CONSIGLI PER LE STRENNE

Nel caso non lo aveste letto, o se lo avete fatto, archiviato con un azz che bello e dimenticato, segnatevelo per uno dei pacchetti sotto l’albero. Di lui, Pierluigi Porazzi, avvocato friulano, relativamente poco social, scrittore eclettico in grado di affrontare svariati generi, come si confà a quelli bravi, Pupi Avati (non pizza e fichi) ha detto : “Un talento nella scrittura”, io (più pizza che fichi) aggiungo, leggetelo. Ha preso una cosa di cui io, che mi picco di essere abbastanza colta, nemmeno sospettavo l’esistenza, e ci ha fatto un romanzo, un giallo e che giallo. Le imagini anamorfiche. Fa impressione eh, sotanzialmente si tratta di un’illusione ottica per cui l’immagine anamorfica diventa visibile solo guardando da una determinata prospettiva o con strumenti deformanti. Voi capite che già mettere al centro di un giallo le immagini anamorfiche, la dice lunga sulla fantasia, far filare tutto senza una sbavatura, la dice lunghissima su quanto è bravo. Comunque vi basti sapere che Porazzi ci porta a spasso per Udine accompagnando la Leone e Alex Nero, ormai ex poliziotto ma dall’intuito indispensabile, nel complicato mondo del commercio artistico. Un mondo che pochi – grandi scrittori – hanno affrontato, forse proprio per la complessità delle regole che lo governano. Eppure Porazzi, lo fa con grazia e ferocia, la giusta dose di ferocia che fa di un thriller un noir perfetto. Se siete appassionati d’arte non perdetelo, se siete friulani, non fatevi mancare un romanzo che racconta anche la capitale del nord est

L’inizio e la fine – Stefano Tura chiude il cerchio

Stefano Tura non ha bisogno di gran presentazioni, autore di thriller giornalista creatore di un Festival del giallo a Cesenatico, volto ormai storico di RAI1, ha esordito con Il killer delle ballerine nel 2001 e poi ha proseguito con il thriller, direi anche con un buon successo. Per farla breve, una volta rientrato in possesso dei diritti sul suo lavoro (l’editoria come la musica è un mondo strano), ha messo in atto un progetto con La Corte editore (che io ve lo dico, è una casa editrice che sa quello che fa). Scrivere il sequel di quel primo romanzo (che era comunque autoconclusivo), tornando per così dire sul luogo dei delitti 20 anni dopo.
Le discoteche ci sono ancora così come ci sono le cubiste, quello che il protagonista de L’ultimo ballo, ex poliziotto coinvolto negli atroci delitti, non si aspettava proprio, è di ripiombare dritto in quello che con qualche variante sembra essere una replica di quanto già vissuto.
Bravo Tura a non fare un copia incolla invecchiando un po’ i protagonisti, ma a inventare una storia del tutto diversa nella sostanza.
Se infatti è vero che la vicenda attuale è diretta conseguenza della prima, i protagonisti il modus operandi e lo svolgimento dell’indagine, sono tutta un’altra cosa. Le differenze fra i due romanzi sono palesi nel linguaggio, il primo ovviamente non era soggetto al politically correct (che semplicemente non esisteva) che oggi è impensabile non seguire se non si vuole finire alla gogna, il secondo è per forza leggermente più pettinato, ma la cosa che più si nota, è l’attenzione che l’autore, evidentemente maturato, pone sul tema delle diversità, in generale, un’attenzione profonda che mette in luce quanto ancora ci sia da fare e riconosce al tempo stesso quanto sia facile distrarsi. Quanto oggi sia possibile diventare vittime nell’indifferenza. L’unico appunto che personalmente mi sento di fare al libro (in particolare al secondo romanzo) è la tendenza a qualche ripetizione di troppo di alcuni rimandi, qualche descrizione che si poteva evitare, ma che tutto sommato nulla toglie a un romanzo da leggere.