IL FRANCESE

So blue so noir

Stamattina o forse ieri, ho visto sul profilo di Massimo Cotto – se non sapete chi è, pentitevi – due foto, la targa affissa al muro ddella casa dove è nato Giorgio Faletti e pochi metri più in là un rudimentale pisello, madò, la versione gentildonna pensavo non l’avrei vista mai, transeat. Mi ha irritato vedere le due immagini accostate, poi ho letto il commento, un pensiero su come probabilmente Giorgio avrebbe riso grazie al suo sguardo sul mondo. Vero, inesorabilmente vero quel che ha scritto. Mi è tornato in mente quello sguardo, quegli occhi azzurri che sembravano gelidi e invece ridevano. Li sento eh i vostri “ma dove diavolo vuole andare a parare?” Arrivo a un altro paio di occhi, altrettanto apparentemente gelidi che invece quando poi li conosci vedi che ridono. Gli occhi di Massimo Carlotto. Che giro eh, eppure c’entra, perché dei libri come quelli che sccrive Carlotto, possono venire solo da uno sguardo capace di vedere, non guardare ma vedere e raccontare quello che la maggior parte di noi guarda e basta. La storia de Il francese, il macrò – un pappone sui generis -è quella di tante donne che non rientrano nei circuiti consueti della prostituzione. Non sono le donne di strada, vittime in genere di piccoli delinquenti, tentacoli insignificanti e intercambiabili di un polpo gigante, sia le donne che i pappa, né le escort di lusso che non rendono conto a nessuno. Il Macrò ha raccolto solitudini, desideri, obiettivi e li ha organizzati. Ognuna delle sue donne ha uno scopo per fare quello che fa e ha una vita che esula, la prostituzione è un frammento delle loro giornate. Toni Zanchetta, che di francese ha solo il soprannome, in realtà è un veneto nato in provincia, quella provincia tanto cara a Catlotto, dove vigono ancora dei codici, dove quello che conta è l’apparenza. Su questo si sviluppa un romanzo forse un po’ meno duro del solito, ma affilato come un bisturi, su come un inciampo, banale se vogliamo, un granello di sabbia si infila nel meccanismo perfetto inceppandolo inesorabilmente. La trama è ovviamente perfetta, perché sempre di un maestro parliamo, mala vera storia è quella di come si sgretola centimetro dopo centrimetro, mattone dopo mattone, il muro su cui Zanchetta ha dipinto la sua immagine e il suo benessere economico. Il mirino di Carlotto è implacabile, suoi romanzi sono delle foto in bianco e nero, dove ogni particolare viene esaltato e il quadro generale perde importanza per lasciarla ad ogni singolo. Ecco dove torna l’importanza dello sguardo, quella capacità di focalizzarsi su qualcosa. Non c’è ombra di giudizio, che sarebbe facile visto l’argomento, non una parola in più dello stretto necessario per farci entrare nelle miserie umane. Un noir perfetto, senza nemmeno un lumicino di speranza nella redenzione dell’umanità. Solo la fredda implacabile luce da sala operatoria che non lascia spazio ad ombre e la penna di un grande autore con uno sguardo distaccato che può avere solo chi ha imparato nel raccontare, a prendere le distanze dalle emozioni senza averle perse. Ci vogliono occhi di ghiaccio che sembrano non potersi addolcire. Ci vuole ironia per guardare il mondo piccolo dove sono spuntate le nostre radici, e raccontarlo da lontano dove sono arrivati i nostri rami. Bisogna avere orecchio diceva Jannacci, bisogna averlo tutto e Carlotto ce l’ha. E per chiudere il cerchio, chi ha avuto in sorte di poter vedere gli occhi di cui parlo, non potrà che darmi ragione, gli altri dovranno fidarsi e “acccontentarsi” della meraviglia di uan scrittura perfetta.

Storia di una figlia

Cosa cerca un lettore nelle pagine di un libro? Emozioni, evasione relax oppure conoscenza,  approfondimento. Nel romanzo di Piernicola Silvis, si trova anche molto altro. Ci sono domande senza risposta, ci sono cose che la maggior parte della gente non sa e forse avrebbe preferito non sapere, ma per quanto siano cose tremende, forse è bene che se ne parli. Anna Sartori è una figlia privilegiata, si è comodamente laureata e affronterà la specializzazione con la benedizione di papà che l’ha sostenuta e la sosterrà economicamente, ha anche un fidanzato che papà Luigi non vede  l’ora diventi marito. La mamma ha lasciato la famiglia molti anni prima, senza una spiegazione, semplicemente se n’è andata con un altro uomo, questo e la natura violenta (non nota agli altri) del fidanzato, sono le uniche cose che la turbano. Lei ha bisogno di certezze, è una donna tosta come suol dirsi, nonostante la sua dolcezza. Ha delle domande senza risposta Anna, si chiede perché il padre non parli né abbia mai parlato della sua giovinezza nel periodo della guerra, perché anche la madre, che pure qualcosa dovrebbe sapere, opponga alle domande risposte vaghe, perché non abbiano parenti di cui parlare. È un tarlo che quando suo  padre viene colpito da un ictus ed entra in coma con l’alta probabilità che passi oltre senza più riprendersi, per Anna diventa un chiodo fisso. Lo stress per la situazione la porta a trascurarsi perdere peso  concentrazione e ad avere degli inspiegabili incubi. A partire da quelle visioni che la sconvolgono, Anna decide che se anche non potrà più rivolgere le domande a suo padre, troverà da sola le risposte.

Nel percorso alla ricerca di sé, di una storia che vada oltre l’infanzia, si imbatte in qualcosa che come dicevo prima è poco noto. Scopre l’esistenza di reparti delle SS composti da Italiani, connessioni fra il fuhrer e il Vaticano, stragi di cui solo pochi sopravvissuti hanno memoria. Quello che ha spinto Silvis, che ha gentilmente risposto a qualche mia domanda e che ringrazio, è quella che senza risposta, almeno una volta si sono posti tutti: com’è possibile tanta crudeltà? Cosa spinge un essere umano ad usare un neonato come piattello per farci il tirassegno? A ridere mentre tortura violenta e sevizia? Se ormai il sentimento comune è una più o meno blanda indignazione (tanto abbiamo la giornata della memoria no? Basta e avanza) nei confronti dei tedeschi, i veri responsabili delle atrocità, Silvis non si è accontentato e ha voluto andare oltre, facendo ricerche, i cui risultati, sia pure sotto forma di romanzo, ha voluto  rendere noti. L’esistenza  di mostri (parola abusata ma efficace), che hanno condiviso quel modus vivendi che attribuiamo ai tedeschi e che poi per ragioni politiche – nel senso più ampio del termine – hanno potuto farsi dimenticare, rinascendo alla vita come se nulla fosse, diventando persone anche stimate. Il dramma a cui ci pone davanti il romanzo è proprio questo, dove siamo disposti ad arrivare in nome dell’etica? Qual è il limite che la nostra etica personale ci impone? Fino a che punto possiamo sopportare di convivere con qualcosa che pensavamo non ci riguardasse o per cui pensavamo bastasse indignarsi  e fingere di ricordare? E se fosse toccato a me? E fidatevi che sono domande a cui dare una risposta è davvero difficile.

Applausi. Sipario, lo spettacolo continua e con de Giovanni tornano le rondini

                                                     Sento una certa attesa nell’aria

 

Un bel tacer…Con quel che segue

untitledFacciamo il punto? Non mi pare strettamente necessario ma due righe ci stanno. Equitalia impazza, la gente si suicida, le imprese chiudono e quelle che aprono lo fanno con soldi riciclati dalla mafia – di qualunque nazionalità essa sia – e i nostri signori parlano.

Parlano di povertà come se la cosa li riguardasse, come se conoscessero il significato della parola, cosa di cui onestamente dubito, credo che ad andare a cercarlo non se ne trovi uno che sappia cosa vuol dire non avere il denaro per fare la spesa, non sapere come pagare le bollette e chi più ne ha più ne metta.

Fanno le manifestazioni contro la povertà, e non ditemi che ‘sta roba non fa ridere i polli. Immagino la signora povertà che si spaventa tantissimo e se la da a gambe. Su tranquilli, avete le cartelle esattoriali che popolano le vostre notti? Da lunedì scompariranno.

Parlano di legalità, ma la priorità nell’assegnazione delle case è di chi a volte delinque, a volte no, ma vive da anni in situazioni che legali non sono. Non voglio difendere i palazzinari, in fondo godo quando gli emuli di Arpagone che affittano ad extracomunitari si ritrovano con le case occupate per anni senza prendere un euro, l’avidità genera effetti che evidentemente non vengono presi in considerazione. Però mi chiedo perché gente che non paga l’affitto da anni, debba essere privilegiata rispetto a qualcuno che ha sempre rispettato i contratti e le leggi, spesso con fatica.

Parlano di dialogo, ma sindaci assessori e compagnia sono delle entità raggiungibili solo durante le manifestazioni in piazza, e ti stringono la mano sorridendo come ebeti, ma se cerchi di raggiungerli nei loro sancta santorum, puoi morire nell’androne, o al limite tentare con una seduta spiritica.

Un popolo strano che continua a lasciarvi spadroneggiare forse si merita questo trattamento, ma da parte vostra egregi signori, non è onorevole comportarvi così. E allora chiedo, se proprio il vostro mestiere non lo sapete fare, almeno tacete. Fate un gesto nobile per una volta.