Gli ultimi giorni di quiete

Un imperdibile immersione nelle profondità dell’essere umano

Ci sono delle morti che non seguono le leggi di natura ma sono imposte da mani assassine che non spezzano una sola vita. I genitori di un ragazzo che viene ucciso muoiono con lui, quasi sempre. Non c’è perdono nel cuore di Pasquale e Nora, da quando sei anni prima il loro Corrado è stato ucciso durante una rapina. Continuano a esistere ma non vivono più, lui apre ogni giorno la tabaccheria e lei passa ore accoccolata nel letto del figlio. L’unica “consolazione” è che l’assassino è in carcere. Ma quando l’assassino è libero, ha scontato la sua pena (la pena che decide un tribunale), mentre la tua pena non avrà mai fine e lo vedi improvvisamente di fronte a te, sul sedile di un treno regionale, quello che resta di te diventa un grumo di dolore rabbia disperazione. Non si può leggere Gli ultimi giorni di quiete, senza diventare di volta in volta tutti i protagonisti. Ognuno con un’etica diversa ognuno con differenti metodi ma un unico scopo, dare pace a quel dolore che non lascia tregua per i genitori e dimenticare, andare avanti con la propria vita senza che il marchio di Caino sia visibile per Paolo Dainese.
Non c’è spazio per sarcasmo ironia o battute, Antonio Manzini semina dubbi, domande che non hanno una risposta, entra nella mente dei protagonisti come un chirurgo che opera in robotica. Una telecamera in grado di cogliere ogni minimo particolare e lo trasforma in parole. Parole e pensieri pesantissimi, macigni appoggiati con gentilezza sul cuore. Il romanzo, o meglio l’autore è terribilmente acuto nel cogliere le infinite sfumature degli stati d’animo che il lettore sente suoi ad ogni pagina, nel raccontare la distanza invisibile dall’esterno, che la morte di qualcuno creato insieme, rende enorme. È quasi palpabile la solitudine di Nora e Pasquale e il loro trascinarsi fino a quel momento fatale in treno. Quello che cambia tutto.

La bugiarda – Le Assassine centrano ancora l’obiettivo

Ancora un romanzo al femminile, forse più ancora perché la protagonista al contrario di quanto accade spesso, anziché lasciarsi usare dagli uomini, mette in campo tutta la sua intelligenza per usarli e raggiungere i suoi scopi. Scopi leciti, anzi ammirevoli, non altrettanto i metodi e le vie che usa. Figlia di un delinquente e una donna del tutto inutile, cresciuta in una casa ai bordi dell’autostrada – posizione strategica per gli affari del padre – impara fin da piccola che il mondo e la vita difficilmente hanno strade costellate di petali di rosa. Le hanno insegnato ad usare una pistola a capire dove sta il trucco e come aggirare gli ostacoli. Per un breve periodo Patience è stata anche una donna felice, il tempo in cui è stata sposata con un uomo meraviglioso, distante dal suo mondo, che la faceva sentire una regina e le ha dato due figlie. Purtroppo l’ha anche lasciata vedova e per tirare avanti, si deve inventare una nuova vita. Lo fa in maniera onesta, usando le sue risorse, la perfetta conoscenza dell’arabo, per collaborare come interprete per la polizia, ma quando vede una possibilità, grazie proprio a questa sua conoscenza, non si fa scrupolo di diventare La bugiarda del titolo. Io forse preferisco il titolo con cui è stato tradotto in inglese, The good mother, ma il perché lo capirete leggendolo. Haeelenore Cayre, che nella vita svolge la professione di avvocato penalista, ha cominciato a scrivere nel 2004, romanzi sceneggiature e se non sbaglio si è cimentata anche nella regia. Con la scrittura ha vinto una valanga di premi e a mio modesto parere, sono ampiamente meritati. La Casa Editrice – Le assassine – ha decisamente tenuto fede alla sua mission. Scovare e pubblicare autrici che in un modo o nell’altro scrivano donne. Sempre a mio avviso, la Cayre è anche oltre. Sicuramente la protagonista è una “criminale”, ma nel romanzo si va a fondo soprattutto della sua personalità, delle motivazioni che la spingono  a fare quel che fa. Una donna decisamente particolare, non solo per il carattere ma per la freddezza e la lucidità con cui affronta una situazione che definire più grande di lei, molto più grande di lei è poco. La scrittura in linea col personaggio principale, è lineare e distaccata eppure riesce a farci entrare in empatia con lei e quasi a fare il tifo. Un romanzo appassionante che consiglio caldamente.

Papaveri a Strangolagalli (anche fuori stagione)

Ormai Teresa Papavero la conoscete no? Figlia di un noto criminologo, molto presente in questo romanzo e “abbandonata” dalla madre in tenera età, ha sviluppato l’autostima di una cozza, ciononostante, come una novella Bridget Jones, cucca un sacco e si permette anche di trattare male gli spasimanti (tutti dei gran gnocchi) – questa è una mia personale interpretazione con cui l’autrice si è detta del tutto in disaccordo – La nostra Papavero sta aprendo un B&B a Strangolagalli, sembra che tutto vada per il meglio, ma siamo pur sempre in un romanzo della Moscardelli e quindi qualcosa deve succedere. Non è che manca un timbro del comune o della camera di commercio, eh no, avendo l’onore di tirare giù personalmente l’ultimo tramezzo, all’interno dall’intercapedine ci trova uno scheletro. Il resto ve lo leggete. Io da brava blogger rilevo alcune cose. Che sapesse scrivere lo avevamo capito dal primo romanzo, che avesse un’anima gialla così ben sviluppata no; mi spiego meglio. I morti assassinati le indagini e le intuizioni decisive c’erano anche nei precedenti, ma in questo la trama gialla che peraltro coinvolge personalmente Teresa, prende il sopravvento ed è decisamente più articolata e completa, tutto questo senza nulla togliere, ma anzi quasi per contrasto esaltandola, la parte relativa alle follie che inevitabilmente accadono, un po’ per la location un po’ perché pare che sia una calamita per disastri. Irriverente con la giusta dose di ironia e giocosità alterna momenti drammatici a grasse risate. Alla presentazione in presenza, che coraggiosamente ha fatto ieri sera e per la quale dopo quasi un anno senza, non smetterò mai di ringraziarla, le ho chiesto “conto” di questa anima giallo noir, se avessi letto (cosa che farò al più presto) La vita non è un film, mi sarei risparmiata la domanda. C’è l’ha da sempre e devo dire che da lettrice piuttosto “esperta”, ha anche uno stile decisamente assimilabile ai tanti autori, penso a Malvaldi Recami Savatteri, tanto per citarne alcuni, e allo stesso tempo decisamente personale e diverso. L’equilibrio fra le parti nere/gialle e quelle decisamente umoristiche è perfetto. Scritto durante il lockdown, con la necessità che abbiamo avuto tutti di ingannare l’angoscia, ha confessato di avere inizialmente fatto fatica, ma di avere poi capito di voler regalare alle lettrici e lettori, quello che meglio le riesce, sorrisi intelligenza e ironia. Vi lascio a ripulirvi la mente dai pensieri bui e a rilassarvi qualche ora a Strangolagalli – Per i brividi ci si sposta in Emilia Romagna.

Il Falco di Sveva Casati Modignani

Cosa c’è di più rilassante in queste giornate autunnali che accoccolarsi sul divano con una tazza di cioccolato un plaid e un gatto? Avere in mano un bel romanzo. E qui entro in scena io (il primo che pensa io pecchi di presunzione verrà messo in ginocchio sui ceci crudi); Andate in libreria, che tanto per fare la spesa uscirete, fiondatevi allo scaffale delle novità e portate alla cassa Il falco di Sveva Casati Modignani, poi andate a casa, fate quel che dovete fino a quando potrete divanizzarvi come sopra descritto. Saranno ore di goduria, garantito. Ah fermi tutti, prima di tornare a casa, assicuratevi di avere in dispensa del cioccolato. Potreste anche chiedervi se ho deciso di boicottare Nowzaradan, no la verità è che come da foto, una volta iniziato a leggere, la voglia di una tazza di cioccolato o un cioccolatino a portata di mano, diventerà inarrestabile (e a quel punto voi capite che tanto vale avere vicino uno dei migliori).

Il format è lo stesso di sempre, focus su  un personaggio e poi un viaggio a ritroso nella sua vita e in quella di tutti i personaggi che l’hanno popolata. Giulietta Brenna è un personaggio delizioso, con i suoi errori le sue vittorie le sue sconfitte e naturalmente i suoi amori. E questo è il lungo romanzo che vi consiglio, una lunga storia d’amore con tutti gli inciampi che la vita, quella vera, mette di fronte ad ognuno di noi quotidianamente. Lungo ma ahimè, come sempre con Sveva, la lettura corre e lo si finisce in un attimo. I personaggi che accompagnano la protagonista sono come sempre i più svariati, dal coprotagonista, Rocco, salito bambino a Milano dalla Sicilia, che partendo dal basso, ha fatto tutta la gavetta e ha avuto la fortuna di trovare qualcuno che riconoscendo il talento e facendolo crescere fino a diventare un imprenditore ricchissimo ma con lo stesso cuore di cui Giulietta si era innamorata decenni prima. Le amiche e gli amici di sempre, il tassista il gioielliere eccetera.Io non so quale sia il segreto di questa signora (parlo dell’autrice), ma oserei addirittura un accostamento a Liala – non ci scherzate su perché parliamo di milioni di copie vendute – declina la stessa storia in mille modi, non stufando mai. Forse dipende dal fatto che oltre ad essere una donna intelligente e colta, ha capito il segreto della vita. Pochi ingredienti essenziali, la famiglia l’amore un pizzico di fortuna e di sfortuna e affrontare tutto quello che ci capita, fin dove è possibile con un sorriso e cercando di forgiarci per essere pronti a tutto.

A breve la recensione su Mangialibri

Il metodo del dottor Fonseca

Voi che mi leggete sapete vero che uso l’ironia come forma di legittima difesa e non come comunemente si fa per dileggiare. Ecco questo articolino, o almeno l’inizio, leggetelo così, soprattutto tu dottor Vitali, metti mai ti dovesse capitare sotto gli occhi. Se fosse possibile ecco, io vorrei il numero del fornitore. No perché è facile scrivere cose psichedeliche, bastano un paio di bottiglie buone o sostanze strane, ma le riconosci perché alla fine non ci capisci una cippa, pur magari apprezzando la scrittura o lo psicocontenuto. Invece Vitali, che già con Documenti prego, aveva cominciato l’esplorazione di quell’universo che è la psiche umana, scrive dei romanzi che pur allontanandosi dal reale – inteso come procedure, che restano nel vago – entra in territori che non possiamo definire inesplorati, ma che certamente non sono consueti fra i grandi nomi italiani. Qui personalmente mi sono più volte chiesta se stessi leggendo Vitali o Carrisi con inserti di King o Koontz . Attenzione, niente a che fare con imitazioni o omaggi, direi più la liberazione di un folletto che il dottor Vitali teneva ben nascosto, lasciandolo uscire qualche volta a raccontare antiche leggende nascoste nelle storie di lago. Devo dire che a parte lo straniamento iniziale, questo nuovo trend non mi dispiace affatto, ambientazioni cupe, montagne che invece di essere imponenti sono incombenti, pochissimi personaggi, non luoghi non nomi solo i fatti, peraltro al limite del paranormale. Lontanissimo dal consueto Andrea Vitali e da Bellano, luminoso paesino pieno di persone personaggi chiacchiere e fatti che si incrociano continuamente sulla riva del lago, io vi consiglio di leggerlo – se ancora non lo avete fatto – per scoprire e ribadire che quando c’è il talento, non sai mai come si esprimerà, ma lo farà.

Continuano le Commedie nere – N° 4 La cassa refrigerata

“La morte della vecchia però esclude che l’assassino sia lei stessa, non è più fra i sospettati”… “la sua morte non la scagiona nemmeno dall’essere l’assassina di sé stessa”. Il dialogo virgolettato è solo uno dei tanti che si svolgono fra i convenuti a casa della signora Maria Carrer, di anni 82 evidentemente deceduta per motivi naturali, che giace nella cassa – che come da titolo ha la particolarità di essere refrigerata e permettere di vedere il volto della defunta – in attesa dell’ultimo saluto nel salotto di casa sua. Il particolare che fra la ventina di presenti in attesa di entrare, ci sia solo un parente lontano, che peraltro la defunta non vedeva da anni, è la cosa meno surreale che Recami si è inventato nel mettere insieme questo quarto volume delle Commedie nere. Un compito non facile quello che si è dato lo scrittore fiorentino, i morti perlopiù ammazzati – e garantisco che non sono pochi – diventano leggeri come palloncini, volano via tranquilli senza lasciare nel lettore la benché minima pena. Ci sta, non per nulla sono commedie, ma il surrealismo delle storie e dei dialoghi, se la gioca alla pari con Whodehouse, con Oscar Wlide e Woody Allen. Credete che stia esagerando? No affatto, l’umorismo nero (quasi esclusivamente inglese ed ebraico e da non confondere con la satira) è davvero una delle cose più elitarie che si possano immaginare, è dissacrante irrispettoso ironico con tendenza al sarcasmo e non è nemmeno scontato che sia di immediata comprensione, moltissima gente, probabilmente per una questione di educazione e cultura, non ride e non riesce a coglierlo. Francesco Recami, che a ben pensarci l’aspetto di un tranquillo signore britannico un po’ ce l’ha, quando apre bocca o prende i mano la penna, si mostra, per restare in casa nostra, per quel toscanaccio che è, raccontando storie adorabili.
Evidentemente, visto il successo indiscusso, riesce comunque ad andare oltre il nero che dicevo ed è da tempo una delle punte di diamante di Sellerio. Oltre a leggere senza meno il libro e se li avete persi anche i precedenti, sia le Commedie che la serie della casa di ringhiera, quando finalmente si potrà incontrarsi di persona, mi riferisco ovviamente alle limitazioni dovute al virus, non perdetevi una delle poche presentazioni che concede.

Troppo freddo per Settembre

Un inverno particolarmente freddo, insolito a Napoli, permette a Mina (Gelsomina all’anagrafe), di camuffare ancora più del solito il suo esuberante e imbarazzante – per lei – Problema n° 2. Per chi non avesse letto il precedente – vergogna e 5 minuti in ginocchio sui ceci – l’assistente sociale, che viene da un quartiere bene ma lavora nel consultorio più scalcagnato di Napoli, nei Quartieri con quel che ne consegue, ha un fisico che inspiegabilmente resiste alla forza di gravità e al passare del tempo, nonché una quinta abbondante, il problema n° 2 appunto. Il fascinoso ginecologo che la affianca al consultorio DomenicoChiamamiMimmo, palesemente cotto di lei ma che Mina sappia fidanzatissimo, continua a turbarla, ma la turba molto di più la richiesta di aiuto di una madre che le si rivolge chiedendo aiuto. Nè Mina nè la donna sanno se e cosa sia possibile fare,qualcosa va fatto e Mina non esita a superare il turbamento e coinvolgerlo in qualunque cosa le venga in mente di fare per aiutare questa donna.
Nel frattempo, un anziano professore viene ucciso, cioè potrebbe esserci suicidato, ma il procuratore che casualmente è anche l’ex marito di Mina, scova qualcosa che non lo convince e peraltro lega l’omicidio alla vecchia signora che ha chiesto l’aiuto di Mina. Naturalmente ognuno dei due è all’oscuro del coinvolgimento dell’altro.
E la miseria, quanta trama vi ho raccontato, allora veniamo al succo, si ride, con quell’umorismo al limite del sarcasmo che abbiamo imparato nei confronti del povero Aragona (sì l’agente dei Bastardi), ma che nel sarcasmo vero e proprio non scivola mai, perchè de Giovanni ama i suoi personaggi pur riconoscendone le debolezze e gliele perdona. Cresce il personaggio di Mina Settembre, e si alza l’asticella dei problemi in cui si trova coinvolta. L’autore di Ricciardi dei Bastardi di memorabili racconti sulla cronaca e sul calcio, della donna invisibile, è sempre riuscito ad evitare un argomento che chiunque scriva di Napoli è praticamente costretto a toccare, la camorra. Ebbene stavolta ne parla ma lo fa come lui solo credo può fare. Con dolcezza, lo so, sembra un paradosso ma è esattamente così che deGio riesce a parlarne. Andando dentro le anime anche di gente che teoricamente non ci pensa un attimo ad ammazzare. Ci va con la storia di un”anziano”, schifato (come direbbero a Napoli) dal figlio la nuora e i nipoti, ma adorato dalla nipotina decenne, a cui affida quello che deve lasciare al mondo. La saluta rendendo dolce anche la morte, con l’amore che solo i nonni possono dare e ricevere dai bambini. Lo fa raccontandole delle storie, una in particolare. Lo scrittore, il raccontatore di storie, anche parlando di camorra e morte, come sempre, usa una delicatezza e un’arte nel maneggiare le parole, che lasciano storditi. Come dicevo all’inizio, dopo i racconti e il primo romanzo, la calibratura fra divertimento e racconto è praticamente perfetta. Io dico che anche gli scettici, stavolta si innamoreranno senza dubbio di questa signora, che per inciso, vedremo anche in tv con il volto e il corpo prestati da Serena Rossi.
PS : la storia che la bimba vuole sentire sempre, è una di quelle che la signora Edda ha raccontato a lui e ai suoi fratelli e poi ai nipoti quando erano piccini. Quella piccola donna che racchiudeva un cuore gigantesco, è sempre stata presente nelle storie di de Giovanni ma leggere oggi della scodella è più dolce e doloroso che mai.

Gli scomparsi

A volte tornano, a me per fortuna è tornata la voglia di leggere, dopo un periodo in cui non riuscivo a concentrarmi. Ve lo avevo messo nei consigli stando sulla fiducia di lettori con la L maiuscola, adesso la Tripaldi e i suoi Gli scomparsi – pubblicato da Rizzoli – l’ho letto. Bello, un esordio pulito e fresco con personaggi decisamente non convenzionali. Il trisavolo di Lombroso, nientepopodimeno. Il romanzo prende il via dal ritrovamento di un ragazzo che sembra non avere un passato, vissuto nei boschi insieme al padre o almeno lui così definisce l’uomo di cui ha sommariamente sepolto il cadavere. La Tripaldi con un linguaggio crudo ma mai volgare, scandito da capitoli brevissimi – alla James Patterson per capirci – porta avanti l’indagine del commissario Lucia Pacinotti, che si trova in contrapposizione con la task force creata appositamente per capire chi fosse il padre chi sia il ragazzo e se sia o meno l’unico. La figura di Lombroso è controversa, come già accaduto al suo trisavolo di cui applica le tecniche e gli studi. Un thriller molto psicologico su due fronti. Quello che indaga nella mente di un bimbo rapito e cresciuto nel fanatismo religioso (con annessi e connessi) e contemporaneamente in quella di un uomo costretto dal nome che porta ad abbandonare i suoi sogni. Non perdetevelo perché merita davvero

Il concerto dei destini fragili

Ero terrorizzata dall’idea che ci sarebbe stata un’invasione di libri covidizzati, anche perché c’è da dire che gli autori più prolifici in genere sono i giallisti e il giallo noir il mio genere prediletto, il mio terrore è presto spiegato no?
Vero è che oltre ad essere i più prolifici, i giallisti sono anche (credo) i più venduti e letti, quindi era inevitabile che qualcuno chiedesse un romanzo o un racconto sull’argomento ad uno degli autori italiani più letto.
Che sia anche un amico lo sapete ormai tutti, spero che sappiate anche che questo – l’essere in amicizia con qualcuno – non influenza mai le mie recensioni su quello che scrivono. Li chiamo a testimoniare, se qualcosa non mi piace lo dico senza remore. Fatta questa premessa doverosa, va detto che forse solo de Giovanni (non me ne voglia nessuno) poteva trovare la chiave giusta per raccontare i mesi tremendi che abbiamo vissuto. Lo ha fatto raccontando la quarantena di due persone – che fra loro non si conoscono – e di un medico di terapia intensiva. Due persone che potrebbero essere i nostri vicini di casa o comunque qualcuno che incontriamo per strada, due vite che non hanno niente in comune, una ricca e una un po’ tenuta stretta coi denti ma dignitosa. Entrambi con dei problemi che l’isolamento amplifica a dismisura, due modi di affrontare i problemi completamente diversi. I loro destini finiranno per incrociarsi, perché la vita è fatta così, mescola le carte del mazzo e la mano che devi giocare la decide lei. Detto ciò, dalle prime pagine si ripiomba nell’incubo che a molti sembra ormai lontano – complice il fatto che ci si può muovere siamo tornati al ristorante a prendere un caffè e ad andare in vacanza – ma che in realtà è ancora sopra di noi come un’invisibile spada di Damocle, appena dietro le spalle quasi ancora sul collo, come ancora viva e in molti drammaticamente presenti, ci si rende conto leggendo, sono la paura il dolore il sospetto.
Ed è sentendosi nuovamente chiusi in casa con l’autocertificazione pronta da prendere insieme alle chiavi per andare a fare la spesa, che avanzando nella lettura ritroviamo la capacità unica che ha de Giovanni di raccontare l’animo umano, in ogni sua sfumatura. Sempre distaccato, mai giudicante ma eccellente fotografo capace di far emergere dalla foto luci ed ombre, senza trucco. Lascia che sia il lettore a trarre le sue conclusioni, lasciando delle suggestioni che ognuno può cogliere o meno a seconda della sua sensibilità. Per quanto sia certa che nessuno di noi, che sia stato toccato o meno dal covid, potrà mai dimenticare questo periodo, leggere e avere a portata di mano questo libro, una buona dose di accortezza e una scorta di mascherine, come capita con certe amare medicine, sia quasi obbligatorio.

seconda parte consigli rapidi

Ci sono autori sardi che ormai hanno travalicato ogni confine nazionale e anche internazionali, autori di best sellers, nomi che sono una garanzia assoluta. Ne trovate molti in questa raccolta che vi consiglio, ottimi racconti gialli che si rispecchiano nelle mille sfumature del verde e del blu, dallo smeraldo al cobalto del mare, si confondono con i riflessi del sole sulle spiagge ora bianche ora rosa, si fondono con la vegetazione impenetrabile e unica dell’entroterra, si ammantano di tradizioni e di caratteri che solo sull’Isola si trovano. Ah non vi ho detto il titolo, Giallo sardo, fidatevi che è un bel viaggio.
Per quest’altro invece, dovete avere un po’ di tempo, sono 650 pagine. Il titolo è Maradágal, l’autore è Eugenio Tornaghi, “pochi” romanzi (il ragazzo è meticoloso e scrive con calma) poi scrive anche storie per bambini sceneggiature e in più è un professionista della finanza, se avete letto La pesca dello spada – romanzo precedente in cui il protagonista era già diventato commissario – vi sarete resi conto della solidità della trama della struttura e della bellezza della scrittura. Questo oltre ad essere un giallo, è una storia di paese, di gente, di rapporti umani di matti scomparsi e di segreti. E dove come nella migliore tradizione, nessuno è innocente.