All’una e mezza

Pubblicato nella collana vintage delle Edizioni Le Assassine, All’una e trenta è un giallo del 1915. Il protagonista Damon Gaunt, è uno Sherlock Holmes americano che nonostante sia cieco, riesce a vedere e soprattutto a intuire quel che la polizia non sempre scopre. Un uomo è stato ucciso nel suo studio, dove ogni sera si ritirava per concludere la sua giornata con un drink. Il maggiordomo esclude che qualcuno sia entrato in casa dopo che se ne sono andati gli ultimi ospiti della cena e giura che quando è accaduto, Garret Appleton era vivo e vegeto. La richiesta di indagare viene fatta a Gaunt dal fratello della vittima, Yates, che si preoccupa soprattutto per la discrezione che ritiene necessaria a preservare il buon nome della famiglia. Il detective, stimato e rispettato anche dalla polizia, scoprirà a dispetto della sua menomazione, una valanga di indizi che lo mettono di fronte a una soluzione inaspettata. Autrice prolifica e ahimè morta giovanissima, la Ostrander ha usato diversi pseudonimi per gli oltre trenta romanzi che ha scritto. Fu la prima ad inventarsi un detective così particolare. Un’abilità deduttiva notevolmente acuta, gli altri sensi sviluppatissimi a supplire quel la vista non può dare, ma soprattutto il saper cambiare prospettiva quando necessario. Insomma, non eccezionale, ma un piacevole intrigo con cui vale passare qualche ora, soprattutto se si amano le atmosfere di inizio secolo scorso

Le parole di Sara

Due donne si parlano con gli occhi. Conoscono il linguaggio del corpo e per loro la verità è scritta sulle facce degli altri. Entrambe hanno imparato a non sottovalutare le conseguenze dell’amore. Sara Morozzi l’ha capito molto presto, Teresa Pandolfi troppo tardi. Diverse come il giorno e la notte, sono cresciute insieme: colleghe, amiche, avversarie leali presso una delle più segrete unità dei Servizi. Così inizia la quarta di copertina, e benchè ci sia molto molto di più, direi che dà esattamente la misura di quello che de Giovanni ha messo in questo secondo romanzo che vede protagonista Sara. – In realtà, almeno a mio parere, può essere utile leggere o rileggere prima, Sara che aspetta, pubblicato sempre da Rizzoli nella raccolta Sbirre, che è stato inserito alla fine del romanzo –
Detto questo, il perchè Teresa scopra le conseguenze dell'amore, lo capite leggendo il romanzo, io mi concentro su Sara. Siccome la trama, pur eccellente come sempre, non è quello che cerco in de Giovanni, basti dire velocemente che la scomparsa, apparentemente volontaria, di un ricercatore universitario che sta facendo uno stage all’Unità dei Servizi, si rivelerà invece qualcosa di molto più complesso e crudele.
Sara dicevo, l’abbiamo incontrata in una circostanza terribile, la morte del figlio, e poco importa che per motivi diversi fossero esclusi uno dalla vita dell’altra, era carne della sua carne ed è morto. Un incidente ha tolto a Sara qualunque possibilità di riavvicinamento e a Viola, giovane fotografa, il padre del bambino che sta per nascere. Paradossalmente quella morte ha avuto l’effetto di riportare Sara alla vita, di spingerla a combattere i suoi demoni; la nascita del nipote è quasi una catarsi per tutto il dolore che ha scelto di provare e provocare, abbandonando il figlio quando forse avrebbe avuto più bisogno di lei, e quello per la perdita dell’uomo per cui ha lasciato tutto e col quale ha vissuto in simbiosi. Sara, implacabile nel fare quello che la giustizia non può, quasi ci trasmettesse la sua abilità nell’esercizio della prossemica, si mostra poco per volta per quello che è: una donna che non ha perso la capacità di essere amorevole, pronta a mentire per proteggere o almeno tentare di farlo, chi dalla verità potrebbe essere distrutto. de Giovanni ci rivela parola dopo parola, gesto dopo gesto, che la donna invisibile al mondo, a modo suo, sa come farsi vedere quando è necessario esserci. Ma d’altra parte che ve lo dico a fare, Ogni personaggio che esce dalla penna del partenopeo, entra dritto nel cuore dei suoi lettori e ci mette profonde radici, Sara non fa eccezione.

Esercizi di sepoltura di una madre – Nevrosi sparse e risate assicurate

In giorni tristi come questi che viviamo, quando sembra (uso non a caso il verbo, ma non è questo l’articolo in cui approfondire), che il razzismo la faccia da padrone, le cronache familiari che Paolo Repetti – fondatore con Severino Cesari di Stile Libero – è una boccata di ossigeno. Lo è per chi conosce l’umorismo ebraico (d’altra parte non mi risultano altre religioni in cui si discute e si contratta con Dio, e mi pare indicativo), è, o dovrebbe essere una boccata di ossigeno per chiunque non abbia pippe religiose ed è una gran lezione di vita. Alle prime righe ho avuto la sensazione di essere stata catapultata in un libro di Brunella Gasperini (e se non sapete chi è cercate e leggetela). Una famiglia come credo ce ne siano tante, con la nonna Sara (zia dell’autore), che vive in Israele, sionista convinta che il mondo sia solo un grosso complotto tondo per sterminare gli ebrei e che cerca di sopravvivere a una figlia convertita convertendo a sua volta la nipotina. Poi ci sono i nipoti, questi tre ragazzi meravigliosamente normali al punto da essere surreali, prede di ogni loro curiosità, passano (Saretta in particolare), dall’innamoramento per Gesù al chiedere spiegazioni su come si svolga esattamente la fellatio. I suoi fratelli David e Isaac, sono giustamente più presi uno dalla convinzione granitica che tutto (ma tutto), sia spiegabile con la matematica e l’altro dalla certezza matematica che l’unica cosa importante sia la Juventus. Su queste basi si sviluppa il racconto delle assurde conversazioni fra zio (a cui è stato affibbiato suo malgrado ma non troppo, il ruolo del padre che da tempo è assente dalle vite dei ragazzi) e nipoti. Meraviglioso il distacco della madre dei ragazzi, che giustamente (suppongo per un’estrema intelligenza e un fortissimo istinto di sopravvivenza), ha imparato a barcamenarsi e vivere con assoluta normalità le piccole follie familiari. Non manca il ricordo di una yiddish mame, che ha svolto egregiamente il suo ruolo di creatrice di nevrosi – tutte concentrate in un sol uomo – Detto questo, si ride molto, evitate di leggerlo in tram perchè potrebbero prendervi per dei pazzi, ma leggetelo e poi ragionateci sopra, perchè se si potesse realizzare l’equilibrio esistente in questi rapporti familiari, ampliandolo a dismisura, probabilmente vivremmo in un mondo migliore.

Le due teste del tiranno

Hai voglia di qualcosa di buono da leggere e il tuo Ambrogio mentale ti sussurra che hai lì un Malvaldi ancora in attesa. Detto fatto accendi il reader e ti appresti. Hai letto distrattamente che c’è un sottotitolo, ma siccome quell’uomo lì ha una scrittura che adori, ci fai caso tra il sì e il no. A pagina 2 l’incipit è: la matematica è rivoluzionaria, ti fermi un attimo, conscia che il tuo rapporto con la stessa non è mai stato propriamente idilliaco e torni indietro. Sottotitolo: metodi matematici per la libertà. Vabbè cazzo, ma è Malvaldi, spiegherà cose complicatissime in maniera semplice. Ciaone proprio. Poi inizi e puoi non farti catturare dal Numero di Rapunzel? (per chi fosse interessato serve a capire come ti staranno i capelli (sì ok è un po’ più complicato di così ma accontentatevi), tramite un’equazione. Ecco indipendentemente dal tuo amore per la matematica è comunque un’argomento che ti prende no? Poi scopri che sono stati fatti degli studi – che hanno vinto l’IG Nobel Prize- di cui non solo non avresti mai pensato potessero esistere, ma che ti lasciano basita per l’apparente inutilità. Comunque riga dopo riga sei sempre più affascinata dalle teorie dai teoremi dalle equazioni sempre più complicate. Vai avanti impavida perchè sei cresciuta a pane e Gaber, e quindi sai che anche se ti sembra tutto complicatissimo, poi si semplifica. Non è vero, ne sei cosciente e volutamente lo ignori, ma sono talmente accattivanti la leggerezza (e la competenza) con cui il nostro eroe spiega le cose, che prosegui fino all’ultima pagina con una domanda e una certezza. La domanda è: ma dove cavolo ero durante le lezioni di matematica, passi per elementari e medie, ma alle superiori qualcosa mi avranno ben spiegato, possibile che non ricordi niente? Sarà l’età. La certezza è che la tua autostima è ormai scesa a livello di un ipogeo e allegramente conscia della tua manifesta e abissale ignoranza, sei felice di aver letto questo libro perchè ti sei goduta un piatto gourmet servito da uno chef d’eccezione, che non ti ha neanche fatto ingrassare.

Buon compleanno signor G

25 gennaio 1939, Milano. In via Londonio, una traversa di via Procaccini, al civico 28, la signora Carla regalava al mondo una delle persone più belle che il mondo stesso potesse avere. Mamma mia Giorgio, ottant’anni, chissà se le cose fossero andate diversamente, magari saresti stato ancora su un palco. Noi di sicuro se tu ci fossi saremmo presenti, a farci bacchettare a riflettere a ridere a pensare. Come un po’ tutti quelli che ti hanno amato, mi chiedo spesso cosa diresti oggi, no perchè se Silvio ti ha dato materiale per anni, credimi che fra il fonzie dei poveri (si fa per dire), e i pentastellati, uh, ne avevi da camparci fino al 2030. Sulla Lega attuale non so, non apro il discorso perchè scatenerei un casino peggiore di quando hai detto di aver votato Ombretta, solo che stavolta farebbero male a me in prima persona e non ci ho più voglia sai.
Che poi uno dice, ma guardate che Sandro (Luporini), è ancora lì, vive e lotta insieme a voi, ma non sarebbe del tutto vero. Certo Sandro scrive ancora, ma, tanto per rendere l’idea, sarebbe come mangiare un gelato al pistacchio senza la pallina al limone, la magia non è la stessa. Temi caldi ne abbiamo a bizzeffe, ma com’è come non è, li avevi già trattati tutti. nel lontano 1997, hai recitato per la prima volta L’azalea, “Io credo, che non ci sia stato un altro periodo nella storia in cui gli uomini siano arrivati al nostro livello di cattiveria e di egoismo. Un uomo oggi, non avendo remore di morale e di coscienza, tanto più gli conviene tanto più è carogna. È carogna coi più deboli, è carogna coi più forti… no, coi più forti è viscido. È carogna con la moglie, coi figli, con gli amici, è carogna con il mondo intero. Però la domenica, un’azalea. Tutti che comprano un’azalea. Un’azalea per questo per quest’altro per quest’altro ancora, dato che non funziona niente, si risolve tutto con le azalee. E mi bussano alla porta, mi fermano per la strada, mi corrono dietro, col motorino, con la bicicletta e io stremato, che faccio? Compro un’azalea, per salvare bambini, animali, piante, ricerche varie, bacini idrici, le suore del Nicaragua, le foreste dell’Amazzonia. Devo fare tutto io!” Adesso abbiamo gli sms, ma il concetto è quello.
E anche sul tema caldo odierno, l’accoglienza, hai già detto tutto, addirittura l’anno prima, quando migranti era solo una parola. Sogno in due tempi, adesso di migranti ce ne sono più sulle bacheche dei social che in giro, ma che si possa pensare, no, non l’ha mica capito la gente, o è tutto bianco o è tutto nero, mah.
Potrei andare avanti e fare un post chilometrico, ma mi limito a citare un altro pezzo (vabbè magari un altro paio), in cui avevi detto tutto, ma proprio tutto. Il dilemma, perchè anche la famiglia sai, uh se tira. Addirittura nel ’73, ci hai recitato Le palline, roba che se l’avessi fatta oggi, minimo ti linciavano. Non siamo messi benissimo sai, magari ad ascoltarti pareva che fossimo già messi male, ma siamo stati bravissimi in questi anni, abbiamo toccato il fondo e poi scavato.
Ci hai lasciato con una cosa che ha spiazzato tutti, Non insegnate ai bambini, in cui sembri non parlare di politica di costume di uomini, e forse è proprio così, sapevi di averci già detto tutto e ti restava solo la speranza nei bambini, nel futuro. Aspettiamo le prossime generazioni, perchè stavolta, almeno in gran parte, è andata male G. Aspettiamo pazienti che ritorni l’uomo. Buon compleanno signor G, ci manchi, ci mancherai sempre.
Ah, oggi hanno scoperto una targa sul muro del condominio, c’erano Dalia e Ombretta, c’erano i tuoi nipoti, madonna come saresti orgoglioso di loro, c’erano Paolo e Gianfranco (se ti dico che mi sono commossa tu capisci e sorridi vero?), le ragazze “storiche ” dell’ufficio e poi c’era gente, la tua gente, amici di quando eri ragazzo, orgogliosi di averti avuto come testimone alle nozze, orgogliosi di essere stati tuoi amici. Orgogliosi di te, come se fosse merito nostro la tua grandezza.

Ancora noir – Ancora due donne Cecilia Lavopa e Valentina Ferri

Altre due segnalazioni di un certo livello, la prima è una blogger che tutti, o almeno chi frequenta questi lidi in particolare e l’ambiente giallo noir in generale, conoscete. Cecilia Lavopa Una fra e donne più dolci che conosco, che zitta zitta, dopo aver recensito il mondo, aver creato Contorni di noir, moderato incontri e presentato autori, ha pubblicato con I buoni cugini editore, Noir all’improvviso. Quindici racconti, che come diciamo sempre sono forse più difficili da scrivere di un romanzo. Quindici piccole (nel senso di corte), storie che fotografano situazioni apparentemente normali che come da titolo si trasformano in improvvisamente in incubi noir. Buoni, maledettamente buoni per usare un’espressione americana. Stilettate senza pietà, che danno la misura di quanto e quanto bene Cecilia abbia introiettato il genere e talentuosamente lo dimostra.
Si cambia giostra con Valentina Ferri che ci porta in un mondo quasi fatato, quello della mente di Lily Bells, una signora diciamo particolare. Non siamo in zona capolavoro ma piacevole sorpresa, un tourbillon di discorsi sbalestrati e abitudini a dir poco bizzarre che girano intorno ad un efferato omicidio, rendendolo leggero, non c’è un’indagine non c’è un investigatore ma le stranezze di lily, quei sogni che lei è convinta siano vere e proprie bilocazioni, faranno da tramite perchè giustizia sia fatta.
Due generi diversissimi, due autrici diversissime che portano per strade differenti ad indagare l’orrore dell’animo umano.

Fate il vostro gioco che subito dopo Rien ne va plus

Un croupier d’eccezione il nostro Manzini, senza entrare in dettagli su bozze pronte strategie editoriali eccetera, di cui alla fine ci frega poco, resta il fatto che a strettissimo giro di posta, anzi di roulette direi, et voilà, il finale di Fate il vostro gioco è nelle nostre librerie e nei nostri readers. Lo so che ve lo dico spesso parlando di un numero ristretto di autori, ma diamine, sarà mica colpa mia se questi invece di scrivere dei romanzi normali ci piazzano dei carichi da 11 ad ogni uscita. Alla prima presentazione il Manzini ci ha subito tolto le illusioni, Rocco, il nostro amato vicequestore, non sta affatto diventando buono, si sta adattando a quello che ha intorno, come un cane da guardia che finalmente ha capito che il postino non è un ladro testardo, ha smesso di ringhiare, ma non significa che sia diventato suo amico. Ecco che allora comincia a “interessarsi” della vita di chi gli sta intorno, regalandoci delle perle di rara luminescenza quando ci descrive le traversie amorose di Casella e Dintino (lo so, ma daltronde si innamorano anche i rospi e gli scorfani, perchè non loro?), momenti di tenerezza involontaria nei dialoghi con Gabriele e tanto tanto altro. Vi risparmio l’aulica reazione di Rocco alla maestosità delle Alpi e non vi dico niente di come si fa a far scomparire nel nulla un furgone portavalori, non vi parlo nemmeno della nascente liaison, in fin dei conti stiamo parlando di un giallo no?

Fine d’anno di donne – Annie Haynes e Mariolina Venezia

Ultimo giorno dell’anno e lo chiudiamo con due letture che personalmente non mi hanno esaltata, ma mi sento comunque di consigliare. (Sono orrendamente consapevole del mio essere pignola e rompina, e scusate se me la tiro, ma una che fa recensioni deve essere in grado di distinguere il suo gusto personale dall’oggettivo valore di un libro). Dunque dicevamo, due donne, due gialli completamente diversi fra loro, entrambi da leggere.
Il primo, Chi ha ucciso Charmian Karslake, è della collana vintage, un ripescaggio che le Edizioni Le Assassine ha scelto con cura, l’autrice è dei primi del secolo scorso, contemporanea di zia Agatha, non ha avuto lo stesso successo, ma per chi ama il giallo classico e le ambientazioni d’epoca è assolutamente godibile. Protagoniste le donne (come da “statuto” della Casa Editrice), è una lettura distensiva, senza grossi colpi di scena all’inizio ma che nella seconda parte si palesano e sono anche belli potenti. Non cruento e molto basato sulle deduzioni e sulle capacità dell’ispettore che si occupa di scovare il colpevole, mettendosi di traverso a quella piccola nobiltà che nell’Inghilterra dell’epoca la faceva da padrone.
Diverso il discorso per Mariolina Venezia, donna del suo tempo che ci racconta di quel che accade in Rione serra venerdì e di Imma Tataranni, un PM tutto di un pezzo (un pezzo piccolo a onor del vero vista la scarsa altezza della suddetta), ma un pezzo d’acciaio almeno all’apparenza. Il giallo c’è tutto, ma la forza di questi romanzi è tutta nella protagonista e nella città. Matera, città di cui la maggior parte degli italiani sapeva solo che era in Basilicata e c’erano i Sassi, e adesso la troviamo Capitale Europea della Cultura per il nuovo anno. Leggendo questo romanzo (colpevolmente il primo dell’autrice che ho letto), ho trovato una donna, la PM appunto, che è un concentrato di tutto quello che si pensa di una donna del sud – attenzione, gli stereotipi non sono sempre una cosa negativa – Una donna che ha studiato che è figlia del suo tempo ma che ha un legame fortissimo con la sua terra, le tradizioni (almeno quelle culinarie) e un forte senso della famiglia e della giustizia senza sottrarsi alla vita di una donna dei giorni nostri. Insomma due romanzi che vale la pena mettere sul comodino e prendere per mano quando si hanno un paio d’ore da dedicare alla lettura, certi di passarle in modo soddisfacente

Ciao Pinketts

Sono andata a salutare il “mio” Pinketts ieri, mio non perchè fossimo particolarmente intimi, ma perchè lui quando parlava con qualcuno, era proprio tutto presente proprio per qual qualcuno. Si è detto tutto, che era un grande che era speciale che che… ed è tutto vero. Se non lo avete ancora fatto leggetelo, perchè ha una scrittura unica, non passibile di paragoni e accostamenti, ma se n’è andato un uomo prima di uno scrittore, un figlio un fidanzato un amico un maestro. Aneddoti da ricordare ce ne sono a decine e me li tengo, tranne uno, era talmente matto da aver messo in un libro il numero del suo cellulare, e secondo voi chi poteva avere la faccia di provare a chiamare? Esatto, la sottoscritta che ha poi avuto una piacevole conversazione con mamma Mirella, che pazientemente rispondeva e spiegava che sì, era proprio il numero di Andrea, il quale però con i cellulari non aveva all’epoca (ma credo anche dopo), sto rapportone. Ieri guardavo i volti di quello che qualcuno ha definito il suo circo, effettivamente poteva un po’ dare quell’impressione, personaggi di ogni tipo che brillavano della sua luce, perchè Andrea era così, nel suo immane egocentrismo non era egoista e lasciava che chiunque gli si avvicinava, brillasse e si facesse bello con le sue piume, consapevole che le piume erano le sue e tali sarebbero rimaste. Ha aiutato tutti quelli che ne avevano bisogno, mi auguro che molti siano stati in grado di restituirgli il “favore”. Non dimenticava un viso, mai, a distanza di anni lo reincontravi e lui sapeva esattamente chi eri, e questo ti faceva sentire speciale. Leggendo i post di saluto di ricordo o chiamateli come volete, mi è venuto in mente un altro Grande (e non ho usato la maiuscola a caso), Gaber, anche lui non del tutto consapevole della sua immensità, regalava il suo talento e sapeva far sentire ogni persona unica. Non è cosa da poco. Quindi solo grazie a mio fratello che me lo ha fatto conoscere e grazie Andrea che ogni volta che ci siamo incontrati, mi hai stritolata in uno di quei tuoi abbracci da orso, che scaldavano come un cappotto di cachemire

Ve ne dico un po’ che poi voi scegliete con calma

Dice nei paesini cosa vuoi che succeda, e invece poi scorrendo la cronaca dei giornali scopri che ne succedono di ogni, e lo stesso accadeva negli anni passati, quando in teoria… La Rambaldi ci porta nel piccolo mondo di Brisa, che in emiliano è una negazione, un non, e che vista la frequenza con cui lo usa, è diventato il soprannome con cui tutti la conoscono. Un mondo antico (anche se parliamo solo del secolo scorso) in cui una ragazza alta con un accenno di baffi e un’eterocromia, viene indicata come la Stria. Una ragazza che nessuno corteggia perchè tutti ne hanno paura, una che sta sempre zitta e accondiscende a quello che dicono padre e fratello maggiore. Vabbè ma se parliamo solo di Brisa e il giallo dov’è? C’è c’è, un noir cattivo a sufficienza in cui Brisa sarà la chiave, di un mucchio di porte.
Neal Carey ha accettato un incarico un po’ particolare per un detective, ma Karen sta cominciando a parlare di un bambino, gli Amici di Famiglia non si possono deludere, la gratitudine non è morta dovunque, e poi non sembra così difficile occuparsi di un tenero vecchietto. Non sembra, ma il nonnetto ha qualche scheletro nell’armadio e l’incarico si rivelerà tutt’altro che semplice. Se poi la storia la racconta Don Wislow in questo Palm Desert, con la sua prosa asciutta ma perfetta, il divertimento del lettore è garantito.
C’è un altro autore con i controcosi (lo sapete che non dico parolacce, non qui perlomeno), che a dicembre ci mette sotto l’albero la Paura. E sì, come la metti la metti Carrisi ti inquieta. Il gioco del Suggeritore lascia delle inquietudini che ti si instillano nel cervello e poi quando accendi il PC o lo smartphone ti saltano fuori e ti fanno tentennare, hai voglia a leggere gialli e noir, l’unica figlia del buio capace di fare luce e ancora e sempre Mila Vasquez.
Per oggi dalla regia è tutto, mi rendo conto che è poco ma si avvicinano le feste anche qui, e devo stare attenta a preparare veleni mortali e antidoti assolutamente sicuri.