NATURA MORTA

Louise Penny

Non sono così addentro ai meccanismi editoriali da sapere come funzionano gli acquisti delle Case Editrici per quanto riguarda gli autori stranieri, ma devo dire che mi incuriosiscono molto. Perché mai di Louise Penny, il primo (cronologicamente parlando) è stato pubblicato in Italia per ultimo? Mah, misteri insondabili dei diritti e dell’editoria.

No perché noi che l’abbiamo letta abbiamo legato inevitabilmente Gamache a Three Pines, e invece no, in Natura morta scopriamo che lì, in quel minuscolo paesino, il nostro ispettore capo della Suretè du Quebec ci è arrivato per un omicidio, sull’indagine ovviamente non vi dico nulla se non che la vittima era una colonna portante di quella piccola comunità e i suoi amici sono gli stessi che poi abbiamo imparato a conoscere. Oh per carità potrei essermi distratta io, ma non ricordo in quale romanzo i coniugi Gamache hanno lasciato la città per trasferirsi a Three Pines. Ciò detto, ma quanto sono belli ‘sti romanzi, qualcuno di più qualcuno di meno com’è ovvio che sia, ma in generale non saprei dire. Personalmente ho amato tantissimo I diavoli sono qui e Un uomo migliore, ma mi sono piaciuti tutti.

Se non l’avete ancora incontrata, procuratevi questo che è l’inizio di tutto e poi vi fate un giro su wiki e procedete in ordine cronologico (nel caso aspettando che siano tradotti o prendeteli in lingua originale mentre aspettate). Se invece l’avete già incontrata, bè, andate avanti seguendo la pubblicazione, la goduria è comunque garantita, sia a Montreal che fra i boschi intorno a Three Pines.  Un’immersione nei colori nelle atmosfere ovattate, nei rapporti umani pieni di bellezza, che dal momento che parliamo di gialli, mi rendo conto sembra un controsenso, ma leggete e poi mi saprete dire.

LA CARROZZA DELLA SANTA

CRISTINA CASSAR SCALIA

Se a Palermo si invoca e si onora Santa Rosalia, i catanesi li protegge la Santuzza ovvero sant’Agata e ormai sappiamo che pur restando palermitana inside, la nostra Vanina Guarrasi ormai ha imparato ad amare la città che pur essendo a poche ore di auto le ha permesso almeno per un po’ di stare lontano dalla mafia. I festeggiamenti durano tre giorni, con la Santa che viene portata in processione per poi tornare a vegliare su Catania fino al febbraio successivo. Com’è che diceva quel proverbio? La curiosità uccise il gatto o qualcosa del genere, le due studentesse francesi che stanno finendo l’esperienza dell’Erasmus, per la curiosità e la coincidenza che Palazzo degli Elefanti – dove ha sede il municipio – momentaneamente sguarnito di vigilanza abbia i portoni aperti, non muoiono, ma appena entrate sbirciando da vicino la Carrozza del senato – che Vanina continua imperterrita a chiamare della Santa – trovano il corpo di un uomo sgozzato. Alla Guarrasi e la sua squadra il compito di scoprire chi abbia incarnato la curiosità uccidendo il ricco e chiacchierato Vasco Nocera.

Dopo qualche giorno di decantazione posso dire che secondo me è il miglior romanzo della serie. La scrittura è quella dell’inizio, scorrevole e pulita, senza sfoggio di ricercatezza (che non è significa povera, anzi)  vivacizzata da qualche pezzo di conversazione dialettale (poco palermitano e tante catanesate, come le chiama Vanina). In realtà volendo spiegare perché mi sia piaciuto particolarmente mi accorgo che non c’è in effetti una ragione specifica; a prescindere dalla trama gialla che è ottima forse, almeno ai miei occhi è il romanzo in cui la Cassar Scalia ha “indovinato” perfettamente l’equilibrio in termini di presenza di “interventi” di battute. Nessuno primeggia, le vicende personali le intuizioni le scoperte, insomma tutto dosato alla perfezione. Non è che negli altri questo mancasse ma a volte un’apparizione di troppo  di uno o dell’altro, una riflessione o descrizione in più, che ne so, resta il fatto che la squadra, in cui è ovviamente compresso Patané, ha un’armonia che si integra al millimetro con Paolo la famiglia di Vanina con Bettina e financo con i dubbi che dal primo romanzo attanagliano il vicequestore. Menzione speciale per Giuli la Bonazzoli e Macchia.

Insomma, leggetelo che non vi pentite. Promesso.

UN SALTO A CASA DELLE ASSASSINE

  • Della piccola casa editrice tutta femminile vi ho già parlato più volte, lo rifaccio segnalando qualche titolo perché                                                                                                
  • 1 –  i titoli che segnalo li ho letti e valgono sia il tempo che il denaro, li raggruppo in un articolo unico perché – come mi pare di aver già detto – il tempo è poco e i libri tanti.
  • 2 – anche questo l’ho già scritto ma repetita juvant, Tiziana Prina, fondatrice e cacciatrice di romanzi, ha un gran fiuto e in questi anni dove anche i romanzi  dei nomi più grossi, salvo pochissimi, fanno fatica a restare a galla, anche un gran coraggio, ha scelto di pubblicare solo autrici, andando a pescare nel passato con la collana Vintage e portando in Italia autrici da tutto il mondo, anche da quegli angoli che normalmente non colleghiamo, noi lettori normali, alla letteratura, le autrici di Oltreconfine. E se posso scrivere una piccola cattiveria, e mò vedemo chi me lo impedisce, delle tante difensore delle donne a oltranza che vedo sui social, non ne ho viste incoraggiare e sostenere una CE così particolare. Cià che passo ai libri

Crimini di prima classe Elizabeth Gill

Classe 1901 americana, racconta di un delitto avvenuto a bordo di una nave in viaggio dall’Inghilterra agli Stati Uniti. Già visto già letto? Sì, ma scritti molto dopo e ambientati nel passato, qui la scrittura è attuale (per l’epoca) e l’ambientazione abbastanza fresca e nuova.  L’indagine non è svolta da un poliziotto ma da un passeggero, le domande a partire dal perché una simpatica e bonaria signora sia stata uccisa, sono tante i moventi si moltiplicano e il tempo per assicurare alla giustizia un assassino prima che sbarchi nella Grande mela, si consuma velocemente.

Un colpevole in giuria

Ruth Sanborn

La signora qui invece è nata nell’800 addirittura, tre romanzi e un centinaio di racconti nel curriculum. Siamo in pieno proibizionismo (con tutto quel che ne consegue nei sotterranei) e alla sbarra c’è una donna accusata di aver ucciso l’amante. In giuria c’è la terribile e potente mrs Vanguard che tutti temono, quasi tutti, il perché lo scoprite dopo che qualcuno l’ha uccisa. Con subdole manovre ha tenato di influenzare i pochi innocentisti ma evidentemente qualcuno dei giurati non ha gradito. Il romanzo è una via di mezzo fra il delitto della camera chiusa e un resoconto coinvolgente dove i colpi di scena si susseguono con un ritmo insolito per l’epoca. Personaggi variegati e uno alla volta segreti – qualcuno di pulcinella – che vengono alla luce svelando insospettabili intrecci e moventi come se piovesse. Non posso che consigliarvelo. Buona lettura.

SENZA DIRCI ADDIO

Cominciamo col dire che pur essendo il terzo romanzo che racconta quanto accade nella vita dell’ex cronista di nera Dario Corbo, si può tranquillamente leggere senza avere letto i precedenti è assolutamente autoconclusivo. Certo c’è da chiedersi perché negarsi il piacere di leggere dei gran bei noir (nella mia definizione romanzo giallo che non necessariamente vede indagare le Forze dell’ordine e lega le indagini alla società tutta, non al singolo). La narrazione iniziata con La ragazza sbagliata e proseguita in Come una famiglia vede Corbo che lavora con la donna che quando era cronista ha “seguito” come assassina – uscita di prigione e impegnata nel “riordino” del lavoro del padre che era un notissimo artista – che cerca di supportare il figlio con cui ha un rapporto conflittuale, specie dopo la separazione che è accusato di un reato piuttosto pesante, restare vedovo e tentare disperatamente di fare chiarezza su quello che non crede assolutamente essere un incidente. Una storia tosta, in cui l’autore non fa sconti a nessuno e tantomeno a se stesso. La prosa di Simi è scorrevole leggera nonostante i temi toccati siano tosti. Parlo di temi perché le trame sono tante e di conseguenza sono tanti i personaggi che a vario titolo si alternano nella vicenda. L’ironia che quasi naturalmente attribuiamo ai toscani, in Corbo è presente ma addolcita rispetto ad altri corregionali. Un romanzo da non perdere e come dico sempre, Sellerio non ne sbaglia uno e il blu sta bene su tutto quindi che abbiate delle bianche Billy o delle classiche librerie color legno, un salto in libreria ci sta.

AMOR CHE NULLO AMATO…

Quale posto migliore dell’orto botanico per un incontro che è meglio rimanga segreto? Lei adulta lui un ragazzino, ma si guardano con un amore infinito, Questo è quello che vede un giardiniere dell’Orto, che in realtà li tiene d’occhio per evitare che come spesso capita, si infrattino rovinandogli qualche pianta. Lei una meraviglia dai lunghi capelli scuri, lui un biondino delicato a cui manca poco per diventare maggiorenne. Ma quell’incontro non è un semplice rendez vous, è il preludio di una scomparsa che da la stura a una marea di ipotesi pettegolezzi chiacchiere e pruriti, perché Viviana è un’insegnante – sui quaranta – nell’istituto privato che frequenta Davide il quale peraltro, lascia un messaggio alla famiglia, due semplici parole: non cercatemi. Ma come si può immaginare la caccia, soprattutto quella mediatica, parte pressoché immediatamente. Temperante Cagnaccio lancia le sue donne, Smilza in testa e le Cairati al seguito, di nuovo in giro per l’Italia, alla ricerca della dark lady e del ragazzino. E ne scoprono di cose, segreti sepolti che inevitabilmente prima o poi saltano fuori, non senza che la sapiente arte della Teruzzi li fonda con i segreti di Iole (anche se ormai tanto segreti non sono più) e con la vita privata (le piacerebbe) di Libera. Vittoria in questo capitolo praticamente non si vede, ma fa la sua parte per incasinare la vita della nostra ex libraia e farla preoccupare, tanto più che dovrebbe coinvolgere Gabriele che sul lavoro di grane ne ha di suo. C’è meno leggerezza forse che nei precedenti, ma d’altra parte il tema è delicato. Buffa questa cosa, ho scritto lo stesso parlando del romanzo di Manzini, ma evidentemente le vicende del mondo quali che siano, incidono sugli umori anche di chi racconta. Ciononostante le incursioni nel giallo delle miss Marple, riescono ad essere appassionanti soprattutto perché le loro vicende personali si arricchiscono di libro in libro e grazie alla delicata ma decisa e sapiente scrittura, la voglia di sapere dei lettori, si attizza. Che poi diciamolo, il lago è lì, il casello anche, Rosa datti da fare.

UNA COSA DA NASCONDERE

Il romanzo precedente è uscito nel 2017, potete immaginare la voglia di metterci sopra le mani e divorarselo, finalmente arriva il momento e mannaggia la pupazza a pagina 50 meditavo il lancio dalla finestra, a pagina 98 o giù di lì, ero certa che lo avrei lanciato. Due cosi indescrivibili (sì sì ho deciso di non usare il turpiloquio ma avete capito di che cosi parlo).  Una Londra che di solito non trovo nei libri, e già un po’ mi son sentita spiazzata,  dei miei amati non c’è traccia, in compenso ci sono delle descrizioni che farebbero imbestialire i santi. Ovvio che un attimo prima dell’abbandono, suppongo non per caso, sono entrati in scena i nostri e lì ho pensato che volevo proprio vedere come diavolo avrebbe intrecciato le storie. La George è quel che in America si chiamerebbe un fottuto genio. Alla fine il risultato è che ti bevi le rimanenti 400 pagine senza fermarti e alla fine ti esce un’esclamazione che userebbe Rocco Schiavone se qualcuno gli dicesse di aver fatto 6 al superenalotto. Sempre per evitare, inizia per m e finisce per i.

Stabilito che se già amate l’autrice qui la adorerete e se non la conoscete dovete darvi una mossa perché è una lacuna brutta, mi scappa una riflessione su come sia facile fare una cosa sbagliata nel tentativo di farne una giusta. Seguo la George sui social, è una dem molto attiva, a volte rasenta la violenza nelle sue esternazioni contro i repubblicani. Ovviamente è attivissima anche sul fronte razzismo, nel senso che è giustamente contro. Ecco secondo me qui, nel romanzo intendo, cercando (al di là del giallo che è magistrale), di far comprendere, di avvicinare i suoi lettori alla cultura africana, nigeriana nello specifico, cercando di sottolinearne la parte sana, e se leggerete il libro capirete cosa intendo, ottiene l’effetto opposto. Il bene non fa notizia, il bene non ti resta impresso, l’eroe buono lo dai per scontato. In compenso l’orrore di certi atteggiamenti di retaggi culturali che purtroppo resistono a qualunque tentativo di civilizzazione, ti resta impresso a fuoco. Il ritratto dei nigeriani ma in generale dei neri che vivono in Inghilterra (ma potrebbe essere l’America o l’Europa), che esce dalle pagine, è proprio brutto. Gente che non vuole integrarsi, che vede in chiunque non sia nero un nemico, qualcuno da sfruttare ma tenere lontano, i bianchi vanno disprezzati a prescindere e se ti sembrano amici, fingono. Davvero sgradevole nel complesso nonostante alcuni dei protagonisti neri siano assolutamente positivi. Spero e suppongo che abbia un po’ calcato la mano, ma il fatto che spesso, anche in Italia, se muovi qualunque osservazione, che niente ha a che vedere col colore, i neri si “difendono”dandoti del razzista, temo che non sia così distante dalla realtà.

Ferma restando quindi l’ammirazione per la scrittrice, che ripeto e ribadisco è grandiosa, mi resta la perplessità sul resto, su come nessuno dell’enorme staff di collaboratori, si sia posto il problema che  chi ha nell’animo anche solo una briciola di razzismo, leggendo questa storia si sentirà legittimato a sentirsi superiore, avallato nel suo considerarsi migliore e questo devo dire, mi dispiace assai.

Le sultane

  Marilù Oliva

La nuova copertina

Solferino ha ripubblicato un romanzo del 2016, e devo dire ha fatto bene, a questo link trovate la recensione che feci a suo tempo per Mangialibri, oggi ve ne riparlo qui saccheggiando qualche spunto da quel che avevo scritto. Il resto viene facile perché riconoscendo la bravura di Marilù nello spaziare e cambiare mood, Le sultane è forse il suo romanzo che mi è piaciuto di più. È saturo di cattiveria, quella che di solito non vediamo ma si annida inesorabilmente in molte persone anziane, quelle che purtroppo per loro non sono riuscite a godersi la vita o non accettano che la stessa abbia per tutti a stessa destinazione.  Wilma Mafalda e Nunzia, sembrano tre innocue anziane signore che abitano a Bologna – case popolari – ed elargiscono consigli non potendo più dare il cattivo esempio, purtroppo il destinatario dei consigli è spesso quello sbagliato. Fra una chiacchiera e un tè, il dramma di Wilma a cui è morto un figlio e non riesce più ad avere nessun rapporto con la figlia rimasta, la parsimonia (perché mi piacciono gli eufemismi) di Mafalda e la malattia di Nunzia la vita sembra procedere normalmente, finché una mosca, sotto forma di lamentela per il ticchettare dei tacchi sul pavimento, non salta al naso di Wilma. Nessun giudizio, nessuna lezioncina morale, solo la descrizione perfetta della miseria che può raggiungere l’essere umano, sì, anche quello che potrebbe essere il nostro vicino di casa o perché no noi stessi. Il ritratto spietato di una terza età che in genere si tende a sottovalutare (da tutti i punti di vista), la fotografia di quanto possa essere incredibile l’essere umano, angelo e demone senza soluzione di continuità, ricettacolo dei sentimenti più diversi e insospettabili. E se vi state chiedendo, ma ve lo dico comunque quindi risparmiatevi la fatica, perché sia il romanzo che più mi è rimasto, è presto detto. Si ride, amaramente molto amaramente ma si ride e si toccano vette di cinismo che Hannibal Lechter levate proprio. Vabbè, se vi è sfuggito nel 2016, leggetelo adesso che è rimasto perfetto. Ah e ricordatevi che non faccio mai citazioni a caso.

LA PIOGGIA

Piernicola Silvis

Di Piernicola Silvis vi ho già parlato quando ho consigliato Storia di una figlia, quello era uno stand alone, qui invece, sotto La pioggia – cosa sia lo scoprirete leggendo – ritroviamo Lorenzo Bruni, già protagonista di Formicae  La lupa e altri romanzi di alto livello. Bruni è un poliziotto, dirige una divisione dello SCO, ma non è uno che sta dietro una scrivania, no. Che si trovi a dover scovare un serial killer o a dirigere e organizzare indagini che coinvolgono altri reparti della Polizia, lui è per strada, con i suoi uomini e le sue donne, con la sua voglia di vedere finalmente coincidere Legge e Giustizia. Nonostante la carriera gli spostamenti su e giù per la penisola e la frequentazione ormai quotidiana e stabile con quei livelli che stanno a cavallo fra Forze dell’ordine e soggetti politici, è rimasto un ruvido bergamasco caratterizzato dalla cocciutaggine della gente di montagna. Uno che non si ferma.

Non lo fa nemmeno questa volta, quando richiamato a Roma dal Capo, gli viene chiesto di indagare sulla morte di un ragazzo (per overdose) la cui fidanzata, una ragazzina, è in coma per il buco con la stessa roba, ma soprattutto è la figlia seguita ma non riconosciuta di un pezzo da 90 che lavora con il governo. La faccenda appare subito grossa e si fa strada l’idea di poter dare un serio colpo alla più grande potente e infiltrata organizzazione criminale, che sta organizzando qualcosa di tremendamente grosso e pericoloso. Se ne parla sempre poco di ‘ndrangheta, eppure è più potente della sua ben più “famosa” mafia, molto più crudele della Camorra. Strisciante silenziosa, con accordi che vanno dalla microcriminalità alle organizzazioni delinquenziali di tutto il mondo. Capace di infiltrarsi nello Stato – e questa purtroppo è realtà non fantasia – con delle regole rigidissime. La ‘ndrangheta calabrese non ha onore che non sia il suo, non ha dio che non sia il denaro né nemico che non sia il potere (quello che ancora non ha). Il suo scopo è raggiungerlo, diventare il potere come mezzo per fare ancora più denaro. Non esiste famiglia, non esiste nulla di sacro e intoccabile.

Silvis ha costruito una storia orrendamente bella. Oltre che sull’indagine (che si potrebbe dire si vabbè, ha ricoperto tutte le cariche, gli manca giusto di essere stato prefetto, cosa ci vuole? Eh, ci vuole che non puoi mica raccontare qualcosa che è successo davvero se scrivi un romanzo), ha puntato l’attenzione sulle donne, figure forti strazianti e indimenticabili, vittime che non ci stanno ad essere sacrificali e hanno una forza incredibile, diventano spietate come armi che una volta caricate non si possono fermare. Ha una scrittura che ti tiene lì sulle pagine, che non sono poche, senza mollarti mai. È un romanzo durissimo in cui peraltro si apprezza l’ottima padronanza della penna, mai splatter nonostante le situazioni non manchino, mai volgare, senza strappi. Se non vi ho convinti che vale la pena leggerlo, fatemelo sapere, vuol dire che non sono riuscita a dirvi quanto è bello e devo mettermi a fare altro. Ah, l’autore lo trovate se siete al Salto21, sabato 16 ottobre alle 13.30

UNA SIRENA A SETTEMBRE

Maurizio de Giovanni

La Signora prepara le verdure, le sceglie le monda le taglia, pronte a diventare parte integrante di piatti che doneranno consolazione placheranno la fame e nutriranno corpo e mente. Riempie secchi di fagioli di pomodori di patate, in uno gli scarti e in uno quello che verrà usato; non si sa chi godrà di quel cibo, lei va avanti senza fermarsi mai e intanto racconta a chi è arrivato fino da lei – e non è facile trovarla – per ascoltare. Ammalia la Signora, perché mentre le mani lavorano le sue parole ti portano sopra la città, ti mostra cose fatti persone situazioni che apparentemente non hanno nessun legame una con l’altra, ma momento dopo momento ti rende visibili  fili che le legano, come ogni piccola cosa prima o poi si incrocia con l’altra. Ed ecco che vediamo una ragazza costretta su una sedia a rotelle, praticamente segregata in casa perché il palazzo è vecchio e non c’è l’ascensore, eppure è felice, solo preoccupata per la fissa di suo fratello. In un altro quartiere c’è una donna che sogna ma è uno di quei sogni che poi ti restano appiccicati quando ti svegli e ti rovinano la giornata; ancora troviamo due ragazzi che scippano un anziana, ma la sfortuna è in agguato e lo scippo rischia di diventare un omicidio. Entrambi hanno una sirena tatuata su un braccio; e ancora, un programma tv in cui viene mostrata una scena agghiacciante, proprio lì, nei Quartieri, un bimbo si contende un pezzo di pane con un randagio. La penna di de Giovanni guidata dalla voce della Signora, unisce questi fatti, ha ragione la Signora, è tutto collegato. A partire dalla copertina questo libro è un inno, alla città che è madre, alla madre che nutre e sa, alla dignità che preserva dal degrado dei sentimenti anche se il degrado ti circonda. È poesia, quella che appartiene a ognuno e si nasconde sotto le difficoltà del quotidiano, dietro apparenti strati che formano un unico, fatto di dolori gioie frustrazioni risate. È qualcosa che ti spinge ad ascoltare, a cercare le connessioni, perché ci sono, ci sono sempre.

Stile Libero Big

pp. 272 – € 18,50 – ISBN 9788806248833

L’inizio e la fine – Stefano Tura chiude il cerchio

Stefano Tura non ha bisogno di gran presentazioni, autore di thriller giornalista creatore di un Festival del giallo a Cesenatico, volto ormai storico di RAI1, ha esordito con Il killer delle ballerine nel 2001 e poi ha proseguito con il thriller, direi anche con un buon successo. Per farla breve, una volta rientrato in possesso dei diritti sul suo lavoro (l’editoria come la musica è un mondo strano), ha messo in atto un progetto con La Corte editore (che io ve lo dico, è una casa editrice che sa quello che fa). Scrivere il sequel di quel primo romanzo (che era comunque autoconclusivo), tornando per così dire sul luogo dei delitti 20 anni dopo.
Le discoteche ci sono ancora così come ci sono le cubiste, quello che il protagonista de L’ultimo ballo, ex poliziotto coinvolto negli atroci delitti, non si aspettava proprio, è di ripiombare dritto in quello che con qualche variante sembra essere una replica di quanto già vissuto.
Bravo Tura a non fare un copia incolla invecchiando un po’ i protagonisti, ma a inventare una storia del tutto diversa nella sostanza.
Se infatti è vero che la vicenda attuale è diretta conseguenza della prima, i protagonisti il modus operandi e lo svolgimento dell’indagine, sono tutta un’altra cosa. Le differenze fra i due romanzi sono palesi nel linguaggio, il primo ovviamente non era soggetto al politically correct (che semplicemente non esisteva) che oggi è impensabile non seguire se non si vuole finire alla gogna, il secondo è per forza leggermente più pettinato, ma la cosa che più si nota, è l’attenzione che l’autore, evidentemente maturato, pone sul tema delle diversità, in generale, un’attenzione profonda che mette in luce quanto ancora ci sia da fare e riconosce al tempo stesso quanto sia facile distrarsi. Quanto oggi sia possibile diventare vittime nell’indifferenza. L’unico appunto che personalmente mi sento di fare al libro (in particolare al secondo romanzo) è la tendenza a qualche ripetizione di troppo di alcuni rimandi, qualche descrizione che si poteva evitare, ma che tutto sommato nulla toglie a un romanzo da leggere.