PIOGGIA PER I BASTARDI DI PIZZOFALCONE

Tre anni, un ritorno un po’ a sorpresa dal passato e qualche problemino personale, hanno fatto sì che ci mancasse per due volte,  l’appuntamento annuale con i Bastardi, per fortuna appena apri il libro e leggi le prime parole, succede come quando per un po’non senti o non vedi un amico, il tempo di esaurire l’abbraccio, sedersi e il discorso riprende esattamente da dove lo avevi interrotto.

Li ritroviamo uguali eppure cambiati, invecchiano crescono affrontano nuovi dolori emozioni e cose della vita, come noi, giorno dopo giorno. L’omicidio di un notissimo e vecchissimo penalista, che come spesso accade scuote le alte sfere, fa sì che i Bastardi scoprano inaspettatamente di essere ancora a rischio chiusura. Nonostante gli anni, i successi ottenuti dalla squadra e l’avvenuta “redenzione” dai peccati, non sono ancora poliziotti come gli altri per i colleghi e i superiori, sono e restano sorvegliati speciali , perché quel commissariato, fa gola a tanti.

Non c’è perdono per loro, non c’è cura per le loro lesioni, il passato è una ferita aperta che sotto la superficie non cicatrizza mai, puoi solo dividere la tua pena se ne sei capace e se hai la fortuna di avere vicino persone che possono capire. Questa consapevolezza, applicata al lavoro da Palma, li mescola, fa si che non esista un partner fisso e siano quindi (piacevolmente) costretti a un confronto continuo che alla fine – nello specifico hanno 48 ore – risolvano casi che con le normali procedure, probabilmente farebbero arrestare degli innocenti.

Ma la pioggia? Perché non è vero che a Napoli non piove mai e quando piove per giorni di fila, ora violentemente ora facendo credere di avere smesso per poi riprendere con più vigore, fa degli strani scherzi, ti obbliga a correre per cercare un riparo e quando lo hai trovato a volte scopri che sarebbe stato meglio di no, ti confonde, si confonde con le lacrime, con lo sgocciolio di un rubinetto che perde, crea illusioni visive che ti costringono a guardarti dentro. A volte fa si che anche chi è abituato a bagnarsi, cerchi quel riparo in qualcuno.

Le sottotrame, come sempre alternano momenti terribili a momenti in cui, se non fossi in un romanzo, potresti diventare il colpevole. Se state pensando che mi riferisca ad Aragona (come vittima) ebbene sì, e momenti di assoluto divertimento, per il quale dobbiamo ringraziare Viky, l’enfant terrible figlia della Martinelli e molto molto più saggia della mamma.

Chi ne ha voglia, chi legge per andare oltre il proprio campo visivo, trova spunti per guardare le cose con altri occhi, per capire che spesso le cose sono molto diverse da quello che appaiono. La somma di tutte queste cose, fa in modo che ogni romanzo di de Giovanni contenga tanti mondi quanti ne vogliamo trovare, lasciandoci con il desiderio e la speranza, che da qui al prossimo, non ci siano intoppi.

SOLEDAD – Maurizio de Giovanni

Ho deciso di iniziare l’anno con una delle “recensioni” più difficili. Teoricamente è fra le più facili, basterebbe descrivere le emozioni che dà la lettura, ma proprio perché c’è talmente tanto in questo romanzo, la banalità è dietro il punto a capo.                            Lo scrivo sempre e lo ribadisco, la storia gialla è perfettamente costruita, la soluzione da manuale, purtroppo, pur mantenendo il senso critico della giallara, è la cosa che mi interessa meno e passa in secondo piano, c’è tutto un mondo intorno, perdonate l’involontaria citazione.              Tutto è nel titolo, tutto. La solitudine.                  Questo mi ha dato questo romanzo, quanto ognuno sia solo, per quanto amore amicizia possa provare, per quanta gente possa avere intorno.         Si è soli nella battaglia per non far mancare mai un sorriso che consoli, nell’affrontare situazioni potenzialmente distruttive per chi si ama e si vuole proteggere, siamo soli nel prendere le decisioni più importanti. Quelle che cambieranno la nostra vita ma anche quella di chi abbiamo intorno.     Eppure queste solitudini de Giovanni le intreccia così bene da farle diventare un unicum, corale all’inverosimile.                        Si intuisce ormai, siamo nel dicembre del ‘trentanove’39, che la guerra è pronta a esplodere e si comincia a sentire la paura del non sapere quanto potrà costare.                                    Ci sarà chi perderà la vita, chi i propri affetti, chi tutto quello che ha e nessuno sa come affrontare la paura che questa incertezza genera.          Ecco la grandezza di Maurizio, non si limita a descrivere, ci fa sentire come se la cosa ci riguardasse, adesso. E forse non è nemmeno così improbabile seppur con modi diversi; ci fa vivere quello che sentono i nostri amici – perché questo sono Ricciardi Bambinella Maione Modo Lucia – scava senza violenza negli animi, ci porta negli abissi e sulle vette- da cui non dimentichiamo, si può cadere, viviamo con loro i rarissimi attimi di gioia e le mille situazioni diverse che in un contesto così sono tragicamente inevitabili.              Oltre alla parte diciamo così poetica, c’è il talento narrativo, nel senso letterale del termine e quindi il racconto preciso, puntuale delle atmosfere – sia chiaro, comprese quelle intorno a vittima e assassino- che si sono vissute.      La pseudo tranquillità che ancora qualcuno ostenta, in forza di posizioni economiche solide o di presunte amicizie e con quanta facilità possano essere distrutte; la condizione dei femminielli, che a Napoli ricordiamolo, sono altro rispetto ai transessuali che conosciamo oggi, esseri speciali che racchiudevano in sè tutto l’umano, il maschile fisicamente e il femminile nell’animo, protetti dalla gente del quartiere, in qualche modo segregati in un ghetto, per la loro sicurezza.                                   La vita della povera gente che sente avvicinarsi la sciagura, impotente eppure decisa a non soccombere – come ci dimostreranno le quattro giornate -    La fatica di proteggere anche chi fa di tutto, consciamente o meno, per non esserlo, la delusione di chi scopre o presume, di avere fallito nel suo essere uomo e pone rimedio come può e sa.                      E infine la pietas, quel sentimento ormai così raro, de Giovanni ci ricorda crudelmente che non sempre quello che vediamo delle persone corrisponde a quello che sono davvero.                           C’è veramente tanto dentro queste pagine, ci sono tutte le forme d’amore e di egoismo, amplificate al massimo, quasi a prepararci, a proteggerci, da quella valanga di dolore che è dietro l’angolo.

METTICI LA MANO

di MAURIZIO DE GIOVANNI – regia ALESSANDRO D’ALATRI

Immagine da TEATRI.IT

Ogni tanto mi faccio un regalo, ahimè non quanto vorrei, e vado a teatro. Giovedì sono andata al Menotti a vedere Mettici la mano che sarà in scena fino al 2 aprile e poi potrete trovare in giro per la provincia. Il testo è di de Giovanni, protagonisti Maione e Bambinella – all’anagrafe Antonio Milo e Adriano Falivene – che ben conoscono tutti quelli che hanno letto Il commissario Ricciardi o hanno visto la fiction, che si trovano con sorpresa di entrambi, in un sotterraneo a causa di un allarme bombardamento. Lei camuffata da suora e lui con una ragazzina ammanettata. In 90 minuti ti arrivano addosso tutte le emozioni possibili. Le risate consuete, che scaturiscono dai dialoghi fra il femminiello e il brigadere, si alternano in un crescendo scandito dalle bombe sempre più vicine, alla rivelazione del perché Carmelina –Elisabetta Mirra– una vera promessa già mantenuta, detta Melina, sia stata arrestata. A Maione non sembra vero ci sia qualcosa che lui sa e Bambinella no, lei che alterna domande, tentativi di seduzione, implorazioni alla statua della Madonna addolorata, messa lì dai fedeli dopo che la chiesa è stata bombardata e il silenzio ostinato di Melina che quando apre bocca, lo fa per sostenere che la Madonna non esiste e se c’è di sicuro non ha tempo per pensare alle preghiere dei poveri cristi come lei. All’epoca una bestemmia. Nel suo candore non del tutto esente da un filo di furbizia esercitata a fin di bene, Bambinella mentre cerca di carpire informazioni, sostiene che se Melina non si pentirà di quel che ha fatto e non ammetterà davanti alla Vergine che solo col Suo aiuto usciranno vivi da lì, faranno una bruttissima fine. Come sempre nei testi di de Giovanni si trovano suggestioni infinite, non so quale sia il tema portante, perché la storia di Melina – anche se raccontata con delicatezza infinita – è terribile, ma c’è la statua della Madonna, che alla fine è mamma prima di tutto, c’è la legge che in qualche modo si adegua alla giustizia. Non c’è mai giudizio nei racconti di de Giovanni, solo una presa d’atto di quelle che sono le umane vicende e le abitudini – come il rivolgersi alla madonna o a un santo, nei momenti di difficoltà – c’ è solo uno sguardo pieno di pìetas per le nostre piccinerie, c’è il perdono che arriva sempre quando legge e giustizia, come da sempre accade, non coincidono. Poi c’è la bravura degli interpreti, chi non frequenta il teatro deve accontentarsi di quello che vede in televisione, ma se si parla di magia del teatro, una ragione c’è. A teatro non c’è modo di rifare una scena, ogni secondo di pausa ogni sguardo ogni minimo movimento fa la riuscita o meno della performance e i tre in scena sono strepitosi (e per quel che può servire ho visto recitare i più grandi) La regia di D’Alatri, come già avvenne per Gassmann è tarata perfettamente sull’autore. In buona sostanza vogliatevi bene, fatevi regalare quei 90 minuti di magia senza pensarci due volte.

L’equazione del cuore

è bella perfino così.

Se avete letto anche solo un post o un articolo di Maurizio de Giovanni, riconoscerete il tratto, ma scordatevi il resto, non c’è noir né giallo in questa storia se non lo scoprire che cosa può fare l’amore. Perché questo è, come da titolo del resto. Una storia che parla d’amore in ogni pagina. Quanto possa essere coinvolgente Maurizio, non c’è bisogno di ricordarlo, ma quanto possa dare oltre al solito, lo si scopre con la caratterizzazione dei termini di questa equazione che diventano un uomo sua figlia suo nipote, e ancora suo genero, la baby sitter di Checco, una donna tradita e tante altre persone. Non è mica una poesia eh, no no, è proprio un’equazione matematica (molto meno romantica di come è nota ovviamente e per giunta anche un po’ romanzata ma secondo me se ne fregano anche i matematici), eppure sorpresa sorpresa, riesce a spiegare perfettamente quel che succede agli esseri umani, le cui esistenze per una ragione o per l’altra si incrociano. Certo che si intersechino la vita di un nonno e un nipote è dato per scontato ma non lo è poi così tanto e sempre. Massimo è un nonno sui generis, vive la sua solitudine accontentandosi di quel rapporto quasi convenzionale che ha con la figlia dopo la morte del collante madre. Sposata e madre a sua volta, vive lontana dall’isola in cui torna solo d’estate con figlio piccolo, ma per il resto i rapporti sono ridotti alla telefonata standard : come va tutto bene? Claudio e Francesco? Bene papà, Claudio lavora tanto e il piccolino è un amore.Tu come stai? Quanti ne conosciamo. Eppure ecco il colpo di teatro, un banale incidente d’auto di figlia e genero, che lo costringe a spostarsi in quel nord di provincia freddo e tanto ostile coi forestieri e lo porta inaspettatamente a conoscere quella figlia che è così diversa da come lui immaginava. Ma soprattutto gli fa capire quanto poco abbia saputo esprimere e ancora di più provare quei sentimenti che si danno per scontati. Questo dice l’equazione, in soldoni, due insiemi che vengono a contatto fra loro anche se poi si allontanano non saranno più gli stessi, avranno in sè qualcosa dell’insieme che hanno toccato e se ci pensate, se vi soffermate a guardare chi siete, non potrete che convenire di essere fatti di tante piccole parti che vi hanno lasciato tutti quelli che avete incontrato. Lo aspettavo da 7 anni questo romanzo, quando Maurizio mi ha parlato di questa idea l’ho amata all’istante, ho cercato la rappresentazione grafica dell’equazione e mi ha affascinata, è bella anche scritt in matematichese, da non crederci. L’ho usata come immagine di copertina, l’ho applicata, ho immaginato come e cosa sarebbe successo, ho aspettato che il seme mettessse una radice e trovasse il vaso in cui sbocciare. La bellezza che ci ho trovato è straziante ma impagabile. Questo più di ogni altro è un romanzo che si leggge col cuore, la copertina che contrariamente al solito vi posto qui sotto, dice tutto. Io, per ragioni personali posso solo dire a quel pesciolino di ricordarsi chi è, di allungare le sue piccole braccia verso chi ha capito come aprire le sue.




Commissari amici e libri in TV

Per gli amanti della lettura di Napoli e di Maurizio de Giovanni, il 25 gennaio rimarrà nella memoria come IL GIORNO. Dopo anni in cui si sono succedute le teorie più strampalate, ipotesi su chi avrebbe interpretato il commissario Ricciardi, trattative per la vendita dei diritti, quale regista sarebbe stato in grado di rendercelo così come ce lo siamo costruiti nel nostro immaginario, finalmente tutte le domande hanno avuto una risposta e ieri sera ci siamo sintonizzati in tanti su RAI1, chi trepidando chi pronto alla critica feroce, soprattutto dopo avere già pontificato il pontificabile sulla fiction ispirata da Mina Settembre. Stamattina la prima occhiata ai trend sui social, per una volta tutti d’accordo. Personalmente non convintissima che D’Alatri fosse il regista giusto, ho dovuto ricredermi dalla prima inquadratura. Calati negli anni ’30 come se l’oggi non esistesse, ci siamo goduti ogni secondo, il San Carlo di quegli anni, con le due opere in programma nella stessa giornata, l’opera come musica popolare e poi lui. Il commissario che non sorride, che vede gli ultimi istanti di vita di chi ha subito una morte violenta. Lino Guanciale si è rivelato perfetto, è entrato in parte amando il personaggio e si è visto. Negli sguardi nei modi nella freddezza nei confronti del vicequestore – dell’autorità – nella pietà verso i morti e infine nel muto dialogo da una finestra all’altra. Quel dialogo muto che ci ha fatto sospirare temere parteggiare. Non faccio l’elenco dei personaggi, sarebbe inutile, dico solo che meglio di così era veramente difficile fare. Una trasposizione delle emozioni, perché questo è stato Ricciardi dal primo all’ultimo romanzo, dal cuore agli occhi. Ho letto post e tweet in cui si diceva “dovrò leggere i romanzi” e questo a mio modesto parere è il grande merito della trasposizione televisiva fatta bene, avvicinare alla magia di un libro, dare l’imput a chi non ha l’abitudine di prendere in mano un oggetto che può portarti ovunque. Ben vengano allora prodotti così ben fatti e ancora, sempre un gigantesco grazie a chi ha iscritto Maurizio a quel concorso, a quella zingarella che gli ha fatto le linguacce da fuori la vetrata del Gambrinus, alla ribolla gialla e a tutti quelli che dal primo momento (un donnino enorme in particolare) hanno creduto nella magia che dopo tanti anni, ci è stata regalata in video. Grazie Maurizio

Come ha detto Salinger “… i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quello che segue vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.“ Anche se sono le 23.30 di un lunedì.

Tre passi per un delitto

Che alla fine chi segue il blog potrebbe anche dire: “ma possibile che non ti capiti mai una ciofeca in mano?” Capita capita, però faccio recensioni ormai da più di dieci anni, ho imparato a scindere quello che è il mio gusto personale da quello che un libro racconta, e se ci avete fatto caso, qualche volta mi è capitato di sconsigliare anziché consigliare.
Qui mi tocca dirvi andate a comprarlo alla velocità della luce, non vi perdete assolutamente questo esperimento perché sarebbe quello il vero delitto.
Un giallo “normale”, in realtà con il giusto colpo di scena, forse intuibile da quelli che fanno le gare ma non per chi si limita a leggere e godersi un romanzo perfetto. La cosa davvero fantastica è che non distingui quello che ha scritto uno da quello che ha scritto l’altro. Non so esattamente come l’abbiano studiata, certamente non come facevano i (per me) mitici F&L, nel senso che i “capitoli” sono tre, uno ciascuno e ogni autore da voce ad uno dei personaggi. L’armonia che sono riusciti a creare è qualcosa di simile a quello che può fare un grande direttore d’orchestra, ma i direttori sono tre e tre gli spartiti che rendono memorabile il pezzo.
Il protagonista è una carogna o forse no, alla fine sono convinta che in molti penseranno di assomigliargli, così come molte, ma senza dirlo, penseranno o vorrebbero avere l’aplomb della moglie.
Uno che si considera migliore di chiunque e non si fa scrupolo a dirlo e ribadirlo rivolgendosi anche e soprattutto al lettore. Figlio di nobili economicamente caduti in disgrazia a causa del gioco d’azzardo, decide di riscattare in qualche modo il nome che porta e riabbinare la nobiltà alla ricchezza. Per portare a compimento il progetto però sono necessari i soldi e dove trovarli se non sposandoli? Marco Valerio Guerra, è tanto abile da trovare la persona giusta da sposare, Anna Carla Santucci (che però si sente ed è a pieno titolo una Guerra), una tosta quanto e più di lui – perché le anime gemelle si annusano e si riconoscono – almeno fino a quando il marito, alla tenera età di settantun’anni, la chiama piangendo e chiedendole supporto morale per la fine di un amore. Ma è solo un attimo, tutto sommato decide la donna, se davvero ha bisogno di lei, può salire in macchina e raggiungerla.
La narrazione a tre voci è perfetta, del commissario Brandi, di Marco Valerio e Anna Carla. E scusate se mi ripeto, le tre versioni si armonizzano come strumenti musicali che non ti permettono di distinguerli fondendosi perfettamente. Tanto di cappello a De Cataldo de Giovanni e Casar Scalia (in rigoroso ordine di apparizione).

Sara al tramonto – ancora e sempre un de Giovanni che sorprende

Le donne dell’universo deGiovannesco sono tante e tutte diverse una dall’altra. Abbiamo iniziato conoscendo Enrica, una specie di Beatrice dei giorni nostri, pronta ad accompagnare Ricciardi all’inferno senza esitazioni, Tata Rosa, una mamma universale, una di quelle donne capaci di amare incondizionatamente e di difendere i loro cuccioli con la vita. La fatale Livia, ritratto di una donna che non sa accettare un no, pagandone anche le pesanti conseguenze. Bianca, l’amica fragile che al bisogno diventa un sostegno indistruttibile e prezioso. Figure che abbiamo poi ritrovato nella realtà di oggi, l’inflessibile Piras la dolce Ottavia la fragile Alex la materna Letizia. E ancora le figure “femminili” de I Guardiani (che fra parentesi spero tornino presto), che hanno una valenza universale nella contrapposizione Bene/Male. Mancava forse quella che in qualche modo le riassume tutte.
Sara Morozzi è una donna come tante, “un’anziana” signora delle migliaia che popolano le strade i giardinetti delle nostre città, una di quelle che non vedi perché vai di fretta perché è grigia e si confonde fra le ombre della sera con gli angoli dei muri. Una figura invisibile per sua stessa scelta. Ha imparato a sembrare quello che non è nei lunghi anni in cui è stata in polizia, non di pattuglia no, Sara faceva parte dei Servizi, quelli che sappiamo esistere ma non appaiono mai, che hanno catalogato e archiviato migliaia e migliaia di informazioni su chiunque per le ragioni più svariate. Sara è rimasta invisibile ma non per la sua squadra che ha ancora bisogno di lei. Per quelle cose che non si devono sapere, che non esistono e forse tornare alla vita restando nell’ombra, è proprio quello di cui ha bisogno. Come le altre che ho nominato prima, ha pagato ogni suo gesto e sappiamo bene che la crudeltà con cui la vita presenta il conto è superiore a qualunque immaginazione. Attenzione però, se dalla descrizione può sembrare un noir cupo, in realtà come sempre succede, de Giovanni spezza le atmosfere inevitabilmente tese, affiancando dei comprimari con cui a tratti ci si fanno anche delle belle risate, per conferma chiedere di Davide e Boris.
E Napoli vi chiederete, presenza viva quasi come una persona in ogni romanzo? Napoli c’è, non più personaggio, ma quieto sfondo. E infine qualcosa che a mia memoria appare per la prima volta nei suoi lavori, un sentimento che non appartiene al de Giovanni che conosciamo, va da sè che non vi dico di cosa si tratta ma sarà palese e abbastanza sconcertante quando arriverete a fine romanzo. Con questo primo episodio, deGio ci lascia intuire le diversissime evoluzioni che potrà avere Sara e che al momento affidate di sicuro, note forse, solo alla smisurata fantasia del mago. Insomma non c’è moltissimo da dire se non che la storia di Sara è l’ennesimo colpo da maestro di un autore che ormai ci ha abituati alle letture a 5 stelle. Ah, questa nuova collana NeroRizzoli è decisamente da tenere d’occhio.

Chiamata a raccolta per i #deGiovanners –

deGiovanners tutti e genti che leggete senza essere maniaci, tra qualche giorno (pochi, magari domenica ma intanto mi anticipo), vi inviterò sulla pagina facebook di questo bel blogghino, o su twitter, vedete voi. A far cosa, ve lo dico preso.

In attesa dei Bastardi, quello che non vi ho detto di Rondini d’inverno (occhio allo spoiler)

Ne avevo parlato dicendovi poche cose, avevo bisogno di assimilare le mille cose che ci sono in Rondini d’inverno, lasciando da parte i colpi di scena nella vita del commissario dagli occhi verdi, lasciando da parte lo strazio del dottor Modo e di Maione che si fondono in un’unica storia, sia pur per ragioni diverse, vorrei concentrarmi su un particolare che per me è stato scioccante. I collegamenti mentali che trovate di seguito, sono ovviamente frutto della mia mente che tanto a bolla non è ed è cosa nota, ma ovviamente i commenti sono aperti sia al confronto (qui o sulla pagina FB è uguale), sia con chi legge, sia eventualmente de Giovanni che se vuole può dichiarare pubblicamente la mia follia. Non so voi, ma io mi sono chiesta da quando è iniziato il ciclo delle canzoni – Con Anime di vetro proseguito con Serenata senza nome- chi fossero il vecchio e il ragazzo, era come se non riuscissi a farli incontrare con le Storie che stavo leggendo. Un po’ come quando guardi un quadro di Escher. Leggendo Sipario alla fine, il mistero viene svelato e lì è partito il tour mentale che mi ha “sconvolta”. Il mio adorato Maurizio mi ha perculata senza che io minimamente me ne rendessi conto. va da sè che il pensiero mi è volato come una rondine impazzita ai Guardiani, al tempo che non c’è, o meglio che è conseguenza di sè stesso. Al fatto che le Storie, quando sono frutto di una mente geniale, possono davvero trasportarti in qualunque punto dello spazio e del tempo senza che tu, viaggiatore anche sgamato se vogliamo, sia preso per mano e portato ad accettare le circonvoluzioni del mondo in cui ti stai lasciando andare. Ecco, son riuscita anche a contenere lo spoiler. A presto prestissimo, intanto per chi non l’avesse letta, vi lascio il link della recensione “vera”, che qui si sa, lascio volare i pensieri 😉 Ci vediamo a Bookcity2017

Rondini d’inverno – Sipario per il commissario Ricciardi

Quella finestra, anzi quelle finestre, una dirimpetto all’altra, come due volti, gli occhi che si guardano e le bocche che tacciono, ma dalle cui espressioni si possono intuire i pensieri. Si possono alimentare o spegnere speranze. Quelle finestre da cui si può vedere il cenno, leggere una parola detta senza voce. Dietro quelle finestre che ormai conosciamo come fossero quelle di casa nostra, si svolge il dramma, uno spettacolo orchestrato da un regista che tenta di adattare la storia ai suoi desideri. Su un altro palcoscenico intanto, la messa in scena della morte cambia odore, da quello della polvere di legno delle tavole, a quello aspro e ferroso del sangue e della cordite. Ed è sangue versato per amore. L’amore sì, ancora una volta è l’amore il protagonista. Ma ve ne parlerò fra qualche tempo, voglio lasciar sedimentare le emozioni, perché sono tante, come sempre del resto (anche se insomma, un qualcosina in più ce lo ha messo a mio parere). Vi anticipo che nonostante all’apparenza lo schema sia il solito, trama e sottotrame con i corsivi, qualcosa di profondamente diverso c’è. E vi linko anche la lettera pubblicata oggi dal Corriere del Mezzogiorno, riuscite a crederci? Ricciardi in persona ha scritto al suo creatore, sorprendente il contenuto della missiva, ma solo per i lettori distratti, i più attenti avranno una felice conferma. 🙂 Come sempre, grazie Maurizio.