COME CANTAVA RENATO ZERO? VIVA LA RAI

Ieri mattina finalmente il sole, grazie a un’amica che l’aveva visto sul web a un discreto sedere e alla vicinanza a casa, sono andata a visitare la RAI di Corso Sempione 27. Ci ero andata per un periodo a vedere CHE TEMPO CHE FA, quando era intrattenimento. Preistoria. Conoscevo quindi l’entrata il corridoio dove aspettavamo di entrare e lo studio.

Partiamo dall’edificio, ne abbiamo visitato solo una una parte ovviamente, avevo sentito che era stato progettato da Giò Ponti, nel ’39 ma senza dargli importanza. Le particolarità dell’edificio sono troppe per poterle elencare e parlarne senza dimenticare qualcosa, oltre al fatto che non ne ho la competenza, consiglio però fortemente a chiunque, di cercare dei testi che entrino nello specifico, perché quando te lo spiegano e lo vedi da dentro, ti rendi conto della bellezza. Giusto due curiosità : le scale, con un corrimano a serpentina che permette di non staccare mai la mano per tutti i 6 piani, le stesse, hanno i gradini studiati in altezza e profondità, in modo che salire non sia affatto faticoso. Gli oblò delle porte (originali) hanno la forma degli schermi dei vecchi tubi catodici, con gli angoli arrotondati e le stesse proporzioni. La meraviglia degli studi radiofonici – che noi frequentatori delle prime radio libere, ricordiamo tapezzati con i cartoni delle uova – in cui ogni particolare e intendo proprio tutto, dai pavimenti al soffitto, ai pannelli da un lato fonoassorbenti e dall’altro riflettenti, con cui sono rivestite le pareti irregolari, alle porte completamente isolanti, è studiato perché il suono e le voci – non dimentichiamo per esempio i radiodrammi in diretta – fosse perfetto. Un’acustica eccezionale. Incredibilmente affascinante, davvero.

E veniamo alle riflessioni, dopo le “fughe” per presunte ragioni politiche, di uomini simbolo da mamma RAI, ascoltando chi ci spiegava ( in soldoni, per forza dato il tempo), come funziona un po’ tutto, dalle luci ai costumi e le altre millemila cose, compresi gli sforzi tesi al risparmio energetico per la sostenibilità, mi sono resa conto che siamo dei pollastri. Mi ci metto in mezzo perché anch’io ho discusso degli illustri fuggitivi.

Siamo dei polli perché identifichiamo l’azienda col volto noto, siamo immancabilmente deviati dalle nostre convinzioni simpatie o antipatie politiche e non, ci facciamo condizionare dagli algoritmi che governano il web. Per carità, ovvio che qualche pirlata scappi ai vertici o comunque a qualcuno nella catena del potere e altrettanto ovvio è che qualcuno tenti di essere compiacente, ma attenzione, quelle poltrone lì vanno e vengono, esattamente come vanno e vengono i Nomi, a seconda di chi offre di più. Sapete chi sono i veri uomini azienda? I dipendenti e i pensionati con buona volontà, come quelli che ieri appunto, si sono prestati a farci da ciceroni.

Attrezzisti registi aiuto registi, gente che è stata lì per 40 anni, entrata magari perché ci aveva lavorato il padre, truccatori costumisti cameramen fonici, le redazioni le produzioni. Quelli che pur essendo certi del loro posto di lavoro, lo fanno al meglio, fanno sì che a noi arrivino le immagini nitide con le luci migliori, da studio e da esterni, quelli che conoscono ogni angolo dell’edificio e te lo mostrano con orgoglio, o quelli come l’impiegato o il dirigente (non lo so), che ci ha accolti alla fine del giro, commuovendosi nel raccontarci che a loro, come accade alla BBC, degli ascolti importa relativamente, perché loro sono il servizio pubblico.

Sono quelli che come Massimo Bernardini, lascia sua sponte una trasmissione sana e di successo, per andare semplicemente in pensione, per dare spazio a qualcuno di giovane che la carriera la deve ancora costruire. Non facciamoci abbindolare dai “si dice”, dagli algoritmi dalle nostre elucubrazioni. Pensiamo a tutte quelle maestranze (che è decisamente sminuente) e pensiamo che davvero ci sono migliaia di persone che lavorano perché noi possiamo avere un servizio pubblico, non sarà forse il migliore possibile, ma è tanta  roba.