
Volver, tornare. E gli amanti del commissario Ricciardi tornano sempre con piacere e un po’ di timore negli anni trenta, senza sapere come se ne usciranno.
Avevamo lasciato Ricciardi ben deciso a mettere in salvo la sua famiglia. Lui Marta e Nelide possono stare tutto sommato tranquilli, ma leggere i nomi della famiglia Colombo, i genitori di Enrica, negli elenchi della questura, attenzionati in quanto di origine ebraica, lo ha spinto a insistere oltre ogni resistenza, per un trasferimento a Fortino. Lì nella campagna cilentana, spera, della guerra ormai imminente, arriveranno solo degli echi e non l’impatto brutale che incombe sulle città e lui tornerà ad essere il barone di Malomonte e non più il commissario che a suo tempo ha suscitato tante chiacchiere. Nelide potrà gestire più agevolmente le terre e i fittavoli, non che da Napoli le sia mai sfuggito qualcosa, ma la sua costante presenza fisica, avrà un peso ancora maggiore. Ma soprattutto Marta potrà continuare a studiare e crescere,mentre per quanto possibile, i Colombo saranno in sicurezza, senza la paura che qualcuno li denunci o li venga a prendere.
Anche i ritorni, sia pure in un luogo familiare, non sono esenti da rischi, a maggior ragione se torni dove è iniziato tutto, nel posto in cui hai deciso che la tua vita sarebbe stata altrove. Dopo poche righe dall’inizio, mi sono fermata con una domanda: ma se non è più un commissario di polizia, non è in città, cosa diamine farà il barone Luigi Alfredo?
La risposta l’ho avuta a fine romanzo.
L’indagine più difficile di tutte, la più dolorosa probabilmente, perché è uno scoprire di sé, di sua madre, la sua dolcissima mamma, il perché di quel suo stare male, sempre presente ma distante, chiusa nella sua camera. Quel suo padre che gli sorride dai muri del castello, di cui però ha pochissimi ricordi, un padre che scopre non perfetto ma coerente con i valori che in qualche modo fanno parte di lui.
In questo romanzo c’è un fascismo sempre meno nascosto, sempre più volgare e palese nelle sue esternazioni, nel suo mostrarsi senza vergogna e ci sono uomini antifascisti per natura, semplicemente essendo contro le ingiustizie, uomini e donne, che combattono con le armi che hanno, che ripudiano la guerra, che vogliono un mondo banalmente soltanto giusto.
L‘indagine c’è, eccome se c’è, così come c’è l’amore, quello a tutto tondo che senza dichiararsi tale, fa sì che si sia tesi alla protezione dell’altro, che sia un parente un amico o qualcuno che fa parte di noi.
Si conclude con una sospensione questo romanzo, anzi più d’una, inevitabile e sacrosanta, perché raccontare cosa potrebbe essere la guerra per Ricciardi sarebbe una crudeltà inutile e dolorosa oltre ogni limite, eppure c’è una speranza, di cui ovviamente non vi racconto.
Abbiamo bisogno di memoria, abbiamo assoluta necessità di riprendere le misure. Di imparare tutti, quanta fatica costi diventare esseri umani, consapevoli, completi, capaci di vivere senza combattersi.
Un piccolo inciso, sapete quanto sia “reale” per me Ricciardi, questo articoletto, recensione, come volete, sta sul desktop da molti giorni, mi sembrava di aver detto niente. Oggi su un profilo social di MdG, è stato pubblicato questo video. era la chiusa che serviva, sì, avevo scritto tutto
«Ricciardi, perché hai deciso di portarmi a Fortino?» «Perché i cerchi si devono chiudere. Ma tu questo lo sai bene. Vero, scrittore?»
Se il link non dovesse funzionare – potrebbe essere un contenuto riservato -provate da qui e scusatemi, vorrei davvero riusciste a vederlo tutti.

