LA CASA AL CIVICO 6

di NELA RYWIKOVA

Una scomparsa che viene sottovalutata dalla polizia, una telefonata presa per caso da un poliziotto costretto a dormire in ufficio e qualcosa che scatta, forse quella madre ha ragione, forse non è stato indagato abbastanza a fondo su quel ragazzo, potrebbe essere che davvero qualcuno lo abbia ucciso. Così, da una telefonata insolita quanto reiterata, prende il via un’indagine che oltre a portarci alla soluzione del caso che giaceva da troppo tempo, ci accompagna in un viaggio che pur svolgendosi a pochi (metaforicamente) passi da casa nostra, ci svela quanto siano diverse le cose. Un giallo sociale si potrebbe definire. La vicenda si svolge a Ostrava, una cittadina della Repubblica Ceca cresciuta intorno al complesso industriale per l’estrazione del carbone. Sono stati costruiti palazzi ed edifici per i lavoratori della fabbrica, ma gli architetti non hanno pensato al verde, nulla di nulla. Il colore predominante è il grigio, quella della polvere di carbone che copre e uniforma tutto, soprattutto il palazzo ormai mezzo in rovina ma in cui resistono stoicamente alcuni inquilini a cui gli appartamenti erano stati assegnati. Il poliziotto si accorgerà presto che lì, in quell’edificio al civico 6 di U Trati (che letteralmente significa alla ferrovia, deve trovarsi la soluzione della scomparsa di Martin e probabilmente anche il movente della sua morte che sembra essere la risposta. Per me il primo approccio alla letteratura di una parte di mondo che mi è oscura, un mondo a ridosso del nostro dove la libertà è un concetto del tutto diverso, ancora legato in qualche modo al totalitarismo imposto dall’Unione Sovietica. Non una lettura rilassante, anzi, potrebbe anche disturbare perché al di là della trama gialla, che è perfettamente delineata, sopra a tutto salta agli occhi quel grigio, quella polvere che negli anni è penetrata nell’anima di chi l’ha respirata condizionandone comportamenti atteggiamenti e vite. Lontana anni luce da Praga, capitale che oggi è una meta turistica culturalmente vivissima. Una lettura consigliata per uscire dai soliti schemi restando nella comfort zone del genere. Un viaggio diverso che però vale la pena fare.

IL SEGRETO DI MR.WILLER

di CHICCA MARALFA

Seconda prova per Chicca Maralfa, dopo l’esordio con una black commedy, ha deciso di cimentarsi con un giallo che scivola nel noir. Uno streamer, politicamente scorretto fino all’eccesso, uno che si è scelto un nom de plum in omaggio al cavaliere solitario, uno che sembra un buzzurro fortunato, si rivela essere invece un personaggio del tutto diverso da quello che appare. Si è fatto volontariamente e consapevolmente bersaglio di heater attivisti no vax e tutta quella fauna che popola il web. Peccato che per scoprire la vera essenza di Willer, il mondo dovrà aspettare che muoia, più precisamente che venga ucciso. La Maralfa scrive sicuramente bene, attenta a che la trama non abbia buchi o incongruenze, brava nel descrivere (e essersi inventata) dei personaggi davvero forti, con personalità che risultano addirittura disturbanti che vivono in quel sottobosco che tutti frequentiamo e crediamo di conoscere, ma che in realtà è perfetto per chi vive ai margini, che permette di nascondersi dietro nickname e falsi profili, che permette di dare sfogo a tutte le frustrazioni e le perversioni che non si possono mostrare al mondo.  Un bel giallo in conclusione, però forse c’è qualcosa da rivedere, il giallo è una sfida che l’autore lancia al lettore, l’investigatore (che sia poliziotto carabiniere detective giornalista o qualunque altra figura) deve avere una sua peculiarità, il lampo di genio che a un certo punto della storia gli fa trovare il pezzo del puzzle che nessuno aveva visto, fin qui non ci piove, ma la sfida, che non potrà mai essere ad armi pari, deve essere quantomeno leale e in questo libro non lo è. Benissimo il colpo di scena finale, del tutto inaspettato e insospettabile, però personalmente, mi sono chiesta come io lettrice avrei potuto giocare la partita non avendo a disposizione il benché minimo indizio.

Non si legga questo appunto come una critica, il romanzo resta ottimo, scritto bene e con tutto quello che serve, mi è anche piaciuto e lo consiglio, ma non ai giallisti appassionati che amano cimentarsi nella caccia all’assassino, per tutti gli altri, un’ottima lettura.

Editore: Les Flâneurs Edizioni

Collana: Maigret

Anno edizione: 2021

In commercio dal: 19 febbraio 2021

Pagine: Brossura

EAN: 9788831314787

SCELTE SBAGLIATE

Edizioni Le Assassine continua nella sua costante e ascendente ricerca di autrici e romanzi, contemporanee e non, senza sbagliarne una. Nello specifico parliamo di un’autrice finalmente non nordica (mi perdonerete ma io di paesaggi banchi freddi e desolati, per quanto bellissimi mi sono un po’ stufata). Nella collana Oltreconfine, troviamo Scelte sbagliate di Susan Hernàndez, autrice Catalana ( di cui spero di trovare tradotti gli altri romanzi). Siamo oltre il noir siamo oltre il giallo psicologico. La storia relativamente e apparentemente semplice di due coppie o forse di quattro persone, due fratelli il cui nome nel piccolo centro della Catalogna dove vivono, è sinonimo di ricchezza di benessere di potere. Sono i Badia. Eredi del salumificio che sostiene quasi tutta l’economia del paese. Àxel è stato dichiarato affetto da un disturbo psicotico, dovuto all’abuso di alcol e droghe e dal quel momento praticamente ripudiato dal padre che sposta ogni aspettativa sul fratello più giovane Rai, accettando di tenere il figlio maggiore in azienda a fare qualcosa di poco impegnativo, togliendogli ogni responsabilità e buona parte dell’eredità. I due sono sposati con due amiche, super Carla, la donna perfetta, professionista affermata elegante sempre impeccabile, moglie e madre di Joel, ha “incastrato” Rai nel modo più banale, restando incinta, Àxel ha spostato Lisa, amica di super Carla. I due non hanno figli, per scelta di Lisa, e non sono riusciti a mantenere una vita normale se non benestante. La voglia di rivincita, di “vendetta” di rivalsa sulla vita fa sì che venga fatta la prima scelta sbagliata, e a volte il prezzo da pagare è altissimo.

Perché lo consiglio caldamente? Perché è scritto bene, tradotto bene, perché descrive un mondo che nonostante tutte le speranze di no, esiste. Perché Rai super Carla Àxel o Lisa, potremmo essere noi e Joel nostro figlio. Perché uscire dalla confort zone degli autori che conosciamo e amiamo è utile. Perché dovreste leggerlo? Perché sapete di potervi fidare di quello che consiglio (spero), se così non fosse non si capisce cosa facciate qui.

IL VENDITORE DI ROSE

Dario Sardelli

Torpignattara è un quartiere di Roma, non esattamente un posto residenziale, ma i suoi abitanti (come capita in quai tutte le periferie), dopo essere stati “emarginati” guardati dall’alto in basso e ovviamente “invasi” dalle varie comunità di stranieri più o meno regolari, hanno trovato l’orgoglio di rivendicare la loro identità di borgatari (anche quelli di Milano e di ogni grande città). A Torpigna, perché così la chiamano, il commissariato è retto dal vicequestore Piersanti Spina, uno tranquillo che non ama fare l’eroe, fa il suo e cerca di vivere meglio che può, cosa non facilissima perché è affetto da CIPA, una malattia rara e congenita del sistema nervoso che gli impedisce di provare caldo freddo e di sudare. Non so esattamente se la malattia sia come descritta o un po’ esagerata, ma certamente caratterizza il personaggio.  Belli anche gli altri personaggi e bella la storia. Un cadavere in mutande, in quello che viene chiamato il pratone  che Spina riconosce come il “bangla” da cui ha comprato tre rose per la sua fidanzata, la sera prima che incidentalmente era san Valentino.

Un bel casino, un po’ perché essendo in mutande non ha documenti, un po’ perché probabilmente non li avrebbe avuti neanche se fosse stato vestito. Sia come sia il vicequestore sa fare il suo mestiere e alla fine, non proprio agevolmente scopre sia chi era il ragazzo (ben altro rispetto a un venditore di rose), sia il perché e chi lo ha ucciso.  C’è da dire che personalmente l’ho molto apprezzato, veloce, scritto bene, senza esagerazioni e colpi di scena improbabili ma con tante piste che depistano, una trama che si discosta dalle “solite”, fresca e nuova così come il protagonista. Decisamente piacevole. Un nuovo esordio di un italiano che a occhio e croce non resterà un unicum, l’unico augurio che mi/ci faccio (pur conoscendo le dinamiche editoriali), è che non ne sforni uno ogni sei mesi, andazzo che purtroppo è sempre più presente ma che, scusate la franchezza, dopo un po’ diventa un legaccio che ti fa sentire obbligato a leggere, pena i sensi di colpa da lettore incallito e il dover scegliere qualcuno a scapito di altri.

Voi però leggetelo, perché il ragazzo, sceneggiatore e autore televisivo, probabilmente ci darà delle altre belle soddisfazioni.

2021

Stile Libero Big

  1. 240

€ 17,00

ISBN 9788806244408

IL SANREMO DI AMORINO e PATATO

foto reperita in rete

Ok, vediamo di dare un senso a questo blog, non ci metto spesso riflessioni e articoli che non parlino di libri, ma forse è ora di cambiare registro, o almeno di provarci. Oggi quindi si parla del Festival di Sanremo, della musica poco, perché passi tutto, ma non ho sufficiente competenza per parlarne al di là di quelli che sono i miei gusti.

In forse fin quasi all’ultimo, pubblico sì pubblico no, niente passerelle niente casino niente caccia agli autografi, giornalisti pochi (diciamolo, la sala stampa è da sempre spettacolo nello spettacolo), insomma certamente non era facile e lo abbiamo capito tutti. Usciamo subito dalla polemica canone mica canone compensi eccetera, si è capito da mò che la kermesse si ripaga ampiamente da sola. Continua a leggere “IL SANREMO DI AMORINO e PATATO”

L’inizio e la fine – Stefano Tura chiude il cerchio

Stefano Tura non ha bisogno di gran presentazioni, autore di thriller giornalista creatore di un Festival del giallo a Cesenatico, volto ormai storico di RAI1, ha esordito con Il killer delle ballerine nel 2001 e poi ha proseguito con il thriller, direi anche con un buon successo. Per farla breve, una volta rientrato in possesso dei diritti sul suo lavoro (l’editoria come la musica è un mondo strano), ha messo in atto un progetto con La Corte editore (che io ve lo dico, è una casa editrice che sa quello che fa). Scrivere il sequel di quel primo romanzo (che era comunque autoconclusivo), tornando per così dire sul luogo dei delitti 20 anni dopo.
Le discoteche ci sono ancora così come ci sono le cubiste, quello che il protagonista de L’ultimo ballo, ex poliziotto coinvolto negli atroci delitti, non si aspettava proprio, è di ripiombare dritto in quello che con qualche variante sembra essere una replica di quanto già vissuto.
Bravo Tura a non fare un copia incolla invecchiando un po’ i protagonisti, ma a inventare una storia del tutto diversa nella sostanza.
Se infatti è vero che la vicenda attuale è diretta conseguenza della prima, i protagonisti il modus operandi e lo svolgimento dell’indagine, sono tutta un’altra cosa. Le differenze fra i due romanzi sono palesi nel linguaggio, il primo ovviamente non era soggetto al politically correct (che semplicemente non esisteva) che oggi è impensabile non seguire se non si vuole finire alla gogna, il secondo è per forza leggermente più pettinato, ma la cosa che più si nota, è l’attenzione che l’autore, evidentemente maturato, pone sul tema delle diversità, in generale, un’attenzione profonda che mette in luce quanto ancora ci sia da fare e riconosce al tempo stesso quanto sia facile distrarsi. Quanto oggi sia possibile diventare vittime nell’indifferenza. L’unico appunto che personalmente mi sento di fare al libro (in particolare al secondo romanzo) è la tendenza a qualche ripetizione di troppo di alcuni rimandi, qualche descrizione che si poteva evitare, ma che tutto sommato nulla toglie a un romanzo da leggere.

DAVIDE LONGO – ARCADIPANE E BRAMARD

Nel 2021 Einaudi ha deciso di (ri)pubblicare tre romanzi dello stesso autore, una scelta interessante se si calcola che in realtà i romanzi sono stati scritti in tempi molto diversi. Parliamo di polizieschi o quanto meno di romanzi che implicano un’indagine e dei poliziotti o ex poliziotti.

I romanzi sono  – Il caso Bramard – Le bestie giovani  – Una bestia feroce – Nel primo non è chiarissimo chi sia il protagonista designato, se il commissario Arcadipane o il suo ex superiore Corso Bramard (cognome tipico del Roero), è un continuo passarsi la palla, dove non arriva uno arriva l’altro. Anche perché nel caso Bramard, Corso è parte in causa.

Il secondo è un’indagine parallela a quella ufficiale ed è una sorta di romanzo civile, che torna agli anni di piombo con tutto quel che ne consegue, quello che cambia sono le proporzioni del peso dei personaggi, qui si parla molto più di Arcadipane che non sta passando un bel momento nel suo privato.

Nel terzo sono più evidenti i cambiamenti di entrambi, il caso riguarda web deep web e di conseguenza le magagne di una società che abbiamo tutti sotto gli occhi.

La scrittura di Longo è piacevole, equilibrato nel dosaggio fra indagine e focus sui personaggi (ad affiancare i due c’è anche un’agente ben stramba e piena di problemi ma decisamente brava nel suo lavoro) e sulla loro evoluzione nel tempo e bello il modo di descrivere la città (Torino) e i dintorni, senza campanilismo ma si sente se mi passate l’espressione, l’amor patrio. Allo stesso modo c’è equilibrio fra i caratteri, che pure sono decisi e con storie “forti” alle spalle sono descritti quasi con delicatezza, con rispetto. Per quanto riguarda le trame, a non fermarsi in superficie, ci si trova anche altro, denuncia sociale se vogliamo, di fenomeni comuni quanto tristi della società attuale e delle loro conseguenze. Quasi dei noir. Ahimè nonostante la sua produzione sia assolutamente polposa, non lo conoscevo. È uno di quegli autori che puoi prendere con calma, non ti mette l’ansia di sapere, i romanzi aspettano pazienti che arrivi il momento per dedicarti a loro e goderne. Sicuramente non resteranno sullo scaffale (nel Kobo) a lungo fra i non letti.

Un colpo al cuore

Devo dire che da qualche anno a questa parte la “nuova generazione” degli scrittori italiani sta decisamente esprimendo il meglio di sé, autori che ad ogni romanzo ti lasciano a bocca aperta. Penso, con un paragone che può sembrare azzardato ma se ci riflettete non lo è poi tanto, per esempio a un Camilleri o per fare un salto nel passato un Simenon o a tutti quelli che hanno dato vita a serie e personaggi indimenticabili, quando leggi uno dei loro romanzi, è come infilarti in un paio di vecchie comode adorate pantofole, ti accolgono ti avvolgono e ti danno una sensazione di benessere, sai cosa troverai fra le pagine. Poi un giorno ti capita in mano uno come Piergiorgio Pulixi, allievo di Massimo Carlotto e membro del collettivo Sabotage che parte con un personaggio bomba, Biagio Mazzeo e ne fa un seriale (a buona ragione adorato dai lettori), poi ti sforna un romanzo come L’appuntamento, da brividi letteralmente, roba da staccare immediatamente tutte le connessioni possibili. Cambia genere cambia tutte le carte in tavola e ti turba non poco con Il canto degli innocenti  creando un personaggio complesso come un puzzle che si chiama Strega. Cresce nella scrittura nelle trame e ogni “torta” è un pochino più buona della precedente. Raggiunge il top – per il mio gusto e prima di leggere Un colpo al cuore – quando scrive L’isola delle anime, in cui unisce tutto l’amore per la sua splendida terra, ci mette la Storia ci mette le tradizioni ci mette quel mistero che sono i sardi e la loro storia, così pieni di antico e moderno insieme, chiusi come conchiglie e capaci di amicizie impagabili. Così per gradire, si è inventato altri due splendidi personaggi, le ispettrici Mara Rais e Eva Croce, due anime strappate che hanno deciso di ricucirsi con l’ironia, nascondendo gli strappi una sotto un’immagine impeccabile e l’altra con anfibi trucco pesante e i capelli rossi ereditati dalla madre irlandese. Per contro, la rockettara ha modi educatissimi mentre la raffinata Mara, usa un linguaggio che definire spiccio è fargli un complimento. Un colpo al cuore riunisce Strega, che anche lui in quanto a strappi dell’anima non scherza affatto, con Rais e Croce, fra Cagliari e Milano. La trama coinvolge ogni lettore in prima persona, perché tra le centinaia di notifiche che riceviamo ogni giorno sui nostri smartphone, potrebbe arrivarne una che ci chiede di sostituirci alle Istituzioni, ci dice che possiamo decidere noi cosa sia la giustizia. Basta un tap. La tentazione è forte, dallo schermo non si sente l’odore del sangue, non ti resta sulle mani e l’anonimato protegge anche dalla propria coscienza. Strega per le sue competenze viene inviato a Cagliari per formare una tasksforce con le ispettrici ed è subito magia. Non è solo nella sintonia fra i tre (e qualche comprimario ovviamente) a livello di lavoro, quanto complessiva, tre vite e tre modi di pensare che si incastrano perfettamente. Potrei parlare del cuore dei personaggi, che non hanno pietà nel raggiungere l’obiettivo e nello stesso tempo la provano sia nei confronti delle vittime sia del criminale, potrei raccontarvi di come nella drammaticità della storia Pulixi riesca con il linguaggio ironico e ricchissimo, ad alleggerire la tensione o di quanto da tutti i romanzi, emerga prepotente l’attenzione a quella fascia di mondo che è il nostro futuro, i bambini e gli adolescenti, di come esprima l’amore per la natura e gli animali con le descrizioni dei paesaggi (ok ammetto che con la Sardegna ha gioco facile) e della gatta Sofia, di come sappia dosare l’adrenalina ma preferisco lasciarvi a questo punto, usare il tempo per leggere lui e non me.

PS, non ho elencato tutte le opere del ragazzo, ma solo per non riempire tre pagine e con il benestare dell’autrice, vi lascio il link di una delle più belle interviste fatta da Cristina Aicardi per MilanoNera (ci trovate anche la sua recensione seria) che qui sul blog la prendiamo morbida. E ovviamente per Un colpo al cuore e qualsiasi altra informazione libresca, vi ricordo che le mie (recensioni serie) le trovate su Mangialibri

Commissari amici e libri in TV

Per gli amanti della lettura di Napoli e di Maurizio de Giovanni, il 25 gennaio rimarrà nella memoria come IL GIORNO. Dopo anni in cui si sono succedute le teorie più strampalate, ipotesi su chi avrebbe interpretato il commissario Ricciardi, trattative per la vendita dei diritti, quale regista sarebbe stato in grado di rendercelo così come ce lo siamo costruiti nel nostro immaginario, finalmente tutte le domande hanno avuto una risposta e ieri sera ci siamo sintonizzati in tanti su RAI1, chi trepidando chi pronto alla critica feroce, soprattutto dopo avere già pontificato il pontificabile sulla fiction ispirata da Mina Settembre. Stamattina la prima occhiata ai trend sui social, per una volta tutti d’accordo. Personalmente non convintissima che D’Alatri fosse il regista giusto, ho dovuto ricredermi dalla prima inquadratura. Calati negli anni ’30 come se l’oggi non esistesse, ci siamo goduti ogni secondo, il San Carlo di quegli anni, con le due opere in programma nella stessa giornata, l’opera come musica popolare e poi lui. Il commissario che non sorride, che vede gli ultimi istanti di vita di chi ha subito una morte violenta. Lino Guanciale si è rivelato perfetto, è entrato in parte amando il personaggio e si è visto. Negli sguardi nei modi nella freddezza nei confronti del vicequestore – dell’autorità – nella pietà verso i morti e infine nel muto dialogo da una finestra all’altra. Quel dialogo muto che ci ha fatto sospirare temere parteggiare. Non faccio l’elenco dei personaggi, sarebbe inutile, dico solo che meglio di così era veramente difficile fare. Una trasposizione delle emozioni, perché questo è stato Ricciardi dal primo all’ultimo romanzo, dal cuore agli occhi. Ho letto post e tweet in cui si diceva “dovrò leggere i romanzi” e questo a mio modesto parere è il grande merito della trasposizione televisiva fatta bene, avvicinare alla magia di un libro, dare l’imput a chi non ha l’abitudine di prendere in mano un oggetto che può portarti ovunque. Ben vengano allora prodotti così ben fatti e ancora, sempre un gigantesco grazie a chi ha iscritto Maurizio a quel concorso, a quella zingarella che gli ha fatto le linguacce da fuori la vetrata del Gambrinus, alla ribolla gialla e a tutti quelli che dal primo momento (un donnino enorme in particolare) hanno creduto nella magia che dopo tanti anni, ci è stata regalata in video. Grazie Maurizio

Come ha detto Salinger “… i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quello che segue vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.“ Anche se sono le 23.30 di un lunedì.

L’opzione di Dio

Papa Bergoglio è morto e il suo successore ha cercato di tenere viva l’impostazione che lui aveva dato alla Chiesa, apertura pulizia e chiarezza soprattutto negli affari economici dello IOR che tanti scheletri ha negli armadi. Ma il pontefice è malato, gli resta poco da vivere e chiaramente fra i pochissimi cardinali che ne sono al corrente, comincia una delle battaglie più subdole che esistano al mondo. Quella che si svolge prima del conclave, quando i papabili si giocano il Soglio con accordi e manovre che sono il segreto di Pulcinella. Proprio dalle manovre di Warren Hamilton, arcivescovo di Pretoria, che usa metodi non proprio etici per mettere a tacere le vittime dei tanti, troppi, religiosi pedofili, prende il via il romanzo di Caliceti. Sottovoce, nel senso che è un signore discreto che non si sovraespone, sta alzando l’asticella ad ogni romanzo (scusate lo so che è una frase trita ma rende l’idea). L’ambito in cui si muove è più o meno lo stesso dei precedenti, la finanza, che è la protagonista ma solo nella misura in cui incide sulla vita degli uomini. Qui è entrato a gamba tesa e senza sconti in quel territorio delicatissimo che è l’etica, figlia della filosofia. I due protagonisti, apparentemente sono Hamilton e Vignale, in competizione per il Soglio e se vogliamo essere precisi anche per la palma di bastardo dell’anno, in realtà sono solo la rappresentazione di una realtà, di più realtà, su cui troppo spesso non ci si sofferma se non per un attimo di momentanea indignazione. Non fa uno sconto Caliceti, mette in mostra il marcio che purtroppo non ha nulla di fantascientifico. Un romanzo che racchiude un giallo (si apre con un attentato jiadista in via della conciliazione e le relative indagini dell’antiterrorismo) una denuncia spietata della corruzione e nei dialoghi che sono lo scheletro del libro, una serie di riflessioni che spingono il lettore a farle proprie. Un’amara conclusione che non toglie però la speranza che partendo da un uomo, un nuovo rinascimento sia possibile.