E verrà un altro inverno

di Massimo Carlotto

Negli anni ho imparato che quando prendo in mano un suo romanzo posso aspettarmi di tutto, soprattutto quando non scrive di crimine organizzato o con i personaggi seriali che tanto amiamo. Così è stato con La signora del martedì e quest’ultimo non ha fatto eccezione.                                                                                                                                                 Finita la lettura, devo sempre lasciar decantare almeno un paio di giorni, poi mi  lascio colpire, uno dopo l’altro, dai colpi potentissimi che sferra e dal senso di “sgomento” nel riconoscere la vita.                                                                         Un romanzo con dei picchi di crudeltà altissimi nella loro apparente banalità. Un desolante quadro che “spiega” molte cose su come tutto, nonostante apparentemente sia in perpetuo movimento chiamato   progresso, in realtà resti sempre uguale a se stesso, l’essere umano in particolare. Ambientato in una cittadina, centro di una valle, una qualsiasi nel nord Italia, dove gli abitanti guardano con compiacimento alle interminabili file di Tir che significano lavoro e soldi per la Valle. Gente semplice, che nonostante gli anni siano passati anche lì, continua imperterrita a dividersi in due categorie. I “normali” e i maggiorenti, convivono pacificamente ovvio, ma non si mischiano, come olio e acqua le loro vite scorrono su binari ben definiti, incontrandosi incrociandosi, ma che educatamente si girano attorno, non si mischiano. Carlotto, come credo quasi sempre, ha preso spunto da un fatto realmente accaduto, ha raccontato una storia di mediocrità ma non quella della maggior parte dell’uomo medio, che si limita ad ambire senza agire; no, qui si agisce –  in nome di due o tre principi sacri validi per maggiorenti e no; “fra di noi ci si aiuta” (dove noi sono gli appartenenti alla comunità da cui i “foresti” per quanto buoni o ricchi e generosi, sono comunque guardati con sospetto). Per raggiungere i propri scopi ci si autoassolve qualunque cosa si faccia e non si perde la faccia dichiarando i propri fallimenti che non si devono venire a sapere.  Queste le basi da cui prende l’abbrivio la storia. Il foresto, lo straniero – forse l’unico pulito – che diventa la vittima sacrificabile è Bruno Manera, un vedovo ricco immobiliarista che ha avuto l’ardire di sposare in seconde nozze la figlia di uno dei maggiorenti, lo ha fatto per amore al contrario di lei che dopo un po’ si accorge di non amarlo e intreccia una relazione con una sua vecchia fiamma. Bruno comincia a diventare bersaglio di atti vandalici e aggressioni, fino appunto all’ultima che lo ucciderà. Il come il chi e il perché sono il ritratto della cittadina, dei suoi abitanti, dalle reazioni di ognuno e da come ciascuno mette in secondo piano qualunque remora, anche l’umana pietà pensando a come approfittare della situazione per fare un passo avanti nei propri progetti. Di come il compiere reati sia diventato più semplice non tanto per la relativa facilità con cui si sfugge alla legge, quanto perché diventa una strada equiparata. Il crimine qui è un modo come un altro per elevarsi sulla scala economica e sociale, l’appiattimento culturale  o la mancata “evoluzione” (tipica dei luoghi chiusi), porta anche a quello morale e etico. Gli ostacoli, veri o presunti che siano, vanno eliminati senza lasciare traccia nemmeno sulla coscienza. I personaggi sono come sempre spettacolari nella semplicità con cui l’autore li descrive. Spiccano con ferocia le donne, il vero motore che tiene in piedi il presente, lasciando agli uomini l’illusione di essere le parti attive. L’ennesimo romanzo da non perdere, un noir purissimo che non può che affascinare e trovarsi un comodo posto fra quelli che resteranno.

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Autore: Coleichelegge

Innamorata perennemente incazzata politicamente scorretta inesorabilmente libera

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