Cadaveri a sonagli

Lea e Nico sono due sbandati che si sono incontrati in un bar, qualche ora di sesso – sebbene a insaputa di lei lui abbia moglie e prole – e giorno dopo giorno il riconoscimento di chi non avendo niente a che fare con la moralità, li fa decidere che svaligiare ville è abbastanza redditizio e relativamente poco pericoloso. Fino a quella mattina (quella della quarta rapina), in cui Carla Maniero, una donna che nessuno ha mai amato, ma il cui patrimonio Gianni Romoli ha sposato, è inaspettatamente a casa. Mentre i due sono nella villa, totalmente ignari della sua presenza – è a letto da giorni per un’influenza e non l’hanno vista mentre facevano i sopralluoghi – Carla sente un cellulare squillare e scende dal letto avventurandosi al piano inferiore per vedere chi ci sia in casa. Preso alla sprovvista Nico non riesce a pensare niente di meglio di “ci dev’essere un malinteso” e poi colpirla non per ucciderla ma per renderla inoffensiva. In realtà la donna, pur sfuggendo al colpo, perde l’equilibrio e cade dalle scale e sembra morta, un osso le fuoriesce dalla spalla ed è in una posizione per cui è impossibile sia viva. Cinicamente Lea sale a frugare in cerca di oro soldi gioielli e intima al complice di togliere dal dito l’enorme smeraldo. Nico seppur sconvolto esegue, mentre stanno uscendo però, quell’informe fagotto riesce a sussurrare: “aiuto”.  Questo è solo l’inizio di una catena di eventi che coinvolge persone che si trovano dove non dovrebbero, altre dove non vorrebbero. Oppure come Dora Baròn, ispettore capo che prende servizio come comandante della stazione di polizia, proprio nel giorno in cui Santa Margherita delle Langhe si trasforma in un mezzo inferno. Per l’ennesima volta in queste settimane, devo ripete la stessa cosa, ci sono morti e qualcuno che li uccide, c’è un’indagine e dei poliziotti, ma non riesco a classificarlo come un giallo. Un noir piuttosto, dove Frascella evidenzia – se mi passate la citazione – la banalità del male. Uscendo dalla sua comfort zone di Barriera di Milano, il quartiere di Torino dove “opera” il suo detective Contrera, terra di mezzo dove ognuno fa i fatti suoi, leciti o illeciti che siano, dove si mescolano i disperati di mezzo mondo approdati per cercare una vita dignitosa e fagocitati dalla miseria dalla delinquenza, mostra tutta la sue qualità di noirista. Cambia anche la scrittura, si adegua a questo paesaggio di provincia dove intreccia le vite di gente comune, che probabilmente non si sarebbe mai incontrata, gente che si trova coinvolta a vario titolo in un episodio criminale che tira fuori da ognuno il peggio. O forse porta semplicemente in luce quella parte che giace nascosta in tutti noi, quella che si adegua alla civile convivenza, ma è pronta a prendere il sopravvento e approfittare delle circostanze per trarre un possibile vantaggio a spese degli altri. Epperò se posso, e non vedo chi me lo impedirà, vi dico che a me questa prova ha convinto molto più delle altre, che pure mi sono piaciute assai.

L’assassino ci vede benissimo – Garantisce Christian Frascella

A Torino, quartiere Barriera di Milano fa un freddo porco e Contrera svegliato da un sms di Mohammed, titolare della lavanderia a gettoni che in un angolo ospita un tavolino e due sedie che sono il suo ufficio, deve lasciare il caldo letto che spesso divide con Erica. Prima di uscire guarda con tenerezza i capelli rossi della donna, le sue lentiggini e pensa che quando sarà costretto a dirle quanto le sta tenendo nascosto, finirà tutto nel peggiore dei modi.
La sua ex moglie è rimasta incinta, così a tradimento, colpa di una serata piena di uno scadente vino rosso che li ha portati a consumare un rapporto senza senso.
Quando non dorme da Erica, è ancora lì che sopporta la convivenza obbligata con il cognato, da quando poi ha il sospetto che tradisca sua sorella, lo sopporta ancora meno. Un uomo questo ex poliziotto che ancora rimpiange amaramente il suo tradimento alla divisa, solo perché ha portato al disprezzo di suo padre. Investigatore privato sicuramente capace ma senza futuro, stavolta con la sua licenza di detective privato, dovrebbe convincere un pusher a lasciare la casa di sua madre, che l’ha lasciata al ragazzo che lo spacciatore ha messo su una sedia a rotelle, investendolo mentre guidava fatto e ubriaco. L’incarico glielo commissiona il fratello del disabile, una questione di giustizia. Il pusher la casa la lascia in effetti, ma solo perché qualcuno lo uccide risolvendo il problema alla radice. Naturalmente il tempismo che caratterizza la vita di Contrera, fa sì che sia lui a trovare il cadavere.
Ad ogni romanzo Frascella definisce un po’ di più la figura di un uomo che ha mille sfaccettature, uno che sembra l’emblema della sfiga e della capacità di andarsela a cercare. Però in fondo, nonostante i pochi scrupoli, una morale tutta sua, risulta essere una brava persona, uno che ha capito l’inutilità di combattere contro la vita e fa del suo meglio (che spesso non è abbastanza), per pararne i colpi. Frascella è decisamente bravo nel raccontare l’umanità, quella che sta un po’ ai margini (Barriera di Milano non è esattamente un quartiere elegante e residenziale), nel descrivere un mondo di rapporti umani ideale, dove ognuno è quel che è e per tale viene accettato dagli altri. Purtroppo vien da dire, sono solo romanzi e la morale comune, si infastidisce per principio nel dare per buono piaccia o no, che al mondo e in particolare sotto casa, la norma sia che dietro la porta accanto a quella dell’idraulico, viva tranquillo il pusher. Ma così va il mondo oggi e così ce lo racconta.

Da Mosca all’Alto Adige o viceversa

Ancora un consiglio doppio, perchè siamo onesti, chi ama leggere ama anche variare genere trovare cose nuove e soprattutto avere tanti libri.
Il primo consiglio è un romanzo strano, la recensione la trovate su Mangialibri, se comunque avete letto e amato Bulgakov Gogol e arrivo ad accostargli anche Kafka perchè sono una donna esagerata, non fatevi scappare Il violista di Orlov. Una storia che va oltre il fantasy arriverei a definirlo onirico e visionario, la vita di un uomo con qualcosa in più (è per metà figlio di un demone) che però usa i poteri in modo del tutto diverso da come ci si aspetterebbe. A me è piaciuto davvero tanto, l’unica avvertenza è di non fissarvi sui nomi dei millemila personaggi che circondano Danilov, fra nomi cognomi patronimici soprannomi, potreste perdervi (a me fino ad un certo punto è successo).

Col secondo suggerimento torniamo in Italia, grave lacuna della sottoscritta che si era persa Luca D’Andrea, ho rimediato leggendo Il respiro del sangue, ottimo giallo con un protagonista, Tony Carcano, che ha una storia mediamente triste ma niente di troppo drammatico, che gli ha dato la spinta per diventare uno scrittore, che essendo cresciuto in quartiere difficile di Bolzano (avreste detto che anche lì ce n’è uno?), si è fatto crescere le palle ma senza bisogno di esporle, ha fatto maturare il suo senso dell’umorismo senza farlo diventare troppo invadente e dulcis in fundo, gira con un san bernardo da 110 kg. Racconta D’Andera di strane cose, di quella “magia” che spesso si trova in montagna, a cui troppo spesso si ispira la gente per fare delle realissime cose brutte.

Week End sulla spiaggia? I consigli di lettura di Coleichelegge

Bene, il caldo è arrivato e si cominciano in fine settimana in giro, ma io che conosco i miei polli, so che senza un libro (o il reader), non andate da nessuna parte, quindi cominciamo con qualche consiglio. Tutta roba buona buona e per tutti i gusti
Per questo ci vuole più di un fine settimana, son 664 pagine, ma state sulla fiducia.
Otto ragazze e qualche ragazzo, compreso Chris Harper, trovato col cranio fracassato nel giardino, tutti distribuiti fra il St Kilda (la scuola femminile) e il St Colm (quella maschile), collegi privati prestigiosi e contigui. Anche se le indagini al momento dell’omicidio non hanno portato a niente, la foto di Chris con scritto “io so chi è stato”, trovata da una delle ragazze sulla bacheca del Posto segreto, a distanza di mesi e portata al detective Moran, conferma che lì va cercato il colpevole.
Ve le ricordate le amicizie di scuola e dei cortili? Apparentemente indissolubili – che non lo sono lo scopriamo poi da grandi – quando le vivi sono tutto. La famiglia che ti scegli, incastri perfetti di equilibri fra caratteri diversi e complementari che diventano un unico organismo e come tale reagiscono a qualunque tipo di “aggressione” esterna. Individuato il pericolo, esterno o interno che sia, gli anticorpi attaccano per difendere lo status quo. La French, per mezzo della detective Conway e il detective Moran, indaga ogni cellula di quell’organismo, la difficoltà sta nel fatto che ognuna di loro, cambia forma e diventa altro da sè a seconda di quello che suppone essere necessario a preservare il gruppo. Un’indagine psicologica da leccarsi i baffi, un tuffo nel mondo degli adolescenti che definire agghiacciante è poco.

Malvaldi – Ghammouri

Un corso di scrittura all’interno del carcere di Pisa e il buon vecchio Malvaldi, ti scova del talento in un uomo che da lì, non potrà uscire per molti anni, sta scontando la pena per un omicidio e conscio del peso di quanto commesso, ha messo a frutto il tempo, scrivendo un libro, Vengo dal sud oltre l’orizzonte (di cui lo stesso Malvaldi ha scritto la prefazione), e ha contribuito a questo nuovo romanzo. Fatta questa doverosa premessa passiamo a parlare di questa nuova fatica, Il vento in scatola (in libreria dal 9 maggio). Salim Salah, brillantemente laureato in economia, arriva dalla Tunisia in Italia e lo conosciamo come ispettore di volo ENAC. Un bel salto eh, non si capisce neanche quanto conveniente poi, cioè, facendo trading rischi anche di fare dei bei soldini – anche se a onor del vero, la finanza islamica si basa su principi un tantinello diversi da quelli che conosciamo, ma tant’è. Che poi a rifletterci, chissà se lo spiegassimo che so, all’Arabia saudita? Pensaci Malvaldi vah -Torniamo a bomba che se mi distraggo è finita, come diavolo è successo un cambiamento così radicale (che comprende peraltro anche un nome nuovo di zecca)? E niente, si vede che studiare Leonardo per il romanzo precedente, l’avete letto tutti vero? All’uomo di Vecchiano gli si sono lubrificate ulteriormente le già diaboliche cellule grige, perchè, state sulla fiducia fino a quando non lo avrete letto, ha messo insieme una trama micidiale. Un giallo (perchè noi lo sappiamo che è un giallo), senza morto e che si svolge all’interno di un carcere. Poi così, per inciso, il fatto che il nostro tenga o abbia tenuto, dei corsi di scrittura in carcere, fa pensare che la scelta della location non sia casuale e che sempre per le celluline di poirottiana memoria, abbia capito che quel che racconti sorridendo o facendo sorridere, sedimenta meglio nella testa e nel cuore. Se come mi capita spesso di dire, a qualche autore mi abbandono fiduciosa nella poesia che troverò, a qualche altro con la soddisfazione di lasciarmi stupire, a Malvaldi mi abbandono felice al rincoglionimento. Pascolo felice dalla prima all’ultima riga, capendo qualcosa qua e là, sapendo con certezza che il risultato finale mi lascerà satolla e soddisfatta. Esce stamattina ve l’ho detto, hop hop via in libreria

Estate, cosa c’è di meglio che prendere al volo un Torpedone? Magari trapiantati

Lo conoscete Francesco Abate? Si dai, è quel sardo praticante che ha scritto insieme a Carlotto con Mi fido di te, poi ci ha fatto morir dal ridere con Mia madre e altre catastrofi e non solo. Ah è anche quello che su Fb ci racconta le sue disavventure da trapiantato. Sì è uno degli uomini che ha ricevuto una seconda vita (adesso è un po’ in pensiero perchè pare che i trapiantati abbiano una data di scadenza 😀 ). Uno dei pochi che ha il coraggio di parlarne col sorriso, un sorriso a volte velato di tristezza, quando ricorda Cinzia, la donna che lo ha rimesso al mondo, un sorriso divertito quando ci parla della sua vita con (mi pare) 15 pastiglie al giorno. Sorride e si sente quando parla di sua moglie di sua figlia di sua madre e di signora Corrias, ma anche quando ci racconta della fatica, sua e dei Fratelli, nell’affrontare ogni giorno una vita che deve essere davvero difficile, ma è vissuta come il regalo più grande. C’è un dolore terribile nelle sue parole, lo si intuisce solo però, c’è il dolore per chi non ce l’ha fatta, per chi ogni giorno condivide con lui/loro, la vita nuova. C’è un rispetto enorme per la vita, un rispetto che Abate manifesta con allegria, con grazia (e con Grazia), insegnandoci davvero tanto. Immancabile il Fratello che non c’è più e che molti di noi/voi, ricordiamo con un affetto immenso, il suo compagno di lavoro e di attesa, Severino Cesari. Lo so del libro non vi ho detto niente, ma voi state sulla fiducia e portatevelo in vacanza, o in tram se siete ancora al lavoro. Vi divertirete (molto), vi commuoverete (un po’), penserete e poi alla fine mi ringrazierete per avervelo consigliato, e ringrazierete lui per averlo scritto. Bè, perchè no, anche Einaudi che lo ha pubblicato.

Ci siamo, penultimo episodio – avete anche voi la Ricciardìa?

Che strana parola confessione, si fa e si riceve. “Io confesso, ti confesso, lascialo stare, lascia che viva” Queste le ultime parole di padre Angelo, gesuita, padre spirituale di molti, amato stimato rispettato, eppure ucciso in un sabato di maggio, davanti al mare, nel posto in cui andava a meditare e pregare. Parole che si imprimono nella mente di Ricciardi, intrecciandosi con il pensiero della confessione che lui stesso sente di dover fare alla donna che ama, rischiando di perderla o peggio di condannarla alla solitudine. Un’indagine complessa che coinvolge l’alta società partenopea e come spesso accade ha radici lontane nel tempo. Ma non è questo che cerchiamo in de Giovanni, il giallista (che peraltro in questo romanzo è prepotentemente bravo), è sempre il pretesto. Lui lo sa e ancora una volta, la penultima ahinoi, ci da quello che vogliamo, cesella un gioiello di pregio. Difficile dire qualcosa di nuovo sui romanzi di de Giovanni, difficile descrivere qualcosa che è sempre uguale eppure diverso, migliore del precedente. Maneggia le vite dei suoi personaggi con la precisione di un chirurgo, un bisturi affilatissimo con cui individua le parti “malate” e le asporta, dando ad ogni capitolo un pezzo di vita in più a quegli uomini e donne che ormai conosciamo, di cui sappiamo le debolezze e la forza, quelle persone che gli affidiamo ogni volta che arriviamo alla fine, perchè ce li restituisca felici. Credo che si diverta de Giovanni a vedere le fazioni schierate, ognuna a immaginare come far finalmente di Ricciardi un uomo completo, che accetta l’amore e si lascia amare, a immaginare Maione finalmente pacificato con il passato, il dottor Modo un po’ meno randagio. Credo anche che lui sappia cosa fare, lo dimostra in questo Purgatorio, che porta inevitabilmente ad un inferno o un paradiso. Qualcosa di indefinibile che comunque ci rimarrà dentro.

Mio caro serial Killer – Ti (DE)scrivo così mi distraggo un po’

L’abbiamo letta nelle ormai mitiche raccolte a tema di Sellerio, ma un romanzo tutto intero mancava da un po’. A memoria credo un lustro poco più poco meno; Alicia Gimenez Bartlett ci regala una Petra Delicado che personalmente ho trovato un po’ cambiata, in meglio se posso dire la mia (e voglio vedere chi ha il coraggio dire che non posso).
La trama lo sapete già che non sto a raccontarvela, vi dico giusto che per la prima volta, come forse si evince dal titolo, l’ispettore Delicado si trova ad affrontare un serial killer. Lo fa ovviamente con il fido Fermìn Garzòn e l’ingerenza, o almeno così la vivono inizialmente, di un giovane ispettore dei Mossos, tale Roberto Fraile. Vuoi perchè in qualche modo l’ispettore prende il comando della situazione, vuoi che si sente spodestata da un uomo con almeno una ventina d’anni meno di lei e che per giunta adotta la tecnica dei profiler, che contrasta con il buon vecchio metodo a cui lei e Garzon sono abituati, vuoi che l’idea di un serial killer la disturba molto più di un semplice assassino, le indagini partono quasi con un muro contro muro. Sarà la tecnica di Roberto che si fa portare gli hamburger in ufficio, e spulcia nei computers e nei tabulati o saranno le intuizioni della coppia Delgado- Garzon, che perlopiù arrivano fra una tapas e una birretta, a dare la svolta? Questo ve lo scoprite da soli.
Io nel frattempo vi racconto di questa donna che improvvisamente vede nello specchio una cinquantenne con la sua faccia e si chiede se sia un incantesimo malefico o cosa. A questa ignobile scoperta, Petra reagisce con insolita leggerezza, concedendosi una benefica sosta al centro estetico. L’ho trovata cambiata dicevo, nonostante il caso sia parecchio tosto (ma si sa che la Bartlett, un donnino delizioso e dolcissimo, può raccontare cose trucissime), a dispetto di quello scherzo crudele giocatole dallo specchio, è come alleggerita, per carità, non che sia mai stata pesante, ma ha sempre avuto, o almeno io ce l’ho sempre trovata, una certa severità che qui ho percepito mitigata. Le schermaglie verbali con Garzòn, forse per reazione all’invasore che sembra essere tutto d’un pezzo, mi sono sembrate più simili a sciabolate che a duelli in punta di fioretto. Mi è parso che anche il rapporto familiare abbia beneficiato di questa maturazione (perchè poi alla fine di questo eventualmente si tratta), certo che anche la suocera e i figli vogliano partecipare alle indagini e quasi ci riescano, non mi pare fosse mai successo. Se non lo avete ancora fatto leggetelo, se potete venite al Salone per ascoltarla di persona, in ogni caso godetevela perchè autrici che scrivono ottimi gialli, facendoci anche ridere e pensare, non ce ne sono poi tantissime.

Fiori sopra l’inferno

Quando si tratta di successi (editoriali cinematografici o televisivi che siano poco importa) annunciati a scatola chiusa, io qualche perplessità ce l’ho sempre, parto prevenuta mi spiace. In questo modo ho affrontato (si fa per dire), Fiori sopra l’inferno, il romanzo d’esordio di Ilaria Tuti pubblicato da Longanesi. Difetti ne ho trovati a iosa ma c’è un ma. La proprietà di linguaggio e l’apparente leggerezza con cui l’autrice descrive i paesaggi e le situazioni con cui inizia il romanzo, sono davvero notevoli, con naturalezza (ecco perché parlavo di apparente leggerezza), le parole scivolano una via l’altra oliate a perfezione e a parer mio è già un punto a favore della Tuti. La storia fila liscia, lascia intuire chi possa essere il colpevole, o perlomeno da dove venga, ma per scoprirlo ci sono solo gli stessi indizi che ha la polizia. E arriviamo ai personaggi, belli, belli i bambini che hanno un ruolo fondamentale e oserei salvifico, bella la squadra di poliziotti che teme e protegge il commissario Battaglia, una donna non più giovane, burbera sarcastica quasi cattiva in certi momenti, ma che nasconde, o almeno tenta di farlo, un cuore tenero e spaventato ( a buona ragione) dal futuro. Una donna che non si lascia spaventare dal “mostro”, che ha raggiunto delle consapevolezze fondamentali per fare il suo lavoro. Splendide le descrizioni di paesaggi che ben conosco e amo, anche se non capisco il perché inventarsi un paesino che non esiste, un non luogo che forse ricorda , come del resto le situazioni, altri autori di ben più lungo corso. Insomma lasciando da parte le mie personalissime remore su tante cose, questo primo romanzo passa a pieni voti l’esame ed entra a buon diritto nel panorama noir italiano. Buona lettura