L’IRONIA DELLA VITA

Juliet Marion Hulme e nasce a Londra nel 1938 ma a causa di una debole costituzione e della tubercolosi, passa la sua giovinezza in posti caldi, durante il conflitto è in Nuova Zelanda dove nel 1948 si trasferisce anche il padre che assume la direzione del Canterbury College di Christchurch.
Juliet non ha molti amici ma si lega particolarmente a Pauline Parker, le ragazze, ma forse sarebbe meglio dire le bambine, passano insieme un sacco di tempo, tanto che negli anni, anche a causa di una “diagnosi” psichiatrica, c’è il sospetto che le due siano almeno a livello sentimentale, innamorate (parliamo sempre comunque di preadolescenza). A sedici anni Juliet dimostra già un’indole piuttosto contorta, tanto che scoperta la madre a letto con un uomo che non è suo padre, tenta di ricattare lo sventurato signor Perry. Vi è suonato un campanellino? Bene.
Dopo la diagnosi di cui sopra, le famiglie decidono di separare le due ragazze, in realtà è Honora Parker che maggiormente si oppone alla frequentazione. Nel diario di Pauline (poi vi dico perché lo citiamo) descrive lei e l’amica come creature celestiali di incomparabile bellezza, superiori alla media, quasi appartenenti ad una razza privilegiata. Il professor Hulme, ormai al divorzio, sta per lasciare la Nuova Zelanda e decide di portare con sé Juliet che, nei piani del padre dovrà restare (sempre per la questione climatica) in Sudafrica affidata alle cure di un collega. Sempre dal diario di Pauline “Ogni giorno muore tanta gente, perché non la mamma?” Per farla breve, il 22 giugno del 1954 le due uccidono la madre di Pauline, il piano è di farlo passare per un incidente ma il medico che presta soccorso alla donna, secondo le ragazze caduta su una pietra, intuisce che la dinamica è un’altra, chiama la polizia e le ragazze finiscono sotto processo. È qui che il diario diventa importante in quanto portato come prova in tribunale dimostra chiaramente la premeditazione. Solo per la loro giovane età scampano alla pena di morte e finiscono in prigione per i 5 anni successivi, a 700 km di distanza l’una dall’altra. Pauline una volta libera scompare, Juliet invece raggiunge il padre in Inghilterra.
Nel 1978 esce con un discreto successo, a firma Anne Perry, quello che diventerà il primo di una lunga serie di storie, “Il boia di Carter Street” , un romanzo ambientato in epoca vittoriana con protagonista l’ispettore Thomas Pitt. Nel 1994 il regista Peter Jackson gira un film “Creature del cielo” con Kate Winslet, ispirato alla storia di Juliet e Pauline che risveglia i ricordi di un giornalista. Questi, seguendo le tracce di Juliet Hulme si accorge che Juliet scompare quando sulla scena appare una scrittrice chiamata Anne Perry. Tutti i giornali escono con la notizia che in realtà una delle più grandi scrittrici di gialli è un’assassina. Anne Perry conferma al suo editore che è tutto vero, il suo è uno pseudonimo, quella ragazzina coinvolta in un’omicidio, Juliet Hulme era lei. Intervistata dallo scrittore scozzese Ian Rankin, la Perry conferma la sua vera identità al mondo, racconta la sua storia e di aver capito durante la detenzione, l’importanza di pagare il proprio debito con la giustizia cosa giusta e utile per la rinascita come persona. Il riscatto dice, arriva quando si capisce che ciò che si è fatto era male e non si desidera più essere quel tipo di persona. Ammette candidamente nell’intervista,di non aver mai pensato all’ironia del fatto che lei si guadagni da vivere come scrittrice di gialli, finché non glielo hanno fatto notare.
IL BOIA DI CARTER STREET

Londra primavera 1881. La vita del quartiere londinese dove vive la famiglia Ellison, è scossa da una serie di orrendi delitti di cui è vittima una delle loro domestiche.
Sebbene la morale e i costumi dell’epoca non prevedessero per le fanciulle la lettura dei giornali, Charlotte, che è poco incline al rispetto delle rigide regole, segue la vicenda proprio dai quotidiani. A occuparsi delle indagini è l’ispettore Thomas Pitt, abile conoscitore dell’animo umano, in qualche modo riesce a coinvolgere la giovane, mostrandole una realtà del tutto diversa da quella che lei immagina. Col proseguire delle indagini, che si avvicinano sempre più al mondo di Charlotte stessa, la ragazza, oltre a capire che la società non è quella che lei ha sempre creduto, che appena fuori dalla porta di casa esistono la miseria, bambini costretti a lavorare, donne che si prostituiscono per la sopravvivenza loro e dei propri figli, scopre anche di provare un nuovo sentimento, anch’esso del tutto contrario alle convezioni. Con pochi tratti, Anne Perry ci catapulta completamente in pieno periodo vittoriano, quando il perbenismo e le convenzioni sociali dominano la società, soprattutto fra i ceti medio-alti. Il comportamento in società è dettato da rigide regole, il perbenismo domina la morale comune e chi non segue queste regole è destinato a dare scandalo, soprattutto se donna. La Perry è abilissima oltre che a tratteggiare il periodo storico, anche a imbastire una trama che tiene il lettore in sospeso fino alle ultime pagine; scoprire chi è il serial killer e il movente dei delitti – quanto di più anticonvenzionale e scandaloso per l’epoca – non è affatto facile. La narrazione si snoda con eleganza e precisione fra scene di vita sociale e familiare, mentre le indagini si svolgono nel tipico stile del giallo classico. Con questo romanzo (1979) inizia la vasta produzione della Perry che oltre alla serie all’ispettore Pitt, trentadue romanzi, fra altre serie i singoli e racconti, consta di oltre un centinaio di opere.
Ho cominciato a leggere Anne Perry dal primo romanzo, l’ho amata moltissimo e a qualche giorno dalla sua scomparsa, mi è sembrato giusto ricordare la storia di questa grande autrice, che ha dato alle stampe romanzi ormai entrati di diritto nella giallistica classica. Molti appassionati conoscevano già questa storia, ma credo possa essere interessante anche per chi non è addentro. Se non la conoscete, vi consiglio fortemente di aggiungerla senza meno alla vostra libreria.
Articolo e recensione sono a cura di Martina Sartor
