SOLEDAD – Maurizio de Giovanni

Ho deciso di iniziare l’anno con una delle “recensioni” più difficili. Teoricamente è fra le più facili, basterebbe descrivere le emozioni che dà la lettura, ma proprio perché c’è talmente tanto in questo romanzo, la banalità è dietro il punto a capo.                            Lo scrivo sempre e lo ribadisco, la storia gialla è perfettamente costruita, la soluzione da manuale, purtroppo, pur mantenendo il senso critico della giallara, è la cosa che mi interessa meno e passa in secondo piano, c’è tutto un mondo intorno, perdonate l’involontaria citazione.              Tutto è nel titolo, tutto. La solitudine.                  Questo mi ha dato questo romanzo, quanto ognuno sia solo, per quanto amore amicizia possa provare, per quanta gente possa avere intorno.         Si è soli nella battaglia per non far mancare mai un sorriso che consoli, nell’affrontare situazioni potenzialmente distruttive per chi si ama e si vuole proteggere, siamo soli nel prendere le decisioni più importanti. Quelle che cambieranno la nostra vita ma anche quella di chi abbiamo intorno.     Eppure queste solitudini de Giovanni le intreccia così bene da farle diventare un unicum, corale all’inverosimile.                        Si intuisce ormai, siamo nel dicembre del ‘trentanove’39, che la guerra è pronta a esplodere e si comincia a sentire la paura del non sapere quanto potrà costare.                                    Ci sarà chi perderà la vita, chi i propri affetti, chi tutto quello che ha e nessuno sa come affrontare la paura che questa incertezza genera.          Ecco la grandezza di Maurizio, non si limita a descrivere, ci fa sentire come se la cosa ci riguardasse, adesso. E forse non è nemmeno così improbabile seppur con modi diversi; ci fa vivere quello che sentono i nostri amici – perché questo sono Ricciardi Bambinella Maione Modo Lucia – scava senza violenza negli animi, ci porta negli abissi e sulle vette- da cui non dimentichiamo, si può cadere, viviamo con loro i rarissimi attimi di gioia e le mille situazioni diverse che in un contesto così sono tragicamente inevitabili.              Oltre alla parte diciamo così poetica, c’è il talento narrativo, nel senso letterale del termine e quindi il racconto preciso, puntuale delle atmosfere – sia chiaro, comprese quelle intorno a vittima e assassino- che si sono vissute.      La pseudo tranquillità che ancora qualcuno ostenta, in forza di posizioni economiche solide o di presunte amicizie e con quanta facilità possano essere distrutte; la condizione dei femminielli, che a Napoli ricordiamolo, sono altro rispetto ai transessuali che conosciamo oggi, esseri speciali che racchiudevano in sè tutto l’umano, il maschile fisicamente e il femminile nell’animo, protetti dalla gente del quartiere, in qualche modo segregati in un ghetto, per la loro sicurezza.                                   La vita della povera gente che sente avvicinarsi la sciagura, impotente eppure decisa a non soccombere – come ci dimostreranno le quattro giornate -    La fatica di proteggere anche chi fa di tutto, consciamente o meno, per non esserlo, la delusione di chi scopre o presume, di avere fallito nel suo essere uomo e pone rimedio come può e sa.                      E infine la pietas, quel sentimento ormai così raro, de Giovanni ci ricorda crudelmente che non sempre quello che vediamo delle persone corrisponde a quello che sono davvero.                           C’è veramente tanto dentro queste pagine, ci sono tutte le forme d’amore e di egoismo, amplificate al massimo, quasi a prepararci, a proteggerci, da quella valanga di dolore che è dietro l’angolo.

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Autore: Coleichelegge

Innamorata perennemente incazzata politicamente scorretta inesorabilmente libera

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