SONO MANCATO ALL’AFFETTO DEI MIEI CARI

Il meteo è un indicatore infallibile della localizzazione in pianura Padana, gli anni sono quelli fra i ’60 e gli ’80, quelli in cui chi ne aveva voglia un lavoro lo trovava, le donne erano a cavallo fra la sottomissione e la “conquista” di qualche diritto in più sulla loro vita e chi con testardaggine costruiva la sua impresa (che fosse la fabbrichètta o un attività commerciale),  la faceva in prospettiva, i figli l’avrebbero portata avanti.

Niente Lago e pittoreschi personaggi (ma non è una novità, il medico di Bellano ha già dato ottima prova di sé con lo splendido Documenti prego e i molto belli Il metodo del dottor Fonseca e Vivida mon amour) eppure nonostante la mancanza di uno scenario che fa storia di suo, ci racconta affascinando la vita di questo ferramenta (col negozio più bello grande e fornito dei dintorni) che vive per vederla portata avanti dal frutto dei suoi lombi. Frutti che ahilui, non sono esattamente della stessa idea, fomentati anche dalla madre che a dispetto della praticità del marito, li spinge a seguire le loro inclinazioni (per balorde che siano).

Il talento di Vitali si vede anche nella scrittura che è completamente diversa eppure riconoscibilissima anche in questi romanzi fuori zona comfort. Quasi un monologo che racconta in prima persona anni di rivalsa sulla povertà del dopoguerra, quella voglia di godere il più possibile del benessere faticosamente acquisito senza accorgersi che non ci si sta godendo niente e la fatica di affrontare un futuro che potrebbe non esserci.

Un romanzo senza genere se non quello di essere bello, di regalare qualche ora di svago intelligente con anche il pregio, per chi lo vuole, di dare spunti di riflessione interessanti. Il modo in cui ogni membo della famiglia affronta gli accadimenti e i fatti della vita, altro non è che un’approfondita carrellata sulla varia umanità, di cui Vitali, attento e arguto osservatore coglie e mette in luce le sfumature e le “conseguenze” di ogni strada. Da mettere in valigia o sulla pila dei libri da leggere.

SCIROCCO

IL VENTO DELLE EMOZIONI

Ad un anno dalla sua comparsa nelle fumetterie e librerie, Scirocco di Giulio Macaione (Bao Publishing), festeggia il primo compleanno con la vittoria del torneo Letterario di Robinson delle Graphic Novel in cui vengono chiamati a votare e recensire lettori forti e circoli di lettori di tutta Italia.

Un ottimo riconoscimento per quello che definirei un graphic novel o fumetto che dir si voglia, generazionale perché racconta di una famiglia, composta da Mia, un’adolescente che lotta per poter vivere la sua più grande passione, la danza; Gianni, il padre di Mia, che per troppo tempo non ha amato e ora di fronte ad una possibile nuova relazione ha paura; e infine Elsa, la nonna, che si trova di fronte ad una scelta importante sul come affrontare una malattia. È proprio Elsa il personaggio cardine in questa storia, che dà il via a tutte le vicende raccontate e conseguentemente porta a galla le emozioni e gli stati d’animo dei protagonisti.

Le scelte grafiche sono decisamente interessanti ed estremamente accurate, a partire dal disegno tipicamente europeo che è chiaro e realistico a cui l’autore ha unito due bicromie che caratterizzano le diverse ambientazioni, siciliana e veneziana usandole anche per sottolineare le emozioni dei protagonisti. L’azzurro che delinea la prima parte, quella veneziana, una sorta di graduale inizio in cui conosciamo i protagonisti ma anche sinonimo della malinconia di Elsa, sfocia in un tenue lilla per l’epilogo di tutte le vicende, con il passaggio al più acceso e caldo giallo per la Sicilia, un colore più deciso ed evocativo della terra d’origine, che ricorda il sole, il paesello natio, il primo amore e la gioia di vivere.

Una storia di passioni, amore, dolore ma anche di speranza, determinazione e coraggio. Non entro troppo in dettaglio nella trama per evitare spoiler perché rischierei di non rendere il giusto merito alle vicende, che se al primo impatto possono dare l’impressione di cose già viste, grazie alle scelte grafiche di cui parlavo prima, prendono una strada diversa, diventando uniche e speciali. Diventando un inno alla libertà di scegliere, un inno alla vita.

NATURA MORTA

Louise Penny

Non sono così addentro ai meccanismi editoriali da sapere come funzionano gli acquisti delle Case Editrici per quanto riguarda gli autori stranieri, ma devo dire che mi incuriosiscono molto. Perché mai di Louise Penny, il primo (cronologicamente parlando) è stato pubblicato in Italia per ultimo? Mah, misteri insondabili dei diritti e dell’editoria.

No perché noi che l’abbiamo letta abbiamo legato inevitabilmente Gamache a Three Pines, e invece no, in Natura morta scopriamo che lì, in quel minuscolo paesino, il nostro ispettore capo della Suretè du Quebec ci è arrivato per un omicidio, sull’indagine ovviamente non vi dico nulla se non che la vittima era una colonna portante di quella piccola comunità e i suoi amici sono gli stessi che poi abbiamo imparato a conoscere. Oh per carità potrei essermi distratta io, ma non ricordo in quale romanzo i coniugi Gamache hanno lasciato la città per trasferirsi a Three Pines. Ciò detto, ma quanto sono belli ‘sti romanzi, qualcuno di più qualcuno di meno com’è ovvio che sia, ma in generale non saprei dire. Personalmente ho amato tantissimo I diavoli sono qui e Un uomo migliore, ma mi sono piaciuti tutti.

Se non l’avete ancora incontrata, procuratevi questo che è l’inizio di tutto e poi vi fate un giro su wiki e procedete in ordine cronologico (nel caso aspettando che siano tradotti o prendeteli in lingua originale mentre aspettate). Se invece l’avete già incontrata, bè, andate avanti seguendo la pubblicazione, la goduria è comunque garantita, sia a Montreal che fra i boschi intorno a Three Pines.  Un’immersione nei colori nelle atmosfere ovattate, nei rapporti umani pieni di bellezza, che dal momento che parliamo di gialli, mi rendo conto sembra un controsenso, ma leggete e poi mi saprete dire.

GATTI NERI E VICOLI BUI

In occasione del suo 20° anniversario di Homo Scrivens, nata come compagnia italiana di scrittura e da dieci anni casa editrice, ha pubblicato l’antologia di racconti Gatti neri e vicoli bui presentata in anteprima nazionale in occasione del SalTo2 Tre racconti per tre autori noir : Maurizio De Giovanni, Francesco Pinto e Serena Venditto.

Maurizio De Giovanni in un Pomeriggio al Gambrinus fa incontrare alcuni personaggi di ogni serie, coinvolgendoli nel caso di un gioielliere rapinato. La particolarità è che ognuno dei presenti porta il suo contributo con le caratteristiche proprie dei romanzi a cui appartiene, che sono ben diverse, omaggiando anche la famosa caffetteria in cui ricordiamo, per uno scherzo fattogli dai colleghi, è nato tutto. Emozione, sorpresa ed ironia si fondono in questo piacevole ed originalissimo breve racconto regalandoci una lettura piacevolmente insolita.

Nel secondo racconto That’s Amore di Francesco Pinto, veniamo invece catapultati nella Napoli anni 60, ai tempi delle basi americane. La vicenda si svolge prevalentemente nella cittadella militare Nato dove il pianista Sam Caputo si trova coinvolto nell’indagine sul delitto di un ufficiale americano. Special Guest Peppino di Capri e un sottofondo musicale da brividi. Non manca ovviamente l’ironia unica di questo bravissimo autore.

E infine nell’ultimo racconto, La lunga notte dell’ingegner Bentivoglio di Serena Venditto, che agli appassionati richiamerà la compianta Lilian Jackson Brown, veniamo accolti dal mitico gattone Mycroft, già protagonista di altre avventure, che assieme agli abitanti di Via Atri, contribuisce con i suoi miagolii e le sue movenze a fare luce su un efferato tentato omicidio. Un racconto geniale nella sua composizione e soluzione e decisamente adatto agli amanti dei nostri amici felini.

LA CARROZZA DELLA SANTA

CRISTINA CASSAR SCALIA

Se a Palermo si invoca e si onora Santa Rosalia, i catanesi li protegge la Santuzza ovvero sant’Agata e ormai sappiamo che pur restando palermitana inside, la nostra Vanina Guarrasi ormai ha imparato ad amare la città che pur essendo a poche ore di auto le ha permesso almeno per un po’ di stare lontano dalla mafia. I festeggiamenti durano tre giorni, con la Santa che viene portata in processione per poi tornare a vegliare su Catania fino al febbraio successivo. Com’è che diceva quel proverbio? La curiosità uccise il gatto o qualcosa del genere, le due studentesse francesi che stanno finendo l’esperienza dell’Erasmus, per la curiosità e la coincidenza che Palazzo degli Elefanti – dove ha sede il municipio – momentaneamente sguarnito di vigilanza abbia i portoni aperti, non muoiono, ma appena entrate sbirciando da vicino la Carrozza del senato – che Vanina continua imperterrita a chiamare della Santa – trovano il corpo di un uomo sgozzato. Alla Guarrasi e la sua squadra il compito di scoprire chi abbia incarnato la curiosità uccidendo il ricco e chiacchierato Vasco Nocera.

Dopo qualche giorno di decantazione posso dire che secondo me è il miglior romanzo della serie. La scrittura è quella dell’inizio, scorrevole e pulita, senza sfoggio di ricercatezza (che non è significa povera, anzi)  vivacizzata da qualche pezzo di conversazione dialettale (poco palermitano e tante catanesate, come le chiama Vanina). In realtà volendo spiegare perché mi sia piaciuto particolarmente mi accorgo che non c’è in effetti una ragione specifica; a prescindere dalla trama gialla che è ottima forse, almeno ai miei occhi è il romanzo in cui la Cassar Scalia ha “indovinato” perfettamente l’equilibrio in termini di presenza di “interventi” di battute. Nessuno primeggia, le vicende personali le intuizioni le scoperte, insomma tutto dosato alla perfezione. Non è che negli altri questo mancasse ma a volte un’apparizione di troppo  di uno o dell’altro, una riflessione o descrizione in più, che ne so, resta il fatto che la squadra, in cui è ovviamente compresso Patané, ha un’armonia che si integra al millimetro con Paolo la famiglia di Vanina con Bettina e financo con i dubbi che dal primo romanzo attanagliano il vicequestore. Menzione speciale per Giuli la Bonazzoli e Macchia.

Insomma, leggetelo che non vi pentite. Promesso.

CITÉ

Forse non tutti sanno che Massimo Carlotto, oltre che autore di Noir che non serve certo presentare, scrive anche soggetti per fumetti – che tecnicamente si chiamano Graphic novel – si tratta di veri e propri romanzi brevi illustrati. Dalla collaborazione con Irene Carbone nasce la graphic novel Citè, pubblicata da Round Robin Editrice nella collana Tempesta curata da Mirko Zilahy.
Cité è la Marsiglia di oggi del Mediterraneo, è il porto è il carcere delle Baumettes è il luogo delle bande del Milieu, dei nuovi boss del crimine, dei killer, degli spacciatori. E’ il luogo dove i cattivi sono cattivi…ma i buoni forse sono anche peggio.
Protagonista di Cité è B.B. ovvero Bernadette Bourdet, commissario che i lettori hanno già incontrato in Respiro corto, che si trova ad indagare sull’omicidio di un agente spagnolo avvenuto nella suite di un albergo di lusso.
B.B è un commissario decisamente carismatico; è ribelle brutta lesbica e combatte il male con il male. Non amata dalla malavita e malvista dai piani alti della Polizia, ma è brava, risolve i casi evita disordini e riesce mantenere una specie di pace.
Anche in questo caso si avvarà dell’aiuto di un boss della malavita, una vecchia conoscenza…( E basta così perché qui non facciamo spoiler e non vogliamo togliere il piacere di godersi l’intrigo della trama e le atmosfere che caratterizzano questo graphic novel).
Atmosfere rese benissimo da Irene Carbone, grazie alla scelta di colori particolari per dare maggior effetto alle ambientazioni e all’anima dei personaggi.
Come ha spiegato durante la presentazione al SalTo22, ha scelto di utilizzare delle palette ‘disturbanti’, in particolar modo il rosso (che indica tendenzialmente i cattivi con il male, la violenza, la morte) e il verde acido (per indicare i buoni o ‘i meno cattivi’, le loro azioni al limite della morale e della legalità) e soprattutto nella prima parte del volume, un utilizzo sapiente dell’arancione che rimanda alla morte, quasi a voler mettere in primo piano i personaggi.
Cité è un graphic novel che merita di essere letto, per scoprire una Marsiglia diversa da quella che siamo stati abituati a leggere, un personaggio particolare e una trama degna del miglior Carlotto e per godere dell’abilità illustrativa di Irene di cui prossimamente sentirete parlare ancora.

UN SALTO A CASA DELLE ASSASSINE

  • Della piccola casa editrice tutta femminile vi ho già parlato più volte, lo rifaccio segnalando qualche titolo perché                                                                                                
  • 1 –  i titoli che segnalo li ho letti e valgono sia il tempo che il denaro, li raggruppo in un articolo unico perché – come mi pare di aver già detto – il tempo è poco e i libri tanti.
  • 2 – anche questo l’ho già scritto ma repetita juvant, Tiziana Prina, fondatrice e cacciatrice di romanzi, ha un gran fiuto e in questi anni dove anche i romanzi  dei nomi più grossi, salvo pochissimi, fanno fatica a restare a galla, anche un gran coraggio, ha scelto di pubblicare solo autrici, andando a pescare nel passato con la collana Vintage e portando in Italia autrici da tutto il mondo, anche da quegli angoli che normalmente non colleghiamo, noi lettori normali, alla letteratura, le autrici di Oltreconfine. E se posso scrivere una piccola cattiveria, e mò vedemo chi me lo impedisce, delle tante difensore delle donne a oltranza che vedo sui social, non ne ho viste incoraggiare e sostenere una CE così particolare. Cià che passo ai libri

Crimini di prima classe Elizabeth Gill

Classe 1901 americana, racconta di un delitto avvenuto a bordo di una nave in viaggio dall’Inghilterra agli Stati Uniti. Già visto già letto? Sì, ma scritti molto dopo e ambientati nel passato, qui la scrittura è attuale (per l’epoca) e l’ambientazione abbastanza fresca e nuova.  L’indagine non è svolta da un poliziotto ma da un passeggero, le domande a partire dal perché una simpatica e bonaria signora sia stata uccisa, sono tante i moventi si moltiplicano e il tempo per assicurare alla giustizia un assassino prima che sbarchi nella Grande mela, si consuma velocemente.

Un colpevole in giuria

Ruth Sanborn

La signora qui invece è nata nell’800 addirittura, tre romanzi e un centinaio di racconti nel curriculum. Siamo in pieno proibizionismo (con tutto quel che ne consegue nei sotterranei) e alla sbarra c’è una donna accusata di aver ucciso l’amante. In giuria c’è la terribile e potente mrs Vanguard che tutti temono, quasi tutti, il perché lo scoprite dopo che qualcuno l’ha uccisa. Con subdole manovre ha tenato di influenzare i pochi innocentisti ma evidentemente qualcuno dei giurati non ha gradito. Il romanzo è una via di mezzo fra il delitto della camera chiusa e un resoconto coinvolgente dove i colpi di scena si susseguono con un ritmo insolito per l’epoca. Personaggi variegati e uno alla volta segreti – qualcuno di pulcinella – che vengono alla luce svelando insospettabili intrecci e moventi come se piovesse. Non posso che consigliarvelo. Buona lettura.

SENZA DIRCI ADDIO

Cominciamo col dire che pur essendo il terzo romanzo che racconta quanto accade nella vita dell’ex cronista di nera Dario Corbo, si può tranquillamente leggere senza avere letto i precedenti è assolutamente autoconclusivo. Certo c’è da chiedersi perché negarsi il piacere di leggere dei gran bei noir (nella mia definizione romanzo giallo che non necessariamente vede indagare le Forze dell’ordine e lega le indagini alla società tutta, non al singolo). La narrazione iniziata con La ragazza sbagliata e proseguita in Come una famiglia vede Corbo che lavora con la donna che quando era cronista ha “seguito” come assassina – uscita di prigione e impegnata nel “riordino” del lavoro del padre che era un notissimo artista – che cerca di supportare il figlio con cui ha un rapporto conflittuale, specie dopo la separazione che è accusato di un reato piuttosto pesante, restare vedovo e tentare disperatamente di fare chiarezza su quello che non crede assolutamente essere un incidente. Una storia tosta, in cui l’autore non fa sconti a nessuno e tantomeno a se stesso. La prosa di Simi è scorrevole leggera nonostante i temi toccati siano tosti. Parlo di temi perché le trame sono tante e di conseguenza sono tanti i personaggi che a vario titolo si alternano nella vicenda. L’ironia che quasi naturalmente attribuiamo ai toscani, in Corbo è presente ma addolcita rispetto ad altri corregionali. Un romanzo da non perdere e come dico sempre, Sellerio non ne sbaglia uno e il blu sta bene su tutto quindi che abbiate delle bianche Billy o delle classiche librerie color legno, un salto in libreria ci sta.

Sara che ci fa volare

Un volo privato, quelli usati dai vip con poche persone a bordo, “scompare” durante il breve tragitto fra Napoli e Olbia, dove scompare è un eufemismo per non dire esplicitamente che è precipitato in mare e non ci sono sopravvissuti, almeno fino al ritrovamento se ci sarà, dei corpi.                                               Andrea Capatano, ex agente dei Servizi, amico complementare di Sara Morozzi così come lo è stato di Massimiliano, l’uomo che entrambi hanno amato e di cui hanno conservato i segreti, sta ascoltando il telegiornale quando durante un’intervista di repertorio al vip che era a bordo, sente qualcosa che lo spinge prima a cercare qualcosa nel suo personale archivio e poi a chiamare Sara.   La donna invisibile sembra ben nascosta sotto la nonna che invece è ben visibile e che per far sì che il Massimiliano nipote potesse avere una vita, ha dovuto e voluto tornare nel passato contraendo un debito. La telefonata di Andrea ha lo stesso effetto, il passato ritorna e chiede che vengano saldati dei debiti.

Il romanzo si discosta un po’ dai precedenti o meglio imbocca più decisamente la strada della spy story, l’indagine è su un cold case, un altro aereo che ha volato molti anni prima, anche se ben presto Sara Andrea e Teresa – coinvolta per la sua posizione ai vertici dell’unità e dal profondo legame con i due ex colleghi – si rendono conto che tanto cold poi non è.

E vi ho detto anche troppo, tante le ragioni per leggere questo romanzo così come gli altri, almeno per quanto mi riguarda però, la principale è proprio Sara. Una donna che dalla prima apparizione mi ha affascinata, tranne il fatto che io ancora aspetto che i capelli sbianchino del tutto per poter smettere di colorarli e il fatto che non maneggio la materia come lei, la trovo così affine a me nel rigore, nella solitudine che impone l’onestà brutale, nell’estremismo sentimentale che non posso fare a meno di amarla e mi sembra naturale che tutti debbano fare lo stesso. A differenza che nelle altre serie, qui l’evoluzione sia di Sara che degli altri – Viola Teresa Pardo – è più strutturata, più completa e in qualche modo più integrata e legata alle indagini.

Maurizio de Giovanni si dimostra uno scrittore di razza, un balzano da tre per chi ama l’equitazione, dopo aver affrontato con L’equazione del cuore una storia dove il genere non c’è, dal noir e dal giallo maneggia anche la spy story con naturalezza e la solita maestrìa che romanzo dopo romanzo non fa rimpiangere mai i grandi classici.

Perfetto anche l’equilibrio, sua cifra stilistica ormai consolidata, fra la trama verticale e quella orizzontale facendoci entrare di romanzo in romanzo nel cambiamento che inevitabilmente “subiamo” tutti noi, sia col passare del tempo sia a causa di quello che viviamo. L’unica cosa che non gli perdono, come sempre del resto, è il dover restare sospesi un annetto in attesa del successivo.

CUORI SELVAGGI 2

“Rimane il fatto che andare al Salone per tanti non è una gita da fare il sabato o la domenica ma un vero e proprio ritorno a casa, e finalmente liberi dai legacci della, si spera passata pandemia, un’occasione di lavoro che diventa condivisione e vita”

Ho chiuso così il primo articolo sul SalTo22, perché al di là delle critiche, motivate e quindi lecite, al direttore per la sua ultima edizione, vanno tributati anche i giusti elogi. Tanti tanti incontri, davvero per tutti i gusti, una nuova disposizione che ha ampliato un po’ gli spazi, il tentativo di farci respirare con l’ausilio dell’aria condizionata, laboratori di ogni tipo un posto dove lasciare i bambini e un signor programma. Un occhio attento all’igiene (che visto il numero di visitatori non è scontata) e uno all’ecologia con i distributori d’acqua sempre riforniti a cui riempire le borracce e il bosco, sì sì, piccolo ma un bosco vero fatto di alberi.

Detto questo arriviamo al dunque, vado al Salone perché ho un blog che parla principalmente di libri, perché da 14 anni faccio parte di Mangialibri, perché amo leggere, nel corso degli anni molti autori sono diventati amici e tantissimi amici sono lettori più o meno compulsivi. Non riesco a ricordare se fossi già una Mangialibri la prima volta che ci sono andata, ma a spanne direi di no, l’ho visto crescere e ci sono cresciuta io.

Tre giorni che se mi passate il paragone lievemente esagerato, sono un po’ come un parto una fatica bestiale – quest’anno a onor del vero più fisica che altro –  ma che appena finito non te la ricordi più e ti lascia emozioni ogni volta uguali e diverse.

Restano i sorrisi, gli abbracci, le cazzate che senti e quelle che inevitabilmente dici, le foto con le facce più assurde, quelle con i vip da aggiungere alla galleria. Restano i momenti seri in cui ti ricordi perché ogni anno ti immergi in quella follia e di stand in stand la borsina con i libri che leggerai (e poi troverete qui o su ML) diventa una borsona e ti stramaledici perché il peso ti tira giù.

Restano i panini mangiati in piedi sotto un sole che poteva cuocere le pizze, panini che peraltro costano come il caviale pur essendo dei normalissimi Camogli, restano i momenti in cui ringrazi dio di avere un’intervista che ti permette di sederti in sala Lounge, berti un caffè e mangiare un dolcino che ti portano (stante l’aumento del numero di giornalisti ci sono stati momenti in cui per evitare assembramenti da metropolitana hanno limitato gli ingressi).

Alla fine quindi, stanchezza o no, eventi visti o meno, amici incontrati 50 volte e altri neanche visti, il Salone del libro di Torino è una festa di quelle belle, che un po’ ti dispiace che sia finito, ma niente paura, nel 2023, stesso posto stessa gioia emozioni nuove, ed è giusto il tempo che serve per organizzarsi.