Consigli e sconsigli – part 2

Facciamo una cosa un po’ diversa dal solito, fuori dal mio solito schema. Vi consiglio un libro senza averlo letto. Ohibò, la colei è impazzita. No, è che ho letto gli altri libri dell’autore e mi son piaciuti perchè il ragazzo non è uno che strapubblica, non è nelle liste dei best sellers (almeno che io sappia), ma sa quello fa. Questo non ho avuto ancora il tempo di leggerlo, però metti che ascoltiate i miei consigli, metti che qualcuno si fidi di me, a Natale mancano pochi giorni e magari decidete di metterlo sotto l’albero. Le storie di Ferdinando Pastori sono dure e cattive. Non fa sconti a nessuno. Se c’è da descrivere un morto squartato lo fa, e di sicuro non sta molto attento ad usare un linguaggio “pulito”, i suoi protagonisti si muovono a Milano, fra Brera il Castello e le vie del centro, ma le racconta con la voce che ha chi ci vive, non i turisti o i fighetti da movida e nemmeno dei ricconi. Vabbè in conclusione, lo consiglio sulla fiducia, va da sé che se dopo averlo letto dovessi scoprire che vi ho mentito, prima lo picchio e poi lo obbligo a rimborsarvi l’acquisto.

Qui cambiamo completamente gioco, è un racconto, anzi un raccontino da poche fermate di metro, eppure Sepulveda ne fa una chicca di quelle che ti soddisfano. Un killer è una brutta persona no? Per definizione, e invece il killer che ci racconta la storia non sembra per niente così. Oddio, ammazzare ammazza, ma senza far soffrire le vittime, e soprattutto oh, un lavoro è un lavoro, soprattutto quando i soldi che arrivano sono davvero tanti. Questo sarà il suo ultimo lavoro. Un killer non può avere famiglia e invece lui si è innamorato, chissà come sarà la sua vita dopo? Ragazzi dico una banalità, perchè che Sepulveda sia bravo mi pare assodato, ma quando una roba è scritta bene, condita con l’ironia che è propria dell’autore, anche 70 pagine, le leggi proprio volentieri.

Consigli per le vacanze (e se non le fate vanno bene lo stesso)

Si avvicinano le agognate ferie natalizie (per chi le fa) ponti mangiate tombolate, ma anche, per i lettori, qualche ora in più per godere della compagnia dei nostri amati compagni, siano essi di carta o elettronici. Quindi facciamo una carrellata di consigli o sconsigli (ma libri brutti per fortuna ne arrivano pochi (a casa mia, non certo in libreria)
Hamilton ha una serie di romanzi abbastanza polposa, La seconda vita di Nick Mason è il primo dei due romanzi pubblicati finora, con questo personaggio come protagonista, Einaudi lo ha pubblicato a novembre e come sempre o quasi, non sbaglia nella scelta degli autori da proporre. Una storia che si potrebbe riassumere nella domanda da un milione di dollari “cosa sei disposto a fare per?”, La scrittura è veloce ma piacevole, e non lascia mai il lettore col fiato corto. Capisco che definire rilassante un thriler è vagamente paradossale, ma così è, se il libro è quello giusto.
Per chi ama le letture più tendenti al noir diciamo psicologico (anche se va da sè che in quanto noir, è per definizione psicologico), con una scrittura più lenta e che va a fondo dei personaggi, consiglio Dammi la mano di Megan Abbott. Due donne che insieme si trasformano in un accumulatore di energia (non perfettamente funzionante), che quando emettono l’energia accumulata, fanno danni. Non si capisce chi sia l’esplosivo e chi il detonatore, o forse lo sono entrambe alternativamente, senza nemmeno rendersene conto. Ma per scoprirlo, bisogna solo mettersi nella propria posizione preferita, con la luce giusta e lasciarsi accompagnare dalla Abbott (per mano).

Premio Scerbanenco vince L’isola di Pulixi

Nonostante i meccanismi oscuri delle votazioni, che spesso creano o hanno creato dubbi sul risultato finale, (con tutto il rispetto per la giuria che è composta da elementi più che preparati e specchiati), lo Scerbanenco è e rimane il premio più prestigioso che ci sia in Italia, almeno per quanto riguarda la letteratura di genere. Genere giallo e noir ovviamente. Dico letteratura perchè davvero ormai abbiamo la fortuna di avere degli autori che sì, scrivono romanzi di genere, ma hanno un talento che va ben oltre e secondo me (la pensano così anche menti ben più preparate e competenti di me), fanno letteratura. La cinquina dei finalisti quest’anno era composta da Tuti (Ninfa dormiente) Rinaldi (La danza dei veleni) Cassar Scalia (La logica della lampara), De Marco (Nero a Milano) e Pulixi (L’isola delle anime). Il livello era davvero ottimo, ma se posso dire la mia (e vorrei anche vedere chi me lo impedisce sul mio blog), il romanzo che ha vinto, L’isola delle anime di Pulixi, aveva (ha), qualcosa in più. E forse qui si capisce la differenza fra il voto dei lettori e quello tecnico della giuria. Il più premiato dai lettori è stato Romano de Marco con Nero a Milano, e in effetti, a voler ben guardare, è quello che più attiene al genere, la giuria però ha premiato un romanzo che non è solo di genere, è altro, è il compendio di talento studio conoscenza e sensibilità e duro duro lavoro. Per concludere, abbiamo delle eccellenze in Italia oltre al cibo all’arte al territorio. Abbiamo dei talenti veri e meno male, c’è ancora modo di riconoscerne la grandezza.

Elefante a sorpresa – Vuoi non leggerlo?

Dopo qualche riedizione di successi passati, Einaudi ci propone (fra le altre cose di cui con calma vi racconterò), il nuovo immenso casino in cui Lansdale caccia Hap e Leo, che poi povere stelle, se qualche volta a onor del vero, le rogne se le sono cercate, stavolta proprio no. Sotto una pioggia che sembra non finire mai e aumenta di intensità di minuto in minuto, tant’è che si rivelerà essere una delle peggiori alluvioni mai registrate, su una strada peraltro deserta, vedono sbucare una donna, palesemente sfinita e ferita, il tempo di fermare la macchina e avvicinarsi, che ai tre cominciano a sparare addosso. In qualche modo (molto lansdeliano), riescono a portare la donna in ospedale, ma evidentemente chi la vuole morta è molto deciso e non si ferma. Il resto è storia. Forse ho cambiato io l’approccio, o forse le cose cambiano e anche Joe ha cambiato qualcosina, di fatto, mentre fino al penultimo romanzo, mi piaceva ma c’era qualcosa che mi disturbava, questo me lo sono proprio goduto. Suppongo, perchè lo sapete che sono pignoletta e alle cose ci penso, perchè non c’è, proprio la storia non permette, la solita sfilza di battute e tirate sul razzismo, che a lungo andare sapevano di lezioncina. Ahimè io le lezioncine non le reggo e stavolta mi sono goduta oltre alla sempre ottima scrittura, una bella avventura, dove senza parere, i messaggi sono tanti e tutti belli. C’è l’altruismo (che è poi quello che li mette sempre in mezzo ai guai), c’è l’amicizia fra due persone che non potrebbero essere più diverse fra loro (per chi non li conoscesse, Hap è bianco ed eterosessuale Leo nero e orgogliosamente fidanzato con un uomo), ma hanno imparato a fare di questo la loro forza. Ecco forse, dico forse perchè si sa che la gente è comunque strana, che più del ripetere che siamo tutti uguali, che è la bugia più grossa che sia mai stata detta, il modo giusto, che arriva più a fondo, è questo, mostrare come siamo indispensabili gli uni agli altri, mettendo a disposizione, ognuno quello che ha e che è. Detto questo, come sempre, buona lettura. (è sant’Ambrogio, si mettono i regali sotto l’albero, dite che non c’è una libreria fra i vostri giri?)

I Bastardi di Pizzofalcone ci invitano a Nozze

Il mare con il suo rumore e il suo profumo, anche se non sono più quelli di una volta, rimane l’unico schermo su cui la signora Costanza proietta i suoi ricordi, le sono rimasti solo quelli e lei ringrazia di poterli avere. Quello che l’acqua le porta davanti alla finestra, rubato dalle onde alla spiaggetta dello strano palazzo in cui vive, in un pomeriggio di febbraio, la agghiaccia. Un abito bianco, un abito da sposa. La signora si fa accompagnare dalla fidata badante alla spiaggetta e il suo timore trova conferma. Nella grotta c’è una giovane donna, nuda, stesa e morta. Si sarebbe sposata il giorno dopo Francesca Valletta, di anni 28, che solo a tarda notte ritrova la sua identità, nel computer di Ottavia. Non ci sono indizi, non c’è il suo cellulare, gli abiti sono piegati, e la ferita mortale al petto fa sembrare quasi che si sia offerta alla morte. Si sarebbe sposata il giorno dopo Francesca, con un uomo dal cognome pesante, un cognome che fa arruffare le penne di Buffardi, il magistrato dell’antimafia che ritiene il caso suo di diritto. Vabbè ma questi sono dettagli, sappiamo che il giallo è preparato con ricetta e ingredienti eccellenti che lo chef maneggia con la consueta maestria. Quello che conta è il resto, de Giovanni da quelle nozze mancate tira fuori poesia (non che sia una novità). Potrebbe non sembrare, ma ognuno dei Bastardi (e ognuno di noi) ha un sentimento diverso rispetto a quella convenzione o sacramento. Ottavia che da tempo vive il suo matrimonio come un laccio in cui il figlio Riccardo fa da nodo scorsoio, se prima quel legame stringeva senza dolere, l’amore ricambiato per il commissario Palma lo ha trasformato in un qualcosa di terribile. Alex chissà, vorrebbe forse, perchè oltre a un sacramento le nozze sono un impegno, preso davanti al mondo e non si è pronti tutti allo stesso momento. Poi Romano che deve fare i conti con l’amore che spesso nulla ha a che fare con il matrimonio. Perchè al di là di tutto, ogni romanzo di Maurizio, è uno spartito che da voce ad ogni strumento e gli strumenti sono i lettori, ognuno col suo vissuto, con i suoi sogni , quelli realizzati e quelli che non si realizzano per paura quelli che restano tali perchè semplicemente non è destino. Uno spartito che comunque sia suonato, dà voce ad una melodia meravigliosa.

La squadra dei sogni di Marino Bartoletti

Di solito il “seguito” di un libro, esce a distanza di quasi un anno, più o meno. Gallucci ha ritenuto che invece, il seguito de La squadra dei sogni – il cuore sul prato, dovesse uscire a distanza di pochi mesi dal primo (di cui vi ho parlato). Questa volta La squadra dei sogni, ha come sottotitolo Tutti in campo. Ancora una volta Bartoletti lancia un messaggio a grandi e piccini, un messaggio forte come il primo, su quanto sia importante coltivare (davvero come si fa con i fiori e la verdura, nutrimento per corpo e anima), l’amicizia. Quel sentimento che volenti o nolenti è forse più importante di tanti altri (ok questa è una mia considerazione ma credo sia condivisibile). Complice forse l’entusiasmo che ha colpito un po’ tutti durante il mondiale di calcio femminile, il giornalista ipotizza una seconda Coppa Lori con squadre miste. Se ne leggeranno delle belle come suol dirsi. L’augurio, vestito da fiaba, è lo stesso, dare ai ragazzi le mappe giuste per diventare uomini e donne, indirizzarli e accompagnarli nella grande sfida che è imparare il rispetto, che dal campo di gioco (qui si parla di calcio ma il rispetto di regole e avversari è basilare in ogni disciplina), diventerà un modus vivendi. Un bigino su come comportarsi, sempre senza la spocchia di insegnare niente a nessuno, e di questo va reso merito all’autore. Forse l’ho già detto, ma se anche solo 10 ragazzini imparano che non si diventa forti a scapito degli altri, che imparare a non mettere i piedi in testa a nessuno, insegna anche a non farseli mettere, che bisogna imparare a vedere le differenze e usarle per arricchirsi, ecco, allora caro Bartoletti, scrivine ancora di queste fiabe. Buffo che i personaggi “positivi”, siano tutti curiosamente forniti di baffoni (ma siccome lo ha fatto notare lui stesso ad una presentazione, non possiamo neanche accusarlo di presunzione). Anche stavolta, i disegni che accompagnano il testo, sono di Giusepe Ferrario
Da mettere perchè no, sotto l’albero per figli e nipotini

Guido Guerrieri prende La misura del tempo

Il passato, no, un infinitesimo pezzettino di passato, si presenta un pomeriggio nello studio di Guerrieri. Lorenza, che della ragazza di quasi trent’anni prima non ha quasi più nulla, se non le sembianze, stanche invecchiate da una patina di sconfitta. Chiede aiuto a Guido per portare avanti la difesa del figlio accusato di omicidio. L’avvocato che ha seguito il primo grado di giudizio è morto e da quanto evince Guerrieri, è abbastanza evidente che già durante il processo non era al massimo della forma. Non convinto di nulla, nè dell’innocenza o colpevolezza, nè dell’opportunità di aprire la porta a quel pezzettino di passato che aveva messo nel dimenticatoio, ma è stato piuttosto importante, Guerrieri decide di accettare. Mancava dal 2014 l’avvocato barese e devo dire che è stato un bel ritrovare. Che la mia memoria sia quel che è, è cosa nota, dei libri (a parte qualcuno, mi restano le sensazioni, le caratteristiche dei personaggi, meno le trame) Guerrieri mi è sempre piaciuto, con le sue abitudini un po’ strambe, tipo parlare con un sacco da boxe (che gli risponde, perchè a parlare con gli oggetti son bravi tutti), avere un rapporto diciamo difficile con le donne o quantomeno con l’amore, vivere spesso la notte insieme ad altri amanti di quella dimensione parallela che vive nel buio. L’ho ritrovato più leggero, meno oppresso dalle sue malinconie. Pacificato con se stesso oserei. Il “conflitto” insito nella vita del penalista, che per mestiere deve garantire ai delinquenti un giusto processo (lasciamo da parte la deriva per cui la maggior parte cerca l’assoluzione), è presente, come lo è sempre stato, ma ripeto, sempre secondo il mio sentire, mi sembra che anche quel conflitto sia più sotto controllo, meno pressante. Mi pare ovvio chee ve lo consiglio, sia che abbiate letto i precedenti sia che non lo abbiate fatto.

In occasione di #Bookcity, Einaudi ha organizzato un incontro aperitivo dei blogger con l’ex magistrato. Una piacevolissima oretta in cui abbiamo sviscerato insieme all’autore tutte le nostre curiosità. Qui di seguito un po’ delle cose che ci ha raccontato.

D: Mi ha colpito molto il fatto che l’imputato venga condannato (in primo grado no spoiler ndr) senza che venga minimamente cercata l’arma del delitto? Non è un elemento piuttosto importante visti i tempi fra l’omicidio e l’arresto?
R: in un caso come quello descritto non è indispensabile. Gli indizi che possono portare alla condanna possono essere di qualunque tipo, ci sono processi, che ovviamente sono un po’ più difficili degli altri, in cui manca addirittura il corpo della vittima. Io una volta mi occupai di una strage di mafia, in cui i corpi delle vittime non furono mai più ritrovati, anche dopo che un pentito ci disse che li avevano bruciati insieme a dei copertoni. Noi andammo a fare il sopralluogo nella discarica ed effettivamente trovammo pezzetti di carte d’identità, un pezzetto di arcata dentale
D: confrontandoci con Cristina Aicardi – Milano nera – abbiamo avuto l’impressione di avere letto due libri diversi. Partendo dal presupposto che lei non ha letto i primi e io invece tutti, io ho avuto l’impressione di un Guerrieri pacificato con la vita, più sereno, meno cupo. Un uomo risolto, uno che dice sono arrivato a cinquant’anni, ho fatto una serie di cose alcune buone alcune meno ma va bene così. Cristina invece ha proprio avuto la sensazione di un uomo che fa fatica a riconoscersi?
R: le due cose non si escludono, credo che la chiave interpretativa, anche di questo apparente disaccordo, sia in quella citazione che lui fa a un certo punto, quella di Keats della capacità negativa, della capacità di accettare l’ambiguità, ma in realtà le due cose coesistono tranquillamente, uno può essere adulto e risolto nella consapevolezza che la risoluzione vera non esiste mai, che è sempre una situazione precaria. Quindi essere risolti può essere la capacità di accettare la precarietà come condizione comune. Secondo me avete ragione entrambe.
D: sempre a proposito del riconoscersi, proprio all’inizio del romanzo, lei dice : ognuno ha qualcosa che lo identifica, anche un oggetto. Qual è l’oggetto che la identifica?
R: le penne forse, l’oggetto in cui mi identifico di più sono le penne in generale. Quando sono in giro e o sono nervoso o sono particolarmente sereno, mi compro un libro o una penna, anche se ne ho davvero tanti e tante. “Cristina: io compro un libro o un quaderno”. Compro anche quaderni, non li ho citati perché ne ho un tale numero che mi costringe a censurarmi e non comprarne altri. La situazione poi è stata aggravata dalla partecipazione (abbastanza assidua) del programma di Lilly Gruber, dove ad ogni puntata regalano agli ospiti un taccuino, per cui ne ho una montagna.
D: Una frase che c’è nel libro e mi piace riportare prima della domanda, “smettere di fare quello che fai quando ti accorgi di avere esaurito la voglia di farlo o le forze, o quando ti accorgi di avere raggiunto i confini del tuo talento Tutto ciò che viene dopo quel confine è ripetizione”. Come vive le ripetizioni l’avvocato Guerrieri?
R: lui le vive con insoddisfazione, questo certamente sì, con la voglia di fare altro, che è un po’ la cifra stilistica del personaggio. Quella è una frase categorica, in cui credo fino a un certo punto. In molti casi è giusto che uno continui a fare quello che fa anche se con qualche rimpianto. Come nei rapporti personali, è chiaro che dopo tanti anni ci sono dei momenti di esasperazione, ma questo non significa che si debba per forza divorziare . Lui li vive così com’è raccontato. Però sono abbastanza convinto che se uno avesse il coraggio, quando si accorge di non avere più stimoli, di fare altro, non sarebbe male. Sarebbe come rinascere e questo ci riporta anche su quello che c’è alla fine del libro, allo stupore della vita che accelera dopo una certa età. La vita accelera con l’età ed è una cosa che appiattisce. Io quando ho cominciato a scrivere, ho avuto la sensazione nettissima che la vita decelerasse, mi sono sentito più giovane e non è mica male eh. Tra l’altro la frase è una citazione da un altro mio libro, “le tre del mattino” che è un libro sul talento, la capacità di seguire il talento. C’è una frase di Erica Jong che dice, il talento non è poi così raro, quello che è raro, è il coraggio di seguire il proprio talento.
D: Come accetta le critiche un debuttante? Al decimo libro probabilmente si accettano in modo diverso, cambia qualcosa?
R: Non c’è dubbio che poi uno impara a trasformarle in benzina, l’esperienza in questo campo è di aiuto ed è ovvio che uno che comincia, soprattutto in un territorio in cui sei ultrasensibile. Gli scrittori, come dice Stephen King che è citato senza citarlo, sono bisognosi di approvazione, quindi quando non ti approvano o ti stroncano addirittura, tanto bene non la prendi
D: io sono rimasta entusiasta di come in questo romanzo, hai maneggiato il tempo, perché credo che tu abbia veramente utilizzato una serie di livelli multistrato che si prestano a una quantità di letture. A partire dal titolo, secondo me il tempo è veramente l’ago della bilancia, c’è il passato il presente, c’è il tempo processuale c’è il tempo che un innocente passa in carcere. Tutta questa sovrapposizione l’hai gestita magnificamente. Non c’è un momento del libro in cui ci si trovi spaesati, lo dici più volte, sono ricordi sfumati, non sai nemmeno se sono in sequenza. Questo contrasta con quello a cui per professione un avvocato deve attenersi, quelli processuali
R: moltissimo del senso del libro si gioca su questa contraddizione. Nasce proprio da questa idea, prima ancora del processo volevo raccontare la ricomparsa di questa donna, che era stata uno shock nella sua vita, non so se dire un innamoramento un infatuazione ma comunque importante perchè l’ha traghettato da ragazzo a uomo, tutto il resto è venuto poi, anche il figlio, cioè pensavo a come mettere insieme lo spaesamento il non riconoscimento. Una cosa importante del libro è come lui la guarda, gli sembra diversa e poi si domanda se in realtà lei non sia uguale e sia diverso il modo in cui lui la guardava allora e la guarda adesso. E io questo volevo raccontare.
D: Guerrieri non si vedeva da un pezzo, avevi altro da raccontare o è stata una scelta diciamo commerciale?
R: Qualcuno mi ha chiesto come mai lo hai recuperato, ma io in realtà non ho mai pensato di metterlo da parte, ho scritto molte altre cose, ma è stato naturale perché siccome io sono affezionato al personaggio, come molti lettori, questo affetto fa sì che io non scriva troppe cose, perché poi il rischio è che si impoverisca che diventi una figura stereotipata perda profondità. Diventa il personaggio di una serie ma per me questi libri non sono una serie, sono come dei capitoli di un macroromanzo che racconta lo sviluppo del personaggio, però per raccontare lo sviluppo è necessario anche avere una storia da raccontare.
D: libri con una costruzione così complessa, con una grossa parte di introspezione psicologica, quando vengono classificati come legal thriller, sei contento o…?
R: io penso due cose, intanto un aneddoto, quando scrissi Testimone inconsapevole, diciassette anni fa, tutto pensavo tranne che fosse un legal thriller, io pensavo di aver scritto un romanzo di formazione di quest’uomo che sbatte contro la vita contro la sua mediocrità, che appartiene a tutti, e che poi trova se stesso in un’avventura processuale che è in realtà un espediente, il senso di quel libro era dato dalla frase che c’è in epigrafe, quella di Lao Tze “quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo la chiama farfalla” . Quando il libro uscì cominciarono a parlare di legal thriller, in particolare Augias fece questa recensione, il miglior giallo legale mai uscito in Italia. Una cosa che fa piacere ma ovviamente ha dato una specie di marchio, quello che successe subito dopo, cioè le vendite, mi indusse a una certa flessibilità. Alla fine però, come diceva Chesterton, i libri si dividono in due categorie, quelli scritti bene e quelli scritti male, il genere l’etichettatura, è un modo per avvicinare poche o tante persone alla lettura e va bene così, ci sono anche libri commerciali, ma la differenza è questa, se un buon prodotto artigianale che vende magari milione di copie, quando hai finito di leggerlo, dopo una mezz’ora non ti ricordi più niente, faccio l’esempio di Grisham, persona deliziosa e incredibile creatore di storie, a cui dei personaggi non frega assolutamente niente, quindi un tipo di lettura di intrattenimento, al limite di denuncia ma fini a se stessi. Per me, la differenza vera, approfondendo scritti bene scritti male, è fra i libri che quando li finisci son finiti e quelli che quando li hai finiti cominciano
D: possiamo dire che come autore preferisci che rimanga il personaggio anziché la trama?
R: la trama è un oggetto meccanico, uno strumento. Ovviamente deve essere buona, perché se non funziona ti toglie il gusto di leggere, ma è davvero solo lo strumento che ti consente di parlare di altre cose, quindi la trama deve essere buona, una trama che non funziona, è necessario essere un costruttore molto abile, non ci devono essere contraddizioni deve essere qualcosa che fila come un meccanismo ad orologeria.
D: parlando di costruzione della trama, c’è una frase che mi ha colpito “ nei processi giudiziari prendiamo gli elementi emersi”, è come costruire una trama, è la stessa cosa.
R: certamente, infatti un bravo magistrato un bravo giudice, un bravo investigatore è quello che è capace di ricostruire storie. In base al ragionamento retroattivo, prendi l’indizio fai un’ipotesi te lo spieghi e hai la storia di come potrebbero essere andati i fatti, fa parte della riflessione giuridica, proprio la riflessione sugli indizi è molto affascinante.
D: come si riesce a non entrare troppo nel tecnico, in una fase processuale in un romanzo dove il processo è al centro.
R: questa era la scommessa, prendere una cosa ultratecnica come le questioni giuridiche e renderle fruibili
D: cos’è il reato omissivo improprio?
R: Allora ci sono i reati omissivi propri, in cui è punita l’omissione. Quindi il non avere fatto qualcosa. Il reato omissivo improprio è quando dalla tua omissione consegue un reato più rave, per esempio, tu non soccorri qualcuno e questa persona muore, perché l’omissione è la circostanza di fatto che produce un evento e quindi si chiama reato omissivo improprio o commissivo mediante omissione, cioè produci un effetto non facendo qualcosa che avresti dovuto fare.
D: Guerrieri come tutti i lettori, usa le librerie come ansiolitico, quando non riesce a dormire ha però l’abitudine di tirare mattina all’”Osteria del caffelatte”, il proprietario dice che i suoi clienti sono tutti dei tipi bizzarri. Cosa rappresenta la notte per l’immaginario di Guerrieri e per tutti quelli che non si sentono rappresentati dalla quotidianità? E soprattutto esiste un’Osteria del caffelatte?
R: esiste nel senso che io l’ho messa in un posto preciso dove in realtà c’è qualcos’altro, quindi nel mio territorio parzialmente immaginario esiste, perché creare dei posti in contesti del tutto realistici ma che non esistono, per me è come creare delle porte girevoli, fra il mondo del realismo e il mondo del realismo magico, della fantasia. La notte è il luogo della sovversione diciamo, mi ricordo un’attrice che diceva, pianificate accuratamente le vostre giornate e per la notte, affidatevi alla fantasia. Ecco, poi il contrasto luce buio è un contrasto che ha a che fare con un diverso atteggiamento nei confronti del reale. Quella libreria è come un santuario laico di questa sovversione.

Delitti senza castigo – torna Sarti Antonio

Bologna, “ex isola felice, ex grassa, ex dotta, e con la più antica ex università di Europa”, è la città che anche questa volta fa da sfondo alla nuova indagine di “Sarti Antonio”, questurino nato molti anni fa dalla penna di Loriano Machiavelli.
Una storia in cui ci si muove tra presente e passato. Si affonda in un enigmatico spaccato di segreti e alterazioni della realtà. Si viaggia in un vortice di crimini, un vortice dal ritmo veloce, un vortice inspiegabile.
Quando uno strano ma mite personaggio, Settepaltò, chiamato così per i numerosi cappotti che indossa uno sull’altro, viene riempito di botte senza una apparente motivazione, Sarti decide di indagare. Chi può volere il male di una persona così docile, che vive della carità degli altri? Cosa ha fatto di sbagliato? Chi ha infastidito? O, piuttosto, cosa ha visto che non doveva vedere per essere stato ridotto così?
Senza limiti e freni, e fidandosi della sua testardaggine, Sarti inizierà il suo andare per le vie cittadine in cerca di indizi e arriverà con le indagini fino in Calabria. Scoprirà così un crimine terribile, un fatto delittuoso che mai avrebbe immaginato.
La storia di questo libro e dei suoi particolari personaggi si mescola con la storia di Bologna, del suo dialetto dei suo luoghi simbolo. L’autore, attraverso la voce dei due personaggi cardine: Sarti e Rosas (un eterno universitario extraparlamentare), fa viaggiare il lettore tra storia recente e storia passata del nostro paese, evidenziando le modifiche degli strati sociali e i cambiamenti politici. Il ricordo della resistenza partigiana e delle stragi dei nazisti lo rende un libro piacevole, per la ricostruzione storica di fatti che è bene non dimenticare mai.
I personaggi di Delitti senza castigo sono tanti e ben caratterizzati, come nello stile di Macchiavelli la narrazione diretta e precisa.
Il protagonista è un personaggio a cui ci si affeziona e risulta difficile non immedesimarsi nelle sue azioni. Sarti è uno di noi, una persona che crede in quello che fa, che sfugge alle regole “dell’apparire”, onesto, spontaneo. Proprio uno di noi.
Il passaggio tra passato e presente avviene con rabbia, entusiasmo, nostalgia. Trascina il lettore in un mondo carico di tutte le sfumature del nero, tutti i colori dell’anima oscura e tutte le metamorfosi della vita, passando attraverso i drammi e le risoluzioni della nostra storia. Non troppo lontana, ancora.
Articolo di Brunella Caputo

La verità su Amedeo Consonni – Francesco Recami

Recami lo conosciamo no? Ecco, se di suo e di solito è come dire, toscanamente bastardo, qui ha dato il meglio di sè. Si parte con la Mattioli Ferri messa all’angolo, Claudio ripulito che dall’angolo non la lascia muovere, Angela Mattioli che torna alla casa di ringhiera dove fra l’altro trova più o meno nell’ordine sparso: una teutonica gnocca stratosferica, che fa yoga sul ballatoio, e pare non accorgersi o non dar peso, al fatto che tutti ma tutti, bambini compresi, si siano innamorati. I cinesi che nel più perfetto silenzio entrano ogni notte, in fila, come soldatini a fare dio solo sa cosa, nei locali dove prima c’erano dei negozi, il Luis preoccupato a morte per dei misteriosi fenomeni di autocombustione per i quali non si trova spiegazione, i peruviani, anzi, le peruviane con i bambini sempre più sempre più scatenati. Eccetera eccetera. E il Consonni in tutto ciò? Come avevo anticipato stavolta mi è andata di lusso, l’articolo me lo ha raccontato lo stesso Recami con la complicità (non saprei come definirla altrimenti) di Alessandro Robecchi. Ieri sera alla Feltrinelli, in un ping pong a tratti esilarante ma assolutamente profondo si è parlato della scrittura di Recami, di come dietro a un romanzo che è come un’elica dove ad ogni curva trovi qualcosa di inaspettato, ci sia un lavoro scientifico di costruzione (cosa del resto immaginabile vista la quantità di avvenimenti ed equivoci che danno vita ad altri equivoci che poi devono comunque trovare un punto di arrivo). Si è parlato della casa di ringhiera come “parodia ” della stanza chiusa, perchè in effetti tutto accade all’interno e del fatto che oggi, fra applicazioni che ti fanno fare qualunque cosa dal divano e la pigrizia mentale dell’umanità, per il fatto di avere comunque una finestra sul cortile (quasi a nostra insaputa), siamo in realtà sotto gli occhi di tutti. Forse sono un po’ di parte, nel senso che adoro letteralmente questi gialli non gialli, questo giocare feroce dell’autore sia con i personaggi sia col lettore, esasperando tutto come in una commedia francese, questo sbeffeggio delle cose più terribili. Perchè diciamolo, in questo mondo grigio, solo una risata ci salverà. Il mio consiglio è quindi di regalarvele queste risate.
Si ringrazia Carlotta Perondini per la foto

Glitch figli di un dio confuso – ma Giulia Soi confusa non lo è per niente

Glitch: parola che indica un picco breve ed improvviso (non periodico) in una forma d’onda, causato da un errore non prevedibile. Per estensione è usato per indicare un breve difetto del sistema.
Non so se sia a questo che il romanzo che Giulia Soi – autrice televisiva di lungo corso nonostante la “giovane età”, creatrice di una pagina pseudo satirica (nel senso di “ridiamoci su che è meglio”), sulle disavventure di chi frequenta la metropolitana romana, oltre a un sacco di altre cose – fa riferimento, certo è che la storia di questi tre ragazzi che diventano adulti, è esattamente la fotografia del glitch. Brevi e improvvisi picchi che causano continui cortocircuiti nelle loro vite. Sebastian Alex e Maia, tre corpi un’anima, fino a quando, come quasi sempre succede, l’anima si accorge che i corpi, crescendo, hanno assunto connotazioni diverse che come tutti gli opposti si attraggono. Fin qui niente di strano direte, invece qualcosa di strano c’è, una sinergia a corrente alternata, un cortocircuito che sco(i)nvolge anime e corpi. Alex diventa un campione di basket, Sebastian un batterista al top e Maia il polo che smagnetizza a dispetto della sua volontà i poli degli altri due. Il racconto di quanto sia difficile crescere, diventare adulti oltre che sulla carta d’identità, nel cuore e nel cervello. Un ritratto comune a molti quarantenni (anno più anno meno) di oggi, anche se non sono rockstar o campioni sportivi o giornaliste affermate, che apparentemente vanno avanti con le loro vite, con il lavoro con tutto, ma restano legati a dinamiche emotive da ragazzini. Mi ha sorpresa davvero (e sapete che non è cosa facile), quest’opera prima, La Soi ha una padronanza del linguaggio che rende la lettura scorrevole e piacevole, oltre ad una notevole cultura musicale e non, con cui ha costruito una sorta di colonna sonora, non la solita playlist da ascoltare con, ma proprio pezzi che senti nella testa mentre leggi. Oh, io ve lo dico, se avete voglia di qualcosa di nuovo, di leggero ma che arriva a toccare corde profonde, di una storia che tutto sommato ti porta a pensare senza rendertene conto, di una storia d’amore, anzi almeno tre o quattro, di una doccia di realtà che non è sempre rose e fiori ma nonostante tutto è quello che abbiamo, leggetelo.