
Non c’è pace per il povero Emilio Zucchini, oste bolognese fino al midollo, che si batte senza tregua per difendere la cucina felsinea dai luoghi comuni e dagli orrori che si sentono in giro. Ogni volta che qualcuno mangia dei tortellini alla panna per dire, c’è un cuoco emiliano che ha degli scioponi. Il tortellino muore nel brodo e basta, o quando si sentono chiedere degli Spaghetti alla bolognese (che non esistono), dai ho giocato un po’ coi titoli ma la verità è che Filippo Venturi, che i libri li ha scritti e si è inventato l’Emilio, è un ristoratore bolognese per davvero e Zucchini con quel tantinello di esasperazione permessa dalla fantasia, raccoglie nella sua persona tante verità. Premesso che lui, Zucchini, di suo i guai li eviterebbe come la peste, perché è un tipo tranquillo che anela solo a vedere la gente gustarsi i piatti che escono dalla sua cucina, andarsene soddisfatta (dopo aver obbedito ai suoi diktat culinari) e tornare nella sua trattoria, i sopracitati guai li attira come il miele attira le mosche. Invece si trova suo malgrado coinvolto in omicidi, furti e reati vari, in cui non ha alcuna colpa, ma dei quali il commissario Iodice gli attribuisce a priori e a prescindere un ruolo, possibilmente quello di indiziato principale. In breve breve la trama racconta che Alice, la sua cameriera (purtroppo solo quello) è scomparsa, alcuni dei milordini (i giovanotti della Bologna bene) vengono uccisi piuttosto brualmente e la scomparsa sembra essere non solo coinvolta ma addirittura l’assassina. Tutto questo mentre La vecchia Bologna, come tutti i bar e i ristoranti, apre e chiude a seconda dei dpcm, eh sì, perché siamo nel 2020 e ancora si avanza a tentoni fra lockdown, orari prestabiliti mezz’ora prima di renderli esecutivi, tavoli che devono essere a distanza di sicurezza ma non si sa bene se a uno due o tre metri. Con la trama direi che basta così. Trovo più interessate invece parlare dell’autore in toto, non credo abbia velleità di diventare uno che scrive best sellers ma sicuramente scrivere è una passione che coltiva con ottimo profitto, fra l’altro da anni tiene una rubrica su Repubblica, oltre ad aver pubblicato svariati romanzi. Il suo è un giallo intriso di ironia nella giusta misura, volendo restare in ambito gastronomico, la dose giusta come quella del caffè che deve assorbire un savoiardo per un tiramisù perfetto. Troppo rende il dolce acquoso, troppo poco e risulta secco. Ecco i gialli di Venturi sono così, più attento al linguaggio e alla misura che alla trama gialla, che comunque non è per niente male, anzi. Il contrasto fra Zucchini, che spesso nemmeno si rende conto di essere coinvolto in fatti criminali, e il commissario Iodice che regolarmente lo mette al centro delle indagini, o come principale sospetto o come complice, è il succo di ogni romanzo. Un commissario fra l’altro imbecille e presuntuoso come pochi, al punto da essere una figura fra il patetico e il ridicolo, che per sua fortuna a dei collaboratori che invece ragionano e alla Beretta preferiscono i neuroni. Coraggiosamente Venturi, ha ambientato questo romanzo in piena pandemia, riuscendo a ridere e farci ridere, di quei mesi folli in cui eravamo tutti virologi e tutti spaventati da qualcosa di talmente grande da sembrare impossibile; “vittime” di misure emergenziali che viste da “lontano” oggi verrebbe da definire più che altro demenziali, non fosse altro che per il modo in cui hanno trasformato le città i rapporti umani le persone. Non era facile perché al di là della facile ironia, i morti ci sono stati eccome ma Venturi è stato bravo davvero a incastrare in quella dolorosa follia collettiva, un dolore personale capace di sconvolgere le persone, affrontando un tema decisamente purtroppo sempre attuale e con un piede nella cronaca vera . Se a una prima lettura può sembrare un gialletto leggero, fermandosi un attimo ci si accorge che non è affatto così e avendo letto i precedenti, si coglie la crescita autoriale dell’oste scrittore. Vale la pena quindi lasciarsi conquistare da Zucchini che oltretutto, diventa a sua insaputa (forse), uno spot vivente per la sua città. Impossibile leggerlo e non essere presi dalla voglia di andare a perdersi per almeno un fine settimana nella città delle due torri.
