre la soglia del suo chioschetto liberty, in ferro battuto e vetro da dove ogni mattina, nonostante i settantaquattro anni, tirava fuori i suoi fiori e le sue piante, pronti ad essere venduti a chiunque abbia qualcosa da dire, un perdono da chiedere, un amore da dichiarare, un’amicizia da ribadire e perfino un addio da suggellare. Eppure Savio era amato da tutti, aiutava chiunque avesse bisogno, fosse con le parole con i gesti con la comprensione. Lo ribadisce anche Ciro Durante, l’amico che tutte le mattine lo incontrava lì, gli faceva compagnia mentre Savio metteva fuori le piante, parlavano o forse no, quando si è amici da una vita non c’è bisogno di tante parole. Ma di questo, di come evolve l’indagine, lascio che vi dicano gli altri blogger. Quando finisco di leggere Maurizio ho il privilegio di poterlo chiamare e dire quel che ne penso, stavolta non avevo parole. Lui vuole sapere se il giallo regge, ma quello regge sempre, è il resto che mi ha lasciata fra le pagine per un pezzo. Ho scoperto il significato dei fiori, sentito la poesia, la bellezza e il dolore che emana l’amore, quello felice quello travagliato quello taciuto e quello manifesto. Quanto possano sorprenderci le persone (ok i personaggi) che credevamo di conoscere e quelli che stiamo conoscendo poco a poco. Quanto qualcuno possa scatenare nel giro di pochi minuti, raptus omicidi e risate di cuore e quanto ci si possa sbagliare nel “giudicare” qualcuno. Al di là di questo comunque, la potenza narrativa di una poesia messa in prosa, è al momento irraggiungibile ed è quello che fa de Giovanni, mette su carta le emozioni le paure le gioie segrete. Ci sono anche un paio di “colpi di scena” che scateneranno discussioni infinite, ma si sa che non sempre i lettori sono d’accordo su tutto, di una cosa però sono certa, non guarderete più un anemone, una rosa, un geranio o un ciclamino.    “Tu lo sai, perché te l’ho detto tante volte: ogni fiore racconta una storia. A volte sono storie di una parola sola, altre invece sono piú lunghe. Dipende dal fiore”. In questo, che forse a parte il prossimo, è al primo posto della mia classifica, ho trovato più poesia più bellezza più dolore e più amore che in tutti i precedenti.  Io lo sapevo che non sarei riuscita ad evitare la banalità, che inevitabilmente sminuisce la profondità della scrittura di de Giovanni. Ci ho provato, ma credetemi è davvero una poesia in prosa.

  

  

 

LA CENA DEGLI DEI

Quante volte ripensiamo ai nostri cari, agli amici o perché no a personaggi famosi che non ci sono più? In mille modi diversi  credo che tutti ci immaginiamo che in qualche modo continuino ad esistere. Anche gli atei credo hanno bisogno di pensare che la vita non sia fine a se stessa, che ci sia un qualche tipo di dopo. E se per tutta la vita hai fatto un mestiere che ti ha portato a conoscere e spesso a diventare amico, di personaggi che in qualche modo sono entrati nella Storia, se sei a tua volta un personaggio pubblico che con le parole scritte ci hai vissuto, è abbastanza probabile che un editore ti chieda di scriverci un libro. Ecco che dopo essersi cimentato con una trilogia (che diventerà quadrilogia – La squadra dei sogni- ) per ragazzi (dai 9 ai 99 anni), Marino Bartoletti, dopo essere stato direttore di testate giornalistiche, autore televisivo e dio sa quanto altro, appassionato e soprattutto conoscitore – per davvero – di sport e musica ma anche di Storia, ha immaginato un Luogo.

Assomiglia al paradiso il Luogo, c’è un Grande Vecchio Titolare e angeli di vario ordine e grado, regole ben precise da seguire e un sacco di gente. Dal 1988 c’è anche un altro Grande Vecchio, così lo chiamavano sulla terra, nella sua ma non solo. Un uomo non facile, avvolto anche se vogliamo da un alone di mistero e di si dice. Un uomo che come sotto il cielo d’Irlanda ha conosciuto e viaggiato, ma soprattutto fatto viaggiare, zingari e re. Accanto a lui, quello che da vivi è stato il suo angelo custode, pronto ad accogliere ogni richiesta e quasi sempre esaudirla. Al G.V. viene un’idea, non si sa bene neanche se sia possibile realizzarla – le regole sono abbastanza oscure oltre che rigide, ma Francangelo, l’assistente, ci prova. Il risultato è una cena con 10 convitati che definire di lusso è poco. Nomi che a noi comuni mortali fanno tremare le vene dei polsi, che hanno segnato le vite di tante generazioni – nomi lascio a voi il piacere di scoprire – ma diciamo che il titolo del libro, La cena degli dei, non si discosta troppo da quello che si racconta. Bartoletti intreccia episodi reali con altri immaginati o quantomeno non confermati, in un Luogo dove tutto è possibile, accosta personaggi che non si sono mai visti ne conosciuti, ma accomunati, e questa è la cosa sorprendente, a loro insaputa, da un fil rouge – letteralmente – che li fa convergere a quella tavola rigorosamente rotonda. Chi segue il baffuto giornalista sui social chi lo ha seguito nella sua lunga carriera e chi ha avuto modo di assistere a qualche evento in cui era ospite o conduttore, riconoscerà senza dubbio lo stile, garbato senza eccessi, senza turpiloquio e i tanti sentimenti che evidentemente ha avuto nei confronti dei personaggi di cui narra. Ammirazione affetto accondiscendenza e soprattutto poca edulcorazione. A voler trovare un difetto, ma proprio perché mi piace cercare il famoso pelo nell’uovo, il linguaggio, che peraltro è una sua caratteristica, è ricercato e accurato, pettinato direi. Tolto questo, rilevo anche l’orgogliosa emilio -romagnolità che emerge prepotente, anche nel menù, stante che romagnoli o emiliani sono quasi tutti i protagonisti, oltre all’autore. Ah, questo lo posso dire perché è evidente dalla copertina, il G.V. con tutte le sue luci e ombre, successi pubblici e dolori privati, altri non che Enzo Ferrari, di cui ci svela molte delle cose che nascondeva dietro gli immancabili occhiali neri. In libreria dal 3 dicembre lo si può preordinare a questo link  www.galluccieditore.com/1530

Cadaveri a sonagli

Lea e Nico sono due sbandati che si sono incontrati in un bar, qualche ora di sesso – sebbene a insaputa di lei lui abbia moglie e prole – e giorno dopo giorno il riconoscimento di chi non avendo niente a che fare con la moralità, li fa decidere che svaligiare ville è abbastanza redditizio e relativamente poco pericoloso. Fino a quella mattina (quella della quarta rapina), in cui Carla Maniero, una donna che nessuno ha mai amato, ma il cui patrimonio Gianni Romoli ha sposato, è inaspettatamente a casa. Mentre i due sono nella villa, totalmente ignari della sua presenza – è a letto da giorni per un’influenza e non l’hanno vista mentre facevano i sopralluoghi – Carla sente un cellulare squillare e scende dal letto avventurandosi al piano inferiore per vedere chi ci sia in casa. Preso alla sprovvista Nico non riesce a pensare niente di meglio di “ci dev’essere un malinteso” e poi colpirla non per ucciderla ma per renderla inoffensiva. In realtà la donna, pur sfuggendo al colpo, perde l’equilibrio e cade dalle scale e sembra morta, un osso le fuoriesce dalla spalla ed è in una posizione per cui è impossibile sia viva. Cinicamente Lea sale a frugare in cerca di oro soldi gioielli e intima al complice di togliere dal dito l’enorme smeraldo. Nico seppur sconvolto esegue, mentre stanno uscendo però, quell’informe fagotto riesce a sussurrare: “aiuto”.  Questo è solo l’inizio di una catena di eventi che coinvolge persone che si trovano dove non dovrebbero, altre dove non vorrebbero. Oppure come Dora Baròn, ispettore capo che prende servizio come comandante della stazione di polizia, proprio nel giorno in cui Santa Margherita delle Langhe si trasforma in un mezzo inferno. Per l’ennesima volta in queste settimane, devo ripete la stessa cosa, ci sono morti e qualcuno che li uccide, c’è un’indagine e dei poliziotti, ma non riesco a classificarlo come un giallo. Un noir piuttosto, dove Frascella evidenzia – se mi passate la citazione – la banalità del male. Uscendo dalla sua comfort zone di Barriera di Milano, il quartiere di Torino dove “opera” il suo detective Contrera, terra di mezzo dove ognuno fa i fatti suoi, leciti o illeciti che siano, dove si mescolano i disperati di mezzo mondo approdati per cercare una vita dignitosa e fagocitati dalla miseria dalla delinquenza, mostra tutta la sue qualità di noirista. Cambia anche la scrittura, si adegua a questo paesaggio di provincia dove intreccia le vite di gente comune, che probabilmente non si sarebbe mai incontrata, gente che si trova coinvolta a vario titolo in un episodio criminale che tira fuori da ognuno il peggio. O forse porta semplicemente in luce quella parte che giace nascosta in tutti noi, quella che si adegua alla civile convivenza, ma è pronta a prendere il sopravvento e approfittare delle circostanze per trarre un possibile vantaggio a spese degli altri. Epperò se posso, e non vedo chi me lo impedirà, vi dico che a me questa prova ha convinto molto più delle altre, che pure mi sono piaciute assai.

Maradàgal – Tornaghi is back

Cosa definisce uno scrittore? Domanda ovviamente retorica che ci si pone in ogni ambito in cui gravitino una o più persone che abbiano pubblicato qualcosa. Oggi vi parlo di uno che fa un altro mestiere, che ha scritto libri per bambini poi un romanzo, che forse definire giallo è improprio “Il debito dell’ingegnere” e poi un giallo propriamente detto “la pesca dello spada”. Se la piglia con calma il ragazzo, dalla Pesca sono passati giusto cinque anni, ha sceneggiato un film tratto dal suo libro e prosegue la sua carriera in mezzo ai numeri.

Detto questo, per chi conoscendolo ha avuto la pazienza di aspettare che fosse soddisfatto di quelle 675 pagine e per chi voglia conoscere un  autore non notissimo ma che porca miseria se sa scrivere, in libreria già da qualche mese – mea culpa ci ho messo un po’ prima di prenderlo in mano – trovate un romanzo dal titolo particolare, Maradàgal, come lo Stato inesistente trasposizione della Brianza in Sud America, in cui Gadda ha ambientato La cognizione del dolore. Bè diciamolo, fa molto più figo così che un libro intitolato Brianza.  

Con questa premessa mi pare superfluo specificare la location, c’è qualche incursione a Milano, dove vive il commissario Cattaneo – protagonista anni dopo di La pesca dello spada – allora ancora solo sovrintendente e in servizio di scorta a una magistrata che lo tratta come un figlio. A tirarlo dentro una storiaccia da cui non riuscirà ad uscire fino a che non avrà trovato il bandolo della matassa, è un tizio che gli ha prestato degli appunti per un esame universitario, non sono amici ma si sente in dovere di ricambiare il favore. Il laureando Paolo Vertemati “rifugiatosi” a Basileggio – un paesino che è esattamente quello che ci si aspetta di trovare in questo pezzo di Lombardia – capannoni villette e palazzine e cantieri, tanti cantieri aperti. Che poi le infrastrutture siano quel che siano, è poca cosa, tanto gli imprenditori che vanno a vivere in Brianza ci han tutti il SUV, così come lo hanno i locali a cui quei cantieri hanno fruttato tanto. Convivono a poche strade di distanza con extracomunitari che occupano le vecchie cascine, rigorosamente in nero o quasi, e con i vecchi che non hanno mai voluto lasciare il paese. Tutti sanno tutto di tutti e molti sanno i segreti che non devono vedere la luce, Roba vecchia ma che inesorabilmente riverbera i suoi effetti sul presente. Paolo in attesa di scrivere questa benedetta tesi, collabora con un giornale locale, redazionali perlopiù e qualche notizia per quello che può succedere in un posto di 10000 anime. Nello specifico il redazionale è per un’impresa edile che sta realizzando l’ennesimo agglomerato di palazzine, la cronaca è che “lo scemo del villaggio” è scomparso. Paolo non ha grandi relazioni e amicizie con gli altri giovani del paese, che rispecchiano perlopiù  i loro genitori e nonni, con qualche eccezione. Nel suo cercare notizie si imbatte in qualcosa che potrebbe collegare, almeno secondo lui, le due cose di cui si sta occupando, incalzato da una delle eccezioni di cui sopra, che risponde al nome di Francesca e mentre fa la barista nel locale del padre studia canto, che si preoccupa di che fine abbia fatto il Soldo – così  è soprannominato lo scomparso – e lo coinvolge. Di nome in nome di domanda in domanda, Paolo decide di riscuotere un vecchio “credito” . Quegli appunti a Cattaneo che come poliziotto ha più strade di lui. In virtù di un 30 ad un esame Libero Cattaneo, sovrintendente di polizia che vorrebbe diventare commissario, si ritrova a svolgere quella che da un favore diventa la sua prima indagine. un vero peccato che il Tornaghi sia così pigro? Pignolo? Impegnato? Insomma cinque anni per scrivere un libro sono parecchi, ma devo dire che ne è valsa la pena. Ha una scrittura fluida e pulita, tenere botta per quasi 700 pagine senza ricorrere alla tensione al colpo di scena o alla sospensione, non è affatto facile, eppure il romanzo scorre, pagina dopo pagina come acqua quando hai sete. la trama è quella di un giallo ma definirlo così sarebbe riduttivo, è un osservatorio su un mondo che in piccolo riproduce le schifezze a cui purtroppo siamo abituati, è una raccolta di caratteri e di personalità, a differenza di tanti altri autori, i suoi protagonisti, alcuni perlomeno, non hanno lati buoni e lati cattivi, hanno apparenza ed essenza. I cattivi sono delle merde e i buoni lo sono davvero. Certo essendo il ragazzo molto dotato di talento, individuarli non sono così facilmente individuabili, così come non lo sono le motivazioni degli uni e degli altri.