Non ve lo aspettavate lo so, e invece… PS a breve torno con i libri che sta uscendo il mondo
Lo so, che mi mettessi a scrivere di fiction non ve lo aspettavate, però cosa sono in fondo le fiction (alcune), sono la trasposizione della vita. Non parlo certamente di Amore e vendetta o soap turche in genere, raccontano un mondo da me troppo lontano, e neanche di Beautiful, che a suo tempo è partita – e per anni è stata – una rappresentazione più o meno reale del mondo dei ricchi, adesso onestamente è un troiaio che si tramanda di madri pari figli e figlie, tra legittimi e non, che non ci si capisce più nulla.
Parlo delle fiction italiane, moderni sceneggiati, per chi si ricorda cosa fossero.
La televisione italiana ne ha due di molto longeve, UPAS, ossia Un posto al sole, che da trent’anni racconta la quotidianità, in un posto difficile e bellissimo, Napoli, ma io vi racconto dell’altra Il Paradiso delle signore.
IPDS nasce da un romanzo, prende lo spunto iniziale, dal Paradiso delle signore di Emile Zola, che racconta la nascita di un grande magazzino a Parigi e lo sposta a Milano. La Milano degli anni ’50, per chi la conosce, è un po’ la storia de La Rinascente ma non ve la racconto, fidatevi e basta.
Ma cosa può accadere all’interno di un grande magazzino che sia così interessante da farne una roba che va avanti da 10 anni. Di tutto. Perché ci sono i proprietari, quindi imprenditori che fanno delle scelte e hanno amici mogli mariti figli e quant’altro, ma anche commesse magazzinieri fornitori case che ci sono, case da trovare, malattie morti matrimoni, insomma dai, la vita.
Come la vita appunto, gli sceneggiatori “inventano” trame che si rifanno a quello che accade anche a tutti noi.
Chi non ha un amico o un conoscente che partendo da 0 si è costruito rispettabili e fruttuose carriere? Una ragazza madre la conosciamo tutti no? E tutti abbiamo avuto storie d’amore, lunghe corte felici o piene di corna. Ecco che allora, intervengono i social, che diventano una cartina al tornasole, datemi un hastag e posterò la mia opinione su tutto, sui gruppi dedicati ci si fa un’idea, piuttosto precisa ahimè, dello stato delle cose. Di cosa pensa la gente, uomini donne giovani anziani, del nord del sud delle isole, ricchi poveri e così così, laureati o a malapena con le medie. Meglio di IPSOS.
Cosa ancora più evidente, si discute in base a quanto, le storie sul piccolo schermo, ci ricordano le nostre. Ci riconosciamo nei personaggi, nelle reazioni che hanno, nel modo di porsi verso gli altri, ci ritroviamo in situazioni che ci hanno riguardato da vicino.
Diventiamo a rotazione la più bella del reame, quella sfigata, la moglie il marito o l’amante, quella (scusate ma essendo femmina mi viene spontaneo il femminile ma tutto vale per entrambi i sessi).
Va da sé, che troviamo anche chi ci sta intorno. Ecco che c’è quello/a che sembra un totale imbecille, ma che in determinate situazioni si dimostra geniale, quella che sembra avere tutto, bellezza prestigio potere e stronzaggine a kg, salvo poi scoprire che non è così stronza e ha dei sacrosanti motivi per esserlo.
C’è la rana dalla bocca larga, convinta che sia giusto dire sempre tutto e se qualcosa provoca dei casini immani, sconvolge vite e quant’altro, si giustificherà sempre perché lei ha solo detto la verità.
C’è lo sfigato apparente, quello sempre accondiscendente, assertivo positivo e incoraggiante a cui piace fare l’eminenza grigia. Oltre la porta del posto di lavoro, non ha una vita, ma vive di riflesso tutte quelle degli altri, perché siamo una famiglia.
C’è lo stronzo conclamato che a volte sembra cambiare, ma nessuno si fida.
Crederci sempre arrendersi mai, diceva una nota (e brava) conduttrice, e ante litteram, c’è anche chi già lo sapeva.
Qualunque cosa faccia, la fa a fin di bene (il suo prevalentemente ma proietta egregiamente), qualunque iniziativa prenda viene trasformata, dagli altri, in mirabolante.
Finge, forse in buona fede o forse no, non si saprà mai, di stare un passo indietro, con l’unico risultato di farsi “chiamare” in scena, semina dubbi, la goccia che scava la roccia, ha sempre l’aria pensierosa e semina dolore come un’ape impollinatrice, ma messa di fronte ai fatti, è sempre stata fraintesa e non è mai colpa sua.
Potrei continuare ad libitum o quasi, ma qui mi fermo.
Rilevo però, che questo era lo scopo dell’articolo e torno a bomba sulle prime righe, che le fiction, nascosti sotto fatti più o meno esagerati, raccontano di noi ed è la ragione per cui si formano gruppi eterogenei in cui sui social di quello si parla.
È giusto? È sbagliato? Non lo so, so che a volte, più spesso di quanto si creda, il social diventa un modo di esprimere le proprie emozioni, le proprie ferite, quello che per mille ragioni non si può dire riferendolo a sé stessi.
E per chi come me, ma so che siamo in parecchi, ama andare un po’ più in là, diventa un modo per avere chiaro com’è la gente intorno, quella che incontri sul tram, al supermercato e tassellino dopo tassellino, capire se c’è un modo per capirsi e farsi capire.

