
Ci sono delle morti che non seguono le leggi di natura ma sono imposte da mani assassine che non spezzano una sola vita. I genitori di un ragazzo che viene ucciso muoiono con lui, quasi sempre. Non c’è perdono nel cuore di Pasquale e Nora, da quando sei anni prima il loro Corrado è stato ucciso durante una rapina. Continuano a esistere ma non vivono più, lui apre ogni giorno la tabaccheria e lei passa ore accoccolata nel letto del figlio. L’unica “consolazione” è che l’assassino è in carcere. Ma quando l’assassino è libero, ha scontato la sua pena (la pena che decide un tribunale), mentre la tua pena non avrà mai fine e lo vedi improvvisamente di fronte a te, sul sedile di un treno regionale, quello che resta di te diventa un grumo di dolore rabbia disperazione. Non si può leggere Gli ultimi giorni di quiete, senza diventare di volta in volta tutti i protagonisti. Ognuno con un’etica diversa ognuno con differenti metodi ma un unico scopo, dare pace a quel dolore che non lascia tregua per i genitori e dimenticare, andare avanti con la propria vita senza che il marchio di Caino sia visibile per Paolo Dainese.
Non c’è spazio per sarcasmo ironia o battute, Antonio Manzini semina dubbi, domande che non hanno una risposta, entra nella mente dei protagonisti come un chirurgo che opera in robotica. Una telecamera in grado di cogliere ogni minimo particolare e lo trasforma in parole. Parole e pensieri pesantissimi, macigni appoggiati con gentilezza sul cuore. Il romanzo, o meglio l’autore è terribilmente acuto nel cogliere le infinite sfumature degli stati d’animo che il lettore sente suoi ad ogni pagina, nel raccontare la distanza invisibile dall’esterno, che la morte di qualcuno creato insieme, rende enorme. È quasi palpabile la solitudine di Nora e Pasquale e il loro trascinarsi fino a quel momento fatale in treno. Quello che cambia tutto.





“La morte della vecchia però esclude che l’assassino sia lei stessa, non è più fra i sospettati”… “la sua morte non la scagiona nemmeno dall’essere l’assassina di sé stessa”. Il dialogo virgolettato è solo uno dei tanti che si svolgono fra i convenuti a casa della signora Maria Carrer, di anni 82 evidentemente deceduta per motivi naturali, che giace nella cassa – che come da titolo ha la particolarità di essere refrigerata e permettere di vedere il volto della defunta – in attesa dell’ultimo saluto nel salotto di casa sua. Il particolare che fra la ventina di presenti in attesa di entrare, ci sia solo un parente lontano, che peraltro la defunta non vedeva da anni, è la cosa meno surreale che Recami si è inventato nel mettere insieme questo quarto volume delle Commedie nere. Un compito non facile quello che si è dato lo scrittore fiorentino, i morti perlopiù ammazzati – e garantisco che non sono pochi – diventano leggeri come palloncini, volano via tranquilli senza lasciare nel lettore la benché minima pena. Ci sta, non per nulla sono commedie, ma il surrealismo delle storie e dei dialoghi, se la gioca alla pari con Whodehouse, con Oscar Wlide e Woody Allen. Credete che stia esagerando? No affatto, 
Un inverno particolarmente freddo, insolito a Napoli, permette a Mina (Gelsomina all’anagrafe), di camuffare ancora più del solito il suo esuberante e imbarazzante – per lei – Problema n° 2. Per chi non avesse letto il precedente – vergogna e 5 minuti in ginocchio sui ceci – l’assistente sociale, che viene da un quartiere bene ma lavora nel consultorio più scalcagnato di Napoli, nei Quartieri con quel che ne consegue, ha un fisico che inspiegabilmente resiste alla forza di gravità e al passare del tempo, nonché una quinta abbondante, il problema n° 2 appunto. Il fascinoso ginecologo che la affianca al consultorio DomenicoChiamamiMimmo, palesemente cotto di lei ma che Mina sappia fidanzatissimo, continua a turbarla, ma la turba molto di più la richiesta di aiuto di una madre che le si rivolge chiedendo aiuto. Nè Mina nè la donna sanno se e cosa sia possibile fare,qualcosa va fatto e Mina non esita a superare il turbamento e coinvolgerlo in qualunque cosa le venga in mente di fare per aiutare questa donna.
A volte tornano, a me per fortuna è tornata la voglia di leggere, dopo un periodo in cui non riuscivo a concentrarmi. Ve lo avevo messo nei consigli stando sulla fiducia di lettori con la L maiuscola, adesso la Tripaldi e i suoi Gli scomparsi – pubblicato da
Ero terrorizzata dall’idea che ci sarebbe stata un’invasione di libri covidizzati, anche perché c’è da dire che gli autori più prolifici in genere sono i giallisti e il giallo noir il mio genere prediletto, il mio terrore è presto spiegato no?
Ci sono autori sardi che ormai hanno travalicato ogni confine nazionale e anche internazionali, autori di best sellers, nomi che sono una garanzia assoluta. Ne trovate molti in questa raccolta che vi consiglio, ottimi racconti gialli che si rispecchiano nelle mille sfumature del verde e del blu, dallo smeraldo al cobalto del mare, si confondono con i riflessi del sole sulle spiagge ora bianche ora rosa, si fondono con la vegetazione impenetrabile e unica dell’entroterra, si ammantano di tradizioni e di caratteri che solo sull’Isola si trovano. Ah non vi ho detto il titolo,
Per quest’altro invece, dovete avere un po’ di tempo, sono 650 pagine. Il titolo è