Ormai è una certezza, sono caduta qui ma ero destinata ad un altro mondo. Questo proprio non lo capisco. Sì sto pensando alla ignobile vicenda Aldrovandi. Ignobile da qualunque parte la si voglia guardare purtroppo. Si salva solo il dolore di una famiglia che aveva un figlio e non lo ha più. Però vorrei capire, capire chi cavalca la tigre ma soprattutto perché. Perché lasciare sulla strada poliziotti evidentemente impreparati. Impreparati alla vita mi verrebbe da dire. Perché non ho dubbi che in altre 1000 occasioni abbiano fatto il loro dovere egregiamente, salvo perdere la testa davanti all’imprevisto. Un imprevisto ragazzo fatto a sufficienza – stando alle perizie – per essere ucciso da un cedimento cardiorespiratorio abbastanza tipico. Possibile che non fossero preparati ad affrontare una situazione in cui una persona, indipendentemente dal motivo è andato di testa? Da non capire che la non reazione al dolore delle botte era un sintomo e non una spacconata (che non giustificherebbe comunque la prosecuzione del pestaggio), da non capire che sarebbe stato sufficiente ammanettarlo e poi spedirlo in ospedale? Questa è la prima cosa che non capisco, la seconda invece è il perché i giornali i pennivendoli i telegiornali e l’ormai mitica rete, diano genericamente la notizia della condanna per omicidio senza specificare che trattasi di omicidio colposo. Perché non vorrei dire ma fa la sua bella differenza. Così si creano i martiri e a me sembra che troppo spesso si confondano degli sfigati con dei martiri. Sfigati nel senso di sfortunati all’ennesima potenza, fosse passato da un’altra strada Federico sarebbe ancora vivo, ma forse lo sarebbe anche se invece di essere conciato fosse stato lucido.
Autore: Coleichelegge
Il fiume ti porta via –
Con il suo primo libro – Venti corpi nella neve – Pasini ci ha fatto conoscere Serra, un commissario mica troppo in linea col potere, in un paesino dell’appennino alle prese con degli omicidi che ci riportano alla guerra e ai partigiani, e alle prese con se stesso e quella che lui chiama La Danza, una sorta di vuoto in cui entra nella testa degli altri. Un tipo strano Serra, con una storia d’amore che non si capisce dove andrà a parare, con la bella ma insopportabile Alice. Nel secondo romanzo – Io sono lo straniero – lo troviamo trasferito a fare il passacarte sulle colline del prosecco, sempre più incasinato con tutto. La Danza è il fulcro dei suoi problemi con Alice, o almeno così pare, tanto che la stessa lo fa visitare dal professor Gardini, luminare della psichiatria che suo malgrado è uno dei protagonisti di questa nuova prova. Dico suo malgrado perché è il morto ammazzato su cui Serra, sospeso dal servizio per l’ennesima intemperanza, indaga andando sulle sponde del Grande fiume. Il Po. Cantato e descritto da Giovannino Guareschi, ma non solo, il fiume continua ad esercitare il suo fascino su chi non ci è nato e cresciuto a cavallo (anche a a chi sì veramente). Uh fatemi tornare a bomba, Gardini era stato una vita nella Bassa, era conosciuto come il Re dei matt, fino alla chiusura dei manicomi con la legge Basaglia, infatti, Gardini era stato il direttore nonché praticamente padrone del manicomio di Colorno. Insomma tornato a Pontaccio, Gardini viene ucciso e Serra va ad indagare. Come di consueto i personaggi che contornano la non autorizzata indagine sembrano davvero usciti dalla penna di un altro tempo, il comandante della stazione dei carabinieri, presenti in numero di due, un panzone ipercattolico baciapile chiacchierone – specie con la stampa – che risponde al nome di Sbezzeguti e vede Serra come il fumo negli occhi, tentando di attribuirsi quelle che gli sembrano mosse vincenti, il maresciallo Donizetti, una macchietta comunista a far da contraltare. E poi c’è Serenella, piena di cicatrici nascoste, che gestisce il Bavtrattovia – così lo pronuncia Donizetti. Un posto dove la musica che esce dal juke box è rimasta, per precisa scelta, quella di molti anni fa. Roberto impara a sentire la voce del Po, una voce che diventa per lui quasi il canto di una sirena, che lo ammalia tanto quanto Serenella. Impara un sacco di cose Serra in questo viaggio, ha la conferma di quanto son piccoli i paesi piccoli, e di quanto sia strana e radicata la gente della Bassa. Impara che i matti non son sempre quelli che stan fuori, che la vita può non essere solo dolore anche quando può fare tanta paura, tanta quanta ne può fare la piena di un fiume che non guarda in faccia nessuno, nemmeno Gesù Cristo in croce.Ha la conferma che lui non fa il poliziotto. Lui è un poliziotto. e poi c’è Mixielutzi, una specie di angelo custode che con il suo grado apre le porte a cui Roberto non potrebbe nemmeno avvicinarsi. Scopre un sacco di cose Serra in questa strana terra che è la Bassa, stretta fra il Fiume e gli appennini. Anche chi ha ucciso il vecchio Re dei Matt. Le scopre tutte imparando se ne avesse avuto bisogno, che dietro ogni volto ogni nome ogni storia, ci sono segreti quasi sempre dolorosi. Ah Volete sapere che cosa succede fra lui ed Alice e come sta la piccola Silvia? E no, per quello vi dovete leggere il libro.
Potevo non dire la mia?
Tempo di bilanci aziendali e non, per molti versi quest’anno che oggi ci lascia è stato davvero uno dei peggiori. A livello mondiale intendo, poi vai a vedere bene bene e scopri che in fin dei conti la nostra parte di colpa ce l’abbiamo eccome. Ovviamente penso alle alluvioni alle frane a terremoti a disgrazie varie ed eventuali dove com’è o come non è se l’uomo non ci avesse messo lo zampino…E lo stesso vale per la situazione politica, abbiamo quel che ci meritiamo. Per restare sul personale comunque, ho molto di cui ringraziare e molto di cui lamentarmi, per cui direi che vado in pari. Certo quest’anno si è portato via un po’ troppa gente in maniera definitiva, e le perdite di persone a cui vuoi bene (o a cui vogliono bene le persone a cui vuoi bene) non sono mai compensate, ma mi dicono che così è la vita. Il mio augurio per tutti (me inclusa) è che nel 2015 siate capaci di tenere duro, di affrontare eventuali sconfitte e farle diventare esperienza per le prossime vittorie, amate, che il vostro amore sia ricambiato o no. Godete di ogni singolo piacere, che venga da un piatto una bottiglia una telefonata un incontro inatteso un libro che vi emoziona una canzone un tramonto o un’alba. Abbiate cura di voi e delle persone che amate, fate in modo che gli amici sappiano che anche se non vi sentite ci siete gli uni per gli altri, Fin dove potete lasciate perdere e dove non potete chiudete le porte senza rimpianti, lo dovete a voi stessi. E se qualcuno vi dirà che volere è potere, portatelo in cima ad una rupe, dategli una spintarella e salutatelo. Anche volendo dubito che potrà volare. Buon Anno amici
Inutili diatribe
Ancora una volta gironzolando in rete resto sconvolta incazzata e oltre, leggendo articoli sulla presunta discriminazione dei disabili. Lo so l’argomento è spinoso, ma perdio, abbiamo una lingua così piena di termini che forse sarebbe il caso di impararla prima di usarla a sproposito. Lo spunto mi viene da questo articolo http://www.wired.it/lifestyle/salute/2014/03/03/genitori-cattivi-quella-ragazza-disabile-blocca-tutta-la-classe/?utm_source=twitter.com&utm_medium=marketing&utm_campaign=wired. Ora esistono diversità, disabilità e situazioni particolari ingestibili. Inutile nascondersi dietro la storia dei diritti. Ci sono le Simona Atzori senza braccia dalla nascita che vive come se le braccia le avesse (riuscissi a fare io metà delle cose che fa lei) e poi ci sono i paraplegici. Sarebbe bello fossero tutti come Alex Zanardi, invece ci sono persone che non possono (per mille motivi) e pretendono di fare come se le gambe le avessero. Sarò crudele non dico di no, mi augurerete figli handicappati o disgrazie a gogò, ma se è un tuo diritto avere un montascale/ascensore/pedane che ti consentano di arrivare dove arrivo io, non puoi pretendere che io non salga le scale perché a te viene negato. Prenditela con lo stato, prenditela con il comune prenditela con chi ti pare ma non con me. Perché il tuo diritto finisce dove inizia il mio e viceversa. Se la disabilità è fisica, si pretenda, tutti indistintamente, che lo stato metta tutti nelle stesse condizioni – anche se a dirla tutta, un ascensore panoramico attaccato al Cupolone un po’ mi farebbe incazzare – e sia data a tutti la possibilità di accesso a servizi e quant’altro, ma senza scadere nel ridicolo e nel paradossale. Se sei su una sedia a rotelle maledetta miseria, non puoi pretendere di fare pattinaggio. Farai uno sport di squadra in cui siano tutti sulla sedia a rotelle, però a quel punto non dire che sei ghettizzato/a. La logica mi dice che non posso far gareggiare un peso piuma con un peso massimo (non contate troppo sulla storia di Davide e Golia che non abbiamo le prove). Diverso non è un giudizio, è una constatazione. Io certamente sono diversa da Caravaggio, sono diversa da Michelangelo, da Isabella Allende da Alessia Marcuzzi e da Barbara D’Urso – grazie a Dio -, qualcuno ha il coraggio di dire che mi sto definendo migliore di loro? Ecco allora se io non mi sogno odi dipingere la Sistina, tu che purtroppo hai un handicap psichico, non puoi pretendere di fare l’università. E questo non significa che sei peggiore, solo diverso.
Varesi
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Lettera aperta a Patricia Cornwell
Mia cara ex amata Patricia, alias Kay Scarpetta, sono a pagina 50 circa della tua nuova fatica e perdonami ma temo che subirai un abbandono o quantomeno una lettura random. Ora è assodato che tu sia la più grande e brava anatomopatologa forense d’America e forse ancche del mondo, ti sei resa conto vero che una forma di precoce demenza senile si sta prepotentemente frapponendo fra te e noi, i tuoi affezionati lettori? Ti abbiamo perdonato praticamente di tutto, finte morti, nipoti sociopatiche che ti hanno abbandonata ingannata e dio solo sa cos’altro; abbiamo sopportato pazientemente il contratto che avevi sottoscritto con Apple – non si spiega altrimenti – e la conseguente presenza di un I-qualcosa (phone pad pod eccetera). abiamo cercato di soprassedere sul fatto che da quando pesavi cuori fegati e cervelli come il buon vecchio Quincy, adesso più che in sala autoptica sembra di entrare in una navicella spaziale con relative spiegazioni che molti di noi, ahimé non laureati in chimica fisica medicina e ingegneria, accettiamo sullla fiducia. Ma arriviamo al ma. Ti sei trasferita nella villa vicina al CFC da almeno tre romanzi e da altrettanti hai un cane. Abbiamo capito che hai la cucina piena di elettrodomestici in acciaio e un frigo che potrebbe contenere due o tre buoi, conosciamo a memoria ogni intarsio dei vetri piombati e colorati del pianterreno del mezzanino e ogni singola pianta che hai in giardino, sappiamo che il tuo levriero vive appiccicato a te, e questo agli amanti degli animali provoca dei brividi brutti, descrivi delle scene madri penasndo che ogni mattina tu vada al lavoro. Esci a fargli fare la pupù ARMATA. Renditi conto che non si può, non ha nessun senso, siamo oltre il bene e il male. Ma la cosa più tremenda, oltre alle tue ricette italiane – per la cronaca sappi che se Carlo Cracco le leggesse non lo salverebbero nemmeno quelli di ER – è che non puoi, proprio non puoi dirmi che ti stai mettendo gli scarponcini, che dopo l’ultimo utilizzo hai disinfettato (testuale) con un detergente apposito. Dai abbi pietà di noi. Poi ti faccio sapere se riesco a finirlo, ma ti prego ti prego ti prego, fatti vedere da uno bravo nel frattempo. Con affetto
Cuore o ragione
Ho finito di leggere un romanzo e contrariamente al solito, invece di postare un commento ho deciso scriverci un articoletto. So che molti saranno infastiditi e mi scuso, cercherò di essere il più neutra e oggettiva possibile ma dato l’argomento sarà difficile non ferire la sensibilità di qualcuno. Il libro è la storia di Ben Solomon, un ebreo scampato al genocidio che riconosce un nazista con cui ha condiviso molto. Fondamentalmente un modo per raccontare attraverso le orribili vicende vissute dai Solomon dall’inizio del periodo nazista. Terribile ma a metà libro mi sono resa conto che ormai siamo, o perlomeno io sono, satura. Ho letto troppe storie una più tremenda dell’altra, non riesco più a provare un’empatia che non sia superficiale. In aggiunta mi sono resa conto dell’inutilità delle giornate della memoria. Mi spiego meglio; sapere ricordare conoscere, non farà sì che la storia non si ripeta. La storia si sta ripetendo giorno dopo giorno. E non è che la motivazione (vera o falsa ha poca importanza) per cui qualcuno decide arbitrariamente di uccidere massacrare torturare altri esseri umani abbia importanza. Non ce l’ha. Senza andare troppo in là con gli anni, abbiamo un milione di persone uccise in Ruanda, Circa 400.000 morti in Darfur, decine di migliaia nell’ex Jugoslavia. Non cerco nemmeno i dati relativi ai morti fatti da Boko Aram non scrivo del genocidio degli Armeni, tralascio la guerra fra sciiti e sunniti, tanto basta fare un giro in rete. Allora forse bisognerebbe smettere di ricordare una Storia sola e usarla come emblema, ogni morto deve essere sacro per la memoria di chi è vivo. Altrimenti diventa tutto abitudine, l’orrore diventa normalità giustificata dalla diversità di culture. Non si può, non si deve pensare che quelli sono dei selvaggi. Domani quelli, potremmo essere noi. E credetemi, quando ti accorgi che l’orrore non ti sfiora più, o ti scivola addosso lasciandoti solo un leggero fastidio, non ti senti un granché come essere umano, e non è bello.
Parliamo di Scrittori e pennivendoli
In questi giorni sono stata attaccata e insultata non poco, in particolare su una pagina facebook in cui non potevo rispondere, quella di uno scrittore che non nomino per non fargli pubblicità, non che la cosa mi turbi o mi abbia tolto il sonno, ma una riflessione più o meno pubblica mi sembra doverosa, quantomeno nei confronti di me stessa.
Ormai da anni frequento sia pure per vie traverse il mondo dell’editoria, e nello specifico gli Scrittori. Ho usato volutamente la maiuscola per differenziarli dai pubblicati. Scrivo anche recensioni per un sito piuttosto quotato, non un blog letto da pochi intimi ma un portale serio e vero di letteratura. Sempre più spesso la mia posta e la mia casella di Anobii contengono richieste di lettura di scrittori emergenti, di auto pubblicati e simili amenità. Alcuni meritano (sempre secondo il mio parere, ma quello viene richiesto) altri farebbero meglio a fare i metalmeccanici, ma tant’è. Sempre più spesso sui profili dei social leggo alla voce lavoro, scrittore sceneggiatore blogger et similia. Sappiamo tutti che il 4 u.s. è mancato Giorgio Faletti, uno Scrittore, un autore, un paroliere un musicista, un attore. Per me una persona che non posso definire amico ma che conoscevo bene, che stimavo, nei cui confronti provavo un profondo affetto. Personaggio controverso, troppo di tutto, fai cabaret è fai il pieno agli spettacoli, scrivi una canzone e arrivi secondo a Sanremo prendendo il premio della critica, scrivi un libro e vendi milioni di copie, scrivi per gente del calibro di Mina Milva Branduardi, dipingi e hai un discreto successo di critica, ti viene un ictus e ti riprendi restando bello come il sole e pulito come un lenzuolo fresco di bucato. Sposi una donna parecchio più giovane e bella ma bella vera. Va da se che le critiche fiocchino. Ha i ghost writer, campa sul successo del passato e via di questo passo. A me personalmente, parlando di questo rispose : “se ci sono li trovino e si facciano scrivere anche loro i best sellers”. Dopo la sua morte, ho sentito e letto di ogni come si dice, ma la cosa buffa è che le critiche più feroci, quelle travestite da dubbi spalmati fra la furbizia sua e la stupidità dei lettori, sono state fatte perlopiù da quei personaggi che se va bene vendono tremila copie, che non hanno idea di cosa sia una ristampa a tre giorni dall’uscita, che sfoggiano le “recensioni” degli amici. E campano o tirano a campare facendo di nascosto i travet. Mi chiedo perché durante i vari festival incontri e varie dove lo avete incontrato, avete fatto come il famoso linguetta invece di dire pubblicamente quali dubbi attanagliavano le vostre piccole anime. Come ho detto all’inizio conosco tanti Scrittori, e li conosco davvero, nel senso che non li incontro a un festival, ma conosco i loro mal di pancia, i pensieri che magari non esternano pubblicamente perché alla fine, col talento e la classe si nasce, non si comprano e non si trovano per strada.
il 26 novembre appuntamento in libreria con Maurizio de Giovanni

È piccolo Dodo, dieci anni appena e anche se gli hanno detto che a scuola non deve portare i giocattoli, di lasciare a casa Batman non se ne parla proprio. Perché Batman non è un supereroe, non ha i superpoteri; è solo coraggioso, come il suo papà. Ed è sicuro Edoardo che il suo papà verrà a prenderlo, a portalo via da quel posto buio e freddo. Chissà cosa vuole quell’uomo che li ha portati via, ne ha paura anche Lena che è grande e gli ha detto che se lo accontentano forse non gli farà male. In fondo non lo sta trattando male, gli ha portato anche i sofficini da mangiare, erano freddi e a lui non piacciono freddi, ma aveva fame e forse l’uomo non è così cattivo. Magari è solo nervoso. E in ogni caso gli ha lasciato Batman.
Con Edoardo che parla con Batman, che rassicura e chiede rassicurazione, Maurizio de Giovanni ci accompagna nel Buio. Fino in fondo, fino a dove la luce non può arrivare perché le cose che illuminerebbe sono troppo crudeli per essere sopportate. Gli hanno contestato che nel libro precedente c’era troppa pioggia, e lui da maestro qual è ha infilato nel mezzo di un giallo che vira inesorabilmente al noir, una serata di maggio, piena di sole e di dolore, perché la penna di Maurizio è poesia intrisa di bellezza e dolore, ma non solo. C’è ironia nelle bonarie prese in giro fra colleghi, fra sbirri reietti. C’è rispetto nella silenziosa accettazione degli altri, nella spontanea collaborazione che il commissario Palma chiede proforma, perché i 6 Bastardi di Pizzofalcone hanno dentro il dolore e la vergogna insieme alla voglia di farsi vedere per quello che sono, persone. Un “vecchio” una madre “snaturata” una lesbica occulta, un violento e una macchietta; e imperscrutabile ma nemmeno troppo dietro gli occhi da cinese, Lojacono, un uomo solo che non vuole arrendersi alla solitudine. C’è anche l’allegria di un amore che forse sboccerà. Si intrecciano a fare da sfondo alla terribile vicenda narrata, le vite di questi uomini e queste donne, che vedono nello sguardo di un bambino brandelli della loro vita. E tutto questo de Giovanni lo racconta con – scusate l’ossimoro – una pesantissima leggerezza. Arrivi alle ultime pagine con un groppo in gola, con il timore che possa esserci la conclusione che non vorresti e trattieni il fiato fino alla parole fine. E subito dopo vorresti dimenticare tutto per ricominciare a leggerlo. Grazie Maurizio, per essere l’amico che sei, per essere quel meraviglioso inventore di storie, in cui tutti si possono ritrovare, nell’amore nella pena nella speranza e nel dolore. Grazie ai Corpi Freddi, amici insostituibili che hanno fatto sì che ci scoprissimo a vicenda.


