Tempo di Libri – Atto secondo –

Allora veloce veloce perchè il tempo è tiranno e mi odia, fra l’altro ho letto dei resoconti fatti bene intelligenti e fatti da professionisti e quindi non mi dilungherò. (Per il momento, perchè tanto ci torno). I comunicati stampa sostanzialmente confermano quello che gli occhi hanno visto, numeri che fanno pensare (non ve li riporto perchè tanto li trovate ovunque, ma si viaggia sopra 97000 biglietti staccati che decisamente non sono pochi, a cui vanno aggiunti i 2500 fra giornalisti blogger e addetti ai lavori. Il mio punto di vista è che quest’anno si sia badato di più alla sostanza, meno nomi di sicuro richiamo (che non li esime, non tutti, dall’essere molto sostanziosi) ma una proposta più variegata per una platea certamente più vasta, i nomi li trovate ovunque. Vi racconto velocemente quello che ho seguito io (cioè che sono riuscita a seguire, perchè il folletto della programmazione è un bastardo vero), o meglio quelli che ho seguito per il mio piacere. Un divertimento intelligente quello proposto da Gianni Biondillo, la tombola. Sì la vecchia sana tombola con tanto di cartelle distribuite ai partecipanti, ambii terni quaterne eccetera. Ad ognuno dei 90 numeri corrispondeva una citazione tratta da un libro, relativa ad una zona una via una piazza di Milano. Autori noti alcuni notissimi altri meno,ovviamente si vincevano libri ma sentire Biondillo che racconta la città gli aneddoti relativi ad edifici e/o zone, parlando anche dei libri abbinati, è stato decisamente affascinante. Altrettanto affascinante è stato ascoltare Giulio Casale (e se non lo conoscete fidatevi di me e andate sul link) raccontare dell’indimenticata Nanda Pivano. In un contesto che ha visto fra i percorsi tematici una giornata dedicata alla donna, raccontare una donna che ha fatto tanto per la letteratura italiana è stata un’ottima cosa. Di Marilù Oliva e delle sue spose scomparse vi ho già parlato, per quanto ad una “presentazione” salta sempre fuori qualcosa a cui non avevi pensato. Avevo in programma Costantini Lansdale la Bucciarelli che parlava di classici, ma come dicevo il folletto malvagio ci ha messo lo zampino. Sono riuscita ad ascoltare un po’ di Nando dalla Chiesa, che è sempre un piacere, Morozzi, di cui leggerete recensione e intervista su Mangialibri. Se non avete da fare, ve lo dico sinceramente, io un pensierino sulla prossima edizione lo farei, perchè perdersi fra i millemila stand (con l’augurio che piano piano arrivino anche i mancanti all’appello), ascoltare cose belle, imparare e scoprire è sempre bello.

D’amore di morte e altre utopie – Le spose sepolte di Marilù Oliva

Monterocca non esiste e se esistesse forse non sarebbe poi così bello viverci come si potrebbe pensare. Monterocca è un borgo (grossino ma un borgo), appoggiato sull’appennino emiliano, dove ancora la pianura non è ancora diventata montagna aspra, ma i boschi hanno già stabilito un confine. Monterocca è un esperimento sociale, anche logisticamente, è un posto gestito dalle donne, donna il sindaco donne gli assessori e le rappresentanti delle Forze dell’ordine. Non è che gli uomini siano banditi, anzi, hanno anche dei ruoli pubblici, ma visto che a suo tempo l’esperimento è andato bene, poi la popolazione ha continuato ad eleggere delle donne e si è proseguito così. Una delle eccellenze (sempre parte dell’esperimento) è un istituto di ricerca, oltre a studi su malattie ad oggi senza cura, portano avanti uno studio su un farmaco, una variante del siero della verità, che è stato usato per degli omicidi. Non uomini qualunque, uomini le cui mogli ad un certo punto della loro vita, sono scomparse, svanite nel nulla. Hanno lasciato(?) mariti casa e soprattutto figli, senza mai essere ritrovate nè vive nè morte. Qui stanno le parole chiave di questo romanzo (aperte e chiuse le virgolette, un giallo di tutto rispetto come Marilù ha già ampiamente dimostrato di saper scrivere), figli scomparse e indirettamente, donne. La Oliva ha scritto un romanzo “denuncia”, che punta il faro su diverse cose che probabilmente di solito vengono sottovalutate. Primo fra tutti l’impatto sociale che hanno queste “scomparse”, l’impatto sui figli che improvvisamente si trovano a crescere come se gli fosse stato amputato un arto, senza la figura che nel nel bene e nel male fa di noi quello che siamo da adulti. Un aspetto spesso trascurato, cosa piuttosto ovvia del resto, tendiamo a guardare le cose dal nostro punto di vista, che è quello degli adulti, ma di cosa accade davvero nella testa dei bambini o ragazzini? Non lo sappiamo, non abbiamo in realtà contezza di quali sconvolgimenti e conseguenze possano avvenire e quali effetti potranno avere. Per forza di cose viene sfiorato il femminicidio, parola che personalmente non amo, li considero omicidi, ma che ahimè rende bene l’idea di come una certa parte della società, se a parole, nell’immediatezza dei fatti, condanna gli uomini che dispongono letteralmente della vita (e della morte) delle loro compagne di vita, nella realtà dei fatti, preferisce girare la testa dall’altra parte. Si sfoga sui social ma se sente la vicina di casa urlare o la vede con un livido, fa rigorosamente finta di nulla. Un male antico, non è certo storia dei giorni nostri, ma vuoi la maggior diffusione delle notizie, vuoi un minimo in più di attenzione sui fatti, sembra che ultimamente gli uomini siano impazziti e considerino le donne, soprattutto quelle con cui dividono l’esistenza, come una proprietà esclusiva, non qualcuno ma qualcosa di cui disporre a proprio piacimento. Tornando al romanzo, non solo di femminicidio e delle sue conseguenze si parla; il paese descritto nel romanzo, è chiaramente un’utopia, un posto dove le donne non hanno bisogno di dimostrare nulla dove i ruoli non sono definiti ma interscambiabili a prescindere. Eppure anche nel descrivere un’utopia la Oliva riesce a non perdere di vista la realtà e quel posto che potrebbe essere meraviglioso diventa a tratti claustrofobico, le protagoniste non sono tutte valchirie senza macchia; un posto dove qualcuno che nasconde dei segreti tali da spingere all’omicidio, forse si è nascosto cambiando faccia. Insomma un romanzo in cui si racconta un bel sogno ma senza perdere di vista la realtà. Un giallo che trascina fino alla fine, lasciando il lettore con tanti domande, che per come la vedo io, è esattamente quello che deve fare un buon romanzo. Per chi ama i tecnicismi, bella prova anche dal punto di vista della scrittura, un deciso cambio di stile nel linguaggio per adeguarlo alla situazione, insomma, direi un’altra prova superata brillantemente

Camilleri “le donne non sanno scrivere gialli” – Quando vorresti essere una giornalista famosa

Ecco ci sono momenti in cui vorrei davvero essere una giornalista vera, una di quelle a cui chiunque non risponde no. Durerei poco in Italia e forse anche all’estero, per un motivo semplicissimo, io alle domande pretenderei delle risposte. Giustamente vi starete chiedendo dove voglio andare a parare, sulla faziosità di Fabio Fazio per esempio e su una affermazione del Maestro Camilleri. Maestro per tante ragioni, per la sua poliedricità, per la sua bravura per il rispetto che gli è dovuto. Ah ecco, qui mi casca il primo asino, se do per scontato il rispetto a lui, ho il diritto di pretenderlo? No per me che non scrivo (questo blog è solo un posto dove esprimo opinioni delle quali peraltro non frega niente a nessuno), ma per le tante donne che scrivono. In particolare per quelle che scrivono gialli. Un’intervista del 2011, condotta dal suddetto Fazio, mi ha scatenato una serie di domande e perplessità. http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-606886ab-7a87-4178-8c99-3bcebbfc794b.html . Al minuto 42 più o meno, Camilleri fa una dichiarazione agghiacciante. E se lo dico io che sono la meno femminista delle donne che vi possa venire in mente, credetemi che lo è davvero. Non sto a sindacare sulla dichiarazione, ognuno è libero di avere le sue opinioni e figuriamoci de mi metto a discutere, ma una domanda mi sorge spontanea, perché il sedicente giornalista si limita a fare una risatina imbarazzata? Perché non tenta nemmeno di approfondire il discorso? Giro la domanda a chiunque passi di qui e legga l’articolino, a chiunque abbia la possibilità e la voglia di far arrivare la mia domanda a Camilleri, con tutto il rispetto che ho per un uomo che a parer mio è davvero un maestro.

Se l’amore è uno sgambetto – Un anno di noi

Capita che la vita ci faccia dei brutti scherzi, tipo lasciarti da sola, portarti via l’uomo che ami. Capita e ovviamente tutto deve andare avanti. Sofia ha raggiunto un equilibrio ragionevole, ha il suo lavoro i suoi figli e un formidabile alleato in suo fratello Anacleto. Una vita tranquilla. Ma incappa in un uomo, altrettanto tranquillo e realizzato, che si innamora di lei e soprattutto, fa innamorare lei. de Giovanni nella prefazione lo definisce un magnifico sgambetto, perché un amore così, quando ormai credi di aver realizzato quello che volevi, ti sconvolge letteralmente la vita. Gabriella Giglio, manager napoletana di nascita ma internazionale per background, esordisce nel mondo della scrittura con un romanzo d’amore, ma mica una storia qualsiasi, un anno, raccontato giorno dopo giorno, un anno in cui la Giglio ci racconta delle piccole cose che fanno le giornate, ma in cui ogni singolo gesto è un pezzo di strada e come percorrendo ogni strada, anche Sofia e Roberto non sanno esattamente cosa ci sarà dietro la prossima curva. Una scrittura che forse in qualche punto è ancora un po’ acerba, ma che ha dentro di sè un’idea forte, esattamente come forte è l’amore. Un anno in cui sembra non succedere nulla se non il concretizzarsi di una relazione, ma in realtà un anno in cui Sofia e Roberto mettono in gioco le loro vite e raccontare una vita (anzi molte in questo caso), non è affatto cosa semplice, soprattutto quando i sentimenti in gioco sono diversi, perché una cosa è l’amore fra un uomo e una donna, altro è l’amore che resta verso chi non c’è più, e altro ancora è quello che lega genitori e figli. Insomma Un anno di noi è consigliato a chi ama le storie d’amore “classiche” e a chi ha voglia di scavare un po’ sotto la superficie e perché no, abbandonarsi un pochino ai sogni.

Una vespa gialla del ’74 di nuovo in giro per Milano – Radeschi is back

Prendi un uomo coinvolto suo malgrado in delle morti, minacciato di morte lui stesso, può aspettare di morire o decidere di scomparire. Radeschi Enrico, giovane hacker, giornalista, collaboratore della polizia ad aspettare di morire non ci pensa proprio e quindi scompare. A Milano intanto, molti anni dopo che il nostro eroe è sparito, i delitti continuano a riempire la cronaca, certo quello che viene commesso al Museo del ‘900, in remoto potremmo dire, ad opera di un assassino che lo posta in rete, secondo il vicequestore Loris Sebastiani, per essere risolto ha bisogno che qualcuno si occupi della parte informatica dell’indagine. Roversi (inventore fra l’altro del portale Milano Nera)ha scritto forse il romanzo migliore della serie, è cresciuto in questi anni e la sua evoluzione come scrittore si legge tutta, se già con il precedente – La confraternita delle ossa – aveva strizzato l’occhio a Dan Brown – stavolta non strizza niente, non fa occhiolini e si limita a scrivere un romanzo che davvero non ha nulla da invidiare agli intrighi del citato autore. La trama è complessa e avvincente lascia comunque spazi agli intermezzi di vita del redivivo, dal recupero del Giallone (l’ormai mitica Vespa del 1974), alle visite nella Bassa, sempre una presenza forte che Roversi non manca di menzionare, insieme alla mamma e al babbo
La differenza fondamentale è che se Dan Brown di fondo tocca un tema etico e su quello costruisce la storia, Roversi non scomoda l’etica nè i grandi temi, ma scrive dei gran bei romanzi che si leggono d’un fiato, e ad averne voglia, si imparano anche un bel po’ di cose. E se vi state chiedendo da dove arrivano le cartoline, beh, lo trovate in tutte le librerie di carta o in digitale

Fiori sopra l’inferno

Quando si tratta di successi (editoriali cinematografici o televisivi che siano poco importa) annunciati a scatola chiusa, io qualche perplessità ce l’ho sempre, parto prevenuta mi spiace. In questo modo ho affrontato (si fa per dire), Fiori sopra l’inferno, il romanzo d’esordio di Ilaria Tuti pubblicato da Longanesi. Difetti ne ho trovati a iosa ma c’è un ma. La proprietà di linguaggio e l’apparente leggerezza con cui l’autrice descrive i paesaggi e le situazioni con cui inizia il romanzo, sono davvero notevoli, con naturalezza (ecco perché parlavo di apparente leggerezza), le parole scivolano una via l’altra oliate a perfezione e a parer mio è già un punto a favore della Tuti. La storia fila liscia, lascia intuire chi possa essere il colpevole, o perlomeno da dove venga, ma per scoprirlo ci sono solo gli stessi indizi che ha la polizia. E arriviamo ai personaggi, belli, belli i bambini che hanno un ruolo fondamentale e oserei salvifico, bella la squadra di poliziotti che teme e protegge il commissario Battaglia, una donna non più giovane, burbera sarcastica quasi cattiva in certi momenti, ma che nasconde, o almeno tenta di farlo, un cuore tenero e spaventato ( a buona ragione) dal futuro. Una donna che non si lascia spaventare dal “mostro”, che ha raggiunto delle consapevolezze fondamentali per fare il suo lavoro. Splendide le descrizioni di paesaggi che ben conosco e amo, anche se non capisco il perché inventarsi un paesino che non esiste, un non luogo che forse ricorda , come del resto le situazioni, altri autori di ben più lungo corso. Insomma lasciando da parte le mie personalissime remore su tante cose, questo primo romanzo passa a pieni voti l’esame ed entra a buon diritto nel panorama noir italiano. Buona lettura

Follia maggiore Da Rossini a Robecchi

Sabato pomeriggio più o meno in relax, deve essermi rimasta appiccicata tutta l’acqua che han preso Ghezzi sì il sov, e Carella. Infilata in Follia maggiore stamattina alle 7, ne sono uscita alle 14, senza avere ovviamente fatto altro – e questo dovrebbe già darvi un’idea – niente dicevo, giornata andata cazzeggio con lo zapping e arrivo su Rai 5 dove stanno trasmettendo Il barbiere di Siviglia, va da sè che apro la pagina e ve ne parlo. Cosa c’entri Rossini (ma poteva essere Bizet) con i miei articolini e soprattutto con l’ultima fatica di Monterossi, pardon di Robecchi, lo capirete leggendolo. Io intanto vi dico che fiondarvi in libreria portarvelo a casa e mettervi comodi, è la sola cosa saggia da fare questo we. Stavolta l’autore ha fatto gli straordinari, il nostro eroe non inciampa in un caso per sbaglio, no no, ci viene proprio tirato dentro con premeditazione. Oddio non è che opponga sta gran resistenza, siamo onesti, la particolarità è che stavolta polizia e Monterossi (Falcone a dirla tutta, che Carlo è ad altre mansioni relegato), indagano sullo stesso caso all’insaputa gli uni degli altri. Ovvio che non vi dico chi arriva prima e chi aiuta chi e cosa riguarda il caso, che son poi uno più uno più altro, ma garantisco che non mancano i colpi di scena la suspanse l’ironia il sarcasmo e perfino…Se per caso non vi è venuta voglia di leggerlo e il 16 siete a Milano, in Feltrinelli duomo ci sarà la presentazione e lì voglio vedere chi resiste. Foto impunemente rubata alla pagina di Cristinia Di Canio (come ti stravolgo un firmacopie in Scatola lilla)

Un libro il Generale un uomo. Carlo Alberto dalla Chiesa

Io nella vita ho conosciuto solo militari per bene, anche quelli che vestono una divisa scura e invece della guerra conducono una “guerra” silenziosa, per tentare di contrastare la gente che per bene non è, quelli che delinquono. Per dire, gente come quei due “cretini” che hanno fatto sesso in servizio, contravvenendo ad una serie infinita di regole ben precise (mi spiace ma non credo alla violenza fatevene una ragione), gentaglia così dico, io non l’ho mai incontrata e per inciso la divisa gliela farei mangiare.
Detto questo, quando mi hanno dato da recensire una biografia del carabiniere forse più famoso dopo Salvo D’acquisto, mi sono “spaventata”, mi sono chiesta se ne sarei stata capace. La recensione, quella fatta secondo i canoni, la troverete su Mangialibri a breve, qui lascio spazio alle emozioni profonde che leggere questo libro mi ha scatenato. Rabbia, una rabbia feroce per come questo Paese (che amo insensatamente), da sempre affossa i suoi uomini migliori, da sempre lascia soli questi personaggi che per un senso di Giustizia che va oltre il comune sentire, vanno tranquillamente incontro ad una morte certa. Andrea Galli ha raccontato dalla Chiesa (lo scrivo con la particella minuscola, che denota ascendenza nobiliare, perché pare che sia quella corretta), senza retorica, limitandosi ai fatti nudi e crudi, sia quando parla dell’amore infinito che lo ha legato alla moglie – mancata per un infarto del quale dalla Chiesa si è “incolpato” per anni- ai figli e per ultimo alla seconda moglie – Emanuela Setti Carraro uccisa con lui in via Carini a Palermo – sia quando racconta di come si è inventato, letteralmente, un metodo investigativo che tanto nell’Antimafia quanto nell’Antiterrorismo, che ha dato risultati che nessun altro metodo ha portato, e qui mi è scattato l’orgoglio che possano esserci italiani così, puliti integri, con la schiena dritta sul serio. Insomma un concentrato di tante cose questo libro e il consiglio spassionato che mi sento di dare è leggetelo, per capire come il potere di pochi (noti e ignoti ahimè), renda questo Paese ostaggio di desideri illeciti (nei metodi di acquisizione), soldi potere o deliri di onnipotenza. Mi viene una sola parola, grazie a uomini come il Generale, che ha dato ad altri uomini altrettanto retti (partiamo da Falcone e Borsellino ma la lista è infinita), la possibilità di fare quello che hanno fatto, alla brutta faccia di chi siede o sedeva a Roma, decidendo le nostre sorti.

31.12.2017

Ultime riflessioni dell’anno, su tutto un po’, faccio outing o coming out (tanto non ho mai capito la differenza). E se quanto vi capiterà di leggere, ammesso che vi capiti, deciderete che non volete più essere fra i miei amici, me ne farò una ragione.
Capitolo sincerità: presente le persone che pubblicamente dicono pontificano e straparlano e poi in privato dicono cose diverse adducendo motivazioni profonde e imperscrutabili? Ecco, avete rotto i coglioni. Siete i peggiori ipocriti, non esistono altre motivazioni che non siano la necessità di dare di voi un’immagine consona al politically correct. E vale per ogni cosa, dall’uso delle parole alle battaglie antisessiste all’accoglienza. Badate bene di non confondervi, non attribuite alle mie parole significati che ci vedete voi ma non ci sono. Lo diceva anche quel gran genio di Nanni Moretti no? Le parole sono importanti e aggiungo io, hanno solo i significati che gli attribuisce il vocabolario, quelli che gli date voi, valgono meno di 0. Non datevi arie che poi l’aria al primo spiffero gira, siate onesti anche se vi dovesse costare qualche consenso. E non sto dicendo di dire sempre solo quello che pensate, ci mancherebbe, ma qualche volta in più astenetevi, non cavalcate ogni ondina, che poi a fare i surfisti si rischia grosso. Non siate sempre lì a leccare il culo a qualcuno che ai vostri occhi ha fama o potere, non siate la corte pavida che non ha il coraggio di gridare che l’imperatore è nudo, abbiatelo questo coraggio o quantomeno tacete.
Capitolo donne: non esiste il femminicidio, esiste l’omicidio che può vedere vittima un essere umano di qualunque sesso sia, abbiate rispetto nelle piccole cose, anche nell’avere il coraggio di dire a una donna che sta sbagliando, che sta usando male le sue doti le sue capacità la sua intelligenza, essere femmina non è un privilegio, è un caso, siate rispettosi di ogni essere umano, abbiate il coraggio di dire che una donna con la bernarda di fuori, o sta provocando (per un suo malinteso bisogno di esposizione) o è cretina, così come un uomo che lo tira fuori in occasioni non consone, è un povero mentecatto. In entrambi i casi potrebbero esserci conseguenze che nulla hanno a che fare con le libertà.
Capitolo omosessuali: Amo l’amore, non posso che gioire se e quando qualcuno trova la sua anima gemella, indipendentemente dal sesso, ci sono coppie omosessuali a cui voglio molto bene, anche degli omosessuali single a dire il vero, ma non era questo il punto, il punto è che i genitori che buttano fuori casa un figlio gay, non capiranno il loro errore guardando Malgioglio che fa il cretino e parla di se come di una donna, anzi. Non confondete le cose, il rispetto non è accettazione di ogni idiozia. Un uomo che si concia come una donna pur mantenendo la sua mascolinità, è ridicolo, esattamente come sarei ridicola io se a 50 anni suonati mi mettessi ad andare in giro con minigonne ascellari zatteroni e top esaltatatette.
Capitolo fascismo: è un po’ esagerato come termine ma ci sta, non schieratevi, ascoltate, non arroccatevi sulle vostre posizioni, ricordatevi che ma è solo una congiunzione con valore avversativo, esiste perché le idee, le posizioni, possono avere tante sfumature, sono tante componenti che formano un pensiero. Siate davvero disponibili al confronto, è l’unico modo per capirsi e trovare una strada comune con chi la pensa in maniera diversa da voi.
Riscoprite la pietà, non abbiate bisogno di un barcone o di un faccino nero. Come diceva Gaber, le persone hanno spesso le braccia tanto lunghe da abbracciare il mondo, ma troppo corte per abbracciare un amico.
Godetevi la serata, entrate piano piano nell’anno nuovo, è un neonato, se fate casino lo spaventate e poi va a finire che ci cresce carogna.

Una vita per una vita

Un noto avvocato suicida in una città piccola come Udine fa scalpore, l’ispettore Cavalieri esce dal sonno con il pensiero diviso fra l’avvocato morto e gli esami clinici che deve ritirare, il possibile esito lo preoccupa molto più del lavoro. Il suicida lascia una moglie (una seconda moglie) e un figlio a cui in un biglietto, imputa in qualche modo la sua decisione di togliersi la vita, figlio che fra le altre cose è stato compagno di liceo dell’ispettore. Dopo l’avvocato altri suicidi, tutti apparentemente senza ragioni, iniziano a far pensare all’ispettore che forse non siano quello che sembrano. Il nuovo noir di Pierluigi Porazzi, scritto a quattro mani con Massimo Campazzo, si focalizza su un tema che oggi è particolarmente sentito (e aggiungerei fuori controllo nonostante tutto). Il bullismo e le conseguenze che possono scaturire da quei semplici gesti che fanno i ragazzi. Vittime e carnefici che si ritrovano coinvolti in storie dolorose senza sapere, perché le radici dei fiori, velenosi o meno che siano, restano in profondità al punto da essere dimenticate. Un giallo intrecciato perfettamente con indizi che si accavallano e portano il lettore a cambiare idea ad ogni pagina, un thriller che entra in profondità nella testa e nei cuori dei protagonisti. Oltre alla bravura dei due, vi segnalo che parte del ricavato, sarà devoluto in beneficenza a Udinese per la vita, una Onlus che da 19 anni si occupa di sovvenzionare opere a trecentosessanta gradi, dall’acquisto di attrezzature sportive a quelle mediche. Insomma un regalo doppio da farsi e da fare. Perché non è mai tardi per regalarsi emozioni