Un romanzo cattivo, non perché succedano cose strabilianti, poco più poco meno è
una realtà che conosciamo quella che ci racconta Bastasi, il punto è come ce lo racconta. Spietato è la parola che meglio descrive a mio parere questo romanzo. Sottolineo questo, perché parliamo di un autore versatile, capace di provare e trasmettere empatia e lo ha dimostrato nei suoi precedenti lavori, la scelta stavolta è stata di tenersi al di fuori. La storia di un uomo qualunque, Massimo Gerosa, che vuole fortissimamente vuole diventare “qualcuno”, e ce la fa; ci riesce nel modo in cui ci riescono tutti, calpestando tutto e tutti, senza guardare in faccia nessuno. Ma come raccontano i proverbi c’è sempre qualcuno che al mattino si sveglia prima di te e qualcuno si è svegliato anche prima di Gerosa, e userà lui come lui ha fatto con gli altri. Una storia di degrado morale che si estende dal privato di Massimo al pubblico, con la descrizione precisa di come la politica, tutta senza esclusioni, sia in grado di manipolare la gente, soprattutto quella animata da principi basici, mors tua vita mea per intenderci. A detta dell’autore – ma non cercatela in rete questa cosa perché viene da una conversazione – non c’è una morale predefinita o intenzionale, io ce l’ho trovata comunque, ognuno è artefice del proprio destino, e nessuno è tanto potente da sfuggire al destino che le stelle hanno disegnato per lui. Quindi se avete voglia di una storia con cui sporcarvi le mani, in cui potete trovare tutti i responsabili che volete, colpevoli per ogni schifezza che vediamo ogni giorno; se se cercate un romanzo scritto bene, nel senso letterale, e soprattutto se vi piacciono i bei libri, Era la Milano da bere è quello che fa per voi.
Categoria: Antidoti
La ragazza nella nebbia – Donato Carrisi ci sfida impunemente
Qu
ando chiudi un libro e ti scatta l’urgenza di scriverne di parlarne di dire a tutti cosa ne pensi i casi sono due, o hai letto la ciofeca dell’anno o una storia splendida. Ho finito La ragazza nella nebbia e non ho potuto aspettare neanche un giorno. Donato Carrisi si è fatto attendere ma dire che ne è valsa la pena sarebbe estremamente riduttivo. Della trama vi posso dire che scompare una ragazzina che non si trova nonostante sia sparita in un paese piccolo, nonostante la cerchino ovunque, nonostante…Ma quello che fa Carrisi è altro, la storia in se, l’indagine sui fatti, che pure vi assicuro sono magistralmente costruite, sono un contorno; quello che fa è puntare i riflettori, per non dire l’occhio di bue, su cosa sono oggi, ma non da oggi, le investigazioni su casi che di per se sarebbero banali, ma che diventano mediatici. L’intento è darci un pugno nello stomaco buttandoci addosso una realtà che spesso rifiutiamo di guardare o accettare; C’è davvero tutto quello che fa di un giallo una storia agghiacciante. Dalle prime pagine si capisce che qualcosa non va nell’impianto, quando la priorità non è più trovare la persona scomparsa, viva o morta che sia, quando non si cercano le prove ma un mostro da sbattere in prima pagina, diventa chiaro che giustizia è solo una parola sul dizionario. I richiami alla cronaca recente sono palesi e fanno sorgere interrogativi e dubbi dai quali forse la mediaticità appunto, ci aveva distratti. Dopo averci lasciati sgomenti con Il suggeritore; dopo averci insinuato la paura raccontandoci il Male; ci trascina nel Dubbio. Il dubbio di avere preso le comode scorciatoie che ci hanno fornito televisione e giornali per ragioni che con la verità non hanno nessuna attinenza. In tutto ciò, da giallara di lungo corso, vi garantisco che di gialli così belli ne trovate davvero pochi
Cuccioli da salvare e da amare – de Giovanni fa centro un’altra volta
Domani 23 novembre, esce il nuovo romanzo di deGio – consentitemi di chiamarlo così – e ancora una volta stupisce, non per la trama gialla che è perfettamente costruita, ma per come riesce a scrivere qualcosa di sempre nuovo pur restando fedele a se stesso e al suo particolarissimo modo di scrivere. Ad ogni romanzo, Cuccioli è il quarto romanzo con gli stessi protagonisti, aggiunge qualcosa ai protagonisti, gli mette addosso i giorni che passano e che inevitabilmente cambiano le persone. E’ incredibilmente in grado di approfondire il carattere e le vicende, di ogni di ogni personaggio focalizzando di volta in volta l’attenzione, mediante un complesso gioco di assegnazione degli incarichi, su una coppia che diventa protagonista. L’incredibile è che quando hai finito il romanzo, ti accorgi che in realtà ha fatto progredire la storia di ognuno; tutti, cattivi compresi. E’ un caleidoscopio di emozioni fatti e atti che alla fine ti fa quasi credere si tratti di persone e non di fiction, perché de Giovanni lavora sempre su più piani, e non c’è verso anche quando decide di sfoderare il giallista, i suoi romanzi sono intrisi di un’umanità palpabile. Certamente non è l’unico autore che lo fa, ma come altri grandi della letteratura contemporanea, ha creato dei personaggi che sono ormai degli amici. Cuccioli concentra l’attenzione su Romano. Hulk per i Bastardi, che sta cercando di non cedere alla tentazione di lasciarsi abbruttire dal dolore della separazione, il destino lo aiuta mettendo sulla sua strada un fagottino abbandonato vicino ai cassonetti. E qualcosa scatta, l’istinto a proteggere quella bambina così piccola e così disperatamente in pericolo di vita, va da se che tutti i Bastardi, chi per un motivo chi per l’altro, mettono l’anima nella ricerca della madre e/o di chi ha abbandonato la bambina. e se si potesse si salterebbe anche dal divano di casa per correre ad abbracciare quel minuscolo esserino. Un bambino cambia la vita, e Giorgia, questo il nome che Romano decide di dare alla piccola, cambia ognuno dei poliziotti di Pizzofalcone. A fronte di un cucciolo umano trovato, un altro cucciolo, il cagnolino Artù, scompare. E’ di un bimbo, che chiede aiuto ad Aragona. Di nascosto, vergognadosi di aver ceduto a una richiesta non esattamente congrua al lavoro di polizia, Aragona si mette alla ricerca del cagnolino “sorvegliato” per fortuna dal Presidente, che abbandona almeno in parte le sue indagini sui suicidi. In autunno i romanzi che vedono protagonisti i poliziotti di Pizzofalcone, ce li potremo godere anche in tv, con uno strepitoso cast, sì ormai è notizia non nuova, ma Gassmann Lojacono io mi sento di ricordarvelo
Chi ha paura di Pulcinella
Ok sono un po’ in ritardo sula tabella di marcia, nel senso che è uscito già da un po’ e sta uscendo il secondo, ma tant’è. Una scoperta Massimo Torre che sul momento ti lascia un po’ così, soddisfatta della lettura ma con un tarlo che ti rode, la sensazione che ci sia qualcosa che non va. Poi ci rifletti – ok ammetto di avere anche scambiato due parole con l’autore – e ti accorgi di aver letto un gran bel libro, e quello che ti lasciava perplessa era assolutamente contestualizzato e quindi al suo posto. Siamo a Napoli, per la precisione al Rione Sanità, un rione che in realtà, nella realtà, è un po’ un quartiere a se stante. Un romanzo esagerato iperbolico rocambolesco, Torre propone un personaggio che diventa metafora, un uomo che rappresenta tutti gli uomini – o perlomeno tutti i napoletani, anche se è tranquillamente estensibile a tutta l’umanità – Pulcinella è una maschera, qualcuno che in realtà nasconde qualcun altro; è il vendicatore di tutti i malversati, la riscossa di tutti quelli che subiscono quotidianamente violenze e soprusi. Esagerato perché capace di azioni che giusto superman potrebbe fare, ma un’esagerazione necessaria per far arrivare il messaggio. Come ha detto Torre, solo i napoletani possono salvare Napoli. Un messaggio di speranza, uno sprone nei fianchi di tutti quelli che tacciono, che pensano di non poter reagire. Il romanzo scorre veloce, il linguaggio è buffo irriverente e a volte decisamente pesante, Torre insiste molto nella descrizione di alcune pratiche – a sfondo sessuale – che Pulcinella ritorce contro i delinquenti, risultando a tratti volgare, ma d’altra parte gli abusi e le prevaricazioni anche di quel tipo sono pratica comunemente usata dalla delinquenza organizzata per imporre vessazioni di ogni tipo, sono parte del processo di umiliazione che è parte integrante nella sottomissione ai voleri del boss di turno. e a differenza di quello che faccio di solito, vo do anche un riassuntino della trama.
A Napoli si sa non ci si fanno domande, a maggior ragione quando c’è di mezzo la malavita, la Cumpagneria nello specifico e un locale sottratto con il sistema del pizzo a un poveraccio. Se poi chi subentra nell’attività al posto di una merceria, è un tuttaio, le domande si dimenticano del tutto. Ma chi è questo Puccio D’Aniello? Uno che aggiusta tutto appunto, dai ferri da stiro alle lavatrici dai cellulari ai computer con prezzi che fanno concorrenza ai cinesi. Il locale comunque è stato affittato e al “sindaco del Rione Sanità” Clemente Sparaco, tanto basta. Ha altro cui pensare, altre grane da risolvere; qualcuno ha picchiato e messo in ridicolo usando le sue stesse armi, addirittura suo figlio, e lo ha fatto pubblicamente, indossando la maschera di Pulcinella, con il tipico lessico pulcinellesco, ironico sarcastico e irriverente. E Rosa, la figlia del merciaio sucidato dalla “cumpagneria”, che vuole vendicare il padre adorato, che giura a se stessa e al mondo che gli Sparaco la pagheranno; Rosa che guarda con rabbia il tuttaio usurpatore, e si innamora, con le conseguenze terribili che può avere l’amore, del Pulcinella vendicatore, di quella tragica eroica maschera che sghignazzando, sbeffeggia i potenti del Rione Sanità. Insomma leggetevillo che stanno arrivando gli altri.
L’Europa che voglio
L’Europa, il vecchio continente, gran bel vecchio fra l’altro. Quello dove dopo Schengen si andava in Costa azzurra, in Spagna o dove volevi fermandoti al cambio, una volta ci rimettevi una volta ci guadagnavi. Poi han voluto l’Unione Europea, e va bene ci sta, ma dove e quando è successo che la Germania potesse decidere quanti litri di latte potevamo vendere? Ma in Germania o in Francia hanno le mucche programmate per fare un tot di latte al giorno? E perchè a un certo punto ci siamo trovati a dover buttare via le arance siciliane, pagando le restanti uno sproposito? Ecco mi sta bene l’euro, mi sta bene che abbiamo un interesse comune, ma deve essere comune, non di pochi. Tanto comunque, e questo forse sfugge, anche se non passi all’ufficio cambio, capita che il pane tu lo paghi 6 euro al kg in Italia e 2 in Francia. Allora ecco, L’Europa che voglio io è un Europa dove nessun paese prevale, dove ognuno produce quel che può e il surplus lo vende a prezzi calmierati a chi ha carenza. Voglio un’Europa in cui nessuno possa decidere che se gira al produttore io devo mangiare un formaggio senza latte, o una birra senza luppolo. E voglio un Europa dove ognuno parli la sua lingua avendo imparato a scuola una lingua comune. Dove l’importante sia l’Uomo. Non le banche. Come dite? L’ha già detto Gaber? Ah già.
Anime di vetro – Falene per il commissario Ricciardi
Non parlerò di trama, non vi racconterò quello che succede o non succede nel libro, primo vi toglierei il gusto di leggerlo e secondo, deGio lo fa egregiamente, ragion per cui diventa inutile che lo faccia io. Ma una domanda ve la voglio porre,cosa distingue uno scrittore da un grande scrittore? Leggendo questo libro lo si capisce, e si capisce che de Giovanni è ormai da tempo nella seconda categoria. E’ la capacità di scrivere, restando se stesso con l’inconfondibile stile, un libro che solo apparentemente è diverso dai precedenti, ma in realtà ne è la logica prosecuzione. È la capacità di dare una svolta decisa ma gentile, che si intuisce più che capire. L’interludio, il corsivo che fa da filo conduttore, che da il la per capire a fondo la melodia, in questa nuova trilogia è la musica. Tre classici della canzone napoletana. La prima, la colonna sonora ma non solo, di Anime di vetro è Palomma ‘e notte. La storia di un uomo che per amore, paragonando l’amata a una falena, rischia di bruciarsi per allontanarla dalla fiamma (dell’amore) che la ucciderebbe. Una storia ispirata alla vita del’autore, il poeta Salvatore Di Giacomo, che intrattene una casta e lunghissima relazione – tredici anni – con Elisa Avignano prima di sposarla, timoroso perché tanto più giovane di lui. E la storia con cui ci racconta questa canzone è poesia nella poesia. L’indagine, qualcuno – grazie Francesca P. Cassie – ha notato un’analogia con Agatha Christie, in questo libro è o sembra del tutto marginale, non è nemmeno una vera indagine, è una disamina chirurgica dei sentimenti. Quelli di una donna che non ama più, ma deve sdoganare la fine di un matrimonio e una menzogna per tornare a vivere; la tristezza profonda, il dolore del barone di Malomonte Luigi Alfredo Ricciardi che per una volta non è un dolore cupo, ma una sana risposta a dei lutti, fisici emotivi e non solo; il dolore di un padre che vede la figlia infelice; i sentimenti feriti che diventano crudeltà inutile e ignobile.
Cambiano i protagonisti, non i vicoli, che passano in sottofondo, ma la città dei circoli e dei nobili. Cambiano i tempi, Hitler è salito al potere con le inevitabili conseguenze anche sulla politica italiana che sappiamo. E cambia Ricciardi, in quale direzione ahinoi, lo sapremo solo al prossimo libro.
Hanno aperto le gabbie – Attenti a LO ZOO di Marilù
Una masseria blindata come Fort Knox, una vecchia contessa, ormai settantenne e una vicenda che trascende dalla classificazione di genere. Un po’ giallo un po’ horror, con una puntina di noir. Clotilde, meravigliosa creatura che proprio non riesce ad accettare il tempo che passa, e a darle una mano il chirurgo plastico, di non chiarissima fama, Cristoforo Tommaseo, che ne è diventato l’amante oltre che il restauratore. Condividono un segreto con poche altre persone, pagate profumatamente per obbedire alle severissime regole imposte dalla contessa. La masseria nel Salento ospita uno zoo particolare, non sono animali a riempire le 7 gabbie, ma uomini, quelli che una volta si trovavano nei circhi. Quelli che se fossero nelle nostre città sarebbero semplicemente dei disabili, dei diversi. Non ci va leggera Marilù Oliva, insegnante scrittrice blogger moglie e mamma; un donnino piccino con due occhi magnetici che ti inchiodano, che quando scrive si trasforma in una specie di vulcano. Lo zoo è una metafora che va a toccare un tema attuale scottante scomodo e chi più ne ha più ne metta. Qui non si parla solo di disabilità, qui si affonda nell’esaminare chirurgicamente cosa provoca la diversità, nel diverso e in chi ha a che fare col diverso. Fra i sette ci sono un uomo affetto da iperticosi, una donna focomelica, un nano un ciclope e una sirena. Marilù ci porta dentro il cuore e la mente di segregati e carcerieri; spietata. Ci racconta di come la follia – ammesso che di follia si possa parlare – può arrivare a far considerare degli esseri umani come degli esseri su cui sperimentare il proprio potere sulla natura, di come i diversi nella consapevolezza del loro essere, riescano a trovare spesso un equilibrio che a noi normali sembra impossibile. E invece amano soffrono godono proprio come i normali. Forse è questo che più salta fuori, o resta dentro, dopo la lettura. C’è da dire che il donnino di cui sopra, ha una capacità di scrivere decisamente notevole e una fantasia che le permette di imbastire intorno a delle possibili realtà, delle storie toste toste e con una lievità che ti fa passare tentati omicidi rapimenti e stupri in modo tale che ti indigni solo dopo aver finito il libro. Il messaggio che a me è arrivato forte e chiaro è: smettiamola col buonismo e prendiamo atto che forse, ammettendo che la diversità esiste, possiamo imparare a conviverci serenamente, senza pietismi, facendola diventare una cosa normale. Un libro, tanti registri, con sorpresa finale. Come al solito le trame le trovate sulle quarte, io da parte mia, vi consiglio solo di acquistarlo e leggerlo. Bé ad essere sincera fino in fondo vi consiglio caldamente anche l’antologia contro il femminicidio, i cui proventi sono tutti per il Telefono Rosa, che ha curato, Nessuna più , dove trovate fra gli altri , cito a caso, Berselli Bertuzzi Comastri de Giovanni De Marco Proietti Mancini Montanari eccetera, e il suo Le sultane, ma quella è un’altra storia (da non perdere)
- Titolo del Libro: Lo zoo
- Autore : Marilù Oliva
- Editore: Elliot
- Collana: Scatti
- Data di Pubblicazione: Luglio ‘2015
Torna in libreria Pierluigi Porazzi – Azrael
18.06.2015 – Torna Alex Nero, torna suo malgrado perché stavolta è lui la vittima, in stile mafioso gli stanno facendo pagare l’aver fatto il suo lavoro. E mentre la polizia indaga, la politica, o meglio una certa politica, protesta e impone depistaggi per meglio proteggere i suoi interessi.
Il panorama giallo/noir italiano sta vivendo una stagione d’oro già da alcuni anni, le motivazioni sono facilmente intuibili, cito – credo – Massimo Carlotto, amiamo il noir nei libri perché la realtà è molto peggio. E forse è vero, Porazzi è uno di quelli che ci racconta la provincia, è uno di quelli che la provincia la vive la conosce la respira. E anche se qualche anima spiritosa, necessitante visibilità a tutti i costi, fa della facile ironia sul marcio che ci racconta, resta il fatto che quel marcio è verità. Sono tanti i poliziotti/investigatori/uomini delle forze dell’ordine, che ci stanno accompagnando, ognuno con le sue caratteristiche. Alex Nero è uno di quelli, si muove dentro le storie dal di fuori, e Porazzi da a lui e ai suoi compagni di lavoro la nostra voce. Esattamente quelle cose che ogni giorno troviamo sui giornali e sulle bacheche dei social. La voce di chi tenta di combattere il malaffare, di chi viene punito per aver fatto il suo lavoro, perché il suo lavoro va inevitabilmente a toccare poteri forti, va a sputtanare e mettere in piazza Mafia capitale e amenità del genere prima che diventino notizie. E nel panorama di scrittori di genere, Porazzi è una voce forte e gentile. Non sono eroi senza macchia e senza paura i suoi, sono uomini con un residuo di umanità che tentano di far prevalere nonostante tutto. Se poi vogliamo parlare dell’autore, tanto di cappello, la capacità di scrivere libri con personaggi che reggono senza ripetersi non è di molti, ed evidentemente Marsilio lo ha capito. E’ mite Porazzi (e non è un insulto) ma che sa descrivere la violenza, raccontarla con precisione, entrando e uscendo ora dalla mente dei delinquenti, ora in quella dei poliziotti. Sa scrivere e lo fa bene. Meriterebbe a mio modestissimo parere un pubblico più vasto, per tante ragioni. Una di queste è che non ricorre a mezzi stilistici furbi, non usa la battuta per sdrammatizzare, ci rovescia addosso la palta e l’essere più intimo dei suoi personaggi. I loro dolori le loro storie, che sfrondando un po’ qui e la, sono quelle di tutti. P.S. i tag non sono messi a caso, ma per capirne il perchè vi tocca leggere il libro 😉
AZRAEL
Euro 18,00
isbn: 978-88-317-2141-7
anno: 2015
Città di polvere – Romano de Marco
Fra gli scrittori di ultima generazione Romano de Marco rientra a pieno titolo fra quelli che non sono più da tenere d’occhio, ma di cui aspettare la prossima uscita. Avete letto Io la troverò in cui abbiamo conosciuto Marco Tanzi e Luca Betti? Sì i due poliziotti della questura di Milano, quello cattivo e quello buono? Se non lo avete fatto datevi una mossa e procuratevelo in fretta, non è necessario averli letti per capire cosa succede in questo, ma sicuramente conoscendo il pregresso ve lo godete di più. (Se poi volete proprio godere, cercate Le prince noir, una raccolta che è un gioiellino) Tanzi è un bastardo, ma è uno che ha trovato la forza di uscire dal buco nero della punizione auto inflitta (dopo aver pagato quello che doveva) e adesso vive come può; portandosi addosso tutto il suo passato come una maglia tatuata. Betti è quello buono, quello che perdona, quello a cui forse mancano un po’ di palle, quello che credeva nelle regole, nelle procedure nell’onestà, e non è andata tanto bene nemmeno a lui. Di cattivi avidi, gente che venderebbe sua madre per una caramella o un tiro di coca, le librerie traboccano, e a quanto pare anche le questure i commissariati e le procure. Le città invece, traboccano di ignavi, di gente che non si accorge di quello che succede, di gente che per superare lo stress per divertirsi per fare soldi per non pensare, si lascia fottere da qualunque nuovo tipo di droga. E più sballi più riesci a star fuori dalla realtà, meglio è. Sì ma meglio per chi? Per chi sulla pelle degli altri ci vive, e ci vive alla grande. De Marco ci racconta una storia sporca che nemmeno la candeggina, una storia che viene da relativamente lontano una storia di corrotti per cui la vita degli altri pesa meno ancora dei famosi 21 grammi. E insieme una storia di coraggio, di onestà e di forza, anche quella di morire. Ci ha confezionato un libro che trabocca di quello che non vogliamo vedere. Lo fa con lo stile che ormai gli è proprio, riuscendo a calibrare linguaggi e atteggiamenti, dosando l’adrenalina come un medico alle prese con un arresto cardiaco, il dosaggio deve essere perfetto o il paziente muore. Un libro che ti tiene col fiato sospeso non tanto per le situazioni ansiogene, quanto per l’incertezza di quale direzione prenderanno i personaggi che quando un autore è bravo, diventano persone. E De Marco bravo lo è davvero.
Mi era rimasto fra le bozze, chissà perché
Ormai è una certezza, sono caduta qui ma ero destinata ad un altro mondo. Questo proprio non lo capisco. Sì sto pensando alla ignobile vicenda Aldrovandi. Ignobile da qualunque parte la si voglia guardare purtroppo. Si salva solo il dolore di una famiglia che aveva un figlio e non lo ha più. Però vorrei capire, capire chi cavalca la tigre ma soprattutto perché. Perché lasciare sulla strada poliziotti evidentemente impreparati. Impreparati alla vita mi verrebbe da dire. Perché non ho dubbi che in altre 1000 occasioni abbiano fatto il loro dovere egregiamente, salvo perdere la testa davanti all’imprevisto. Un imprevisto ragazzo fatto a sufficienza – stando alle perizie – per essere ucciso da un cedimento cardiorespiratorio abbastanza tipico. Possibile che non fossero preparati ad affrontare una situazione in cui una persona, indipendentemente dal motivo è andato di testa? Da non capire che la non reazione al dolore delle botte era un sintomo e non una spacconata (che non giustificherebbe comunque la prosecuzione del pestaggio), da non capire che sarebbe stato sufficiente ammanettarlo e poi spedirlo in ospedale? Questa è la prima cosa che non capisco, la seconda invece è il perché i giornali i pennivendoli i telegiornali e l’ormai mitica rete, diano genericamente la notizia della condanna per omicidio senza specificare che trattasi di omicidio colposo. Perché non vorrei dire ma fa la sua bella differenza. Così si creano i martiri e a me sembra che troppo spesso si confondano degli sfigati con dei martiri. Sfigati nel senso di sfortunati all’ennesima potenza, fosse passato da un’altra strada Federico sarebbe ancora vivo, ma forse lo sarebbe anche se invece di essere conciato fosse stato lucido.
