CECI N’EST PAS UNE PIPE TANTOMENO UNA RECENSIONE

Ho un file aperto da settimane, quello che ho aperto per dire quello che penso del nuovo romanzo, lo stand alone, di de Giovanni L’antico amore.          Sono a tre fogli fitti fitti, troppi per un articolo sul blog. Ho letto delle recensioni splendide, in cui gli autori hanno colto ogni minima sfumatura.             Eppure ho trovato altro da dire, troppo.                                                                      E allora forse vale pena solo sottolineare quello che dico da anni.                   

Lo scrittore napoletano, forse per nascita o per inclinazione personale, ha solo usato il plot giallo come copertura, come esca. Strategia perfetta del resto, perché gli riesce alla perfezione.                                                                            Dietro ogni storia, a muovere le fila di tutto c’è sempre stato solo l’amore. A partire dai primi racconti per arrivare ai romanzi e alle storie di tifo o di cucina.                                                  Materno filiale fraterno, quello per la Città in ogni sua componente, luoghi Storia cibo paesaggi atmosfere, che si trasferisce agli esseri umani.                Fin dal racconto che è stato la spina dorsale de Le lacrime del pagliaccio – il romanzo che lo ha fatto conoscere al grande pubblico diventando Il senso del dolore – passando per Il resto della settimana, al Metodo del coccodrillo, fra le indagini, dietro gli omicidi, nei rapporti umani, c’è amore.

Sapete che sono una delle fortunelle che leggono in anteprima i romanzi di de Giovanni, so quanto Maurizio tiene ai “fuori serie”, se li coccola per anni, li cresce li plasma, ci mette dentro tutto se stesso. Io l’ho adorato, sarebbe stato così per tutti? Ho avuto paura? Sì e sì, ho temuto che potesse essere criticato e invece…                                                                  

Ci ho messo qualche mese ma ho capito, nonostante i social, la politica l’ignoranza che impazza, la gente ha bisogno d’amore e se è raccontato con maestria, con grazia, intrecciando un passato lontano e uno più recente, che si sovrappongono con naturalezza, il risultato non può che essere…Amato.       

Un sentimento che va oltre, che sublima tutto il bene e tutto il male.         Un bene superiore all’egoismo degli amanti, che si arrotola su se stesso e si tace per l’altro, perché l’amato non abbia a soffrire, non debba cambiare, perché l’altro, quando ami così, è più importante.                                                

Questo racconta de Giovanni, amori così profondi da spingere chi li prova a disinteressarsi del suo stare per preservare l’amato.

È Oxana, la “badante” moldava che badante non è, la voce narrante del presente, una narratrice che non sa ma intuisce, è la ragione che accetta, che si arrende a qualcosa che sente essere troppo intimo e profondo per essere indagato e lascia che accada.                                                                                  Dà spazio a quello che non capisce, a dei pezzetti di carta che contengono, forse, parole che non si sono potute dire, raccogliendoli con rispetto.                            Accompagna, restando un passo indietro, il vecchio e noi nella memoria, in una vita che non ci appartiene ma possiamo riconoscere, camminando nel sole e nella pioggia che diventa un sipario, fino a svelarci l’unica verità a cui troppo spesso rinunciamo o non sappiamo accettare.

Se qualcosa può salvarci, è l’amore. E se c’è un uomo che lo sa raccontare, è Maurizio de Giovanni.

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CAMINITO un aprile del commissario Ricciardi

Ci sono romanzi  che sono poesie, raccontano storie succedono cose ma la sostanza rimane poesia.

Quella di un amore non corrisposto che non si arrende, non accetta di morire e si sublima in una musica che diventa una danza. Sensuale crudele affascinante, che anche se non la sai ti invade il corpo. Una danza che si accompagna a parole di rimpianto che nascondono una forza che a volte non sai di avere.

È poesia una stradina che diventa viaggio e meta, è una pietra elevata a panchina, una strada che può essere ovunque e ad ogni metro risveglia ricordi, riscalda il cuore di chi l’ha percorsa con accanto l’amore e lì, solo lì, ci parla e ascolta, come se fosse ancora fisicamente vicino. Perché l’amore risponde l’amore ascolta e asciuga lacrime che non finiranno mai.

La poesia di un mese ingannevole, con l’aria che parla di primavera, che ci si può nascondere dietro un cespuglio per  far l’amore e trovare la morte.

È poesia la paura di un padre che non sa se potrà proteggere la figlia da un’eredità che potrebbe averle involontariamente trasmesso, né da un futuro che è gravato da nuvole nere, in cui ogni parola può essere un pericolo, un futuro che potrebbe non esserci.   O quella di un padre disposto a mutilarsi perché un figlio possa avere il meglio. È poesia perfino un marcantonio vestito da Lady dei boschi                                                                               

Lo è la dolcezza di una bimba che fa ridere quel papà imitando la sua tata che comunica solo con proverbi in cilentano stretto e lo rende orgoglioso della sua intelligenza che un’amica preziosa sta curando.   

Questo e tanto altro è Caminito.

Un inno alla vita che va avanti prepotente a dispetto di tutto e si sente la necessità di de Giovanni o di Ricciardi (che pare sia uno stolker da manuale) di raccontare che la vita che non si può fermare. Non ci sono lutti che ci portino via chi abbiamo amato, non c’è paura che non si superi, non c’è nulla per cui non valga la pena di rischiare.

Poi c’è tutto quello de Giovanni ci ha abituato a trovare nei suoi romanzi, il giallo la Storia le cose di tutti i giorni, l’amicizia la Città, ma quello lo trovate nelle recensioni vere, questa è solo una dichiarazione d’amore a chi non avevo capito, mi fosse mancato tanto

UNA SIRENA A SETTEMBRE

Maurizio de Giovanni

La Signora prepara le verdure, le sceglie le monda le taglia, pronte a diventare parte integrante di piatti che doneranno consolazione placheranno la fame e nutriranno corpo e mente. Riempie secchi di fagioli di pomodori di patate, in uno gli scarti e in uno quello che verrà usato; non si sa chi godrà di quel cibo, lei va avanti senza fermarsi mai e intanto racconta a chi è arrivato fino da lei – e non è facile trovarla – per ascoltare. Ammalia la Signora, perché mentre le mani lavorano le sue parole ti portano sopra la città, ti mostra cose fatti persone situazioni che apparentemente non hanno nessun legame una con l’altra, ma momento dopo momento ti rende visibili  fili che le legano, come ogni piccola cosa prima o poi si incrocia con l’altra. Ed ecco che vediamo una ragazza costretta su una sedia a rotelle, praticamente segregata in casa perché il palazzo è vecchio e non c’è l’ascensore, eppure è felice, solo preoccupata per la fissa di suo fratello. In un altro quartiere c’è una donna che sogna ma è uno di quei sogni che poi ti restano appiccicati quando ti svegli e ti rovinano la giornata; ancora troviamo due ragazzi che scippano un anziana, ma la sfortuna è in agguato e lo scippo rischia di diventare un omicidio. Entrambi hanno una sirena tatuata su un braccio; e ancora, un programma tv in cui viene mostrata una scena agghiacciante, proprio lì, nei Quartieri, un bimbo si contende un pezzo di pane con un randagio. La penna di de Giovanni guidata dalla voce della Signora, unisce questi fatti, ha ragione la Signora, è tutto collegato. A partire dalla copertina questo libro è un inno, alla città che è madre, alla madre che nutre e sa, alla dignità che preserva dal degrado dei sentimenti anche se il degrado ti circonda. È poesia, quella che appartiene a ognuno e si nasconde sotto le difficoltà del quotidiano, dietro apparenti strati che formano un unico, fatto di dolori gioie frustrazioni risate. È qualcosa che ti spinge ad ascoltare, a cercare le connessioni, perché ci sono, ci sono sempre.

Stile Libero Big

pp. 272 – € 18,50 – ISBN 9788806248833

E finalmente torna Settembre (portandoci 12 rose)

Avete letto tutte le raccolte di Sellerio? Se sì (a meno che non siate fra quei disgraziati che saltano i racconti), avete già incontrato la dottoressa Settembre. Quarantaduenne assistente sociale nel centro storico di Napoli. Fra l’altro ex moglie di Claudio (lo ha lasciato lei per la cronaca) che di lavoro fa il magistrato, per cui, oggi per un motivo, domani per un altro, si incontrano spesso e se non c’è necessità reale, uno dei due la crea. La Nostra Mina, che all’anagrafe fa Gelsomina, è tornata dopo la separazione, a vivere con mamma Concetta. Ecco, perdonatemi ma io due o tre parole su questa donna le devo spendere. Credo che si posa definire una sorta di monito di Dio al mondo: “occhio che l’inferno esiste”. Un martello pneumatico in sedia a rotelle, preposta ad umiliare la figlia, che non dimentichiamolo ha commesso due errori, ha sposato il magistrato, che non è ricco, e poi si è anche separata. Il Concetta life style, prevede infatti che una donna non lavori e sposi un ricco che la mantenga. Mi taccio su come tratta le badanti, che secondo lei fanno quel lavoro solo perchè la Merlin ha chiuso le case a suo tempo. Ovviamente quel geniaccio di deGio ne ha fatto un personaggio diabolicamente divertente. Oltre alla mamma, Mina ha anche un problema fisico, piuttosto grosso, però non ve ne parlo, perchè se non l’avete ancora conosciuta è giusto che lo scopriate da soli. Sappiate che nel mazzo di rose che ci ha confezionato, l’autore ha messo anche, un ginecologo bello come Robert Redford, al punto che i trans, sostengono di avere la vaginite, un anziano portiere convinto, del tutto immotivatamente, di avere il fascino di Redford, ma che per Mina, o meglio per il suo problema, farebbe follie, le amiche pazzarielle che fra una nuova french manicure e un aperitivo, accettano allegramente di aiutare Settembre nel salvataggio della mamma e della ragazzina, per quanto possa essere pericoloso.
Potrei parlarvi del giallo, che stavolta tocca Mina molto da vicino, oppure del “caso” di cui si deve/vuole occupare come assistente sociale, che proprio privo di rischi non è, potrei raccontarvi delle 12 rose, ma no, non derogo alla regola, vi dico solo ordinatelo andate precipitatevi in libreria (ce lo trovate dal 29). Se poi avete ancora un po’ di magone per i saluti di luglio, Settembre, con un gran bel giallo e molte risate, vi risolleverà il morale, senza se e senza ma. A seguire (non so esattamente quando), la recensione vera su Mangialibri

Ci siamo, penultimo episodio – avete anche voi la Ricciardìa?

Che strana parola confessione, si fa e si riceve. “Io confesso, ti confesso, lascialo stare, lascia che viva” Queste le ultime parole di padre Angelo, gesuita, padre spirituale di molti, amato stimato rispettato, eppure ucciso in un sabato di maggio, davanti al mare, nel posto in cui andava a meditare e pregare. Parole che si imprimono nella mente di Ricciardi, intrecciandosi con il pensiero della confessione che lui stesso sente di dover fare alla donna che ama, rischiando di perderla o peggio di condannarla alla solitudine. Un’indagine complessa che coinvolge l’alta società partenopea e come spesso accade ha radici lontane nel tempo. Ma non è questo che cerchiamo in de Giovanni, il giallista (che peraltro in questo romanzo è prepotentemente bravo), è sempre il pretesto. Lui lo sa e ancora una volta, la penultima ahinoi, ci da quello che vogliamo, cesella un gioiello di pregio. Difficile dire qualcosa di nuovo sui romanzi di de Giovanni, difficile descrivere qualcosa che è sempre uguale eppure diverso, migliore del precedente. Maneggia le vite dei suoi personaggi con la precisione di un chirurgo, un bisturi affilatissimo con cui individua le parti “malate” e le asporta, dando ad ogni capitolo un pezzo di vita in più a quegli uomini e donne che ormai conosciamo, di cui sappiamo le debolezze e la forza, quelle persone che gli affidiamo ogni volta che arriviamo alla fine, perchè ce li restituisca felici. Credo che si diverta de Giovanni a vedere le fazioni schierate, ognuna a immaginare come far finalmente di Ricciardi un uomo completo, che accetta l’amore e si lascia amare, a immaginare Maione finalmente pacificato con il passato, il dottor Modo un po’ meno randagio. Credo anche che lui sappia cosa fare, lo dimostra in questo Purgatorio, che porta inevitabilmente ad un inferno o un paradiso. Qualcosa di indefinibile che comunque ci rimarrà dentro.

Applausi. Sipario, lo spettacolo continua e con de Giovanni tornano le rondini

                                                     Sento una certa attesa nell’aria