Ma io ti voglio dire che non è mai finita, che tutto quel che accade fa parte della vita (cit.)
Che il Giambellino fosse un quartiere con una personalità ben definita e tutta sua, lo aveva già intuito Gaber negli anni ’60, tanto che ci ha “ambientato” la storia del Cerutti Gino e quella della sua mamma, adesso che siamo in un altro secolo e in un altro millennio, ci pensa Rosa Teruzzi a ricordarcelo e raccontarci cos’è oggi, attraverso le storie delle Cairati – tre donne il cui cognome ricordiamolo, è mutuato in omaggio alla sincera amicizia con la grande Sveva Casati Modignani –
Tre donne dicevo, tre generazioni discendenti, che a prima vista non potrebbero essere più diverse tra loro e che invece ci mostrano, romanzo dopo romanzo, che inesorabilmente qualcosa delle madri, prima o poi lo ritroviamo nelle figlie e viceversa. A volte più di qualcosa per dirla tutta.
Sapete che delle trame scrivo poco o niente perché tanto si trovano dovunque, vi racconto piuttosto quello che i personaggi, nelle storie che vivono e nel come le vivono, lasciano a me. Ho adorato Iole da subito, una settantenne che pur non rinunciando a essere la balenga che ben conosciamo, in questo romanzo molto più che in altri, fa trasparire il profondo amore che nutre per Libera. Già solo imponendole il nome, ha augurato alla figlia la cosa più importante del mondo. Lo dimostra a modo suo, senza mai smentire la sua natura di donna profondamente lontana dalle convenzioni, ma specialmente negli ultimi romanzi, lo palesa attraverso i consigli, spesso sibillini, che hanno l’unico scopo di accompagnare Libera a trovare quello che cerca, a capire quello che può farla felice.
Vittoria, la nipote, poliziotta come il padre defunto, da quando ha trovato l’amore, pur restando formalmente rigida e inquadrata, ci sorprende ancora con la sua capacità di passioni insospettabili che la rendono capace di avere quasi una “doppia vita” e poi c’è Libera appunto.
Forse perché sono una decisionista, una che si butta – caratterialmente sono più vicina a Iole – faccio fatica a capire, o forse la capisco fin troppo bene, l’indecisione su cosa fare della sua vita sentimentale, il suo concedersi momenti di gioia e poi perdersi in rimpianti e rimorsi. Compensa “l’incapacità” di buttarsi egoisticamente e definitivamente, magari infischiandosene un po’ dei sentimenti degli altri, lasciandosi trascinare nelle indagini, nonostante le promesse fatte a Gabriele (il collega del marito defunto con cui ha una relazione), se ritiene che la “causa” sia giusta, e fin dalla prima volta, lo sono eccome per i temi che affrontano. Perché Teruzzi, con ogni avventura che fa vivere alle miss Marple del Giambellino, affronta un tema sociale importante.
Discorso a parte meriterebbero i coprotagonisti, Gabriele appunto, Furio la Smilza e Cagnaccio, che a loro volta stanno evolvendo mostrandoci sempre più di sé.
Questa però non è una pagina di psicologia, quindi tornando a bomba sulla Ballata dei padri infedeli, su una scala da uno a cinque, prenderebbe un 4, non perché manchi qualcosa ma perché ho avuto la sensazione di un romanzo di “transito” e quindi “incompiuto per quanto riguarda i personaggi.
Il plot giallo invece, conferma il talento indiscutibile di Rosa Teruzzi. In conclusione, ve lo consiglio senza tema di ritorsioni.


