L’ESTATE DEI MORTI

Roberto Serra è un uomo strano, oddio, strano per questi nostri tempi; è analogico Serra, è legato al suo personale mondo e modo. Il computer è una bestia strana, utile quel tanto ma neanche troppo, la musica è rigorosamente quella dei cantautori e si ascolta su vinile, il cellulare serve per telefonare. Insomma a Case Rosse (che poi sarebbe Zocca dove oltre a Vasco è nato anche Pasini) ha trovato la sua dimensione, quella che a Roma non riusciva più a sostenere. In quel piccolo borgo, che se solo l’autore fosse più prolifico farebbe concorrenza a Cabot Cove per numero di omicidi in proporzione agli abitanti, ha quasi ritrovato pace, il quasi ha tante ragioni, sembra finalmente che la Danza non lo tormenti più, ma la paura che torni in qualunque momento non lo lascia mai, quasi perché smettere di bere è mantenersi sobri, se non sei in un telefilm americano non è così semplice, perché il coraggio di affrontare il suo fantasma più grosso, chi ha ucciso i suoi genitori e perché, sembra abbandonarlo ogni volta che sta per fare l’ultimo passo possibile, quasi perché la sua ex moglie sta per risposarsi e la sua Silvia, la ragione per cui è ancora vivo, abita con l’uomo che sposerà la mamma e lui non riesce a vederla abbastanza a viverla abbastanza darle abbastanza. Last but not least, da qualche mese condivide il suo minuscolo commissariato con Rubina Tonelli, mandata in esilio a tempo determinato, (come i carcerati cancella ogni ggiorno dal calendario in attesa di tornare nella sua Rimini). Praticamente gli hanno imposto di lavorare con la sua, almeno agli occhi l’uno dell’altra, antitesi vivente. È proprio la povera Rubina che prende la telefonata che dà l’avvio a un caso che sembra essere impossibile da risolvere. Potrei fare la sborona o la colta e dirvi che Pasini ha assorbito dai grandi, Poe Lovecraft King, e non racconterei neanche mezza bugia, certo che li ha introiettati, ma quella che ci restituisce è la Storia, quella che chi è nato in montagna conosce fin da bambino. Fiabe per i grandi, perché l’uomo nero, il babau, è dentro ognuno di noi e incarna, fin dai tempi delle favole (quelle originali dei fratelli Grimm), quelli che sono i pericoli della vita, perché un uomo nero o la Borda (poi vi dico chi è), la potremmo incontrare ogni giorno, senza riconoscerli mai se non quando è troppo tardi. La Borda è un “mostro” che prende i bambini e li ammazza, è l’uomo nero della bassa Lombardia e dell’Emilia, quello dei boschi di prima montagna in cui ci siano torrenti fiumiciattoli laghetti e stagni. E poi c’è l’attenzione che Pasini dedica al Diverso, è un’attenzione sottotraccia, delicata eppure fortissima, i suoi diversi non lo sembrano affatto, eppure affrontano mostri inimmaginabili, sono gli uomini e le donne spezzati, feriti e lacerati da cicatrici invisibili e mai chiuse. Lo fa Serra, lo fa Rubina, lo fanno, lo facciamo, tutti chi più chi meno, qualcuno nascondendo le battaglie sotto i pantaloni, chi rifugiandosi nella solitudine. Non ci sono mai né vincitori né vinti. E ancora c’è la magia dell’Appennino, fatta di colori di profumi di paesaggi e tradizioni secolari se non millenarie, di radici lunghe che non si spezzano mai. A questo aggiungete un numero imprecisato di coprotagonisti che sono i colleghi di Serra e Tonelli, i paesani, che comprendono anche chi sta nelle frazioni, i vivi i morti e chi conserva i segreti, oltre a un’indagine che fila perfettamente, svelando ben altro oltre al colpevole del duplice omicidio denunciato da un fantasma.