Piernicola Silvis

Ci sono libri, romanzi, che leggi con la contezza di immergerti in una storia d’amore, o criminale o in un altro tempo. Poi ci sono romanzi come questo, che ti portano ovunque senza soluzione di continuità lasciandoti alla fine con due certezze. Non esistono colpevoli né innocenti assoluti, tutti potremmo essere tutto, a causa di un momento infinitesimale o per una vita di reiterazioni inconsapevoli. L’errore che nello specifico risulta essere fatale non è immediatamente identificabile o per meglio dire è attribuibile a più protagonisti e contemporaneamente è talmente banale da non sembrare tale. Nella storia di Pepe Ruggieri e Flo, il lettore passa continuamente da uno stato d’animo all’altro, dalla parte di uno a quella dell’altro, si riconosce a fasi alterne, l’errore diventa di uno poi dell’altra e ritorna indietro. Esattamente come nella vita, prendere una posizione netta diventa impossibile salvo che nella pietas che si prova per chi ha commesso quell’errore, senza nemmeno essere cosciente di averlo fatto, perché ogni atto, azione pensiero o omissione, nel momento in cui viene messo in essere diventerà un errore o no, in base al momento e al contesto. Il romanzo è dedicato a quelli che Silvis chiama gli Angeli Violati, che sono le donne abusate, picchiate uccise e lo è a buona ragione, però, per chi è bacato in testa come me, oltre ad essere un gran bel romanzo, diventa un coacervo di domande molto poco politicamente corrette, una valanga di riflessioni e contro riflessioni, che nulla tolgono, anzi, probabilmente rendono più consapevoli dell’importanza del tema di fondo. Il che è esattamente quello che chiedo a un romanzo che non sia uno di quelli svuota cervello. Silvis è un poliziotto – in quiescenza – che ha svolto nella sua carriera, svariati e diversi incarichi, fino a diventare questore, nel corso degli anni ha affrontato situazioni di ogni tipo, cosa che si riflette inevitabilmente sulla scrittura e nelle storie, evitando l’effetto “cazzata” che ovviamente è il rischio maggiore di chi racconta per interposta persona, ragion per cui le sue storie risultano ancora più coinvolgenti. Non ha uno stile unico e immediatamente riconoscibile (che nello specifico è un complimento) ma è in grado di adattare la scrittura al racconto; passa da un linguaggio duro e veloce – La pioggia – a una scrittura dolente senza cadere mai nel lamentoso di Storia di una figlia. In questo libro è quasi tenero, salvo qualche necessaria eccezione, perché tenero e comprensivo è lo sguardo sul dramma che i protagonisti, hanno involontariamente creato, estendendolo a una situazione purtroppo attualissima. Un romanzo da leggere per mille motivi, per farsi domande, come scritto prima, per capire quato sia facile commettere errori anche di valuazione, e quanto sia importante porsi davanti al problema della violenza di genere con la mente aperta, andando in profondità senza mai perdere di vista il tutto da cui parte il particolare. E se mi è concesso, con la voglia e la seria intenzione di capire che laddove la follia non è prevenibile, tutto il resto molte volte sì.

