È COSì CHE SI MUORE

Correva l’anno 2012 e militavo in quel fantastico gruppo di anobiani (per chi non lo sapesse Anobii è una specie di godreaders ante litteram) che si chiamava Corpi freddi, un chiaro omaggio al genere di letture che ci accomunava. Fra i nomi nuovi o da poco emersi, arrivò anche Giuliano Pasini. Venti corpi nella neve fu una rivelazione. Una scrittura pulita e mai banale che ti porta ad andare avanti senza togliere il fiato, ma non ti lascia andare, la capacità di entrare in punta di piedi in argomenti delicatissimi, come poi ha dimostrato nei romanzi successivi e un personaggio strano. Non del tutto nuova come idea ma declinata in maniera diversa, che lo rende unico.                                                                           Roberto Serra è a capo del più piccolo commissariato d’Italia, lo era quando nel 1995 si consumò la tragedia raccontata in Venti corpi nella neve e ci è tornato per cercare la pace.  Da ragazzino gli sono stati strappati entrambi i genitori, uccisi mentre erano in auto da uno sconosciuto che ha sparato da una moto, lui era con loro e lo shock gli ha lasciato dei problemi che gli hanno reso la vita davvero difficile, ha dei buchi di memoria che cerca di riempire da tutta la vita. È affetto da uno strano e  indiagnosticabile disturbo che lo porta ad avere delle crisi, facilmente scambiabili per attacchi epilettici, durante i quali quasi come un derviscio, raggiunge uno stato di trance in cui vede (o immagina di vedere) come sono andati i fatti di cui si occupa ma non solo. È una condanna La danza – così ha soprannominato il disturbo – che teiene nascosta a tutti, che ha mandato in frantumi il suo matrimonio, arriva inaspettata ed è preceduta da un sentore di fiori marci, prende il controllo sul suo corpo che comincia a girare e fare movimenti inconsulti durante i quali vede cose che non sempre riesce a decifrare. Gli attacchi arrivano all’improvviso, gli lasciano appena il tempo di capire che sta per succedere e lo lasciano stremato, ogni volta sempre più spaventato di aver in qualche modo potuto trasmettere questa maledizione alla figlia.     A Case Rosse sull’appennino modenese, ambientazione naturale per l’autore che è concittadino di Blasco, oltre a Serra è stata inviata, come misura disciplinare, Rubina Tonelli che durante il servizio è solo un po’ intemperante ma  nel suo privato si porta dei fardelli pesanti come quelli del suo capo e altrettanto segreti, che la trasformano in qualcuno di competamente diverso. Nonostante il paese raggiunga a malapena il migliaio di abitanti, che significa conoscersi e sapere più o meno tutto di tutti, il Burdigòn, al secolo Eros Bagnaroli viene ucciso e la sua cascina incendiata.           L’indagine è, se così si può dire, alleggerita dai divertenti contrasti fra la Tonelli, che viene dalla Romagna (se state per obiettare che la regione è una, sappiate che vale solo se siete emiliano romagnoli, in quel caso si fa fronte comune, ma in regione, cambia tutto) e la gente del paese; per di più viene da Rimini, il che equivale a dire che per lei stare a Case Rosse è come stare in un cimitero.                                                                                                                                                Ai suoi ripetuti “Cùt vègna” (“che ti venga” a cui segue un sottinteso “cancher” che a dispetto di tutto è un intercalare del tutto esente da rancore) si alternano le obiezioni e il classico che sei un “ed fora”, un forestiero. Qualcuno che non può capire le logiche del paese. Per non parlare dei soprannomi, che se nei paesi, in città è diverso ovviamente, in generale, ad esser chiamati col proprio nome sono in pochi, nei paesini, nessuno e ogni soprannome ha una storia, una motivazione incomprensibile a chi venga da fuori. Le ambientazioni sono splendide, personalmente mi riportano alla mente autori che amo, Guareschi Varesi Guccini e Macchiavelli, un mondo che sembra lontano e invece è appena dietro la curva.                                                                          Una natura a volte inospitale ma affascinante, con un retrogusto di cose passate, che si rispecchia anche nella gente, perché come diceva zia Agatha, l’essere umano non cambia. Una storia bella tosta, ottimo biglietto da visita per chi non conoscesse l’autore, un graditissimo ritorno, con tanti fatti nuove che scopriamo insieme al commissario su lui stesso, per chi ha già incontrato e amato Roberto Serra. Ben tornato Giuliano Pasini, adesso non facciamo che ci fai aspettare anni e anni per il prossimo.

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Autore: Coleichelegge

Innamorata perennemente incazzata politicamente scorretta inesorabilmente libera

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