UNA SIRENA A SETTEMBRE

Maurizio de Giovanni

La Signora prepara le verdure, le sceglie le monda le taglia, pronte a diventare parte integrante di piatti che doneranno consolazione placheranno la fame e nutriranno corpo e mente. Riempie secchi di fagioli di pomodori di patate, in uno gli scarti e in uno quello che verrà usato; non si sa chi godrà di quel cibo, lei va avanti senza fermarsi mai e intanto racconta a chi è arrivato fino da lei – e non è facile trovarla – per ascoltare. Ammalia la Signora, perché mentre le mani lavorano le sue parole ti portano sopra la città, ti mostra cose fatti persone situazioni che apparentemente non hanno nessun legame una con l’altra, ma momento dopo momento ti rende visibili  fili che le legano, come ogni piccola cosa prima o poi si incrocia con l’altra. Ed ecco che vediamo una ragazza costretta su una sedia a rotelle, praticamente segregata in casa perché il palazzo è vecchio e non c’è l’ascensore, eppure è felice, solo preoccupata per la fissa di suo fratello. In un altro quartiere c’è una donna che sogna ma è uno di quei sogni che poi ti restano appiccicati quando ti svegli e ti rovinano la giornata; ancora troviamo due ragazzi che scippano un anziana, ma la sfortuna è in agguato e lo scippo rischia di diventare un omicidio. Entrambi hanno una sirena tatuata su un braccio; e ancora, un programma tv in cui viene mostrata una scena agghiacciante, proprio lì, nei Quartieri, un bimbo si contende un pezzo di pane con un randagio. La penna di de Giovanni guidata dalla voce della Signora, unisce questi fatti, ha ragione la Signora, è tutto collegato. A partire dalla copertina questo libro è un inno, alla città che è madre, alla madre che nutre e sa, alla dignità che preserva dal degrado dei sentimenti anche se il degrado ti circonda. È poesia, quella che appartiene a ognuno e si nasconde sotto le difficoltà del quotidiano, dietro apparenti strati che formano un unico, fatto di dolori gioie frustrazioni risate. È qualcosa che ti spinge ad ascoltare, a cercare le connessioni, perché ci sono, ci sono sempre.

Stile Libero Big

pp. 272 – € 18,50 – ISBN 9788806248833

LE TRE VEDOVE

                            di CATE QUINN

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Esordio col botto, almeno per quanto mi riguarda, quello di Cate Quinn nel noir (il risvolto dice crime ma qui potremmo aprire un dibattito infinito), già autrice di romanzi storici e giornalista di costume e viaggi. L’esperienza acquisita si sente tutta, la vicenda narrata, adesso arrivo e ve ne parlo, è intrisa di Storia (recentissima ma pur sempre Storia) e di conoscenza approfondita del mondo in cui si svolge. Siamo nello Utah, lo Stato americano patria dei mormoni, dei Santi degli ultimi giorni, comunità religiose con regole precisissime, legate alle Sacre Scritture e quindi inevitabilmente interpretabili a scelta della “corrente” a cui si appartiene per nascita o per scelta. Esattamente su cosa permetta o non permetta Dio, si basa l’agghiacciante romanzo. La poligamia è ammessa o no? Cosa è peccato e cosa no? Quali aberrazioni (per noi) si possono commettere in nome di dio e della salvezza eterna? Lo scopriamo pagina dopo pagina dalle voci di Rachel, la prima moglie di Blake, Emily moglie numero due e infine Tina. Tre caratteri che scopriamo insospettabilmente forti e intelligenti a dispetto della vita a cui le costringe/va il marito, padrone assoluto di ogni loro azione, dei ruoli dei loro corpi. Quando l’uomo viene trovato ucciso, a poca distanza dalla “casa” che aveva scelto per la sua famiglia, in mezzo al deserto, lontanissima da tutto e, fondamentale, da tutti, la polizia si concentra ovviamente sulle tre donne. Tutte e tre lo amavano sostengono e nonostante si sospettino a vicenda, raccontano di una vita felice, in cui erano rispettate ed equamente amate. Sono consapevoli che per la maggior parte della gente, anche dei loro correligionari, sono dei fuorilegge, la poligamia non è ammessa (o meglio lo è in alcuni Stati ma non nello Utah) ma si ostinano a mostrare un’armonia che la polizia non riesce a scardinare. Lo fanno loro stesse, con le loro voci e i loro pensieri, ripercorrendo ognuna lo squallore e la disperazione strisciante nella loro vita. Segreti e bugie, menzogne necessarie alla sopravvivenza che si svelano e si rivelano inghiottendo il lettore in un vortice sempre  più trascinante e sempre più nero. Non so decidere se il tema principale sia la perniciosità della religione quando diventa l’unica via da seguire, se sia la violenza domestica in tutte le sue declinazioni, che sono tante e spesso non immaginabili. Di sicuro è una storia di donne, di sorellanza che nasce senza intenzione, di difesa per partito preso, per nascondere fallimenti altrui che si sentono propri. Forse è tutto questo insieme, io so che non mi capitava da un po’ di prendere in mano un romanzo (lunghetto) e di mollare ogni tre per due quel che stavo facendo per tornare a leggere. Serve altro?

IL VENDITORE DI ROSE

Dario Sardelli

Torpignattara è un quartiere di Roma, non esattamente un posto residenziale, ma i suoi abitanti (come capita in quai tutte le periferie), dopo essere stati “emarginati” guardati dall’alto in basso e ovviamente “invasi” dalle varie comunità di stranieri più o meno regolari, hanno trovato l’orgoglio di rivendicare la loro identità di borgatari (anche quelli di Milano e di ogni grande città). A Torpigna, perché così la chiamano, il commissariato è retto dal vicequestore Piersanti Spina, uno tranquillo che non ama fare l’eroe, fa il suo e cerca di vivere meglio che può, cosa non facilissima perché è affetto da CIPA, una malattia rara e congenita del sistema nervoso che gli impedisce di provare caldo freddo e di sudare. Non so esattamente se la malattia sia come descritta o un po’ esagerata, ma certamente caratterizza il personaggio.  Belli anche gli altri personaggi e bella la storia. Un cadavere in mutande, in quello che viene chiamato il pratone  che Spina riconosce come il “bangla” da cui ha comprato tre rose per la sua fidanzata, la sera prima che incidentalmente era san Valentino.

Un bel casino, un po’ perché essendo in mutande non ha documenti, un po’ perché probabilmente non li avrebbe avuti neanche se fosse stato vestito. Sia come sia il vicequestore sa fare il suo mestiere e alla fine, non proprio agevolmente scopre sia chi era il ragazzo (ben altro rispetto a un venditore di rose), sia il perché e chi lo ha ucciso.  C’è da dire che personalmente l’ho molto apprezzato, veloce, scritto bene, senza esagerazioni e colpi di scena improbabili ma con tante piste che depistano, una trama che si discosta dalle “solite”, fresca e nuova così come il protagonista. Decisamente piacevole. Un nuovo esordio di un italiano che a occhio e croce non resterà un unicum, l’unico augurio che mi/ci faccio (pur conoscendo le dinamiche editoriali), è che non ne sforni uno ogni sei mesi, andazzo che purtroppo è sempre più presente ma che, scusate la franchezza, dopo un po’ diventa un legaccio che ti fa sentire obbligato a leggere, pena i sensi di colpa da lettore incallito e il dover scegliere qualcuno a scapito di altri.

Voi però leggetelo, perché il ragazzo, sceneggiatore e autore televisivo, probabilmente ci darà delle altre belle soddisfazioni.

2021

Stile Libero Big

  1. 240

€ 17,00

ISBN 9788806244408

Commissari amici e libri in TV

Per gli amanti della lettura di Napoli e di Maurizio de Giovanni, il 25 gennaio rimarrà nella memoria come IL GIORNO. Dopo anni in cui si sono succedute le teorie più strampalate, ipotesi su chi avrebbe interpretato il commissario Ricciardi, trattative per la vendita dei diritti, quale regista sarebbe stato in grado di rendercelo così come ce lo siamo costruiti nel nostro immaginario, finalmente tutte le domande hanno avuto una risposta e ieri sera ci siamo sintonizzati in tanti su RAI1, chi trepidando chi pronto alla critica feroce, soprattutto dopo avere già pontificato il pontificabile sulla fiction ispirata da Mina Settembre. Stamattina la prima occhiata ai trend sui social, per una volta tutti d’accordo. Personalmente non convintissima che D’Alatri fosse il regista giusto, ho dovuto ricredermi dalla prima inquadratura. Calati negli anni ’30 come se l’oggi non esistesse, ci siamo goduti ogni secondo, il San Carlo di quegli anni, con le due opere in programma nella stessa giornata, l’opera come musica popolare e poi lui. Il commissario che non sorride, che vede gli ultimi istanti di vita di chi ha subito una morte violenta. Lino Guanciale si è rivelato perfetto, è entrato in parte amando il personaggio e si è visto. Negli sguardi nei modi nella freddezza nei confronti del vicequestore – dell’autorità – nella pietà verso i morti e infine nel muto dialogo da una finestra all’altra. Quel dialogo muto che ci ha fatto sospirare temere parteggiare. Non faccio l’elenco dei personaggi, sarebbe inutile, dico solo che meglio di così era veramente difficile fare. Una trasposizione delle emozioni, perché questo è stato Ricciardi dal primo all’ultimo romanzo, dal cuore agli occhi. Ho letto post e tweet in cui si diceva “dovrò leggere i romanzi” e questo a mio modesto parere è il grande merito della trasposizione televisiva fatta bene, avvicinare alla magia di un libro, dare l’imput a chi non ha l’abitudine di prendere in mano un oggetto che può portarti ovunque. Ben vengano allora prodotti così ben fatti e ancora, sempre un gigantesco grazie a chi ha iscritto Maurizio a quel concorso, a quella zingarella che gli ha fatto le linguacce da fuori la vetrata del Gambrinus, alla ribolla gialla e a tutti quelli che dal primo momento (un donnino enorme in particolare) hanno creduto nella magia che dopo tanti anni, ci è stata regalata in video. Grazie Maurizio

Come ha detto Salinger “… i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quello che segue vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.“ Anche se sono le 23.30 di un lunedì.

Consigli per le strenne da consegnare alle renne

Come per tutti il 2020 è stato particolare anche per coleichelegge, la concentrazione è stata spesso latitante, ma il Natale a quanto pare se ne frega dei colori dei negozi aperti – chiusi – metà e metà. Se ne sbatte allegramente delle difficoltà di movimento e fra qualche giorno arriverà, puntuale come sempre. Allora qui di seguito, compatibilmente con le nuove impostazioni del blog ( che ancora non mi sono del tutto chiare), vi lascio qualche consiglio per un pensiero da portare o inviare. Consigli libreschi naturalmente. Di qualcuno vi ho già parlato di altri no, ma siccome so che vi fidate (o almeno ci conto se passate di qua), procedo. Ah non sono tutte novità eh, perché un buon libro, il libro giusto, arriva nelle mani del lettore esattamente nel momento in cui deve arrivare. Domani altri consigli

Per chi ama sorridere anche se legge un giallo e non diventa matto per le cose sanguinose mi pare perfetto Come la grandine – Gino Vignali è il quarto che racconta i casi strani che accadono a Rimini, non quella delle feste d’estate, ma quella d’autunno è inverno, quando gli stereotipi si frantumano nella nebbia e nella neve. (Solferino)

Un classicone di fine anno per chi lo ama già da tempo e per chi (ma esiste?) non lo conosce Io sono l’abisso – Donato Carrisi un romanzo decisamente diverso dai soliti, meno pauroso ma in perfetto stile Carrisi, sembra tutto chiarissimo e invece…Invece poi quando arrivi alla fine, ti cambia tutta la prospettiva e ti resta dentro quel pensiero che ogni tanto riemerge facendoti correre un brivido lungo la schiena. (Longanesi)

Per la zia che non si rassegna alle cose che cambiano, per chi ama il passato che tiene il passo col presente, cercate Tra bandiere rosse e acquasantiere – Orietta Berti una sorprendente autobiografia di una donna che dal decenni è amata per la sua voce e la sua aria tenera e un po’ vaga, che invece si rivela una potente manager di sé stessa, capace di veleggiare fra le contraddizioni della vita senza perdere mai un briciolo di lucidità. (Rizzoli)

Per l’amica che ama la leggerezza senza stupidità, per chi vuole la prova che le coincidenze non esistono, le storie d’amore che assomigliano molto più alla realtà che a quelle dei romanzi Via della magnolie – Stefania Bertola un romanzo che ti porta via per qualche ora regalando relax e buonumore. (Einaudi)

Il metodo del dottor Fonseca

Voi che mi leggete sapete vero che uso l’ironia come forma di legittima difesa e non come comunemente si fa per dileggiare. Ecco questo articolino, o almeno l’inizio, leggetelo così, soprattutto tu dottor Vitali, metti mai ti dovesse capitare sotto gli occhi. Se fosse possibile ecco, io vorrei il numero del fornitore. No perché è facile scrivere cose psichedeliche, bastano un paio di bottiglie buone o sostanze strane, ma le riconosci perché alla fine non ci capisci una cippa, pur magari apprezzando la scrittura o lo psicocontenuto. Invece Vitali, che già con Documenti prego, aveva cominciato l’esplorazione di quell’universo che è la psiche umana, scrive dei romanzi che pur allontanandosi dal reale – inteso come procedure, che restano nel vago – entra in territori che non possiamo definire inesplorati, ma che certamente non sono consueti fra i grandi nomi italiani. Qui personalmente mi sono più volte chiesta se stessi leggendo Vitali o Carrisi con inserti di King o Koontz . Attenzione, niente a che fare con imitazioni o omaggi, direi più la liberazione di un folletto che il dottor Vitali teneva ben nascosto, lasciandolo uscire qualche volta a raccontare antiche leggende nascoste nelle storie di lago. Devo dire che a parte lo straniamento iniziale, questo nuovo trend non mi dispiace affatto, ambientazioni cupe, montagne che invece di essere imponenti sono incombenti, pochissimi personaggi, non luoghi non nomi solo i fatti, peraltro al limite del paranormale. Lontanissimo dal consueto Andrea Vitali e da Bellano, luminoso paesino pieno di persone personaggi chiacchiere e fatti che si incrociano continuamente sulla riva del lago, io vi consiglio di leggerlo – se ancora non lo avete fatto – per scoprire e ribadire che quando c’è il talento, non sai mai come si esprimerà, ma lo farà.