Le Barbe dei frati

Vi avevo promesso che avrei “rimediato” alla latitanza, ed eccomi con la special edition “come mondare le verdure ad alto tasso di scarto” quelle che necessitano di tempo pazienza certosina e possibilmente le idee chiare su cosa farci una volta pulite.

Avete presente gli agretti, detti anche Barbe di frate e poi altri 100 nomi, perché ogni regione li chiama a modo suo? Io ne vado pazza, letteralmente e in quelle 3 massimo 4 settimane dell’anno in cui si trovano, ne mangio a chili.

Hanno un sapore, per chi non li conoscesse, molto simile agli spinacini freschi, solo più deciso e una consistenza completamente diversa. La settimana scorsa, ho avuto un’epifania, mia ovviamente, magari poi scopro che li pulite tutti/e così da sempre ed ero io la pirlotta, ma tant’è. Poi vi do anche qualche suggerimento sull’uso.

Allora, li vendono a mazzetti e in linea di massima, sembra che costino un botto, non è così, le immagini qui sotto, danno l’idea di come possa avvenire la raccolta e il confezionamento

Non fatevi ingannare dalla foto in cui sto per tagliarli, parte del mazzetto è nascosta dalla mano con cui li tengo. Fate conto che la radice di cui si vede la punta incartata, ha circa la stessa lunghezza della parte verde che poi andremo a mangiare e dalla fotina in cui sono ancora nel terreno, si intuisce che la raccolta non è automatizzabile.

Fatte queste doverose premesse, e dico doverose perché abituati come siamo ai supermercato o banchetti dell’ortolano, troppo spesso ci dimentichiamo che la verdura, quasi tutta, si raccoglie da terra e la terra è tanto bassa, proseguiamo.

La maggior parte di chi li usa, li spacchetta e poi li lava (non avete idea di quanta terra possano trattenere le radici, e poi li taglia all’altezza di dove finisce la foglia. Errorissimo.  Una delle caratteristiche delle barbe, è che si appiccicano, una foglia all’altra, sul piano di lavoro, le une alle altre, sulle dita e non le recuperi. In più scivolano, vabbè non so se sia la parola giusta ma insomma, tagliandole dopo averle spacchettate, il rischio piuttosto alto è che all’interno del mazzetto, restino tante foglie che invece dovrebbero finire nella padella.

Il trucco quindi è, ancora avvolte nella carta e con il loro elastichino d’ordinanza, sciacquate le foglie sotto l’acqua corrente e poi le sgocciolate, poi le appoggiate su un tagliere e tirate giù la carta più o meno come nella foto. Io normalmente, taglio le foglie a pezzetti di 4/5 centimetri, e poi le metto da parte.  A questo punto la situazione è più o meno questa

Li vedete i pezzettini di foglie rotte, tutta roba buona. Comunque. Via la carta ma non l’elastico, da sopra, prendete, tirate, le piantine una alla volta e con la manina, letteralmente pelate il fusto (fustino). Sempre al tatto e con un minimo di esperienza, vi accorgerete che il fusto stesso, cambia proprio consistenza da un millimetro all’altro, la parte morbida, benché  più chiara delle foglie, è buona, si mangia. Con un abile movimento del pollice, lo spezzate, il gambo, la parte tenera la unite alla ciotola terrina o piatto in cui ci sono le foglie e quel che resta ( a sinistra nella foto guardandola) è lo scarto.

A questo punto ulteriore bella sciacquata (occhio che i pezzetti piccoli galleggiano e si attaccano, ve l’ho detto prima) e le barbe sono pronte per diventare parte integrante del menù. Che decidiate di usarle come contorno, come primo o come ingrediente, partite dal presupposto che richiede una cottura estremamente corta. Una sbianchita (immersione in acqua che bolle per due massimo 5 minuti) o vapore, sempre per pochi minuti. Personalmente, qualunque sia l’uso che ne voglio fare, una volta sbianchite, fanno un giro, dieci minuti a esagerare tanto, in padella con un filo d’olio e di aglio. Non vi piacesse l’aglio, va bene anche la cipolla che contrasta un po’ il gusto asprigno.  

Giuro che a pulirli e prepararli, ci impiegate molto meno tempo di quanto che ne ho messo io a scrivere e probabilmente voi a leggere, ma vi garantisco che lo scarto si riduce davvero al minimo e il gusto… me lo direte.

Veloce veloce, quando avete finito di fargli fare il giretto in padella, se poi li avete tagliati come vi ho suggerito meglio, intanto che fate cuocere della pasta, lunga o corta poco importa, a fuoco spento e padella calda, aggiungete del formaggio spalmabile o se vi piacciono i gusti più decisi un po’ di panna acida. Un attimo prima di scolare la pasta, mettete un mestolino piccino picciò nella padella, scolate e fate saltare la pasta, giusto quel tantinello da amalgamare il tutto, se piace, una spolverata di parmigiano o grana, se avete usato il formaggio invece della panna acida, provate a grattugiarci sopra il solito zest di limone. Mi sento un po’ posseduta da Cannavacciuolo, ma se uno ha ragione ha ragione.

PASTA E PISELLI – Come la faccio io

Chiaro che qui non c’è la pretesa di suggerire piatti gourmet, ma metti caso che vi siano sfuggiti i veri reels o che non abbiate voglia e tempo di andare a cercarli, io vi lascio qui le mie versioni delle ricettine.

Per questa pasta e piselli, combo perfetta perché la proteina del legume viene assorbita molto meglio se mangiata con il carboidrato, vi servono poche cose, ecco quali:

Piselli – surgelati in scatola freschi, cambiano ovviamente il tempo di cottura e forse un pochino il gusto se usate quelli freschi

Pasta – meglio corta

Cipolla – bianca rossa dorata, van bene tutte

Guanciale o pancetta

Amo molto la pasta risottata, però partendo da cruda, non mi viene mai proprio giusta, quindi la porto a ¾ di cottura nella tradizionale pentola d’acqua, appena appena salata. Mentre la pasta cuoce, metto in una padella saltapasta (quelle coi bordi un po’ alti per capirci), il guanciale. Quando il suo grassino si è sciolto, tolgo la ciccia e aggiungo la cipolla tritata a coltello. A cipolla un pochino dorata, aggiungo i piselli e un mestolino, ma piccolo, di acqua di cottura della pasta. Come ho scritto sopra, il tempo di cottura dipende dai piselli. Quando son quasi cotti, sposto la pasta, che sarà a 3/4, nella padella, aggiungendo acqua di cottura poco a poco, la pasta finirà di cuocere, l’acqua si trasformerà, grazie all’amido, in una cremina. A quel punto, ci metto il guanciale che avevo lasciato da parte, una bella spolverata di formaggio, vanno bene grana, parmigiano pecorino e financo la ricotta da grattuggiare. Saltate per bene in modo che si amalgami bene tutto e mettetela nei piatti. Occhio alla quantità, perché è un piatto unico di molto buono, ma è anche bello tosto.

POLPETTINE DI MELANZANE?

La foto è molto datata, allora mi servivano solo come promemoria, voi doratele uniformemente che il successo è garantito

Oggi ricettina sfiziosella e sana, chiaro che non sono piatti gourmet, sono ricette note e stranote, ma vi racconto come li preparo io. D’altra parte, c’è gente che posta la ricetta della carbonara con tanto di video, non si capisce perché io non dovrei dirvi come preparo le polpette di melanzane.

Procedete così:  mettete a lessare o cuocete al vapore una o più patate, dipende da quante melanzane volete polpettare, mentre la patata cuoce (con buccia, senza, intera o tagliata fate voi) tagliate a cubetti le melanzane e le passate per una decina di minuti, il tempo che si colorino e facciano un primo giro di cottura, in una padella antiaderente con olio buono e aglio. (mi raccomando, le padelle antiaderenti, o comprate quelle che costano un po’ ma non si rovina il rivestimento, o le cambiate spesso, che il rivestimento sia sempre integro). Io lo sapete, uso l’aglio disidratato in polvere, quando ci si abitua, si riesce a calibrarlo in maniera perfetta e non è necessario toglierlo,  quando sono dorati, tirate su i cubetti e se siete flippati con la dieta li asciugate per bene (lasciandole “unte” è chiaro che aumenterà il sapore) e li mettete nel mixer con le patate. Primo giro, fino a farne un puré, aggiungete un tuorlo, del parmigiano o pecorino, sale pepe e uno zic di prezzemolo. Secondo giro di mixer. A questo punto, la consistenza dovrebbe essere quella che vi consente di polpettare, fosse troppo lenta, aggiungete un altro pochino di formaggio. Procedete a formare le polpette – ricordatevi che bagnandovi le mani non vi si appiccicherà tutto –  io preferisco quelle un po’ schiacciate rispetto alla pallina tonda, ma de gustibus eccetera, le passate nel pangrattato e le adagiate su un piatto. Avete la friggitrice ad aria? Quella a olio? La padella con l’olio di semi? Cuocete al forno? Vanno bene tutti i metodi, escludendo la frittura tradizionale, date una spruzzata di olio (se avete quello aromatizzato al peperoncino è libidine) o fateci sopra un giro con la bottiglia, che sia un filo però, non una cucchiaiata e mettete in cottura. A doratura sono pronte. Tenete presente che la procedura si adatta perfettamente anche a polpettare le zucchine con qualche variante. Per esempio, la zucchina anziché spadellarla potete sbianchirla (buttarla per POCHI minuti in acqua bollente e al posto del prezzemolo ci mettete l’origano. Stanno bene con l’insalatina verde, con quella mista, con due patatine sia prezzemolate che al forno o perché no, con una verdura a foglia cotta e ripassata. Se le servite appogiate su del riso, il basmati è perfetto, potete al limite decorare con due fettine di melanzana, sempre fritta ma riconoscibile come tale. Le volete inserire in un menù come antipasto? Fate delle palline e ci inglobate dentro una goccia di formaggio (mozzarella latteria asiago o comunque che si sciolga) e le servite su delle foglie di insalata con qualche cucchiaino di maionese in cui intingerle.

RICETTINA MULTIUSO

Ingredienti (per 1 persona) : 2 zucchine medio piccole ( o una grande) circa 100 gr. di ricotta (io ho usato quella di pecora che è un pochino più strong) 60 gr di guanciale tagliato a cubetti rende di più nell’omogeneità (la dose è quella per mantenere il piatto poco calorico)

Mettete il guanciale in una padella antiaderente e lasciate che rilasci tutto il suo grassettino e togliete i cubetti belli rosolati tenendoli da parte, a questo punto prendete le zucchine tagliate a rondelle o mezza luna e la mettete nel grassino del guanciale, a fuoco medio basso, mescolandole ogni tanto fino che non hanno raggiunto il punto di doratura che preferite. Spegnete il fuoco e aggiungete la ricotta mescolando fino a completa amalgamatura, non avete messo il guanciale in frigo vero? Perché a questo punto va aggiunto, rimescolate e assaggiate per aggiustare il sale (io non ce l’ho proprio messo ma i gusti si sa…). Impiattate dando al composto la forma che preferite, a mano libera o usando dei coppapasta se volete fare gli chef.

Multitasking perché se non avete problemi de panza, o non ve ne può fregar di meno, tenendo da parte un mestolino di acqua di cottura, lo potete usare come condimento per una ricca pasta e udite udite, è buonissimo anche nella pasta fredda.

Volendo proprio esagerare col gusto, se lo usate per la pasta fredda, ci spezzettate un paio di foglie di basilico fresco. Per oggi e tutto, buon appetito e fatemi sapere.

PETTO DI POLLO FURBO

Ingredienti : 1 petto di pollo intero – brodo – farina

Il petto di pollo è il cibo per eccellenza di chi è a dieta, me lo confermate? Ma deve essere per forza insapore e noioso? Certo che no, quindi procediamo. Mettete un petto di pollo intero in una padella, per limitare al massimo l’uso di condimenti ci sono due vie, o avete le pentole apposite, AMC e simili o mettete due gocce, ma di numero eh, in una padella antiaderente e con un pennello lo spantigate in ogni angolo della padella. Lo so che le padelle sono tonde, ma non avete idea delle calorie che si consumano cercando gli angoli. Ok la scemata l’ho scritta, andiamo avanti. Sigillate la carne, roba di pochi minuti per lato e poi aggiungete del brodo (ovviamente quello di dado o in polvere riduce drasticamente le calorie) fino quasi a coprire la carne. Deve consumarsi quasi completamente perché il pollo poco cotto, lo sappiamo, è praticamente mortale. Quando sarà rimasto un velo di liquido di cottura, togliete il petto di pollo e lo fate raffreddare. Fatto? Ok, adesso lo tagliate a fettine, come se fosse un arrosto. A quel punto, setacciate 1 cucchiaino da the nel brodo rimasto e fate un rue lasciandolo leggermente liquido, lo spostate a bordo padella e posizionate le fette di carne. Riposizionate le fette nella padella, possibilmente non una sopra l’altra e le fate riscaldate, ci mettete sale e pepe (se piace) e se vi va, qualche spezia o erba, io per esempio ci metto una foglia di alloro. Impiattate come da foto e ci mettete sopra il rue che scaldandosi si sarà addensato.  Verdura a piacere, nella foto ci sono degli spinaci con sale olio e limone. Invitante da vedere, saporito perché lessato nel brodo, ciao alle calorie e un altro piatto lo abbiamo messo in tavola. PS: ci ho messo di più a scriverlo che a farlo

RADIATORI VONGOLE E ZUCCHINE

Ribadisco che prima o poi imparerò a fare le foto al cibo, coooomunque ricettina semiclassica (le zucchine le ho sempre abbinate ai gamberi) ma soprattutto veloce salvacena.

In una padella antiaderente, meglio se coi bordi alti per poi saltarci la pasta, fate dorare uno spicchio d’aglio che toglierete quando ha insaporito l’olio, io avevo un pezzetto di porro e ci ho messo anche quello tagliato a rondelle sottilissime, aggiungete le zucchine, a mio parere il taglio migliore è la rondella, sottile ma non sottilissima. Il punto di rosolatura della zucchina è ovviamente a gusto personale, diciamo che quando comincia a dorare è il momento di mettere le vongole.

Se decidete di usare quelle fresche, una volta aperte e quindi cotte, le togliete dai gusci, io ho usato quelle scongelate e scolate. Qualche minuto per amalgamare i gusti e giù la pasta. Aggiustate la cremosità con un po’ d’acqua di cottura che avrete tenuto appositamente da parte e mantecate con un pochino di pecorino. A me è piaciuta assai.

DIAMO UN SENSO ALLE CATEGORIE

LUBYA altrimenti detta FASOLIE

foto dal web

Premessa: la seguente ricetta solo se amate l’aglio, altrimenti aspettate la prossima. Che li chiamiate boby, fagiolini o con qualunque altro nome, in estate non mancano mai sulle tavole di tutto il mondo, personalmente questa ricetta tipica di Libano Siria e dintorni, mi piace tantissimo. Gli ingredienti necessari sono davvero molto pochi e la preparazione veloce (nel senso che una volta messi sul fuoco poi non dovete fare altro). Prendete una pentola (non una padella) e fate insaporire dell’olio d’oliva, (se usate quello bono è meglio perché ricordatevi che nei piatti, quel che ci metti lo ritrovi), dell’aglio, tanto aglio. Qui, a seconda del gusto personale potete usarlo come più siete comodi. Io per questo piatto, uso quello in polvere. Abbondante, senza esagerare e a fuoco bassissimo, dopo qualche minuto, aggiungete della carne macinata, bovina mi raccomando non suina. Se la carne è cicciotta ovviamente userete meno olio, se è magrina (che per questa ricetta è meglio) un filo di più. La fate insaporire bene bene mescolando in modo che l’aglio la raggiunga tutta e sempre a fiamma bassa lasciate che perda il sangue. Nel frattempo prendete dei fagiolini, lavati e spuntati, ma lo darei per scontato, e con un coltello o a mano ( se siete dei puristi), li spezzate nella pentola in tocchetti da tre quattro cm. Per la quantità andate un pochino a sentimento, nessun sapore deve prevalere sull’altro quindi io consiglio che nella pentola suddetta i due ingredienti si equivalgano. Il fuoco è ancora acceso quindi la carne sta continuando a cuocere e rilasciare i suoi liquidi che accoglieranno i fagiolini. Voi quando li avete spezzettati tutti  prendete una cucchiarella e mescolate mescolate mescolate come se foste Amanda Sandrelli che parla con Massimo Troisi. A questo punto i tre, aglio carne e fagiolini dovrebbero essere assolutamente amalgamati e pronti a ricevere la passata di pomodoro con cui amorevolmente e generosamente li coprirete, arimescolate rimescolate rimescolate e aggiungete acqua fino a coprire il tutto lasciando quel cm cm e mezzo, ma anche due al di sopra. Io l’ho fatta lunga ma va da se che il tutto ha richiesto forse 10 minuti, facciamo 15 se siete molto lenti, appoggiate il coperchio, se avete quelli di vetro c’è della goduria supplementare. Mettevi sul divano o al pc, giocate col cane/gatto/figlio, telefonate a un’amico/a per una venticinquina di minuti e poi andate a controllare la pentola. Quando l’acqua si sarà consumata del tutto, la carne sarà praticamente sciolta e i fagiolini saranno della giusta consistenza, spegnete il fuoco e aggiungete il sale, occhio, tenetevi bassi che adesso arriva la chicca. Erba cimicina! Ah ah ah, vi vedo eh che fate la faccia schifatissima, tranquilli, quella che da noi si chiama erba cimicina altri non è che il coriandolo. Noi però per questo piatto non useremo le foglie (che oggettivamente hanno un odore che ne giustifica il nome, bensì i semi seccati.) Li trovate in erboristeria sciolti o al supermercato in vasetto (in genere col tappo macina).  Se usate quello in vasetto già macinato, tenete presente che in 400 gr di carne ca. perché il tutto abbia il gusto che deve avere, ce ne dovete mettere un terzo abbondante di vasetto.   Io consiglio di prenderlo in erboristeria. I semi sono vuoti e siccome li vendono a peso, va da sé che spendete meno e macinandolo al momento dell’uso il gusto è molto maggiore.   Un po’ prima che si faccia l’ora di preparare la cena o il pranzo, mettete dell’acqua, non troppa, in una pentola più piccina dell’altra, 4 o 5 dita sino sufficienti e ci buttate dentro a freddo due pugni di riso, il basmati col suo profumo sposa il coriandolo che è una meraviglia, ma anche quello da minestra va bene, a fuoco basso e coperto anche lui, l’acqua deve consumarsi tutta e il riso NON va scolato, magari la prima volta vi incasinate un po’ con le misure ma poi giuro che ci prendete mano. Lo lasciate intepidire. La carne fagiolinata pomodorata e coriandolata lo accoglierà nel piatto come un fratello perduto e ritrovato e voi godrete di molto. Personalmente, con i 400 gr di carne altrettanti di fagiolini, ( più il riso) ci faccio un paio di pasti, ma per i meno golosi ne saltano fuori anche tre.

Napul’è …

Come ormai tradizione, a Milano, in date variabili ma non troppo, si svolge Bookcity, il programma è sempre bello sostanzioso e c’è modo di soddisfare più o meno tutti i gusti. Stasera, in attesa del fine settimana in cui non ci sarà tempo di scrivere, ma di cui vi racconterò, faccio un doppio salto (im)mortale carpiato e vi butto lì due consigli per domenica pomeriggio/sera. Che a Napoli ci sia un pezzo bello abbondante del mio cuore è cosa nota, ma nel cuore di tutti di sicuro ci son due cose. La pizza e Pino Daniele. immortali entrambi, cibo per lo stomaco e l’anima, ché entrambi hanno bisogno di essere nutriti. Per tutelare e diffondere quello che Pino a lasciato in termini di musica poesia solidarietà, è nata la Fondazione che porta il suo nome. Alessandro, secondogenito di Pino, ha scritto un libro in cui ci racconta l’uomo e l’artista. I proventi del libro sostengono “i suoni delle emozioni” per il contrasto alla povertà educativa ed il disagio scolastico, un progetto che Alessandro Daniele cura da qualche anno con la Fondazione Pino Daniele e che si basa sul sistema di valori di suo padre, atto ad utilizzare la musica come linguaggio per comunicare gli stati d’animo ed i sentimenti (info: www.fondazionepinodaniele.org). I proventi del libro sostengono “i suoni delle emozioni” progetto che si pone come obbiettivo quello di contrastare la povertà educativa ed il disagio scolastico. Sarà lo stesso Alessandro, coadiuvato da Massimiliano Finazzer Floris, a parlarne in dettaglio. Domenica 20.11 da Mondadori Book Store in piazza del Duomo. Ingresso libero fino a esaurimento dei posti.

Se dopo aver librato tutto il giorno avete deciso di andare a sentire il figlio di Pino e vi è venuta una gran voglia di Napoli, dovete solo prendere un tram (il 12 o il 14 per la precisione) e scendere alla fermata via Cenisio via Induno. All’altezza del civico 19 di Cenisio, è aperto da giugno un ristorante pizzeria, Quartieri spagnoli. Entrare è come fare una full immersion in Partenope. Ma davvero eh, la maniglia della porta è un grande curniciello rosso vivo, e appene dentro…La meraviglia. Vi accoglierà una cameriera sorridente, che è sempre un bel biglietto da visita, in un mare di colori, su un muro c’è il faccione della mano de dios, su un altro c’è Sofia, dal soffitto scendono fumetti con le più belle e famose frasi che si usano sotto il Vesuvio e la voce dei neomelodici. L’apoteosi però si raggiunge quando vi arriva davanti la pizza, pasta lievitata oltre le 24 ore, fiordilattte o bufala, corrnicione – e quando dico one lo dico sul serio – con o senza ripieno. O se preferite, fritti cuoppi primi e secondi. La pasticceria è quella di Sal de Riso, i piatti, una volta svuotati si rivelano quasi da eposizione, un tripudio di colori e limoni che a guardarli ti sembra di essere in Costiera. Non vi chiedo di fidarvi così a caso, l’invito è quello di seguire i due consigli letterarculinari. Sono sicurissima che poi verrete a dirmi che bella domenica avete passato.

Oggi si va di ricetta – non si vive di sola lettura

Foto ciofeca piatto delizioso

La categoria Golosità l’abbiamo creata, quindi usiamola. Lo so, avrei potuto fare una foto più accattivante, ma se poi il piatto fosse stato cattivo? Quindi fidatevi che appena lo rifaccio cambio la foto con anche un suggerimento di presentazione. Vado di ricetta:

Ingredienti: una melanzana (meglio quelle tonde) – pomodoro – una mozzarella – parmigiano – sale e origano QB

Tagliate a fette di circa mezzo cm la melanzana e grigliatela (io uso la classica bistecchiera) – in una pirofila bassa mettete un foglio di carta forno, trucchetto per adattare la misura, bagnatelo e strizzatelo benissimo. Sulla carta forno appoggiate le fette di melanzana grigliata e salate leggermente ma uniformemente. Cospargete le fette con della passata di pomodoro, va da sè che se l’avrete precedentemente ridotta e condita sarà più gustosa, io ho usato della passata cruda e garantisco che il gusto c’è comunque. Affettate finemente la mozzarella e disponetela a coprire tutta la superficie. Altro giro moderato di sale e origano, spolverata di parmigiano e in forno. Che è pronta lo sentite dallo sciauro (il profumo), lo vedete dal fatto che la mozzarella si è sciolta uniformemente e la spolverata di parmigiano si è dorata. Nel mio forno statico a 280° ci ha messo una decina di minuti.

Niente olio niente condimenti extra, possiamo tranquillamente dichiararlo un piatto dietetico ma la bocca non se ne accorgerà minimamente. Poco tempo poca spesa e tanta resa. Qualora si decida di pranzare/cenare con solo quella, è ovvio che le dosi di una melanzana e una mozzarella diventano una monoporzione.

Senza essere un sommellier, io ci ho abbinato un bianco (ortrugo per la precisione) ma anche una falanghina del Sannio o un rosso leggero secondo me ci stanno benissimo.

Fatemi sapere se poi la provate

Un Malvaldi e due stalker gentili

Si sa che il #SalTo è occasione per incontrare i tuoi autori preferiti, i miei, molti dei miei (autori preferiti dico), pubblicano i loro libri col vestitino blu. Uno di questi è quel geniaccio di Malvaldi, e siccome in un blog dove si parla di libri seriamente (anche se scanzonatamente), le interviste prestigiose ci stano bene e lui (credo per non vederci più – no scemotti, non uso il plurale maiestatis – è che ero con un’amica) sapendo oltretutto che l’amica in questione è il caporedattore di MilanoNera, altrimenti detta Cristina Aicardi, ci ha incautamente proposto di intervistarlo. Potevamo perdere l’occasione? Anche no. Quindi abbiamo unito i due neuroni. Godetevi il risultato. Un grazie speciale a Samantha Bruzzone in Malvaldi

Fotina da cui si evince che non so fare i selfie
D: Suppongo che la domanda non sia nuova, ma nel caso, io non ho mai sentito la risposta, sicchè, qual è l’evento per cui un chimico ricercatore universitario si è scoperto improvvisamente scrittore?
R: La cara, vecchia, indispensabile noia. Ero stato condannato a un anno di tesi di laurea, e una volta scritto il codice di calcolo (io sono un chimico computazionale) dovevo mandarlo e aspettare il risultato: circa una settimana di attesa. E dovevo stare lì, perché non sapevo se e quando il conto sarebbe uscito. Avevo un computer davanti e tanto tanto tempo libero. Ho cominciato a descrivere la situazione contraria a quella che stavo vivendo: al mare, al sole, senza niente da fare, a giocare a carte al bar. Praticamente un pensionato. Ecco, da lì è venuto fuori La briscola in cinque. Scritto nel 2000, pubblicato nel 2007.
D: scrivi gialli, scrivi saggi, ne sai di letteratura di matematica di musica e ti viene tutto bene (ma bene) dammi due soddisfazioni, c’è qualcosa che proprio non ti riesce? Dimmi che ti viene bene tutto ma fai una fatica boia
R: Le cose che non mi riescono cerco di tenerle occultate. Le mie doti fisico-sportive sono decisamente sotto la media. Sono il peggior organizzatore dell’universo. Da bambino volevo fare il disegnatore di fumetti, ma tutt’ora, a quarantacinque anni, non sono in grado di disegnare cose più complicate di una patata. Ho tentato di imparare a stirarmi le camicie quando vivevo da solo, in Olanda: in un mese, trecento euro di danni.
Tutto quello che so fare ha richiesto fatica. E’ il mio vero talento. Mi spiego meglio: io non sono una persona particolarmente intelligente. Questo ha uno svantaggio (ci metto tempo a capire le cose) e un vantaggio: quando le ho capite, le so spiegare bene. Mi ricordo tutti gli errori che ho commesso, le fallacie che mi hanno ingannato, i cortocircuiti mentali. Le persone intelligenti non sono, di solito, brave a spiegare le cose, perché per loro sono ovvie: per me ovvie non sono, e quindi cerco di ricostruire il mio percorso mentale, di fare esempi che siano onesti e comprensibili.
D: Generalmente (credo anche inconsciamente), quando ci si mette a scrivere è perché si sente l’esigenza di dire qualcosa, a questo punto della tua carriera hai scoperto cosa volevi dire e sei riuscito a farlo o non ti sei proprio posto il problema ?
R: No, io sono uno scrittore di intrattenimento, e fino a oggi non ho mai voluto dare un messaggio. L’unica cosa che spero che le persone ricordino, dei miei libri, è che ogni risata è una ammissione di errore, una allegra prese di coscienza dell’incapacità di prevedere il futuro.
D: Si dice che nel giallo/noir italiano, caratteristica peculiare sia la localizzazione. Ricciardi fuori Napoli è inimmaginabile come Monterossi a Pavia. Tu i tuoi gialli li hai ambientati in un posto che non esiste, nel tuo caso possiamo parlare di regionalità o addirittura di ambito provinciale, tenuto conto del dna pestifero dei toscani?
R: Forse sì. E’ anche vero però che il mio modo ‘toscano’ di vedere le cose nasce da zii veneti e piemontesi. Credo che il toscano non sia più veloce a pensare, semplicemente più allenato e più spudorato.
D: l’ironia e il sarcasmo sono doti innate o si possono acquisire con l’esercizio?
R: Vedi sopra. SI possono allenare, assolutamente. Iniziando a prendere per il culo sè stessi, è il migliore allenamento che si possa fare. Ti posso anche dire chi sono stati i miei allenatori: Woody Allen, Ettore Borzacchini, Stefano Benni, Jerome K. Jerome, Douglas Adams e il Venturi, un tizio che giocava con me a ping pong.
D: da chimico, sapresti trovare una formula che definisca un buon romanzo?
R: Il corso di scrittura creativa del Malvaldi costa 500 euri ogni due domande. Non credo che tu abbia veramente voglia di farmi la seconda…
D: bravura e credibilità sono le doti richieste a uno scrittore. Cosa significa essere bravo e credibile?
R: Eh, bella domanda. Qui, davvero, non so cosa rispondere. Posso dirti cosa cerco di fare io. Io credo che uno scrittore, a meno che non si parli di Kafka, non si inventi quasi niente, ma che riorganizzi la realtà, le cose che ha visto e che ha sentito, in modo tale da renderle una storia. La tua credibilità viene fuori se le persone, leggendo, sentono che quello che scrivi è plausibile, nel mondo in cui lo ambienti.
D: hai la straordinaria dote della chiarezza espositiva,riesci a far sembrare semplici, comprensibili e anche divertenti leggi fisiche, chimiche e matematiche che sono ostiche ai più, o almeno a me. Come ci riesci? Ti hanno mai chiesto di scrivere libri di testo scolastici?
R: Sul come ci riesco credo di aver risposto prima: trovando esempi, e delimitando bene fin dove l’esempio regge e dove non vale più. Scrivere testi scolastici mi piacerebbe tantissimo, anche se temo che dovrei rinunciare alla volgarità. Non fanno leggere le poesie scabrose di Catullo, al liceo, figurati se passerebbe il Malvaldi…
D: Vento in scatola è nato da un corso di scrittura ai detenuti, tu cosa hai imparato da questa esperienza?
R: che si giudica troppo facilmente sulle questioni di cui siamo ignoranti. Entrare in carcere per me è stato scoprire che avevo dei pregiudizi ancor più radicati di quanto credessi, uniti a un buonismo stucchevole che serve solo a chi sta fuori, per tranquillizzare la propria coscienza. E insegnare a persone che aspettano quell’ora in cui vai lì dentro come la più importante della settimana ti dà un’idea di quanto sia preziosa la tua libertà.
D: nel romanzo in cui c’è la tua verve che assicura il divertimento, c’è anche tanto su cui riflettere. A partire dal classico errore giudiziario agli agenti che son detenuti quasi quanto i carcerati eccetera. C’è però soprattutto il nome di un coautore, un detenuto con cui hai realizzato il libro. Potrei chiederti per completezza come e perché è nata l’idea ma credo ti toccherà in ogni intervista da qui al prossimo romanzo quindi sorvolo. La domanda è, come si supera la “paura” di confrontarsi con qualcuno che evidentemente ha commesso un reato? Come si lavora con un “cattivo”?
R: E’ stata una inquietudine che mi ha accompagnato per parecchio tempo. Specialmente parlando con Glay, e scoprendo che abbiamo tante cose in comune, a livello caratteriale: abbiamo entrambi un senso della giustizia piuttosto inflessibile, quasi adolescenziale, un senso dell’umorismo che ama il politically scorrect. Entrambi abbiamo voglia di imparare, siamo curiosi. Quando vedi che una persona molto simile a te è dentro, per un delitto grave che ha commesso, ti chiedi se per caso non avresti potuto fare lo stesso, nella medesima situazione. Non puoi avere la certezza che la risposta che ti dai sia quella corretta.
Ho trovato grande consolazione nel leggere ‘Fine pena: ora’, di Elvio Fassone, che ha tenuto una corrispondenza di 28 anni con un mafioso da lui stesso condannato all’ergastolo. La sua risposta credo di averla fatta mia: la pena che Glay sta scontando è quella, riguarda il suo passato, e non può essere né cancellata, né ulteriormente aumentata. Sono tutti buoni a comportarsi in modo corretto e rispettoso con il Dalai Lama; è quando rispetti la legge con chi non ha le tue possibilità di difesa, di comunicazione, che dimostri di credere a quella stesse legge che lo costringe in carcere. Sono due facce della stessa medaglia, non si può sceglierne solo una: è umano, ma sarebbe ipocrita.
D: Sempre a proposito del romanzo, chi fosse il coautore è stato dichiarato con grande chiarezza, non avete avuto tu e l’editore, un po’ di paura che questo potesse nuocere al libro? Un rifiuto aprioristico da parte dei lettori?
R: Sì, questa paura c’è stata. E c’è ancora. Ma se fai solo cose sicure, prima o poi ti vieni a noia da solo.
D: il libro sta scalando le classifiche. Cosa dice e soprattutto cosa ti chiede Glay ora?
R: Credo che la cosa che gli farebbe più piacere sia fare insieme qualche presentazione ‘fuori’. Anche se l’idea di dover parlare in pubblico al momento credo lo imbarazzi… Stiamo tentando di organizzarle. Spero bene.
D: Un tuo collega ha scritto “ Curarsi con i libri”. Esiste un libro che rileggi per i suoi effetti terapeutici, un tuo libro feticcio?
R: Il Novissimo Borzacchini Universale, dizionario ragionato della lingua livornese ad uso delle persone colte e dei pisani. Il mio manuale di umorismo. Se dovessi ritrovarmi sull’isola deserta, la scelta cadrebbe su quello o sulla divina commedia. Se fossi certo che un giorno mi ritroveranno, opterei per Dante, ma solo in funzione del pubblico…
D: esiste davvero la cella liscia?
R: Pare di sì. Non ne ho mai vista una, ma ci sono molte testimonianze coerenti tra di loro. Non posso quindi dire con certezza che c’è, ma dovendo scommetterci, ci metterei una somma considerevole.